ARTIGLIERIA

Enciclopedia Italiana (1929)

ARTIGLIERIA (fr. artillerie; sp. artilleria; ted. Artillerie; ingl. artillery)

Mariano BORGATTI
Enrico MALTESE
Attilio LAZZARINI
Mario BERTI
Francesco FOSCHINI
Pietro BERTAGNA

Nome collettivo dato in principio a ogni macchina da gitto e ad ogni congegno da guerra usato prima dell'invenzione della polvere, e, in seguito, alle bocche da fuoco di maggior calibro. Nei documenti in latino medievale si trovano spesso le voci artelaria, arteleria, artelera ed altre della stessa forma, con qualche differenza solo nell'ortografia. Il nome deriva dal fr. artillerie, e questo, a sua volta, dal fr. ant. atilier "disporre", incrociato con art.

Sommario: Le artiglierie terrestri (pag. 705). - Storia: fino alla scoperta della polvere (pag. 705); dalla scoperta della polvere all'introduzione della rigatura (pag. 705); dall'introduzione della rigatura in poi (pag. 709). - Le bocche da fuoco d'artiglieria (pag. 711). - Il tiro delle artiglierie terrestri (pag. 716). - Le vicende organiche dell'artiglieria italiana (pag. 720). - Il servizio logistico d'artiglieria (pag. 724). - Le artiglierie navali (pag. 724). - Il tiro delle artiglierie navali (pag. 735).

Le artiglierie terrestri.

Storia. - Fino alla scoperta della polvere. - Tito Livio scrive che fin dall'anno 386 a. C., Camillo dichiarò non esser possibile l'assedio di Anzio se non si disponesse di molte artiglierie. Nel 214 a. C., Marcello si portò ad assediare Siracusa con macchine potenti, mentre in quella fortezza stava Archimede, grande inventore di artiglierie (mirabilior tamen inventor ac machinator bellicorum tormentorum); e nell'anno 205 Scipione andò in Sicilia per raccogliere e farsi allestire un "parco d'assedio" per la spedizione d'Africa. Si parla d'artiglierie all'assedio di Capua (211 a. C.), a quello di Taranto (209 a. C.), a quello di Orci nell'isola Euborea (207 a. C.). Nell'anno 169 a. C., nella guerra contro Perseo, una squadra romana si presentò davanti a Tessalonica (Salonicco) e, sbarcate truppe, la cinse d'assedio da terra e da mare. Narra ancora Tito Livio che i difensori avevano sulle mura ogni sorta di artiglierie (dispositis omnis generis tormentis), con le quali tanto molestavano gli assedianti e gli equipaggi delle navi, che i Romani dovettero rimbarcarsi e toglier l'assedio. L'anno seguente, mentre Perseo era in armi sulla riva sinistra dell'Enipeo, il console Lucio Emilio Paolo, molto preoccupato della resistenza del campo avversario, per posizione e per abbondanza di artiglierie, decise di attaccarlo di notte, improvvisamente, pensando che nell'oscurità le macchine da gitto avrebbero avuto poco effetto.

Ma chi fece un largo uso di macchine militari o di artiglierie, così in guerra di posizione come in campo, e ne scrisse, fu Giulio Cesare; nei suoi Commentarii si possono avere indicazioni, non solo sulle armi dei Romani, ma anche su quelle degli avversarî. Artiglierie potenti e numerose portò Cesare a Corfinio e a Brindisi; contro questa città impiegò navi con torri a tre piani con sopra ogni sorta di artiglieria (multis tormentis). Caio Trebonio, legato di Cesare, assediò Marsiglia; e i Marsigliesi si difendevano con "baliste che lanciavano freccioni (assares) lunghi dodici piedi (tre metri e mezzo) e che attraversavano fino a quattro ordini di graticci, e con grosse pietre....". Trebonio, per riparare da questi tiri le torri d'assalto fece sospendere intorno ad esse delle stuoie intessute con grosse corde. Cesare, nella campagna in Gallia dell'anno 57 a. C., preparò un campo di battaglia facendo costruire alle ale alcune opere campali, entro le quali pose artiglierie perché il nemico non potesse avviluppare l'ordinanza romana. Lo stesso Cesare, pure in Gallia, durante la campagna dell'anno 51, schierò le truppe dinanzi a una linea di colline sulle quali collocò le artiglierie perché "coi loro colpi aprissero il passaggio alle proprie truppe". Al tempo di Vegezio ogni centuria aveva una balista trainata da muli o da cavalli, ed ogni coorte un onagro trainato da bovi: quindi 65 macchine per ogni legione, ossia da 10 a 11 per ogni 1000 combattenti: proporzione altissima. Ogni macchina era servita (sempre secondo Vegezio) da 11 artiglieri (libratores, o tragularii, o balistrarii).

Non sembra che l'artiglieria sia stata usata dai barbari del nord e dell'occidente d'Europa, poiché la forza di quei popoli era più nel valore degl'individui e nel potere delle masse, che nella perfezione delle armi. È però certo che le macchine da lancio o da trarre rimasero in uso in Oriente e dall'Oriente ritornarono a noi. Così per tutto il sec. XIV ed anche per parte del XV, si trovano artiglierie antiche o meccaniche e bocche da fuoco promiscuamente usate e talora anche in contrasto tra loro.

Dalla scoperta della polvere all'introduzione della rigatura. - Per quanto riguarda le artiglierie da fuoco la loro storia è connessa con quella delle armi da fuoco. Nei primi tempi queste artiglierie erano di ferro battuto o di ferro colato (che era una specie di ghisa) ed erano costituite da un tubo unico, chiuso a un'estremità; più tardi furono fatte anche di un tubo composto di sbarre o di doghe di ferro riunite da cerchiature attorno ad un sottile tubo centrale ("anima"). Furono alternativamente ad avancarica e retrocarica (v. bombarda) a seconda dei progressi del materiale e specialmente dei congegni di chiusura.

Nella seconda metà del sec. decimoquinto le artiglierie fecero notevoli progressi, sia nella costruzione intrinseca sia negli elementi costitutivi. Si cominciò a usare il bronzo (che si disse "metallo" in genere, cosicché un'artiglieria di bronzo era spesso detta artiglieria di metallo dagli scrittori di quel tempo, per distinguerla da quelle di ferro); il metallo permise fusioni facili e comode anche per piccoli pezzi. Si perfezionò e migliorò anche la tecnica per la costruzione delle bocche da fuoco di ferro battuto e di ferro colato, così che dai maestri bombardieri fu abbandonata quasi completamente la fabbricazione a doghe, che dava artiglierie molto pesanti e non sufficientemente robuste in corrispondenza del peso.

Ma le due più importanti innovazioni consistettero nell'avere riunito all'arma il dispositivo per tenere aderente nel tiro il cannone alla tromba, dispositivo che nella prima metà del '400 era dato dalla parte posteriore rialzata dell'affusto (v. affusto); e nell'aver munito bombarde, cannoni, ecc. di orecchioni, come si dirà più avanti. I primi cannoni corti ad avancarica fissati su affusti a ruote o a rotelle furono una transizione fra le artiglierie impostate sugli immobili affusti a ceppo del sec. XV e le artiglierie con orecchioni, affusti e sottaffusti pure mobili, che si diffusero nel sec. XVI. Intanto, per il fatto della mobilità dell'affusto, il pezzo si poté fare ad avancarica, poiché rimaneva agevole tirarlo "fuori di batteria" per la carica. Il cannone era però ancora assicurato alla culla dell'affusto per mezzo di robuste fasce di ferro, ed era mantenuto fermo nel senso orizzontale, contro gli effetti dello sparo, da un robusto gattellone chiodato alla parte posteriore della culla. L'affusto ebbe rotelle basse e piene, e appoggiava in terra con una coda simile a quella delle artiglierie moderne.

Artiglierie così affustate furono diffuse alla fine del '400 e al principio del '500 nelle difese delle piazze forti e sulle navi, ed erano portate, occorrendo, negli assedî, davanti alle fortificazioni e in campagna. Per questi due impieghi, che richiedevano una grande mobilità, le artiglierie più pesanti si caricavano con i loro affusti su carri speciali (carri-matti) e, giunte sul luogo, si calavano dai carri di trasporto e s'impostavano per il tiro, come le artiglierie moderne, su apposite piattaforme (paiuoli). Per la guerra campale, che esigeva maggior rapidità di manovra, si adoperavano talora affusti-carri, o affusti con ruote da strada, più leggieri di quelli precedentemente accennati.

È possibile dedurre tutto ciò non solo da quanto lasciarono disegnato valenti artisti dei primi anni del '500, come il Ghiberti e Leonardo da Vinci, ma anche da quanto scrissero cronisti di quel tempo, tra i quali basta citare il Sanuto, che nei Commentarî della guerra di Ferrara del 1482-1484 fa conoscere chiaramente che tanto per parte del duca Ercole d'Este e dei suoi alleati (Lombardi, Piemontesi, Fiorentini, Napolitani), come per parte dei Veneziani, s'impiegarono artiglierie da campo leggiere, "anche al seguito di truppe a cavallo" e si usò pure il passavolante, vero tipo d'artiglieria con le caratteristiche necessarie alla guerra campale. Studiando i disegni del Ghiberti e di Leonardo, e interpretandone le note illustrative, si deduce che le artiglierie rappresentate non solo erano a retrocarica, come già erano altre bombarde cronologicamente precedenti, ma che si caricavano a "cartoccio" cioè con la carica contenuta in un cartoccio o sacchetto, e con la palla ad esso unita. Leonardo accanto al disegno di una "spingarda acchavalletto", segna un piccolo arnese per la carica e vi scrive sopra: "vuole il cartoccio dentro la pallottola" (cioè: il cartoccio deve essere completato con la pallottola). E non si trattava di progetti o teorie degli autori citati, ma di artiglierie esistenti, usate e conosciute, tanto che la frase "a cartoccio" figura in documenti che trattano movimento e cessione di armi, come p. es. in una Nota di tutte le cose usate che bisognano per fornire una fortezza del codice Marucelliano (A. 261 da p. 656 a p. 662, degli anni 1490-1495) sono rammentati: "fogli grossi reali per le artiglierie che si caricano a cartoccio".

Le artiglierie furono dunque, per tutto il '400, molteplici: da muro, da carro, da campo, da mano; e assai varia fu la loro lunghezza, e assai varî pure le forme, i calibri e i proiettili usati. Il Promis, analizzando le poche opere militari italiane e straniere del sec. XV, e i disegni e i dipinti di quel tempo, enumera: il falcone col falconetto e il mezzofalcone; la colubrina; la serpentina, ora distinta ed ora confusa con la colubrina, e il suo minor calibro, detto serpentinula o serpentinetta; il sagro, che si disse pure quarto di colubrina, quarto cannone, mezzo falcone; l'aspide; lo smeriglio o smeraldo; il girifalco; l'aquilo; il redene; il saltamartino; il cacciacornacchie; il bronzino o la bronzina, artiglieria analoga alla bombarda; la forlina o ferlina; il ribadocchino; la cerbottana o cerbotta; la bombarda comune e quella a braga; il mortaro; il petriere; il trabocco. E si usano anche nomi di artiglierie francesi italianizzati: il voglario (veuglaire) o bombardetta (v.); la crapodina (crapaudine).

