di Renato Barilli
Arte
sommario: 1. Il significato del Sessantotto. 2. Il minimalismo e le sue articolazioni. 3. La body art. 4. Trasversalità dell'
1. Il significato del Sessantotto
Non si può parlare dell'arte degli ultimi anni del secolo scorso senza partire da quel clima particolare creato dal Sessantotto che impose una svolta all'intera ricerca artistica della seconda metà del Novecento. Oggi, forse, data la distanza che ci separa da quegli eventi, siamo in grado di leggerli con maggiore chiarezza di quanto non fosse possibile nel momento in cui venivano vissuti. Fu il momento in cui l'Occidente, allora pienamente dominante, si rese conto che la società fondata sull'industrialismo - e sui connessi corollari del produttivismo e dell'invasione delle merci - era ormai entrata in una crisi profonda. L'umanità si era circondata di troppi oggetti, di troppi utensili, talvolta superflui, che rischiavano di soffocare le ragioni profonde della stessa condizione umana. Troppe automobili, frigoriferi, telefoni, e anche troppa 'informazione', veicolata dalle reti ufficiali della televisione, cui bisognava aggiungere l'indotto della pubblicità. Una pesante sfera iconica di immagini prefabbricate circondava la nostra esistenza, come del resto i due principali movimenti dei primi anni sessanta, la pop art e la op (optical) art, sebbene da posizioni diverse, avevano ben compreso. Ma stava ormai divenendo adulta una tecnologia alternativa, fondata sulle varie applicazioni dell'elettromagnetismo e soprattutto sul suo impiego nell'elettronica (termine di cui ben presto si sarebbe fatto uso continuo, a proposito e a sproposito), la quale, facendo ricorso a correnti elettriche di bassa intensità, consentiva di diffondere velocemente le informazioni e rendeva possibili i vari processi di automazione. Stava insomma per fare il suo esordio l'informatica, e con essa era chiamata a fare un passo indietro l'industria pesante: l'oggetto fatto in serie, pesantemente materiale, veniva sostituito dalla circolazione immateriale di messaggi impalpabili, affidati all'etere o al cavo. L'uomo non contava più per quello che 'aveva', ossia per il possesso di oggetti materiali, in aggiunta alla propria dotazione organica, ma al contrario per un incremento del suo 'essere', in quanto la rivoluzione elettronica sembrava rendere più rapidi e penetranti i suoi sensi, in stretto connubio con i poteri del suo intelletto. Il risultato era più conoscenza, più capacità percettiva o 'estetica' (dal radicale greco aisth, che implica la nozione di un avido percepire a sensi dilatati e strettamente collegati tra loro, in un processo di 'sinestesia'). Stavano per nascere talune etichette in cui il passaggio suddetto avrebbe trovato un'eloquente espressione attraverso una pletora di 'post': la società industriale si mutava in 'postindustriale', i miti della modernità a ogni costo si mutavano nel postmoderno, più conciliante verso le memorie della tradizione e del passato.
Tutto ciò propiziato da due grandi pensatori: il canadese Marshall McLuhan, che con qualche anticipo sul Sessantotto, nel volume La galassia Gutenberg, del 1962, aveva brillantemente additato pregi e difetti dell'introduzione, nel 1450, della tipografia, vista come prototipo delle macchine in grado di produrre oggetti in 'gran numero', con relativo abbattimento dei costi. Nel successivo Understanding media l'autore canadese aveva posto al centro delle esperienze di quegli anni la diffusione dei messaggi che, grazie alle onde elettromagnetiche, viaggiano alla velocità della luce, cioè a 300.000 km al secondo, come avevano teorizzato gli scienziati a cavallo tra Otto e Novecento. L'altro dei due grandi pensatori,
2. Il minimalismo e le sue articolazioni
L'arte, come in genere tutta l'attività progettuale e di ricerca dell'uomo, gioca sempre d'anticipo. Così avvenne anche per le svolte epocali determinate dal Sessantotto: prima ancora che queste trovassero espressione a livello politico-ideologico, gli artisti ne intuirono l'arrivo e cominciarono a preparare il terreno. Infatti, le tendenze artistiche in genere collegate al 'sessantottismo' si annunciano alcuni anni prima, e il luogo in cui risulta più facile coglierle sono senza dubbio gli Stati Uniti, che costituivano allora l'epicentro delle grandi trasformazioni in atto.
