SUMERICA, Arte

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

SUMERICA, Arte

G. Garbini

Per arte s. intendiamo l'insieme delle manifestazioni artistiche della regione mesopotamica (all'incirca l'odierno Iraq; v. mesopotamica, arte) del periodo protostorico e di quello storico più antico, cioè dalla fine del IV alla fine del III millennio a. C. È convenzione considerare come a sé stante l'arte del periodo del predominio politico degli Accadi (2350-2150 a. C.; v. accadica, arte), mentre la fase finale della civiltà e dell'arte sumeriche, corrispondente ai periodo della III Dinastia di Ur (2150-2050 a. C.) viene designata come neo-sumerica.

Nel quadro della produzione artistica dell'Asia Anteriore antica, l'arte S. occupa una posizione di eccezionale rilievo; essa è infatti la sola che possa vantare una continuità ed una coerenza di sviluppi formali paragonabili a quelle che caratterizzano l'arte egiziana (v.) e, sia pure in misura notevolmente minore, quella assira (v.). Laddove altre culture figurative, come la fenicia, la siriana, l'anatolica e la stessa babilonese restano legate a soluzioni formali più o meno originalmente rielaborate e a un patrimonio figurativo di imitazione, solo eccezionalmente superato mediante una certa coscienza stilistica e con l'episodico raggiungimento di alti livelli espressivi, l'arte S. presenta un'originalità creativa non solo nel repertorio figurativo, ma anche nel linguaggio formale; originalità e maturità che caratterizzano tutte le manifestazioni di quella civiltà che i Sumèri produssero nel corso della loro non lunga storia.

La presenza di elementi di origine iranica e centro-asiatica nella civiltà e nell'arte dei Sumèri non infirma la constatazione che queste furono il prodotto di una elaborazione che ebbe luogo nella Mesopotamia meridionale nella seconda metà del IV millennio a. C.; lo sviluppo storico dell'arte s. mostra infatti chiaramente il progressivo maturarsi e arricchirsi di premesse riscontrabili già nelle manifestazioni più arcaiche.

1. Svolgimento storico. - Un profilo storico dell'arte s. resta ancora estremamente lacunoso e ipotetico, per la scarsezza del materiale pervenutoci (sola eccezione è la produzione glittica) e per il fatto che i maggiori centri urbani sumerici non hanno ancora restituito, tranne qualche eccezione, reperti adeguati alla loro importanza; città culturalmente (ed etnicamente) periferiche, come quelle della Diyāla (Eshnunna - Tell Asmar, Khafāgiah e Tell Agrab) o Mari (v.) sull'Eufrate, sono oggi meglio note di città come Nippur, Umma, Kish e la stessa Eridu. Occorre però rilevare che se una giustificazione della scarsa quantità di opere artistiche sumeriche si trova nell'insufficienza degli scavi effettuati finora, tale giustificazione è soltanto parziale. Quando si confronta l'arte s. con quella egiziana ad essa contemporanea (dal tardo Predinastico alla fine dell'Antico Regno) non si può non rilevare un diverso grado di maturità formale (non sono poche le opere sumeriche che appaiono prodotte da maestranze quasi digiune del mestiere): segno dunque che in Mesopotamia è mancata quella solida tradizione artigianale, derivante da un'abbondante produzione, che vediamo in Egitto. Alla relativa povertà quantitativa si aggiungano poi le difficoltà di datazione dei vari reperti, solo a volte accompagnati da iscrizioni che aiutano a datarli e non sempre rinvenuti nel loro strato archeologico originario (per non parlare dei pezzi di provenienza ignota). Per tali ragioni, le varie fasi dello svolgimento stilistico di un genere artistico, più che da una soddisfacente documentazione vanno talvolta dedotte da determinate soluzioni formali che resterebbero incomprensibili se non si postulassero fasi intermedie.