Francesco di Giorgio Martini (principio del '500) fu il primo che tentò di classificare le artiglierie del suo tempo prendendo per base di classifica il calibro (diametro del tubo del pezzo), e affermò il suo studio in un'opera complessa che riguardava l'arte militare nelle sue migliori esplicazioni tecniche (Trattato di architettura civile e militare pubblicato nel 1841 con studî a cura del Promis). Nello specchietto della colonna seguente si ha la classifica adottata da quell'autore.

Queste due ultime, benché comprese dal Martini fra le artiglierie, appartengono alle armi portatili (manesche). Di ciascuna di queste specie di artiglierie il Martini tratta e dà nitide figure; ma poi avverte che ogni giorno se ne trovano "di più varie invenzioni" e, difatti, il criterio uniformatore dell'architetto militare senese fu poco conosciuto, e rimase lettera morta, e i principi e gli stessi fonditori continuavano a sbizzarrirsi, quelli ordinando e questi costruendo le artiglierie più diverse, e anche le più strane, tanto più che poca preoccupazione per tale varietà era data dall'uso dei rozzi proiettili di quel tempo.

Le forme delle bombarde e delle artiglierie in genere furono sempre, per tutto il '500 e anche nel principio del '600, le più belle e ricche di ornamentazioni, e il Biringuccio (Pirotechnia, 1540) scrive non avere mai fuso artiglierie senza adattarvi figure, teste di uomini e d'animali, vasi e simili cose. Due magnifiche colubrine venete ebbero la forma di perfetta colonna corinzia col capitello corrispondente alla bocca e la base alla culatta. E questa tendenza ornamentale si esagerò tanto da giungere perfino a mutare la forma del pezzo, come quella bombarda del Castello di Milano, dell'anno 1460, colata in ferro, "la quale è in forma di uno lione: proprio a vedere pare che a giacere stia" (Filarete, Architettura, codice Saluzziano, libro XVI, fasc. 127). E perfino i proiettili si decorarono bizzarramente; e così Cesare Borgia fece incidere su palle l'indicazione che erano state fatte durante il regno di Alessandro VI, papa, nel 1503; e negli scavi per i restauri di Castel S. Angelo a Roma si sono ritrovate altre palle che portano in rilievo emblemi araldici di papi, e alcune i gigli farnesiani. Le irregolarità di forma che questi motivi ornamentali e rilievi davano ai proiettili ne rendevano il tiro ancora più incerto e lento, poiché obbligavano a fasciarli con stracci o pelli per diminuire la sfuggita dei gas della carica attraverso gl'interstizî tra palla e anima del pezzo ("vento").

Le principali per ricchezza o per grossezza o lunghezza delle antiche artiglierie, ebbero frequentemente nomi individuali, coi quali erano indicate nei bandi e nelle cronache, e che presentano qualche interesse di ricordo. Quell'uso derivò da quanto già si faceva per le macchine da lanciare, giacché, p. es., nel 1168 i Fiorentini ebbero due mangani chiamati l'Asino e il Falcone e nel 1249 gli Orvietani ebbero il trabocco Vattelane (pare dal dialettale "Vattilà", cioè "dal nemico"). Delle bombarde, colubrine e spingarde taluna ebbe nome dalle persone della famiglia del principe, come altre da animali feroci o velenosi, altre da soggetti sacri, altre presero nome dai paesi che si aveva in animo di conquistare, o da città del proprio territorio. Altre artiglierie erano chiamate, per ischerno, col nome del nemico, altre ebbero nomi di baldanza e di bravura, altre di segni astrologici, ecc.

Questa consuetudine di dare dei nomi alle principali artiglierie rimase anche nei secoli XVII e XVIII; e, per limitare gli esempî, basti dire che nel Museo d'artiglieria di Torino vi sono belli esemplari piemontesi, veneziani, medicei, napolitani, con nomi e motti e imprese e figure di santi, in rilievo. Un sagro mediceo porta sul bottone di culatta, a basso rilievo, una grande stella circondata da quattro minori, con l'iscrizione Medicea Sidera a ricordo della scoperta fatta da Galileo (1610) dei satelliti di Giove. Cannoni napoletani, come quelli chiamati la pantera, Asia, ecc., portano scolpiti stemmi e figure e il motto Servatur imperium. Le parti più ornate erano il bottone di culatta e le maniglie, foggiate a delfini, a sirene, a satiri. Fra le figure di santi che più spesso ornavano le artiglierie erano: S. Barbara, S. Francesco, S. Paolo, S. Michele Arcangelo, la SS. Annunziata. Come riepilogo, quasi, di quanto si è detto sin qui circa quest'uso di ornare le artiglierie, ecco la descrizione di un mezzo-cannone francese (fuso nel 1677) che si trova nel museo suddetto. Sulla volata, in uno svolazzo, il motto ostendunt tela parentem; più in basso i fulmini di Giove; segue il ritratto in rilievo di Luigi conte di Vermandois, ammiraglio di Francia; sulla culatta è una poppa di nave ornata di figure con delfini, tritoni e nereidi; sopra, con la solita impresa nec pluribus impar, lo stemma borbonico e il sole; le maniglie foggiate a sirena; il bottone di culatta rappresenta una bella testa di satiro; il mirino è formato da un giglio. Nel sec. XIX le ornamentazioni delle artiglierie si semplificarono, e - in generale - s'impose ai pezzi un semplice nome di città o di persona; e più tardi ancora soltanto un numero per le registrazioni d'inventario.

Il Cibrario nel volume Delle artiglierie dal MCCC al MDCC scrive: "Per fondere le bombarde, apparecchiata una fornace col modello di creta mescolata con canape, borra e ritagli di pannilana per renderla più resistente, si poneva l'anima attorno a cui si stringevano, a guisa di doghe di botte, altrettante piastre di ferro battuto. Queste piastre, destinate a formare la camicia, o sacca che si voglia chiamare, in breve, l'interno rivestimento della bocca da fuoco si ungevano di sego, affinché il metallo fuso più facilmente facesse corpo con quelle. In tal modo si procedette nel 1443, nel quale anno, il dì 25 settembre, si gittò a Borgo di Bressa - (Francia) - o piuttosto si rifece con aggiunta di gran quantità di metallo, una bombarda chiamata Grandinette. Il peso totale del bronzo fu 39 quintali, 88 libbre e mezza.

"Il maestro condusse il liquefatto metallo per sei bocche, lasciando naturalmente gli opportuni sfiatatoi. Chiamasi Jean Gile di Mâcon. Terminata l'operazione si tagliavano le bave, si nettava l'anima, si puliva esteriormente e si finivano le modanature. Questo era a un dipresso il metodo usato per gittar tutte le bocche da fuoco; e quando quell'operazione si faceva in città, non vi era per quel giorno niun fabbro che potesse lavorare di sua arte, perché si pigliavano tutti i mantici che si trovavano e si portavano al maestro bombardiere".

La proporzione dello stagno usato col rame nella lega che dava il bronzo era circa 11-12%, proporzione trovata empiricamente ma che corrisponde quasi esattamente a quella che la tecnica moderna ritiene la più conveniente per le artiglierie; tanto che è davvero sorprendente come quei primitivi artefici, mancanti di ogni strumento di misura atto allo scopo e di ogni nozione veramente tecnica, avessero così felicemente risolto il problema.

Il Bravetta dice che dalle bombarde di ferro colato, conservate nel Museo d'artiglieria di Torino, si deduce come la fusione di esse si faceva dalla parte del cannone e senza materozza, e che le forme erano talvolta di due pezzi, da unirsi nel piano che passa per l'asse. Nel fondo del cannone si vedono delle spugnosità prodotte dal ritirarsi del metallo nel suo raffreddamento, e lungo la bombarda, nel piano inclinato, da ambe le parti, sono evidenti le sbavature corrispondenti alla linea d'unione dei due pezzi della forma. Ma se per le bombarde di ferro colato si usava questo metodo, per quelle di bronzo si costruivano le forme intere, nel modo stesso che si usò fino alla metà del secolo scorso per gittare le artiglierie. Quando se ne fabbricavano di grandi dimensioni, anche le forme erano due, cioè una per la tromba e una per il cannone; e così si faceva quando la bombarda era di tre o quattro pezzi.

Leonardo da Vinci si occupò pure di costruzione di artiglierie di bronzo, accennando a metodi che rimasero pressoché inalterati per varî secoli.

"Le artiglierie d'ogni genere o dimensione" (continua il Bravetta) si gettavano con l'anima, ossia ponendo nella forma un "nocciolo" interno, la cui costruzione ed il cui adattamento al suo posto richiedevano speciali precauzioni; e che fu soppresso poi, quando si riuscì a trapanar facilmente i pezzi, gittati pieni. Dall'esatto collocamento di tale nocciolo interno nella forma dipendeva se l'anima veniva a risultare "giusta e diritta nel suo luogo"; e per trattenerlo ben fermo durante il colare del metallo fuso nella forma, si faceva uso di un ferro detto destra o crocetta ed anche lunetta, che rimaneva preso nel getto. Tuttavia accadeva spesso che l'anima non era esattamente concentrica con la parte esterna, ed allora le artiglierie facevano "tiri costieri" (cioè davano di costa, ossia di fianco). Ad eliminare i difetti di fusione, ma non l'anzidetto che era irrimediabile, si pensò ben presto a trapanar le artiglierie. Moritz Meyer crede che questa pratica sia cominciata nel 1540, prendendo la notizia dall'opera del Biringuccio, pubblicata in quell'anno. Infatti questo eccellente maestro di getti, essendo al servizio della repubblica di Firenze, al tempo dell'assedio del 1529-30, "gittò la colubrina doppia detta il Lionfante, nonché cannoni, mezze colubrine e falconetti, e di tutte fece regolare le anime mediante il trapano".

"Generalmente, e quantunque la polvere, imperfettamente fabbricata, fosse meno potente di quelle che si usavano nel secolo scorso, le cariche delle antiche artiglierie erano poco pesanti in confronto del proietto che dovevano mettere in movimento". Francesco di Giorgio Martini dà questa regola: ".... per ogni cento lire [libbre] di pietra, lire diciotto o diciannove, infin venti dar si può [di carica]. E se la bombarda trarrà cento di pietra, lire ventiquattro di polvere se le dia, e cento in su siccome sopra è detto". Il coccone, che si sovrapponeva alla polvere, era spinto e forzato a posto mercé pali di ferro a testa piatta, ai quali furono poi sostituiti i calcatoi, rimasti in servizio fino a pochi anni or sono. Con il progredire delle artiglierie, si adoperarono gli scartocci. "Lo scartoccio - dice il Sardi - altro non è che un sacchetto di tela fitta, quale con arte e con ragione tagliato, può capire tanta quantità di polvere quanto deve essere la carica propria di quel tal pezzo, al quale haverà da servire, et empito viene tanto grosso di circonferenza, che facilmente puole entrare dentro la canna del pezzo, se gli è seguito, o dentro la propria camera, se gli è incamerato".