Il primo movimento da cui questa ricognizione può prendere le mosse è il cosiddetto 'minimalismo', già sperimentato nel 1966 da
Del resto al capofila del minimalismo, Bob Morris, non sfuggiva la contraddizione insita nel fatto che le sue proposte stilistiche, che occupavano una vasta porzione di spazio, erano mezzi rigidi e pesanti coi quali intendeva sollecitare la nostra 'estetica', la nostra attività sensoriale: perché non affidare invece una simile stimolazione a forme e a materiali più soffici? Ci sono due termini inglesi, hard (il rigido) e soft (il soffice), che caratterizzano alla perfezione queste opposizioni morfologiche: col primo si connota tutto ciò che viene affidato a materiali duri, per lo più di natura metallica; il secondo designa invece ciò che ha una consistenza più morbida, come per esempio le
Il minimalismo è stato importante perché ha costituito la premessa per due sviluppi apparentemente di segno contrario, ma in realtà collegati da una stretta affinità logica, tanto è vero che in genere chi ha seguito l'uno di tali sviluppi non ha mancato di risultare interessato anche all'altro. Si è già detto che ciò che costituisce la nota più specifica del minimalismo non sta certo nell'aspetto formale dei corpi usati, che obbediva a un geometrismo 'moderno' ormai superato dai tempi, bensì nell'intento di occupare una porzione di spazio sempre più ampia. Da qui le premesse per il fenomeno della land art, dove le costruzioni artistiche vanno a occupare vasti tratti di spazio, anzi, di ambiente, inteso non più come spazio neutro, bensì nel suo senso originario di ciò che si pone attorno all'essere vivente, ciò che ci circonda. Alcuni seguaci del minimalismo statunitense, invece di affidare la realizzazione delle 'strutture primarie' ai metalli, preferirono crearle intervenendo direttamente sulla superficie terrestre, agendo, beninteso, in luoghi semideserti dove ciò fosse possibile senza recare danni a colture o a insediamenti.
È pure degno di nota che tutti questi land-artisti sapessero bene di compiere un lavoro precario, che non avrebbe retto all'erosione degli agenti atmosferici (vento, piogge, movimenti delle acque) e anzi, essendo tutti convinti ecologisti, in qualche
Tocchiamo così un altro degli sconcertanti capovolgimenti riconducibili a quel clima, oltre al già visto passaggio dallo hard al soft: la pesante, voluminosa materialità di quelle opere si mutava nel suo contrario, in documentazione smaterializzata, affidata a quasi impalpabili tracce 'mentali', secondo un imperativo che trovò espressione nel motto "live in your head" (vivi nella tua mente), il che del resto rappresentava una conferma dell'imperativo sessantottesco "l'immaginazione al potere". In tal modo il minimalismo e la land art, forme d'arte di inusitata grandezza, paragonabile a quella delle piramidi nell'antico Egitto, si riversavano nella cosiddetta '
Un altro modo per smaterializzare, e dunque concettualizzare l'opera, fu quello adottato da Douglas Huebler, il quale suggeriva dei percorsi degni della land art, ma invece di collocare dei segnali tangibili per indicarne i punti cruciali, scattava delle foto che accompagnava con accurate descrizioni linguistiche. Insomma, oltre ai tracciati grafici e ai pigmenti cromatici, propri di secoli di tradizione artistica, venivano ampliati senza limiti gli strumenti per fare riferimento alla realtà: entrava in gara il mezzo in apparenza non artistico della fotografia e, accanto a esso, quello, opposto alle immagini, delle astratte sequenze linguistiche, che i tradizionali criteri assegnavano in retaggio ai letterati. Chi toccò il vertice più alto in questa cancellazione di secolari confini tra arte e arte fu senza dubbio