Nonostante la sua intima coerenza non è possibile considerare l'arte s. nelle sue manifestazioni storiche come uno svolgimento univoco. La profonda e costante esigenza religiosa che costituisce il fondamento ideale dell'arte s. e l'uniformità del repertorio figurativo ed iconografico non devono far dimenticare che, a differenza dell'Egitto politicamente unitario, in Mesopotamia dovevano esistere diverse scuole artistiche, legata ognuna al tempio principale (e più tardi al palazzo reale) di ogni singola città-stato. Certo non tutte ebbero la stessa importanza, ed è verosimile che le scuole dei centri più antichi e di maggior prestigio religioso e politico (come ad esempio Uruk nell'epoca più antica) esercitassero una funzione di guida ai centri minori, fornendo loro modelli figurativi e stilistici.

Nel corso della sua storia, l'arte s. presenta inoltre delle fratture, degli improvvisi mutamenti di sensibilità stilistica che per la loro natura si rivelano come prodotti di una profonda crisi; non è facile dire se si tratti dei riflessi di perturbazioni storiche connesse con l'affermazione delle popolazioni semitiche o di crisi interne della società sumerica; probabilmente le une e le altre insieme. La prima crisi si manifesta nell'ultimo periodo predinastico (fase di Gemdet Naṣr); la pienezza di vita, la serenità che la primitiva arte s. estrinseca nelle forme euritmiche dell'architettura, nelle larghe masse volumetriche della scultura, nell'iconografia delle scene liturgiche e pastorali, cedono il posto a un'irrequietudine, a un senso di timore e al pessimismo; i soggetti religiosi diventano drammatici (compaiono esseri mostruosi, lotte feroci di animali), l'architettura sacra abbandona la chiara simmetria della pianta e l'elevazione dei templi su una piattaforma scoperta per adottare templi a pianta irregolare gelosamente racchiusi entro immense cinte murarie; nella scultura il movimento, il chiaroscuro, l'espressionismo sono le nuove tendenze stilistiche. Tendenze che continuano nel successivo periodo protodinastico, che rappresenta, al suo inizio, una fase di lenta rielaborazione che porterà alla creazione di una nuova visione formale. Questa si affermerà nella maniera più piena nel periodo accadico, che (pur essendo caratterizzato dal predominio politico dei Semiti: v. accadica, arte), rappresenta in realtà il momento più alto di una cultura figurativa totalmente sumerica nelle sue premesse: il nuovo senso del volume e la riconquista del naturalismo, l'euritmia compositiva, la ricchezza del repertorio figurativo per una mitologia che viene narrata, la diffusione del rilievo storico, sono gli elementi basilari di una nuova classicità paragonabile, ma con ben altra ricchezza concettuale e consapevolezza stilistica, a quella predinastica del periodo di Uruk. La crisi più profonda dell'arte e della cultura sumeriche si ha alla fine del periodo accadico, che vide la distruzione dell'impero semitico; quando poi sopraggiunse un periodo di ripresa politica sumerica, l'arte si era ormai posta su altre vie. Nel periodo neo-sumerico perdurano le acquisizioni tecniche e stilistiche del periodo accadico, ma non si ha più creatività; la profonda trasformazione verificatasi nella società sumerica nel periodo accadico non consentiva un puro e semplice ritorno alle origini. Si assiste così ad una stanchezza spirituale solo apparentemente mascherata da innegabile maturità formale; basti pensare alla tematica: scompaiono le raffigurazioni storiche, la varietà delle descrizioni mitologiche, le statue dei sovrani; ritorna la statua del fedele in preghiera, nasce la scena di presentazione del fedele alla divinità. È un mondo, quello neo-sumerico, che nonostante la potenza politica e l'acquisizione di un evoluto linguaggio formale, comunica un senso di inarrestabile declino e che tende sempre più a chiudersi in se stesso, nella sfera della religiosità; ma a differenza di quanto accadrà poi nel mondo romano, al venir meno di una civiltà non si accompagnano i fermenti di un nuovo mondo spirituale: con la fine della civiltà sumerica la Babilonia conobbe soltanto un progressivo impoverimento culturale e spirituale.

Tabella

Per un più agevole orientamento si dà qui una tabella con le varie periodizzazioni proposte dai varî studiosi. La cronologia "media" è quella oggi più generalmente accettata.