E giova qui riportare, togliendoli dal Collado (Practica manuale di artiglieria, Venezia 1586) alcuni particolari intorno al modo tenuto dai primi bombardieri per caricare i pezzi. L'autore raccomanda che il bombardiere visiti bene il pezzo prima di cominciare il fuoco: "Ti basterà mettere la cucchiara et con essa tentare, et vedere se ci sarà dentro qualche immonditia, et cavata fuori quella, annettar dentro molto bene con la lanata, che per certificarti meglio se quel pezzo haverà dentro qualche impedimento che ti causi che non possa essere ben caricato, metterai le agugia d'innescare per il fogone, et lasciala dentro, et vattene alla bocca, et metti lo stivadore per l'anima a dentro, finché il tocchi ne l'agugia, et quando tu vedrai che l'agugia si muove et salta, intenderai che sta netta la canna dell'artiglieria [pratica usata fino ai nostri tempi con le artiglierie ad avancarica]. Fatto questo, se tu vuoi esser tenuto da huomo prattico ti conviene sapere sventare ancora il pezzo, mettendovi dentro una mezza cucchiara di polvere, e dandogli il fuoco, il che si fa per scacciare l'umidità che vi era dentro. Fatto questo torna la lanata, stivadore, et cucchiara al suo luogo, cioè fra la ruota sinistra et la cassa del pezzo, et fatti dare una buona provvista di palle, et che abbino il vento che si conviene; provvedi ancora di una buona quantità di fieno, ovvero stoppaioni da far li bocconi, ovvero foraggi ai pezzi: metti il barile, ovvero sacchetto, della polvere per scontro alla testa della ruota sinistra mentre tu carghi l'artiglieria, ma dopo che tu haverai carigato, fa ch'il tuo aiutante metta il barile alquanto discosto dal pezzo, per spazio di quindici o venti passa almeno, et procura di tenerlo sempre ben coperto acciò non lo tocchi il fuoco. Et se ti ritrovi in batteria tu devi fare una fossa in terra da sotterrare la munitione, che sia lontana la distanza sodetta guardandoti di non scoprirla mentre che qualche altro bombardiere spara l'altro pezzo, che sia appresso; però se in tempo della fattione, spirasse qualche vento gagliardo, metti lo barile sopravento del pezzo, acciò il vento non mandi quivi qualche favilla di fuoco et t'abbruggi la polvere, et ancora te et il compagno".

Per puntare le artiglierie, o, come si diceva allora, per "metterle a mira", i bombardieri non avevano regole precise. Il Biringuccio consiglia di servirsi della "sperienza di longa pratica, e bon giudizio naturale" per giudicare della portata dell'artiglieria e della "distanza della cosa che percuotere volete per assicurarvi di arrivarla". Si verificava se la bocca da fuoco disposta in batteria era in piano, mediante lo "archipendolo comune" e per darle il puntamento in direzione e l'opportuna elevazione, ossia per "darle di fianco" si adoperavano traguardi di varie fogge il cui impiego è così descritto: "Si usano metterli da piedi sopra il mezzo a ponto dell'artiglieria, e per un piccolo forame, che si fa in un canaletto, si guarda con un occhio avvertendo che la linea passi sopra il mezzo della cornice della bocca e ferisca a ponto nel mezzo ove volete che la palla percuota; e il primo colpo qual si fa, fassi per conoscere la giustezza dell'artiglieria, come per esperimentare la bontà della polvere e anche per giustificarvi della distanza....". Seguono alcune regole per correggere l'elevazione se il tiro fosse riuscito troppo lungo o colto, e viene quindi la descrizione d'un alzo a forellini simile a quello che l'artiglieria piemontese adottò nel 1848. "Per mantener un tirar fermo - dice il Biringuccio - fassi una misura di legname, o di una lamina di ferro, o di ottone, o di rame, che sia lunga un palmo, nel mezzo della quale siano più piccoli buchetti con uguale distanza, e siavi anche nel mezzo appunto una linea sottile; nella quale (volendo) caschi un filo per capo, con un piombo in forma di archipendolo, alla quale si adatta un posamento per poterla mettere che stia ferma sopra il mezzo del piano della culatta della artiglieria, per il quale traguardo, così fermo, guardasi al primo, al secondo, al terzo, a un quarto e a un quinto, o decimo ovver duodecimo buso, e quanto n'occorrerà per dargli di fianco".

Nel sec. XVI le artiglierie subirono, presso le principali nazioni europee, un cambiamento radicale, quando successivamente (se non contemporaneamente) furono adottati e generalizzati i seguenti perfezionamenti: carica dei pezzi dalla bocca; incavalcamento ad orecchioni; affusti a ruote. Questi ultimi erano apparsi, ma in forma rudimentale, fin dalla metà del secolo precedente. Di artiglierie a retrocarica non se ne costruirono più, eccettuato qualche moschetto o bombardella o colubrina; e le grosse artiglierie a retrocarica che restarono in uso si chiamarono antiche. Si cominciò a fissare e a mantenere netta la suddivisione delle artiglierie a seconda del modo e del luogo d'impiego; e si ebbero così: artiglieria da campagna, artiglieria da fortezza, artiglieria navale.

Fra le nazioni che più si affermarono nello studio delle discipline militari nel sec. XVI fu la Francia; e mentre passarono ad essa i nostri migliori ingegneri militari, vi passarono anche le nostre idee tecniche, scientifiche ed artistiche, le quali in quel secolo, fecondo di studiosi e di artisti, presto prosperarono. Tanto, anzi, che molti scrittori di quegli anni dimenticarono o non rilevarono l'opera nostra e magnificarono solamente quella forestiera. Già Carlo il Temerario, duca di Borgogna, aveva fatto grande impiego di bocche da fuoco e di artiglierie minute nelle guerre contro il re di Francia Luigi XI e contro gli Svizzeri.

L'esempio del duca di Borgogna, che aveva portato artiglierie fin dietro alle fanterie, fece nascere in Luigi XI il desiderio di possedere materiale più adatto alla guerra e più mobile di quello che si aveva allora in Francia; e iniziò profonde riforme, che ebbero completo sviluppo sotto Carlo VIII, il quale fece adottare ed opportunamente modificare e perfezionare tutto quanto di buono e di nuovo si proponeva e si studiava in fatto di artiglierie in Italia, in Germania e in Ispagna.

Ma anche le famose artiglierie di Carlo VIII non erano gran che migliori delle precedenti bombarde, e a Fornovo (1495), tirando tutto il tempo della battaglia, non riuscirono a mettere dieci uomini fuori combattimento; e lo scrive il Guicciardini stesso che pur tanto lodò quelle armi. Di più, quelle artiglierie erano ingombranti e, nel passaggio degli Appennini, bisognò attaccare ad esse, oltre i numerosi cavalli che già le tiravano, da cento a duecento uomini, i quali dovevano spesso esser sostituiti per la grande fatica.

Il Montezemolo in uno studio sul Machiavelli e le armi da fuoco (Riv. d'art. e genio, IV, 1891) esaminando le battaglie di Cerignola (1503), di Agnadello nella Ghiara d'Adda (1509), di Ravenna (1512), di Novara (1513), di Marignano (1515), dove si usarono tante e svariate artiglierie leggiere, sostiene che l'azione morale di esse era assai più importante dell'efficacia materiale, la quale poteva farsi sentire solo in casi favorevolissimi, o quando battaglioni compatti di 8 o 10 mila uomini, come fino allora avevano Svizzeri, Spagnoli e Tedeschi, si offrivano loro come immobile bersaglio, per disprezzo o per paura d'attaccare. E conclude che fino intorno al 1520 le artiglierie campali erano di molto superiori alle armi da fuoco portatili, ma non avevano ancora reso servizî così importanti da farle ritenere come un fattore principale della vittoria. Non si può dire altrettanto delle grosse artiglierie destinate alla guerra d'assedio e per quelle destinate alla difesa delle "terre", giacché tali artiglierie erano fin d'allora arma importantissima.

Nella prima metà del sec. XVI fu un vero succedersi di ricerche per perfezionare l'arma quasi nuova, e le migliorie si ebbero non solo nella parte costruttiva ma nella tecnica. Il Tartaglia nel 1537 pubblicò la Nova Scientia ed ivi espose i primi studî razionali sul movimento dei proiettili nell'interno delle bocche da fuoco e più tardi pubblicò l'opera Delli quesiti et inventioni diverse e nei due primi libri vi trattò del tiro e del puntamento delle artiglierie, e delle regole e strumenti relativi.

Nelle lunghe guerre che Carlo V imperatore ebbe a sostenere in Italia, in Fiandra e in Germania, l'artiglieria prese nuovo sviluppo tra le nazioni combattenti, ed ebbero meritata rinomanza fonditori tedeschi e fiamminghi; Carlo V fece riordinare le sue artiglierie e stabilì che i calibri fossero limitati ad 8 (cannone e mezzo cannone; colubrina comune; colubrina corta; mezzana; sagro; falconetto; mortaio). Più tardi tali calibri furono ridotti a sei. Questo criterio uniformatore, già in vigore nel 1551, continuò per quasi un secolo, avvantaggiandosi naturalmente di tutte le migliorie che il progresso andava suggerendo. In Italia portarono vanto, in questo tempo, le artiglierie veneziane, quelle estensi e le medicee; e vi furono maestri fonditori valentissimi (Biringuccio; i Morando veneziani; il frate Domenico Perticari; Annibale Borgognone; la famiglia Alberghetti che per oltre due secoli, tramandandosi l'arte di padre in figlio, costrusse ottime artiglierie al servizio della repubblica fiorentina e della repubblica veneta).

Nella classificazione delle artiglierie continuò ad esservi grande incertezza, che generò anche confusione. Il Capobianco (Corona e palma militare, 1647) distinse le artiglierie in: artiglierie minute (di 5 specie; cioè moschetto da giuoco da 1; falconetto da 3; falcone da 6; passavolante da 9; sagro ed aspido da 12); artiglierie ordinarie (colubrine da 14, 20, 30, 40, 50, 60, 90, 100 e 120; cannoni da 16, 20, 30, 40, 50, 60, 90, 100, 120, simili alle colubrine ma più corti; erano artiglierie relativamente antiche e non se ne costruivano più di nuove); artiglierie petriere (di 4 specie; cioè: cannone petriero; petriera; petriera a braga; mortaro). Le artiglierie minute prendevano il nome dal peso in libbre della palla di piombo con la quale si provavano; mentre per il tiro ordinario si usava una palla di ferro, pesante un terzo di meno di quella di piombo (nelle prove si usava un peso di polvere eguale al peso della palla di piombo, e nel tiro ordinario una carica eguale in peso alla palla di ferro). Le artiglierie maggiori (culubrine, cannoni ecc.) prendevano nome dal peso, in libbre, della palla di ferro che lanciavano. Il peso (della polvere) della carica di queste artiglierie era uguale o di poco inferiore (secondo determinate regole) al peso della corrispondente palla di ferro. La polvere usata era di "quattro, asso, asso" cioè formata di 4 parti di salnitro, una parte di carbone, una di zolfo.

Il Sardi (L'artiglieria, 1650) distingueva le artiglierie in tre generi: 1° genere: di bronzo, leggiere, lunghe 32 bocche; 2° genere: cannoni da batteria di 11 specie, di bronzo, lunghi circa 18 bocche; 3° genere: cannoni petrieri o mortai (quasi tutti antichi) di molte specie. Si avevano poi altre distinzioni a seconda della ricchezza del metallo, della lunghezza dell'anima (le più lunghe eran dette "straordinarie", le medie "ordinarie", le più corte "bastarde"), della forma dell'anima ("seguente, incampanata, incamerata"). Le colubrine, che erano le artiglierie relativamente più lunghe, giungevano alla notevole lunghezza di 10 metri, ed eccezionalmente a una lunghezza anche maggiore. La molteplicità delle classificazioni ingenerava confusione e - quello che è peggio - difficoltà gravi nella condotta delle offese e delle difese; e da una certa negligenza dei fonditori, talora anche maliziosa, derivava che i principi, per ovviare agl'inconvenienti della molteplicità dei calibri, dovevano aumentare il numero delle artiglierie.