3. La body art
La body art rappresenta un nuovo e improvviso capovolgimento, questa volta dal mentale, dal concettuale, alle manifestazioni più dirette e scoperte di una corporalità ostentata. L'arte concettuale poteva fornire un varco in direzione di un suo apparente contrario, la body art, in cui gli artisti, o persone da loro incaricate, agivano concretamente col proprio apparato corporeo, respingendo la mediazione degli interventi grafici. E dunque anche per questo verso si assisteva a una mutazione di genere: dall'ambito delle arti visive si passava infatti a quello delle arti della performance, secondo la definizione cara al mondo inglese, che con questo termine designa le attività dello spettacolo - musica, teatro, recitazione - attinenti al tempo piuttosto che allo spazio. Il termine performance era pertanto destinato ad assumere un risalto particolare e a conoscere una insolita fortuna anche presso altre lingue e culture. La sua origine pare risalire a forme arcaiche delle nostre
Certamente gli Stati Uniti ebbero, nel lancio di questa affascinante mappa di nuove forme, un ruolo primario, ma anche l'
4. Trasversalità dell'arte povera
La caratteristica prevalente della vecchia Europa fu di praticare a un tempo queste varie modalità, intrecciandole tra loro, piuttosto che limitarsi a coltivarle separatamente. Nel mondo tedesco comparve così il temperamento travolgente di
Ma
Il decano dei 'poveristi' è il torinese
Tutti questi 'poveristi' erano torinesi, tranne il bolognese Calzolari, ma a questi si deve aggiungere una diramazione romana, capeggiata dall'artista di origine greca
5. Il 'richiamo all'ordine' in Italia
Presentando la pattuglia dei seguaci torinesi dell'arte povera non si è menzionato il caso di
Un altro protagonista dell'esperienza torinese,
Il numero uno del poverismo romano, Kounellis, oltre a proporre in modo ardito e provocatorio animali vivi, montò delle installazioni in cui la presenza animale consisteva in un corvo impagliato, degno della celebre lirica di
Del resto, volgendo lo sguardo indietro nella storia delle avanguardie, si scopre che un fenomeno simile era già accaduto qualche decennio prima, nel bel mezzo della nostra avanguardia più ruggente, quando, dopo il 1916, i futuristi, con Carrà alla testa (non Boccioni, deceduto proprio in quell'anno), si erano sentiti attratti da un remoto passato e avevano ritrovato le forme solenni dell'età romanica. Accanto a loro c'era chi, come De Chirico, aveva sempre stigmatizzato la pretesa di ricercare il nuovo a ogni costo, ovvero di essere 'originali', sostenendo al contrario la necessità di essere 'originari', di rintracciare i motivi delle origini. In tutta la sua attività posteriore agli anni dieci De Chirico non si era mai spogliato di questa ansia di ritrovare il passato 'originario' e di procedere a una sistematica rivisitazione delle stanze del museo. Fortunatamente, nella stagione d'oro della metafisica, aveva rivolto i suoi sguardi alle soluzioni 'antiche' della classicità greco-romana o del Quattrocento più monumentale; e in seguito non aveva trascurato di frequentare le stanze che esibivano un naturalismo rutilante e sfacciato, come il Seicento barocco e l'Ottocento naturalista, rilanciando soluzioni decisamente antimoderne e palesemente di 'cattivo gusto'. Ed è noto che il 'cattivo gusto', quando viene sollecitato con gli strumenti dell'industria culturale, evocato con l'aiuto della carta patinata e dei rotocalchi, prende il nome di Kitsch. Evidentemente 'questo' De Chirico, che impudicamente adottava un pittoricismo sfacciato, intendeva proprio citare soluzioni d'altri tempi, ben sapendo che lo si poteva fare solo ponendosi con ironia a una certa distanza.