2. Architettura. - Le prime manifestazioni monumentali dell'arte s. sono rappresentate da templi. In quello di Eridu la successione di ben 17 rifacimenti mostra già in epoca preistorica le caratteristiche che saranno poi essenziali all'architettura s., condizionata dalla mancanza di pietra nella regione e dalla continua minaccia delle alluvioni: la sopraelevazione sul terreno circostante, che si traduce ben presto in una ricercata monumentalità; il pittoricismo, inteso più in senso plastico che cromatico, che alleggerisce la pesantezza delle massicce strutture in mattoni di argilla; l'esigenza di ordine nella planimetria, che non si traduce in una rigida simmetria, quanto piuttosto in un ben dosato equilibrio di parti. Il tempio resta l'edificio più caratteristico dell'architettura sumerica; il palazzo, espressione di un potere monarchico secolare, apparirà soltanto alla fine della civiltà sumerica, nel penodo della III dinastia di Ur; più che la sua struttura (un ampio cortile centrale attorno al quale si distribuiscono senza molta regolarità i diversi gruppi di appartamenti), anticipata del resto già in epoca protodinastica dal cosiddetto "palazzo" di Kish, interessa in tale periodo il fatto di trovare il tempio direttamente annesso al palazzo reale, come nel caso del palazzo di Shu-Sin a Eshnunna (v.). Il tempio è concepito come la dimora (in sumerico é "la casa") della divinità, e poiché gli dèi vivono sulle montagne, il tempio sorge su un'altura, cioè su un'ampia piattaforma artificiale; significativi sono i nomi di alcuni templi, come l'é-kur di Enlil a Nippur ("casa della montagna"). L'esempio più notevole, per l'epoca arcaica, è quello del "tempio bianco" sulla ziqqurat (v.) di An ad Uruk; l'edificio sorge su una grande piattaforma, dalla pianta leggermente irregolare, alla quale si arriva mediante un'ampia scalinata; le mura del tempio presentano all'esterno la caratteristica alternanza di sporgenze e rientranze verticali, che le vivifica plasticamente, conferendo loro al contempo una classica severità. All'interno, lo stesso movimento, su una scala più ampia, è sfruttato per la creazione di ambienti laterali. Talvolta le massicce pareti di mattoni erano mosse da una decorazione policroma. Le immense colonne di mattoni, che chiudono un cortile non lontano dalla ziqqurat di An, presentano un rivestimento di chiodi di terracotta dipinti, disposti a formare losanghe e triangoli. È interessante rilevare che tali disegni sono gli stessi che ritroviamo più tardi nella decorazione dell'artigianato "minore" (nelle arpe di Ur, ad esempio) e persino nei tappeti che fino a pochi decenni fa venivano fabbricati nella regione: significativo esempio.

La collocazione del tempio sulla sommità spianata di un'altura artificiale, rispondeva insieme alle esigenze pratiche di una difesa dalle inondazioni e a quelle religiose di far abitare la divinità su una montagna. Se dal punto di vista religioso questo fatto implica almeno l'inizio di una concezione trascendente del divino (ed è significativa l'incomprensione del vero significato del "tempio alto" da parte delle meno colte popolazioni seminomadi semitiche, incomprensione riflessa dal racconto biblico della "torre di Babele"), dal punto di vista figurativo la sovrapposizione di due masse volumetriche poneva un problema analogo a quello che affrontò Imḥaotep (v.), l'architetto della piramide a scalini di Saqqārah (v.). La fondamentale differenza tra l'Egitto e la Mesopotamia appare qui evidente: mentre in Egitto la sovrapposizione delle mastabe portò improvvisamente alla forma della piramide, creazione geometrica puramente intellettuale e completamente avulsa da ogni esperienza, in Mesopotamia il rapporto concettuale tra la massa del "tempio alto" e la "montagna" non venne mai meno, nonostante il sempre più consapevole linguaggio architettonico assunto dall'edificio. La storia stessa del "tempio alto" o ziqqurat dimostra con quale tenacia la cultura mesopotamica rimase fedele alle forme arcaiche, più vicine al modello naturalistico (v. ziqqurat).