Gl'inconvenienti principali di tali trascuratezze nella costruzione delle artiglierie erano che le palle di un pezzo (o di un "presidio") non servivano ad un altro pezzo (o ad un altro presidio), e che ogni pezzo doveva avere la sua cucchiara. Narra il Collado che nel castello di Milano - a tempo suo - erano 238 bocche da fuoco di 8 calibri diversi, così che avrebbero potuto bastare 8 qualità di cucchiare ed 8 di palle; e invece per "far buon tiro bisognavano 238 cucchiare, ed altrettante sorti, ovvero differenze, di palle....". E lo stesso autore dà importanti avvertimenti per i maestri fonditori; raccomanda la perfetta calibratura dei pezzi fino in fondo all'anima; che il focone sia aperto fino in fondo; ecc.

Innovazione importantissima alla fine del sec. XVI fu il lancio dei proietti cavi scoppianti, o delle bombe che si fecero dapprima di due emisferi di ferro, collegati con chiavarde, e quindi di un solo pezzo; e furono usati dai Tedeschi e specialmente dagli Olandesi nelle guerre sostenute in quel tempo contro gli Spagnoli. Gli Olandesi ridussero a tre i generi delle loro bocche da fuoco: il cannone (per eseguire tiri con forti cariche a palla piena); il mortaio (per lanciare bombe con tiro curvo); l'obice (per lanciare bombe con tiro sufficientemente teso per battere truppe in campo aperto).

Le prime "istruzioni per artiglieria campale" furono fatte redigere dal duca di Sully, gran maestro d'artiglieria di Enrico IV. Per 40.000 uomini erano fissati non più di 30 cannoni da campo, che eventualmente dovevano servire anche per assedio; di essi alcuni erano trascinati da 25 cavalli, altri da 21, altri da 17, e solo le minori colubrine ne richiedevano 7. L'attacco era fatto con avantreno a timonella o con una timonella applicata alla coda dell'affusto, mentre i cavalli si disponevano uno dietro l'altro (di punta). In Germania invece si usavano avantreni con timone e bilancia all'estremità di esso, e i cavalli si attaccavano a pariglia: sistema più tardi adottato da tutti.

Ma chi affermò e rese veramente pratico l'uso delle artiglierie campali fu il re di Svezia Gustavo Adolfo, tanto che da taluno ne è ritenuto l'inventore. Egli diminuì i calibri, ridusse il peso delle bocche da fuoco, mantenendo in servizio soltanto cannoni da 30, da 12, da 6, da 4 e da 3 libbre. Questi ultimi, per ragioni di leggerezza, furono dapprima fatti di lamiera di ferro fasciata di cuoio; trainati da due e anche da un solo cavallo, e, per brevi tratti, a braccia; erano maneggiati da due soli uomini. Queste artiglierie leggiere non solo seguivano le truppe in campagna, ma, con criterio moderno, ne facevano parte organica, incorporate nei battaglioni di fanteria. Tali cannoni erano seguiti da una carretta per muizioni a un cavallo; avevano celerità di tiro superiore a quella del moschetto; usavano cartocci di sottilissimo legno con palla ad esso connessa, ed eseguivano anche il tiro a mitraglia.

Nel '700 il primato dell'artiglieria fu tenuto dalla Francia, specialmente per opera di due grandi artiglieri: il Vallière e il Gribeauval. Fin dal principio del secolo si rinunziò a molte vecchie artiglierie, mantenendo in servizio soltanto il cannone comune, il cannone rinforzato e il cannone diminuito (denominazioni riferentisi alla maggiore o minore grossezza della parete del pezzo). Anche l'Austria e la Prussia nella prima metà del sec. XVIII avevano fatto grandi progressi nel perfezionamento dei materiali, specialmente riguardo alle artiglierie leggiere. Federico II di Prussia faceva alleggerire le artiglierie destinate a operare con le truppe, che i nuovi metodi tattici rendevano più mobili, e nel 1758 si organizzò la prima artiglieria a cavallo; e fu anche costituita in modo permanente l'unità batteria, sia in personale sia in materiale, con grande vantaggio della disciplina, dell'unità d'azione e dell'efficacia stessa del tiro.

In Italia, se non vi fu unità d'intendimenti e di direzione negli studî, per il frazionamento del paese e per l'antagonismo esistente fra i suoi varî stati, si erano però sporadicamente avuti importanti progressi, dei quali non si è tenuto sufficiente conto nella storia delle artiglierie. Così fin dal 1631 (o 1632) per ordine di Vittorio Amedeo I si costituirono in Piemonte falconi ad anima di rame, rivestiti di doghe di legno e fasciate di cuoio (come più tardi fece Gustavo Adolfo). Nel 1703 si fondevano a Torino da G. B. Trivulzio, a servizio del duca di Savoia Vittorio Amedeo II, cannoni da campagna a retrocarica (con chiusura a blocco scorrevole, invenzione del piemontese Giovanni Chieppo) che furono usati con buon successo all'assedio di Torino nel 1706. Nel 1744 fu fuso a Valdocco (Torino) un cannone di ferro "solcato da righe ad elica" a retrocarica con chiusura a vite. L'artiglieria piemontese ha anche il vanto di essere stata la prima a studiare e ad adottare materiale speciale da montagna: verso il 1745, infatti, il Bertola propose un cannone scomponibile per agevolarne il trasporto in montagna. La necessità che le artiglierie seguissero rapidamente le fanterie nelle marce e combattessero con esse, fu avvertita assai presto anche in Italia, e lo prova il considerevole numero d'inventori di cannoni leggieri, di cui si trova ricordo (Federico Porcari, Giulio Gentileschi, Valentino Guà, Marzio Pulcella).

Nel 1774 in Francia cominciarono ad attuarsi le riforme del generale francese Gribeauval (che durante la guerra dei Sette anni aveva servito in Austria come comandante generale dell'artiglieria e conosceva quindi benissimo il materiale prussiano e quello austriaco). Suo concetto informatore fu di assegnare ad ogni specialità di artiglieria il materiale veramente più adatto (da campagna, da assedio, da piazza, da costa). All'artiglieria da campagna furono assegnati i calibri minori; le cariche furono proporzionate meglio al peso dei proiettili, alla resistenza degli affusti, alle velocità iniziali necessarie per le gittate da ottenere secondo i varî obbiettivi.

Le bocche da fuoco si alleggerirono, si sveltirono, si spogliarono di ogni inutile fregio, si costruirono più razionalmente: s'introdusse la sala di ferro con boccole di ghisa; vite di puntamento agli affusti; palla a cartoccio; scatole a mitraglia; oltre a molti altri perfezionamenti negli affusti, negli attrezzi, nei congegni di mira, ecc. Col materiale Gribeauval, sempre migliorato, la Francia combatté tutte le guerre della repubblica e dell'impero; e parte di esso fu adottato anche da noi, specie negli eserciti napoletano e piemontese.

Nel 1760 era adottato in Piemonte un sistema di materiale che rappresentava la sintesi dei miglioramenti conseguiti fino a quel tempo nei paesi vicini; studiato da ufficiali piemontesi sotto la direzione di Papacino d'Antoni, esso ebbe vita fino all'occupazione francese del 1800.

Le principali riforme introdotte nel materiale d'artiglieria nella metà del sec. XIX furono essenzialmente queste: l'adozione nel 1803 (degl'Inglesi per primi) di speciali granate con spolette a tempo e carica interna di polvere e pallottole, dette shrapnel (v. munizioni); l'allungamento degli obici, migliorandone il tiro a granata, specialmente nei grandi obici da costa; l'adozione di capsule fulminanti per l'innescamento delle cariche, e poi dei cannelli a frizione, invece degl'incomodi stoppini a miccia. Ma una profonda modificazione non si ebbe che con l'introduzione della rigatura.

Bibl.: Marin Sanuto Torsello, Liber secretorum fidelium Crucis, in J. Bongarsius, Gesta Dei per Francos, II, Hannover 1611; F. Di Giorgio Martini, Trattato di architettura civile e militare... del sec. XV, ora per la prima volta pubblicato per cura del cav. Cesare Saluzzo, Torino 1841; L. Da Vinci, Il Codice atlantico di Leonardo d. V. nella biblioteca Ambrosiana di Milano riprodotto, Milano 1891-1900 (contiene varî disegni di artiglierie che si caricano dalla culatta adottati solamente nel secolo nostro per merito del Cavalli); N. Bresciano detto Tartaglia, Questioni et inventioni diverse, Venezia 1528; id., La nova scientia, Venezia 1540; V. Biringuccio, Li diece libri della pirotechnia, Venezia 1540; L. Collado, Practica manuale di artiglieria, Venezia 1586; A. Tarducci, Delle macchine, ordinanze et quartieri antichi et moderni, Venezia 1601; E. Gentilini, Instruttione di artiglieri, Venezia 1598; id., Il perfetto bombardiero et real instruttione di artiglieri, Venezia 1626; A. Capobianco, Corona e palma militare di artiglieria, Venezia 1598; P. Sardi, L'Artiglieria, Venezia 1621; F. Omodeo, Dell'origine della polvere da guerra e del primo uso delle artiglierie da fuoco, Torino 1804; G. B. Venturi, Dell'origine e dei primi progressi delle odierne artiglierie, Milano 1815; G. Carbone e F. Arnò, Dizionario d'artiglieria, Torino 1835; M. D'Ayala, Delle vicende della artiglieria, Napoli 1837; C. Promis, Della vita e delle opere degli italiani scrittori di artiglieria... da Egidio Colonna a Francesco de Marchi, in F. di Giorgio Martini, op. ed. cit., I, pp. 3-119; id., Dello stato dell'artiglieria circa l'anno 1500, in F. di Giorgio Martini, op. ed ediz. citate, I, pp. 123-281; L. Cibrario, Dell'uso e della qualità degli schioppi nell'anno 1347, Torino 1844; id., Delle artiglierie dal 1300 al 1800, 3ª ed., Lione 1854; id., Della economia politica nel Medioevo, 5ª ed., Torino 1861; A. Angelucci, Delle artiglierie da fuoco italiane: memorie storiche con documenti inediti, Torino 1863; id., Appendice all'op. prec., Torino 1863; C. Quarenghi, Tecno-cronografia delle armi da fuoco italiane, Napoli 1880-1881, voll. 2; Ant. Clavarino, Le artiglierie dalle origini a' nostri giorni, Roma 1885; C. Volpini, Studio storico dell'artiglieria a cavallo italiana, Milano 1892; F. Mariani, L'evoluzione delle artiglierie nel secolo XIX, Roma 1901; E. Gonella, Le invenzioni dell'artiglieria piemontese durante il XVIII secolo, Roma 1910; id., Il Museo nazionale d'artiglieria a Torino, Roma 1914; D. Rivault de Fleurance, Les Élémens de l'artillerie concernant Étant la première invention et théorie que la pratique du canon, Parigi 1605; M. Meyer, Handbuch der Geschichte der Feuerwaffen-Technik, Berlino 1835 e Nachtrag, Berlino 1836; J. Brunet, Histoire générale de l'artillerie, Parigi 1842, voll. 2; Napoléon III, Études sur le passé et l'avenir de l'artillerie par Louis Napoleon Bonaparte, président de la République, Parigi 1846-1851, voll. 2; H. Müller, Die Entwickelung der Feldartillerie... von 1815-1892, Berlino 1893-1894, voll. 2; id., Geschichte d. Festungskrieges seit allgemeiner Einführung der Feuerwaffen bis zum J. 1892, 2ª ed., Berlino 1892; E. Bravetta, L'artiglieria e le sue meraviglie, Milano 1919.