Ma allora, se il punto di riferimento era divenuto un De Chirico che non si peritava di rilanciare un cromatismo intriso di 'cattivo gusto', di colori degni di un cartone animato di
Su questa strada gli fu subito accanto
Un altro artista attivo a
Attorno agli esempi di Salvo e di Ontani si raggrupparono altre presenze: a Milano Aldo Spoldi, Antonio
E tuttavia, quando questi vari movimenti si consolidarono uscendo allo scoperto, alla fine del decennio preparatorio degli anni settanta, la linea di avanzata che colse il maggior successo fu il raggruppamento che il critico
6. Il 'ritorno all'ordine' in Germania e negli Stati Uniti
Alle soglie degli anni ottanta i transavanguardisti colsero un grande successo, anche perché entrarono in sintonia con quanto stava accadendo in Germania, dove un gruppo di artisti un po' più anziani di loro stava procedendo nell'inversione del pendolo in modi ancor più accentuati e parossistici di quanto non avvenisse nel nostro paese. Da noi non si amano le soluzioni estreme, brutali: non per nulla i padrini di questo fronte postmoderno - si tratti dei 'nuovi-nuovi' o degli 'anacronisti' - sono stati ravvisati nei metafisici De Chirico e Carrà, cui si potrebbero aggiungere campioni del novecentismo come
Non a caso, in questa presentazione dei protagonisti della fase implosiva avutasi tra il 1975 e il 1985, abbiamo sovvertito l'ordine seguito per illustrare la situazione del Sessantotto e dintorni: là era stato doveroso partire dai fatti stringenti e decisivi accaduti principalmente negli Stati Uniti, anche se certo non privi di pronti corrispettivi anche presso di noi; passando però all'effetto di rinculo, di ritorno al passato, è il Vecchio Continente europeo, e in particolare il nostro paese, a pronunciare la parola decisiva. In fondo, ciò era avvenuto anche ai tempi della metafisica o in genere del 'richiamo all'ordine'. Ma, seppure con parti rovesciate, anche gli Stati Uniti non si sottrassero al copione comune di quegli anni, almeno all'interno del fronte occidentale; e dunque anche là, nel corso degli anni settanta, troviamo episodi di nuovo e voluto imbarbarimento. Un protagonista come David Salle, che sembra ligio, in prevalenza, alle immagini di riporto fotografico, le intercala però con pezzi di buona pittura, creando così un contrastato mosaico di forme redatte secondo codici diversi. Julian Schnabel dipinge con furore, usando il colore denso e corposo anche come un collante per fissare sulla tela dei pittoreschi cocci di piatti, simili alle tessere di un mosaico; Robert Longo rende omaggio al monumentalismo dei nostri scultori 'impegnati' tra le due guerre, e così via. Non manca di svilupparsi, sempre negli Stati Uniti, una robusta situazione corrispondente alle ricerche aniconiche che da noi costellano le operazioni dei 'nuovi-nuovi' e della transavanguardia, a proposito della quale la lingua inglese dispone di una espressione precisa e calzante: pattern painting, pittura fondata su un pattern, su un motivo grafico-ornamentale ripetuto ossessivamente fino a riempire l'intero spazio del dipinto. Vi si distinguono Bob Kushner, Kim McConnel, Ned Smyth e altri.
A cavallo tra gli anni settanta e ottanta la scena newyorkese vede lo sviluppo di un movimento molto importante che non si sa se far rientrare in questo clima di recupero dei valori tradizionali, o se invece porlo all'inizio di una nuova fase 'esplosiva', di esuberante aggressione nei confronti dell'ambiente. Si tratta della graffiti art, che ha anche un legame col già visto pattern painting. Ma se i patterns proposti dai cultori di questo movimento sono eleganti, e non mancano di fare i conti con le stagioni storiche del decorativismo occidentale, i loro più giovani seguaci si ispirano a un fenomeno di assoluta ed esasperata attualità, cioè al graffitismo selvaggio che gli strati diseredati della popolazione newyorkese - i giovani immigrati da paesi del
7. Le nuove avanguardie
Se un movimento come il graffitismo era ambiguo e trasversale, non ci sono dubbi che quando si giunge alla metà degli anni ottanta la situazione è pronta per un radicale mutamento di segno: si è ormai stanchi del culto nostalgico del passato, la ricerca vuole puntare di nuovo baldanzosamente in avanti, accreditando di colpo la grande ondata sperimentale del Sessantotto e dintorni. Ciò potrebbe far nascere l'impressione di un troppo statico e prevedibile movimento altalenante negli stili. In realtà, non si rilancia mai tale e quale una situazione già attraversata; in fondo, la metafora giusta è quella delle acque del fiume in cui non ci si bagna mai due volte. Forse si potrebbe, in proposito, utilizzare il classico schema hegeliano e considerare l'ondata innovativa delle forme sessantottesche come una tesi, cui si oppone l'antitesi del ritorno all'ordine, da cui scaturisce il terzo momento, quello della sintesi, in cui entrambe le posizioni si contemperano tra loro. Una mostra tenutasi a