Dopo il periodo arcaico l'architettura presenta un nuovo indirizzo; nel periodo di Gemdet Naṣr l'area sacra di Uruk, l'é-anna ("la casa del cielo") presenta edifici dalla pianta irregolare e privi di monumentalità. Nel periodo protodinastico compaiono nella regione della Diyala, meglio nota, templi con caratteri diversi dai precedenti: essi non sorgono più su una piattaforma ma sono circondati da imponenti muri, ovali o quadrangolari; la cella della divinità diventa sempre più o meno accessibile, progressivamente respinta dal succedersi di serie di cortili ad una estremità nascosta dell'area sacra; anche la pianta muta, e al posto dello sviluppo in senso longitudinale, con ambienti laterali, troviamo un largo vano centrale con vani all'intorno. Tali caratteri, che ritroviamo nel "tempio quadrato" di Eshnunna (v.), nell'Ovale e nel tempio di Sin a Khafāgiah (v.), più tardi nel tempio di Shu-Sin a Eshnunna e ancora più tardi a Ishchali (v.), corrispondono ad una mentalità semitica (si pensi ai templi tripartiti della Siria, con il sancta sanctorum nella parte più interna) più che sumerica.

Al tempo della III dinastia di Ur la tradizione s. riprende vigore (è in questo periodo che si stabilizza il tipo del "tempio alto" nella forma classica della vera e propria ziqqurat), ma si tratta di una ripresa di breve durata e priva di un reale rinnovamento creativo.

3. Scultura. - Dal punto di vista tipologico la scultura s. presenta una notevole uniformità; a parte alcune figure di animali (specialmente bovini) e oggetti di pietra decorati a rilievo più o meno alto (vasi, mazze), la statuaria presenta un solo tipo, quello dell'offerente (uomo o donna) in posizione di preghiera dinanzi alla divinità: quasi sempre in piedi, talvolta seduto, rarissimamente inginocchiato. Questa tipologia corrisponde naturalmente allo scopo per il quale i Sumeri fabbricavano statue: porre nei templi l'immagine dei sovrani, dei sacerdoti e dei notabili della città. La statua s. ha la funzione di perpetuare la presenza del fedele, con la sua preghiera, dinanzi alla divinità; essa non è perciò concepibile come a sé stante, perché implica sempre un rapporto con il tempio in cui è posta. Mentre la statua egiziana, deposta nella tomba e destinata a non essere vista, ha in se stessa la propria giustificazione, in quanto è in essa l'essenza vitale del defunto, la statua s., quasi altrettanto invisibile nei recessi del tempio, ha la sua giustificazione fuori di sé. Sul piano formale si spiega così l'accentuazione espressionistica dello sguardo e la costante iconografica delle mani giunte al petto.

Le più antiche sculture compaiono nel periodo predinastico. Queste si staccano nettamente dalla precedente produzione di statuette in terracotta, raffiguranti per lo più nudi femminili con finalità magiche e religiose. Le statue più antiche provengono da Uruk, che anche con ciò conferma la sua fondamentale importanza nel periodo protostorico. Se rimane incerta la posizione cronologica di un gruppo di statuette raffiguranti personaggi nudi (stratigraficamente sembrano appartenere al periodo di Gemdet Naṣr, mentre dal punto di vista tipologico e iconografico si presentano come l'immediato antecedente delle opere del periodo di Uruk), al periodo di Uruk VI-IV appartengono opere di primissimo ordine, che presuppongono un lungo tirocinio formale e per le quali si può forse suggerire un contatto con l'Egitto predinastico, come mostrerebbe il confronto con una statuetta di sovrano dell'Ashmolean Museum di Oxford. Opere quali la Dama di Warka (vol. iv, fig. 1241), il busto maschile rinvenuto pochi anni or sono, il vaso decorato con rilievi di carattere rituale (vol. iv, fig. 1240), la Stele della caccia con la figura ripetuta dei sovrano in atto di uccidere leoni, rivelano una piena maturità stilistica, caratterizzata da uno spiccato senso plastico (che ritroviamo anche nella glittica); il repertorio iconografico mostra la vita religiosa di una tranquilla comunità agricolo-pastorale.

Come nell'architettura, anche nella scultura il tardo predinastico (o periodo di Gemdet Naṣr) si presenta con i segni di una crisi: non si fanno più statue mentre si afferma una tipologia caratteristica di questo periodo, il vaso decorato con figure ad altorilievo (vol. iii, fig. 1115). Anche il repertorio iconografico muta: le lotte dell'eroe (v. gilgamesh) e dell' uomo-toro (v. enkidu) contro bestie feroci prendono il posto delle scene rituali.