Dall'introduzione della rigatura in poi. - La caratteristica essenziale delle artiglierie moderne è la rigatura, così che con questa particolare ma vitale innovazione ha realmente inizio la storia delle moderne artiglierie, le quali, seppure in questi ultimi decennî si sono profondamente trasformate e perfezionate, hanno pur sempre conservato - e prevedibilmente conserveranno per l'avvenire - quella caratteristica veramente peculiare delle armi da fuoco di gran rendimento.

La ragione di questa profonda discriminante deve essere accennata. Per colpire lontano ed efficacemente, occorre che il tiro sia giusto (cioè vada esattamente sul bersaglio) e che il colpo sia efficace (cioè si abbia un grande effetto di scoppio, che solo una considerevole carica esplosiva può produrre). I proietti (bombe), generalmente sferici, lanciati dalle antiche artiglierie lisce, non erano adatti alle lunghe gittate, né al tiro preciso, né ai grandi effetti di scoppio. Le lunghe gittate non potevano ottenersi, perché il proietto sferico (e tanto meno un proietto di altra forma che percorresse la sua traiettoria di piatto, o disponendovisi irregolarmente) non è abbastanza penetrante nell'aria. Questa, com'è noto, presenta alle grandissime velocità dei corpi forte resistenza, che è funzione di varî fattori, ma che, in seguito a calcoli teorici e a dati sperimentali, è stata ragguagliata ad una potenza della velocità compresa tra il quadrato e il cubo. Per la loro scarsa penetrazione i proietti sferici non potevano essere lanciati abbastanza lontano, come pur esigeva la tendenza fondamentale a colpire il nemico a distanza sempre più grande. Il tiro, d'altra parte, non poteva essere preciso, perché, nonostante la forma teoricamente perfetta del proietto sferico, le irregolarità della resistenza dell'aria (che su esso influivano, ed alle quali la sovraccennata deficienza di capacità penetrante non permetteva di reagire abbastanza) facevano irregolarmente sbandare gli antichi proietti, e questo sbandamento (vero errore del tiro) cresceva in misura più che proporzionale alla distanza, tanto che per gittate superiori ai 2000-3000 metri la precisione del tiro diventava affatto irrisoria. Infine (non volendo dare all'artiglieria un calibro sproporzionato e quindi un peso intollerabile) si deve tener conto anche del fatto che un proietto sferico è meno capace di un proietto lungo di egual calibro, e quindi non può contenere le considerevoli cariche richieste dalla necessità di grandi effetti di scoppio.

Pertanto, verso la metà del secolo XIX, dopo precedenti tentativi, falliti per deficienze tecniche o per incompleta visione del problema (nonostante le vedute di valenti precursori, che risalgono al principio del sec. XVIII), si imposero i proietti lunghi. Ma questi così decisivi vantaggi del tiro, che sono la caratteristica delle artiglierie moderne e che in misura sempre maggiore saranno conseguiti dalle artiglierie future, alle quali tracceranno esattamente le principali direttive di progresso, non hanno potuto essere raggiunti senza una profonda trasformazione delle bocche da fuoco, ed essenzialmente senza che l'anima del pezzo fosse costruita in modo da imprimere al proietto di forma allungata una rapida rotazione su sé stesso, oltre alla velocità di lancio. Ciò è possibile ottenere praticamente soltanto abbandonando definitivamente la forma liscia (nell'interno del tubo) delle antiche bocche da fuoco e costruendole invece rigate (con righe elicoidali nell'interno del tubo). Il proietto lanciato dall'artiglieria rigata ruota rapidamente su sé stesso lungo la traiettoria, e in conseguenza, per una legge meccanica che trova riscontro nel noto movimento della trottola si mantiene con l'asse diritto senza cadere) con la punta approssimativamente rivolta sempre in avanti, in modo da penetrare facilmente (vantaggio delle lunghe gittate) e regolarmente (vantaggio della precisione del tiro) nell'aria, portando poi sul bersaglio, a parità di calibro, una quantità di esplosivo più grande.

Così la rigatura delle anime, che, anche per maggiore facilità costruttiva, ebbe una prima larga applicazione nelle armi portatili, costituì la principale caratteristica delle artiglierie moderne; ma alla sua razionale adozione, con i conseguenti risultati immensamente vantaggiosi, si giunse soltanto dopo numerosi tentativi, non sempre felici, che segnarono una via penosa, irta di difficoltà imprevedibili, finché progressi scientifici, tecnici e costruttivi, e il sussidio di nuove scoperte, essenzialmente nel campo chimico, cooperanti allo stesso fine, hanno dato alle artiglierie odierne il preciso carattere di macchine che riuniscono a un tempo i vantaggi della più grande perfezione e della più grande potenza.

Per raggiungere lo scopo che la rigatura si proponeva, furono da parecchi tecnici e costruttori (tra i quali deve essere ricordato come genialissimo precursore il generale italiano Giovanni Cavalli [v.]) e presso varie nazioni, immaginati ed attuati diversi sistemi di rigatura. Un primo comprende quei tipi nei quali il proietto può entrare liberamente nel pezzo (avendo dimensione trasversale leggermente inferiore a quella dell'anima), con caricamento dalla bocca. La rotazione del proietto si otteneva per mezzo di alette (sporgenze) ricavate nel proietto stesso, le quali s'impegnavano in solcature (righe) elicoidali ricavate nell'anima del pezzo. Il Cavalli per primo (1846) applicò al proietto allungato (cilindro-ogivale) delle alette che trovano riscontro in due righe elicoidali ricavate nel pezzo; difficoltà di costruzione non gli permisero di applicare immediatamente l'innovazione ad un cannone a retrocarica (che pure egli aveva ideato), e lo costrinsero ad adattarlo a una bocca da fuoco ad avancarica. Un sistema analogo (La Hitte) fu successivamente applicato in Francia. Questi primi cannoni rigati e ad avancarica fecero le prime prove nella campagna del 1859 in Italia. Seguirono altri sistemi, più o meno perfezionati, tendenti tutti a ottenere il miglior centramento del proietto, cioè ad evitare che questo, il quale doveva presentare un certo gioco rispetto all'anima, al momento del lancio subisse violenti sbattimenti nell'interno del pezzo, danneggiandolo, e risultandone anche una traiettoria meno regolare. Per eliminare le sfuggite di gas tra proietto ed anima, si usarono largamente delle appendici al proietto, fatte di metallo cedevole o di altre sostanze incombustibili, che, premute dai gas della carica, si espandevano, assicurando la chiusura ermetica. Talora, invece di applicarvi le righe, le anime dei pezzi si fecero a sezione esagonale, o ellittica, o anche di altre forme alquanto bizzarre, con andamento a spirale; e il proietto, che ricopiava quelle forme, era quindi costretto a rotare nell'anima quando era lanciato dalla carica.

In queste prime artiglierie rigate ad avancarica permaneva però sempre, e grave, l'inconveniente d'un imperfetto centramento e forzamento del proiettile, per cui le gittate delle bocche da fuoco non potevano ancora allungarsi di molto, né risultare abbastanza precise; tanto che fino al 1865 le artiglierie lisce continuarono ad avere il sopravvento su quelle rigate, specialmente per le bocche da fuoco di maggior calibro (da assedio e da marina).

Solo l'applicazione della retrocarica alle artiglierie rigate permise di conseguire i massimi e decisivi vantaggi che la rigatura si proponeva; e così la storia della retrocarica delle artiglierie moderne (da non confondersi con la retrocarica delle prime artiglierie, adottata specialmente per facilità di costruzione e di caricamento) s'intreccia con la storia stessa della rigatura.

La retrocarica delle artiglierie deve assicurare una doppia chiusura: la chiusura principale che garantisca la voluta solidità al momento dello sparo, e la chiusura ermetica che impedisca anche le piccole sfuggite di gas. A ottenere al tempo stesso, l'uno e l'altro scopo s'incontravano considerevoli difficoltà, per superar le quali il materiale si è successivamente trasformato in questi ultimi 60 anni, fino ad avviarsi definitivamente alle forme moderne, col contributo grandissimo dato a tale progresso dalla scoperta e quindi dall'adozione delle polveri senza fumo (v. munizioni). Con il diffondersi e il perfezionarsi dei moderni congegni di otturazione (v. otturatore), le artiglierie si avviano decisamente a quei progressi che finiscono col dar loro la forma odierna, e che possono, nel loro insieme, riassumersi come segue.

La costruzione va perfezionandosi non soltanto nella scelta e qualità del metallo (specialmente acciaio), ma anche nel suo trattamento (tempera). La metallurgia dell'acciaio, aiutata potentemente dall'analisi chimica e microscopica, fa considerevoli progressi; l'aggiunta di piccolissime quantità di metalli speciali (cromo, titanio, nickel, ecc.) permette di dare al metallo le volute caratteristiche di elasticità, di resistenza e di durezza, a seconda delle varie esigenze meccaniche delle singole parti dell'artiglieria. D'altra parte, il sistema della cerchiatura, con gli altri sistemi da essa derivati, consente di fare armonicamente concorrere tutto lo spessore della bocca da fuoco (cioè i varî strati del metallo) al tormento della pressione (che oggi giunge a circa 3000 atmosfere) al momento dello sparo; evitando che gli strati più vicini all'anima siano eccessivamente deformati e che gli strati più lontani restino - per così dire - pigri e male utilizzati. La costruzione della bocca da fuoco diventa perciò veramente razionale, come quella d'una macchina studiata e congegnata con perfetta rispondenza alla sua funzione. Relativamente allo sforzo che son chiamate a compiere, le bocche da fuoco si alleggeriscono mentre, d'altra parte, lo sviluppo della tecnica metallurgica consente di fondere e fucinare anche artiglierie grandissime, che raggiungono e superano il calibro di 400 millimetri. La rigatura ha la forma necessaria alla sua funzione, ed è fatta elicoidale (cioè a spirale con passo costante), o progressiva (cioè a spirale con passo che diminuisce verso la bocca del pezzo), dando quindi al proietto un impulso rotatorio crescente.