Poiché l'attenzione era tornata a tecniche dure e aggressive, risultò quasi inevitabile anche il risorgere di un primato degli ambienti artistici statunitensi; peraltro l'Europa non si chiamò fuori, e anzi contribuì a questo rilancio del 'freddo'. Così, Halley non stentò certo a trovare dei perfetti corrispondenti, per esempio, nello svizzero John Armleder o nel tedesco Günther Förg, anch'essi rivolti a impaginare rigorose composizioni alternando le stesure di colore all'inserimento di oggetti. Si ebbe insomma un neo-minimalismo, d'altronde non così austero come quello di vent'anni prima, ma che anzi cercava di conciliarsi con tracce di colore, purché anch'esso sapesse farsi freddo. Esempi notevoli in tal senso vengono dall'Inghilterra e dalla sua tradizione così efficace nel campo della scultura; infatti, in quegli anni si imposero all'attenzione i rotoli o, in alternativa, gli scavi dell'anglo-indiano
Anche l'Italia partecipa a questo riaffacciarsi del minimalismo, seppur avvolto da un palpito di affettività. A Milano emerge Stefano Arienti, le cui proposte minimali sono affidate a un leggero e domestico cartone - pronto del resto a venir dentellato, ad aprirsi in profili sforbiciati - oppure a morbide lastre di polistirolo. Accanto a lui, Umberto Cavenago concepisce balocchi giganteschi in lamiera metallica. A Roma si incontrano le forme austere di Nunzio e di Andrea Fogli, che tuttavia non tardano a subire un processo di sensibilizzazione: Nunzio, per esempio, le cosparge di grafite, mentre Fogli le indora, caricandole di atmosfera emotiva. Al nord troviamo un gruppo di artisti che costeggiano il neo-pop di Koons, assumendo la bandiera di un neo-futurismo che, come già quel nostro movimento storico in versione tarda, si compiace soprattutto di giocherellare con le marche pubblicitarie, con i simboli del consumismo, rifacendoli in materiale plastico, adottando anche in questo caso colorismi sfacciati e aggressivi (Gianantonio Abate,
8. Il polo della smaterializzazione elettronica
La ripetizione di schemi storicamente collaudati rilancia anche il progressivo spostamento da un polo del duro e del freddo verso soluzioni più soffici e disponibili. Si ripropone, cioè, il passaggio da un clima di formalismo a uno di anti-form, e così la presenza dura e massiccia di oggetti 'minimali' non regge a lungo, presto sostituita dal ricorso alle possibilità più elastiche della triade foto-video-espressioni linguistiche: ma purché si confermi l'effetto di sintesi, cioè l'intervento di un coefficiente di creatività personalizzata.
Tornando negli Stati Uniti, vi domina l'opera fotografica di
9. Il successo delle donne artiste e della globalizzazione
E tuttavia, se è stato doveroso ricordare questi due acclamati protagonisti al maschile delle ultime sperimentazioni, non si può tacere il fenomeno dell'irresistibile avanzata delle donne, che sul fronte della ricerca diventano sempre più numerose e sono ormai sul punto di controbilanciare le presenze maschili. Se continuiamo a dipanare il filo della continuità rispetto al Sessantotto, non si può tacere che sono proprio due donne a raccogliere e sviluppare in pieno la linea, nata allora, della body art e della performance: la francese Orlan (che ha volutamente cancellato il suo nome di battesimo), la quale effettua sul proprio corpo, attraverso operazioni di
Tuttavia, la presenza ormai consolidata delle donne artiste trova forte conferma nel successo che arride a due di loro, oltretutto di estrazione extra-occidentale, col che risulta pure confermato un fatto ormai epocale: l'esercizio dell'arte non è più confinato prevalentemente al mondo occidentale, americano e/o europeo, come invece, in termini percentuali nettissimi, era stato in passato. Il Sessantotto, teorizzando la 'morte dell'arte' e l'adozione massiccia di strumenti non legati in modo particolare alle nostre tradizioni, come la foto, l'oggetto, l'enunciato verbale, ha indubbiamente facilitato il fenomeno di globalizzazione planetaria di cui oggi tanto si parla, in ogni ambito di attività culturale. Non per nulla i casi artistici che oggi, se si conducesse un referendum tra i competenti, otterrebbero il maggior numero di suffragi sono rappresentati da una iraniana, anche se di educazione californiana,
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