L'arte del protodinastico è la continuatrice di quella del precedente periodo di Gemdet Naṣr; per qualche tempo (periodo di transizione secondo la terminologia di P. Amiet) non si hanno ancora sculture, ma poi queste ricompaiono numerose, almeno in alcuni centri: Eshnunns, Khafāgiah, Tell Agrab, Nippur. In queste città tipologia e iconografia sono uniformi, solo sul piano stilistico si può cogliere una certa differenziazione tra i diversi centri (vol. iv, figg. 1243-46). Nel secondo periodo protodinastico (detto anche di Ur-Fara) abbiamo opere da nuovi centri, mentre quelli della Diyala vengono meno a poco a poco: Ur; Lagash, Assur, Mari sono le città che hanno restituito il maggior numero di sculture di questo periodo (v. i singoli esponenti; inoltre vol. iv, figg. 1253, 1255, 1260). La sensibilità stilistica cambia ancora una volta: prevale il senso del volume e specialmente della massa, con figure pesanti e talvolta tozze (specialmente a Lagash); a Mari invece, dove erano sensibili le influenze della Siria, si ha una maggiore vivacità. È interessante rilevare che una statua da Uruk rivela una inorbidezza di modellato quasi eccessiva, che fa supporre una continuità di tradizione dal periodo predinastico.

Accanto alla statuaria compare nel protodinastico anche una ricca produzione di rilievi, per lo più in terracotta; si tratta inizialmente di lastre quadrangolari, di incerta destinazione, raffiguranti quasi sempre scene di banchetto rituale. Le figure sono disposte su più file e appaiono estremamente grossolane. Da tali presupposti sorse tuttavia, nell'ultimo periodo protodinastico, una scultura in rilievo di ben altro respiro, che trova la sua massima espressione nella stele di Eannatum (vol. iv, figg. 1251 e 1252). Se questa stele frammentaria è praticamente l'unico esempio pervenutoci di questo genere artistico, la sua importanza è tuttavia enorme; più che i pregi stilistici, del resto non indifferenti, è la tematica di quest'opera che rivela la profonda trasformazione subita dalla società sumerica. Con la rappresentazione di una scena di battaglia e di una scena di vittoria essa ci mostra come l'arte s. fosse giunta in quel periodo (che vide il tentativo, fallito, di Lugalzaggesi per creare l'impero universale) a rappresentare un avvenimento storico in forma narrativa. Le vette raggiunte, qualche generazione dopo, dall'arte accadica, sarebbero incomprensibili, senza opere come la stele di Eannatum.

Il crollo violento dell'impero accadico sotto i colpi dei barbari Gutei (che sembrano aver risparmiato il paese di Sumer vero e proprio) provocò nelle arti figurative, con la ripresa politica s., uno strano fenomeno di ritorno all'antico, con l'improvviso abbandono di tutta la tematica artistica che aveva accompagnato il periodo dell'impero: ritornano le statue dei fedeli nei templi, ritornano i rilievi di carattere rituale ai posto di quelli storici. Le statue di Gudea (v.) di Lagash (vol. iv, fig. 1259) e di suo figlio Ur-Ningirsu (vol. iv, fig. 630) e le numerose teste maschili neo-sumeriche (vol. iv, fig. 1261) rivelano un'abilità tecnica quale non si era mai riscontrata in Mesopotamia, ed una sensibilità ai volumi compatti sfiorati dalla luce che presuppone l'esperienza dei periodo accadico (si pensi alla statua di Manishtusu e a quella acefala da Assur). In ambiente periferico, accanto ad una certa pesantezza, che del resto non manca nemmeno in alcune delle statue di Gudea e che costituisce l'aspetto esteriore di una pretesa di monumentalità (statua femminile acefala, seduta, da Susa - ma proveniente da Esimunna - e statua di Ishtup-Ilum da Mari) si riscontra a volte un gusto ornamentale quasi calligrafico, come in alcune statue da Mari (Idu-Ilum, Puzur-Ishtar) nelle quali sotto la superficie ben lavorata non si ritrova certo l'intensa spiritualità di alcune delle immagini di Gudea. Anche nel rilievo (stele di Ur-Nammu e di Gudea, entrambe frammentarie) vi è una raffinata sensibilità che si manifesta nel rilievo basso ed elegante, nella composizione simmetrica, nel sapiente dosaggio dei vuoti e dei pieni; ma è una sensibilità accademica, priva di ogni vigore.