L'otturazione della bocca da fuoco, a retrocarica, si perfeziona notevolmente, non solo per ottenere chiusura di resistenza e chiusura ermetica migliori, ma per consentire la necessaria rapidità di manovra e la sicurezza contro ogni incidente. Gli otturatori diventano perciò sempre più complessi e perfetti, ma pur nella loro complessità sanno mantenere la voluta rusticità, cioè quella caratteristica che consente ad un'arma di funzionare anche nell'ambiente del combattimento, sfavorevole a un impiego molto accurato di meccanismi e alla loro più razionale conservazione (v. otturatore). Progresso considerevole si ottiene, negli otturatori più moderni, per quanto riguarda la sicurezza e la rapidità, l'una e l'altra diventate esigenze più necessarie di prima per poter sfruttare interamente il vantaggio delle polveri infumi, che, se consentono un tiro più celere e velocità iniziali più grandi delle polveri nere, producono tuttavia pressioni molto maggiori.

La sicurezza della chiusura, appena abbozzata nelle artiglierie dalla seconda metà del sec. XIX, oggi è quasi perfetta; e ha dato origine a dispositivi d'immensa varietà, taluni ingegnosissimi, e che sono una delle caratteristiche che delle bocche da fuoco moderne fanno delle armi molto complesse, ma anche molto dispendiose. Questi congegni di sicurezza hanno anche scopi multipli. Essenzialmente essi provvedono ad evitare l'apertura accidentale dell'otturatore durante il servizio e anche durante gli spostamenti dell'artiglieria; lo sparo prematuro mentre si chiude la culatta; lo sparo fortuito durante la marcia col pezzo carico; l'apertura della culatta prima che il colpo sia partito durante il tiro celere, specialmente per eventuale ritardo d'accensione della carica.

La celerità del tiro si è gradualmente ottenuta con progressi raggiunti di pari passo negli affusti (v. affusto), nelle cariche (v. munizioni) e nei congegni e procedimenti di puntamento (v. puntamento). Cosicché la bocca da fuoco si è venuta sempre a stabilizzare da colpo a colpo nella direzione assegnatale; più docile agli spostamenti che si vogliono darle per rettificarne il puntamento o spostare il tiro, e a farsi caricare e sparare rapidamente.

Questi ultimi progressi, specialmente relativi alla celerità del tiro, si ebbero anzitutto nella marina, che, tra gli anni 1880 e 1890, prima ancora degli eserciti di terra, sentì il bisogno di tiro efficace e celere contro bersagli molto mobili (le prime torpediniere). Come pionieri su questa via meritano ricordo il Nordenfeldt, che nel 1877 costruì una grossa mitragliatrice a quattro canne di 25 mm. di calibro, per il tiro dalle navi; il Hotchkiss, che poco dopo costruì cannoni-revolver a cinque canne da 37 e da 45 mm. (il che, a differenza del calibro di 12 mm., consentiva già l'uso di proietti scoppianti); e qualche anno più tardi l'Armstrong, che applicò tali sistemi a bocche da fuoco di calibro considerevole, tanto che il Piemonte, prima fra tutte le navi da guerra, poté fin dal 1888 essere armata di cannoni a caricamento rapido da 152 mm. di calibro (che risentivano però ancora degl'inconvenienti della polvere nera). Le artiglierie terrestri, impacciate da maggiori esigenze imposte loro dalla necessità del movimento (affusti), furono meno rapide delle artiglierie navali in questa corsa verso i perfezionamenti più moderni. Finché l'adozione delle polveri senza fumo (v. esplosivi) nell'ultimo ventennio del secolo passato, eliminando molte difficoltà che ostacolavano un ulteriore progresso nella celerità del tiro (specialmente le dense nubi di fumo che impedivano per lungo tempo il puntamento del colpo successivo; e le fecce rimaste nell'anima del pezzo e nella camera di scoppio, che impedivano il rapido successivo caricamento), diedero l'ultima e decisiva spinta verso la costruzione e l'adozione, per tutti gli eserciti e per tutte le specialità, di artiglierie a tiro veramente rapido, imprimendo a queste armi la definitiva caratteristica di armi offensive di grandissima potenza.

Le guerre dei primi anni del secolo XX e specialmente quella mondiale del 1914-18 furono ragione, spinta e conclusione del diffondersi e consolidarsi dei progressi già ottenuti nelle artiglierie all'alba del secolo, ma apportarono anche nel complesso del materiale l'applicazione, e soprattutto la decisa espressione, di alcune nuove tendenze, forse destinate ad avere particolare affermazione in un prossimo avvenire. Accenneremo, nel loro insieme, alle principali tra esse.

Le recenti guerre, anzitutto, perfezionarono i metodi di costruzione e le attrezzature destinate alla rapida fabbricazione delle artiglierie; macchine potenti e genialissime furono congegnate per fabbricare entro breve tempo numerose bocche da fuoco. Inoltre, in vista del rapido consumo di queste, si adottarono nuovi sistemi di rigenerazione per rimettere a nuovo le artiglierie logore. Si mirò ad ottenere gittate sempre più grandi, superiori ai 10 chilometri per le artiglierie campali, ai 20 chilometri per quelle di medio calibro, ai 30 per le più grandi artiglierie; si tentò perfino di ottenere gittate di 100 e più chilometri. Si perfezionarono i congegni di puntamento, come richiedevano anche le maggiori gittate e i più celeri metodi di tiro. Si perfezionarono le munizioni, aumentandone nel tempo stesso l'efficacia e l'adattamento ai tiri con le più grandi gittate. Si perfezionarono gli affusti, che nei tipi campali ebbero considerevolmente aumentata la stabilità, necessaria per il tiro celere, e anche la capacità di protezione per i serventi; e si adattarono maggiormente al loro particolare compito, introducendo, fra l'altro, tipi di affusto per il tiro contro bersagli aerei. Si cercò infine di dare all'artiglieria la massima mobilità, usando largamente per le bocche da fuoco la trazione meccanica (artiglierie autoportate ed autotrainate) e la stessa trazione ferroviaria (artiglierie su affusti ferroviarî, treni corazzati).

Ma l'ultima grande guerra, con un ricorso storico raro, seppur non unico, ebbe anche, nel campo delle artiglierie, una forte reazione contro una specie di eccesso nei perfezionamenti e nella complicazione delle bocche da fuoco; e vide apparire e largamente diffondersi anche le bombarde che rappresentano tipi di artiglierie estremamente semplici, ad avancarica e senza rigatura, destinate a scopi speciali, per i quali era sufficiente questo materiale economico e di facile costruzione (v. bombarda).

Le bocche da fuoco di artiglieria. - La bocca da fuoco moderna può realmente assimilarsi a una macchina termo-chimica, o motore a scoppio sui generis, incaricata d'imprimere la massima velocità possibile a una parte della macchina stessa, la quale parte, come l'embolo di uno stantuffo senz'asta, è poi abbandonata a sé stessa e perduta dalla macchina, che a ogni nuovo colpo deve essere ripristinata con l'impiego di un nuovo proietto. Il coefficiente di rendimento di tale macchina è il rapporto fra la forza viva del proietto alla bocca del pezzo e l'energia potenziale della carica, corrispondente alla quantità del calore che essa svolge; e tale coefficiente, nonostante l'energia che si perde nei gas che escono dietro al proietto, nel rinculo, e per molte altre cause secondarie, è alquanto superiore a quello delle comuni macchine termiche, giungendo al valore del 35% (valore per l'obice da 149 mm. mod. '14). La pressione (2000-3000 atmosfere) e la temperatura alla quale lavora la macchina-cannone sono talmente grandi, che il suo consumo è rapidissimo, specialmente nei cannoni di calibro maggiore: quelli di calibro minore possono tirare 5000-10.000 colpi, i più grandi cannoni appena qualche centinaio, e i massimi calibri anche solo qualche decina.

Esaminiamo i varî elementi caratteristici delle bocche da fuoco.

Il calibro è il primo e principale indice della potenza della bocca da fuoco; è misurato dal diametro interno del tubo dell'arma (senza contare il solco della rigatura) espresso in millimetri. Gli Stati Uniti d'America e l'Inghilterra lo misurano in pollici (25,4 mm.), come pure l'Inghilterra usa ancora denominare le sue artiglierie più leggiere in libbre (una libbra - pound - eguale a 0,454 kg.), riferendosi al peso del proietto impiegato dalla rispettiva bocca da fuoco. In Italia le artiglierie si distinguono, a seconda del calibro, in artiglierie di piccolo calibro fino a 100 mm.; di medio calibro fino a 210 mm.; di grosso calibro oltre i 210 millimetri. Il minimo calibro che s'impiega è quello di 25 mm., poiché proietti più piccoli non permetterebbero un caricamento efficace. Bocche da fuoco di calibro minore rientrano nelle armi portatili (mitragliatrici, fucili da posizione, fucili e moschetti ordinarî). Calibri notevolmente superiori ai 400-450 mm. non sono più pratici, poiché le bocche da fuoco diventano eccessivamente pesanti e ingombranti, di trasporto e d'uso malagevole e di costruzione difficilissima o impossibile, anche per il fatto che dovrebbero avere una resistenza enorme per consentire considerevoli gittate a proietti che supererebbero e di molto il peso di una tonnellata; e, infine, la durata di tali gigantesche bocche da fuoco sarebbe di una brevità sproporzionata al dispendio che importerebbero.

La lunghezza della bocca da fuoco ha grande importanza come elemento che la caratterizza, specialmente per il fatto ch'essa ha considerevole influenza sulla velocità iniziale del proietto e quindi sulla gittata. Nelle bocche da fuoco più lunghe il proietto resta soggetto per maggior tempo alla forza propulsiva del gas della carica, e acquista quindi, a parità di altre condizioni, una più grande velocità iniziale; e questo vantaggio è particolarmente sentito nelle artiglierie moderne, che possono usare esplosivi fabbricati in modo che la forza di propulsione sul proietto, anziché essere, come nelle antiche polveri, assai grande in principio e poi diminuire di molto prima che il proietto sia uscito dalla bocca da fuoco, è moderata in principio, ma si mantiene considerevole per tutto il tempo (piccola frazione di minuto secondo) del percorso del proiettile nell'anima. La lunghezza della bocca da fuoco è collegata al calibro. A seconda della lunghezza dell'anima (cioè della parte cilindrica interna percorsa dal proietto), e quindi a seconda della velocità iniziale che si può ottenere, le bocche da fuoco si classificano in cannoni, se di lunghezza d'anima superiore ai 25 calibri, quindi con velocità iniziali superiori a 400 metri per secondo; obici, se di lunghezza dai 25 ai 12 calibri, e velocità tra 500 e 300 m.; mortai, se di lunghezza inferiore ai 12 calibri e velocità compresa tra 200 e 400 metri. Ragioni costruttive e di servizio limitano la lunghezza delle bocche da fuoco a circa 35 calibri per le artiglierie campali, a 40 per quelle pesanti, a 50 per quelle a istallazioni fisse (da navi, da costa, contraerei). Soltanto alcune specialissime artiglierie hanno lunghezze relativamente maggiori, e talora anche di molto, per dare ai loro proietti velocità eccezionalmente grandi. È prevedibile che in avvenire si possano costruire artiglierie molto più resistenti delle attuali, con il vantaggio, grande specialmente per i cannoni campali, di poter accorciare le bocche da fuoco, mantenendo la stessa gittata, ovvero con il vantaggio, grande per tutte le specie di artiglierie, di avere maggiori gittate a parità di lunghezza di bocca da fuoco, ma impiegando cariche più potenti. La lunghezza relativa della bocca da fuoco è tanto importante esponente della sua efficienza, che spesso, e così nell'artiglieria italiana, si usa esprimerla come denominatore di una frazione che ha il calibro stesso come numeratore. Così, p. es., "obice da 100/17" significa: obice da 100 mm. di calibro, con anima lunga 17 volte il calibro, cioè di 1,7 metri di lunghezza.