4. Arti minori. - Tra le arti minori la posizione più importante spetta indubbiamente alla glittica, che con l'abbondanza della documentazione supplisce non di rado alla mancanza di opere delle arti maggiori; ciò vale in particolar modo per il repertorio figurativo. Accogliendo, e magari talvolta sviluppando per proprio conto, una tematica che doveva essere assai diffusa, la glittica riecheggia fedelmente tutte le tendenze stilistiche dell'arte s. che abbiamo visto finora nell'architettura e nella scultura. Ritroviamo così, sui sigilli di Uruk del periodo predinastico (vol. iv, fig. 1242), la varietà e la vivacità delle scene, rituali o profane, il gusto per la composizione libera, il modellato ampio; la crisi del periodo di Gemdet Naṣr appare nei sigilli nella lavorazione sommaria, nell'uso del trapano, nella accentuata schematizzazione delle figure, nella scomparsa delle scene di vita reale. All'inizio del protodinastico compare lo stile detto "broccato", che rappresenta il nuovo linguaggio stilistico creato con le caratteristiche diciamo "negative" del periodo precedente. In seguito, contemporaneamente al formarsi del più maturo linguaggio protodinastico, anche la glittica raggiunge un grado di maggiore maturità: la tematica, già ridotta a figure stilizzate di animali o a decorazione geometrica, si arricchisce con scene religiose e specialmente mitologiche; le figure acquistano una nuova plasticità, che raggiungerà la massima espressione alle soglie dell'età accadica. In questo stesso periodo le tombe reali di Ur ci danno la possibilità di conoscere l'alto grado di perfezione tecnica e formale raggiunto dalle altre produzioni artigianali: l'oreficeria, la metallotecuica (vol. v, fig. 885), l'incrostazione (vol. iv, fig. 1249, 1250) partecipano, con la fantasia della decorazione e la maestria della lavorazione, del vigore creativo che caratterizza questo periodo dell'arte sumerica. Dopo l'apogeo del periodo accadico, anche la glittica cambia linguaggio nel periodo neo-sumerico: scompaiono improvvisamente le scene mitologiche, la simmetria della composizione delle scene, le figure vigorose; temi preferiti sono ora la figura del fedele, solo o dinanzi alla divinità, la scena di presentazione del fedele ad una divinità da parte di un dio minore, personale; la figura umana conserva tuttavia ancora una valida impostazione stilistica, con la sua schematica verticalità che si compone abilmente con le fitte colonne di scrittura che caratterizzano la glittica di questa ultima fase.

Bibl.: Si dà qui solo una bibliografia sommaria, a complemento di quella data sotto la voce mesopotamica, arte. A. Moortgat, Frühe Bildkunst in Sumer, Lipsia 1935; A. I. Tiumenev, Gosudarstvennoe khoziastvo drevnego Shumeva (L'economia statale dell'antica Sumeria), Mosca-Leningrado 1956; E. Heinrich, Bauwerke in der altsumerischen Bildkunst, Wiesbaden 1957; J. A. H. Potratz, Die menschliche Rundskulptur in der sumerisch-akkadischen Kunst, Istanbul 1960; E. Strommenger, Menschenbild in der altmesopotamischen Rundplastik von Mesilim bis Hammurapi, in Baghdader Mitteilungen, I, 1960, pp. 1-103; P. Amiet, La glyptique mésopotamienne archaïque, Parigi 1962; G. Garbini, Le origini della statuaria sumerica, Roma 1962; E. Strommenger-M. Hirmer, Fünf Jahrtausende Mesopotamien, Monaco 1962; A. Moortgat, in Enc. Univ. dell'Arte, IX, Roma-Venezia 1963, coll. 138-193, s. v. Mesopotamia.