È molto importante considerare anche la struttura delle bocche da fuoco, che è molto varia da tipo a tipo, pure tendendosi, per alcuni riguardi, a uniformare i varî metodi di costruzione, come particolarmente si dirà accennando alla fabbricazione delle artiglierie. Il metallo delle bocche da fuoco, dati gli sforzi grandissimi a cui deve resistere durante lo sparo e le imprescindibili qualità che gli sono imposte, deve avere in modo spiccato le seguenti caratteristiche: resistenza elastica, resistenza alla rottura, resistenza alle corrosioni (che sono fortissime a causa delle temperature e delle pressioni dei gas dello sparo, tanto da compromettere la vita stessa della bocca da fuoco), tenacità, durezza, facile lavorazione, e costo relativamente basso, data la mole di metallo che richiedono le numerose artiglierie che armano tutti gli eserciti moderni con una proporzione in continuo aumento rispetto agli effettivi delle truppe. Il bronzo, che, specialmente per la sua facile fusione e lavorazione, fu per lungo tempo usato come metallo da artiglieria, oggi è abbandonato, e sostituito da acciai con composizione e trattamento speciali. Normalmente si preferisce usare l'acciaio al nichelio che ha una grandissima resistenza elastica, fino a 100 kg. per mmq., non trovando ancora largo impiego l'acciaio al vanadio, che avrebbe qualità ancora superiori, ma è troppo costoso. Le artiglierie moderne, salvo poche eccezioni corrispondenti ad alcune più piccole bocche da fuoco, sono costruite in più parti (bocche da fuoco composte). Il pezzo principale è formato dal tubo dell'anima - che eccezionalmente può essere formato anche di due parti - intorno al quale, e in numero maggiore dalla parte posteriore (culatta), sono disposti tubi di minore lunghezza, o manicotti, forzati gli uni sugli altri, in modo da far meglio concorrere tutta la massa del metallo alla resistenza richiesta, e nella stessa decrescente proporzione, dalla culatta alla volata, con cui decresce la pressione che esercitano i gas della carica, a mano a mano che il proietto avanza nell'anima. La fig. 1 mostra (in parte in sezione e in parte con vista di fianco) il cannone italiano da 400/50 costituito da una numerosa successione di tubi e manicotti avvolti e forzati intorno al tubo dell'anima. Si noti che le bocche da fuoco così composte devono essere costruite in modo da resistere non solo in senso radiale, ma anche in senso longitudinale (ché altrimenti la violenza del rinculo tenderebbe a distaccare la culatta).

Talora invece di una parte di cerchi o manicotti si usano avvolgimenti di nastro d'acciaio, come intorno a un grande rocchetto, e queste artiglierie, usate dapprima dagl'Inglesi, si chiamano a nastro. Il nastro, che con la sua fabbricazione alla trafila può assicurare una resistenza altissima ed uniforme del metallo, è avvolto con tensione perfettamente regolata in corrispondenza delle speciali caratteristiche che deve avere ogni strato dell'avvolgimento. Questo sistema è in difetto soltanto per la scarsa resistenza che ne deriva alla bocca da fuoco in senso longitudinale, tanto che agli avvolgimenti di nastro (il più delle volte limitati alla parte posteriore del pezzo) occorre sempre aggiungere tubi e manicotti anche a vantaggio della resistenza nel senso dell'asse. Le artiglierie più recenti spesso sono anche tubate, cioè sono costruite in modo che il cilindro interno dell'anima, dello spessore di 1-2 cm., si possa ricambiare, rimettendo a nuovo la bocca da fuoco quando si sia logorata; logoramento che si verifica essenzialmente nella parte interna, a causa dello speciale cimento cui è sottoposta.

Tutte le bocche da fuoco attualmente in servizio nell'esercito italiano sono cerchiate, meno i cannoni da montagna da 65 e da 70 mm., una parte dei cannoni da 77 mm. (alcuni dei quali sono però tubati) e gli obici da 100/17. Oggi, poi, si comincia ad applicare su larga scala anche il sistema dell'autocerchiatura, con il quale si sottopone la bocca da fuoco a una fortissima pressione interna idraulica, ottenendo così un allargamento e una deformazione permanente degli strati interni del tubo dell'anima, il quale acquista la capacità di resistere a pressioni di circa un migliaio di atmosfere in più di quelle che altrimenti potrebbero ammettersi.

Il sistema di caricamento, importante caratteristica della bocca da fuoco, interessa la parte posteriore del pezzo. Dietro l'anima, la cavità cilindrica della bocca da fuoco generalmente si allarga alquanto, formando la camera del proietto, ove questo è introdotto per lo sparo, e la camera della carica, che contiene la carica di lancio, chiusa posteriormente dal congegno otturatore. La forma delle due camere suddette ha particolare importanza, poiche esse devono opportunamente avviare il proietto senza pericolosi sbattimenti nel suo rapido e tormentato tragitto entro l'anima, e perché devono anche assicurare le migliori condizioni iniziali dell'azione lanciante dei gas della carica. Gli attuali profili delle camere sono stati adottati dopo diligenti studî teorici e sperimentali, e risolvono ora abbastanza perfettamente il complesso problema. Le figg. 2 e 3 dànno due esempî di cameratura. La fig. 2 rappresenta una camera per proietto a due corone di forzamento (v. munizioni) praticata nel cannone da 152/45; la volata risulterebbe a destra e l'otturatore a sinistra della figura; le doppie linee in corrispondenza del corpo del proietto rappresentano la rigatura dell'anima nella quale, al momento dello sparo, si va a impegnare la doppia corona di forzamento che risulta gradualmente e facilmente intagliata dai piani di raccordo delle righe. La fig. 3 rappresenta invece un'anima di bocca da fuoco nella quale manca la camera del proietto; questo presenta, in ogiva, una corona (ingrossamento) di centramento a semplice contrasto delle righe, senza che s'impegni in esse, mentre al forzamento provvede soltanto la corona posteriore che, nel caricamento, va ad arrestarsi contro l'origine della rigatura.

Per i congegni di chiusura - detti otturatori - delle bocche da fuoco a retrocarica, v. otturatore. La retrocarica, ad eccezione di qualche bombarda (v. bombarda), si è imposta in tutte le artiglierie, perché consente il forzamento e il centramento del proietto, assicurandone la perfetta rotazione sotto la guida delle righe, permettendo il migliore impiego della carica di lancio; consente un caricamento comodo e sollecito e quindi un tiro celere; offre una migliore protezione ai serventi (che altrimenti dovrebbero manovrare presso la volata del pezzo); permette d'ispezionare facilmente l'anima del pezzo, e facilita anche la costruzione della bocca da fuoco. La retrocarica esige però la chiusura robusta ed ermetica della culatta, nonostante lo sviluppo di enormi pressioni. Le difficoltà incontrate per ottenere una buona chiusura ermetica ritardarono alquanto il generalizzarsi della retrocarica, per quanto questa fosse conosciuta e applicata fin dal tempo delle prime artiglierie.

La rigatura, caratteristica di tutte le artiglierie moderne, è direttamente ricavata nel metallo dell'anima, ed è formata da numerose righe (solchi) profonde all'incirca 1/100 del valore del calibro, a fondo concentrico all'asse dell'anima, separate da pieni generalmente larghi più di 2 millimetri. Le righe si avvolgono a spirale a destra o a sinistra, e possono essere o ad andamento (passo) uniforme, e allora si dicono elicoidali, o con inclinazioni sempre più accentuate (con passo della spira sempre più piccolo), e allora si dicono progressive. Talora il solco si restringe leggermente procedendo verso la volata, per meglio assicurare la tenuta della corona del proietto. Oggi è preferita la rigatura elicoidale, mentre in passato quella progressiva aveva incontrato un certo favore. L'inclinazione delle righe (rispetto all'asse del pezzo) varia da circa 4° a circa 12°, a seconda delle bocche da fuoco; è minore per i cannoni e maggiore per i mortai. La tendenza odierna è di aumentare l'inclinazione delle righe per ottenere maggiori velocità di rotazione del proietto, il che è richiesto dall'imporsi di velocità iniziali sempre crescenti e quindi dalla necessità di assicurare con una più rapida rotazione la stabilità del proietto stesso sulla traiettoria. Per rispetto a tale tendenza cominciano anzi a dimostrarsi insufficienti le corone di rame dei proietti; al che si pone riparo impiegando metalli più duri, o anche con altri mezzi (v. munizioni).

Altro elemento caratteristico molto importante per una bocca da fuoco è il suo peso, che ha influenza non solo sul trasporto delle artiglierie, ma anche sulla resistenza dell'affusto allo sparo, quando, per una fondamentale legge di meccanica, in senso opposto al lancio del proiettile si produce una quantità di moto (peso moltiplicato per velocità) eguale alla quantità di moto del proietto al momento dell'uscita dalla bocca da fuoco. A parità di peso del proietto e di velocità iniziale, la bocca da fuoco al momento dello sparo tormenta tanto meno l'affusto, quanto più essa è pesante, poiché in tale caso assorbe essa stessa una maggior quantità di forza viva di rinculo, che nelle artiglierie moderne è grandissima. Pertanto converrebbe, per un verso, che le artiglierie mobili, e specialmente le più piccole campali, avessero bocche da fuoco relativamente pesanti; mentre, per un altro verso, la facilità di movimento che queste artiglierie debbono avere impedisce di superare certi limiti di peso nella bocca da fuoco. Le artiglierie a istallazione fissa, e specialmente le navali, possono essere invece molto leggiere, relativamente al calibro, poiché i loro supporti e affusti possono essere facilmente costruiti in modo da resistere a fortissimi tormenti di rinculo. Perciò, soprattutto nelle artiglierie campali, si cerca di giungere a un giusto compromesso tra le due opposte esigenze, il che è reso abbastanza agevole dalle risorse della tecnica moderna (v. affusto). Il peso delle bocche da fuoco moderne, senza affusto, varia da un minimo di un centinaio di chilogrammi per le artiglierie da montagna, non scomponibili, e anche meno in alcune piccolissime artiglierie (calibri 57, 42, 37 mm.), fino ad un massimo di 80 e più tonnellate nelle più grandi artiglierie (da posizione e navali). Le più numerose artiglierie terrestri sono però comprese presso tutti gli eserciti tra calibri di 70 e 150 mm. e pesi da 200 a 1000 chilogrammi.

A seconda del loro impiego, le artiglierie terrestri si suddividono in specialità, di cui le principali sono: artiglieria da montagna, artiglieria da campagna, artiglieria pesante campale, artiglieria pesante, artiglierie speciali, tra le quali va annoverata l'artiglieria contro aerei che con il crescente sviluppo dell'aeronautica avrà funzione sempre più importante non solo a protezione delle truppe combattenti e delle difese e organizzazioni di prima linea, ma a difesa di opere nell'interno del paese e degli stessi luoghi abitati compresi nella larghissima possibile zona d'azione dell'aeronautica avversaria.

Accenneremo infine ad alcune bocche da fuoco speciali ideate poco prima o durante la guerra del 1914-1918, o subito dopo, e che, pur non trovando ancora larga applicazione, sono esponenti di tendenze con possibili applicazioni nell'avvenire.

Bocche da fuoco scomponibili. - Per evitare gl'inconvenienti di un eccessivo aumento di pesi unitarî, si è tentato di costruire la bocca da fuoco formandola in più parti, pur assicurando la perfetta tenuta dei gas, la necessaria resistenza del pezzo e la perfetta continuità della rigatura. Nel 1912 furono sperimentati in Italia due tipi di obici (da 100/12 e da 105/12) di modello germanico, per artiglieria da montagna, ciascuno costituito da un blocco di culatta e dalla volata riuniti mediante avvitature interrotte; la perfetta chiusura nella parte di giunzione era assicurata dallo stesso bossolo metallico; tali artiglierie non furono però adottate. Anche altri eserciti fecero tentativi di applicazione di bocche da fuoco scomponibili, ma con risultati finali poco soddisfacenti.

Artiglierie con freno da bocca. - Si applica in esse il criterio di sfruttare l'eccedenza di energia posseduta dai gas che sfuggono dall'anima dietro al proiettile e che posseggono una considerevole forza viva, un'alta temperatura e una pressione rilevante, tanto da potere, opportunamente diretti, opporre una forte resistenza al movimento di rinculo (per cui questo ritrovato interessa molto anche l'affusto). Il principio non è nuovo, poiché prima della guerra è stato usato per qualche mitragliatrice, ma la sua applicazione alle bocche da fuoco si è avuta soltanto durante e dopo la guerra del 1914-1918. Il freno da bocca è costituito da un grosso blocco d'acciaio a forma d'imbuto, avvitato alla volata del pezzo, con un largo foro assiale per il passaggio del proietto ed altri fori sfogatoi ripiegati esternamente e con accenno all'indietro. I gas che seguono il proiettile, appena giunti nella cavità a imbuto, si espandono e sfuggono per gli sfogatoi laterali, contrastando il rinculo del pezzo (v. fig. 4). L'efficacia di questo apparecchio dipende essenzialmente dalla forma dei suoi fori; e si può giungere a ridurre il rinculo fino al 60%. Si potrebbero così, assai vantaggiosamente, ottenere affusti più leggieri a parità di bocca da fuoco, ovvero con gli stessi affusti adottare bocche da fuoco più potenti. Ma un ostacolo ad una larga applicazione del sistema è dato dal gran peso che richiede il blocco del freno per essere resistente a sufficienza, tanto che esso tende ad incurvare la bocca da fuoco nel cimento dello sparo, date le vibrazioni del pezzo e l'inerzia della massa del freno.

Bocche da fuoco a due calibri. - Si è fatto un tentativo in questo senso, con un obice da 120 mm. entro il quale si poteva introdurre (o dal quale si poteva togliere, a volontà) un tubo, costituente col suo interno un'anima da 75 mm., così da trasformare l'obice in un cannone di minor calibro, in modo da poter eseguire con la stessa bocca da fuoco tiri diversi a seconda delle circostanze. Il tubo di calibro minore, quando non era investito in quello di calibro maggiore, era fissato su questo. Per difficoltà costruttive e d'uso il sistema non ha trovato ancora larga applicazione.

Turbo-cannone. - In questa bocca da fuoco il proietto non è spinto, come di solito avviene, dalla pressione deí gas della carica, ma è trascinato (soffiato) dalla grande forza viva di cui è animato il gas. Il sistema, che si chiama turbo-cannone per analogia al funzionamento delle turbine a vapore, è un ritrovato dell'ingegnere francese Delamare, che lo ha sperimentato, su modelli di costruzione provvisoria di calibro campale, presso varî eserciti d'Europa. Il cannone (fig. 5) ha una camera di carica relativamente grande, che termina in avanti con una strozzatura affacciata in prossimità del fondello del proietto, mentre lateralmente si aprono degli sfogatoi rivolti all'indietro. I gas della carica si spingono verso il proietto con grande velocità, resa molto più grande dall'accennata strozzatura, cosi che il proietto, come investito da un violento bombardamento di particelle gassose, è spinto in avanti, mentre una parte dei gas stessi sfugge intorno al proietto, che non è forzato nell'anima, e una parte anche maggiore sfugge all'indietro per gli sfogatoi laterali, diminuendo e quasi annullando il rinculo per un'azione che assomiglia a quella del freno da bocca sopraccennato. Con questo sistema si tenderebbe a giungere al vantaggio di piccole pressioni interne e quindi di bocche da fuoco leggiere, di grandi velocità iniziali, di soppressione di rigatura e di rinculo, e quindi ad affusti leggerissimi. Alcune prove fatte nel 1921-1922 hanno dato risultati incerti, velocità iniziali considerevoli (verso i 1000 m/s), ma alquanto irregolari, da cui deriva anche irregolarità di tiro. Per di più, poi, con questo sistema si ha un grande consumo di esplosivo per le forti cariche di lancio che il turbo-cannone richiederebbe.

Supercannone. - I Tedeschi, alla fine della recente guerra (1917-1918), idearono, costruirono e usarono bocche da fuoco destinate a tiri a grandissima distanza, specialmente in vista degli effetti morali che tali tiri potevano ottenere, se diretti contro importanti centri abitati (Parigi). La gittata di 100 e anche più km. era ottenuta facendo percorrere ai proietti la maggior parte della traiettoria a grandi altezze, ove la resistenza dell'aria, che, quando è densa, è potente freno al movimento, è piccolissima (a 18.000 metri sul livello del mare la pressione atmosferica si riduce a circa 1/10 e a 30.000 m. a circa 1/40), tanto che il proietto si muove quasi con la speditezza che avrebbe nel vuoto. Per effettuare tali condizioni, occorrono cannoni che con grandi angoli di tiro possano lanciare proietti di grande efficacia con fortissime velocità iniziali. I Tedeschi allestirono una prima tale bocca da fuoco (la "grande Berta") con un cannone da 381 mm., introducendo in esso un tubo rigato del calibro di 120 mm. lungo circa 30 metri, prolungato da un altro tubo liscio di circa 6 metri, ottenendo così un cannone dell'enorme lunghezza relativa di circa 170 calibri; il quale, specialmente in virtù di tale eccezionale lunghezza, consentiva di lanciare con la velocità di 1500-1600 m/s un proietto di circa 120 chilogrammi. Anche altre nazioni tentarono costruzioni di questo genere, che col finire della guerra furono però abbandonate, essendo molto costose, ingombranti e di difficile istallazione. Le guerre future probabilmente vedranno di nuovo queste artiglierie di proporzioni superlative, ma sempre in numero assai limitato e ridotte a usi specialissimi, seppure un più largo e perfezionato uso dell'aviazione da bombardamento non le condannerà del tutto come armi economicamente poco redditizie.

Costruzione delle bocche da fuoco. - Per le bocche da fuoco odierne la fabbricazione passa generalmente per le seguenti fasi: fusione e preparazione dei varî elementi; composizione e cerchiatura della bocca da fuoco o autoforzamento; lavorazione della bocca da fuoco; operazioni di rifinitura. Accenneremo molto sommariamente a queste varie fasi.

Il metallo usato per la fusione è sempre acciaio fuso (al crogiuolo o al forno elettrico o al forno Martin o Pernot). Fuso il metallo, è colato in lingottiere disposte verticalmente con la parte bassa corrispondente alla culatta. Il lingotto, raffreddato, viene ridotto di lunghezza con l'asportare da esso le estremità (materozza e piede) che contengono la parte più impura del metallo, ed è poi fucinato, per dargli forma più conveniente e migliore struttura di metallo. Pertanto il lingotto è nuovamente riscaldato (a 700°-1000°) e quindi compresso e battuto da grandi presse idrauliche (le officine Ansaldo ne hanno una di 15.000 tonnellate). Con la fucinatura il lingotto è allungato e ridotto ad una forma prossima a quella che deve avere la bocca da fuoco (e allora si chiama massello). Dopo fucinato, il massello è ricotto (a 1100°), intero o trapanato, quando si tratti di grosse artiglierie, e, dopo lento raffreddamento, si prelevano alle sue estremità dei campioni di metallo (saggi avanti tempera), che, sottoposti ad esame meccanico e metallografico, fanno riconoscere le qualità del metallo e indicano le modalità da adottare per la successiva tempera. In seguito il massello è trapanato e tornito, e quindi temperato (per dare al metallo le necessarie definitive caratteristiche di durezza e resistenza) con preventivo riscaldamento in forno verticale a gas e successiva immersione in un gran pozzo pieno di olio di lino a temperatura dell'ambiente. Dopo la tempera, il massello è collaudato per verificare se il tubo è rimasto ben diritto, e, con nuovo prelevamento di campioni alle sue estremità, si esaminano le qualità definitive del metallo. In modo analogo si lavorano i cerchi e gli anelli necessarî alle bocche da fuoco, se queste sono composte di più elementi.

I varî elementi sono esattissimamente misurati nelle loro varie dimensioni e, se è necessario, corretti, in modo da assicurare fino al decimo di millimetro ed anche a meno il perfetto gioco dei varî forzamenti a bocca da fuoco composta. Quindi essi sono riscaldati in forni verticali o ordinarî a circa 300°, misurandone la dilatazione radiale, che deve esser tale da assicurare un'eccedenza da uno a dieci decimi di mm. (a seconda della bocca da fuoco) tra le facce esterne e interne che debbono rispettivamente investirsi l'una sull'altra. Quindi gli anelli o i manicotti, mantenuti caldi con fiammelle a gas, s' investono successivamente sulla bocca da fuoco mantenuta fredda, ben fissa a terra (o in un pozzo se è molto lunga), perfettamente verticale. Le bocche da fuoco monoblocche che debbono essere autoforzate (cioè allargate a forza dall'interno, anziché cerchiate), appena sbozzate e con diametro interno minore di quello definitivo, sono sottoposte ad una pressione idraulica fortissima (circa 10.000 atmosfere), chiudendone le estremità con grosse piastre riunite tra loro per mezzo di robusti tiranti. Nelle bocche da fuoco lunghe, questo trattamento si fa successivamente, commisurando nei varî tratti la pressione ai requisiti di resistenza che il pezzo deve avere in corrispondenza delle varie zone. La pressione più alta si raggiunge a più riprese, per meglio assicurare l'assestamento definitivo del metallo. La deformazione massima che si deve raggiungere è misurata all'esterno della bocca da fuoco con misuratori idraulici, moltiplicatori e segnalatori automatici, che illuminano lampadine o fanno sonare campanelli elettrici al momento opportuno.

La lavorazione delle bocche da fuoco comprende varie operazioni: lisciatura e cameratura, per portare il calibro al giusto valore e praticare le camere (della carica e del proietto) verso la culatta. Si pratica l'apertura per l'otturatore a cuneo o a vitone. Si riga l'anima, disponendo la bocca da fuoco orizzontalmente e facendovi scorrere nell'interno, perfettamente centrata, un'asta portante una testa a rigare, la quale, nel suo movimento di andirivieni nell'interno del pezzo, da un capo all'altro, ruota lentamente, in modo che la rigatura, fatta dai coltelli della testa, risulti elicoidale. I coltelli lavorano soltanto nell'andata (dalla bocca verso la culatta) e non al ritorno, quando automaticamente rientrano nella testa. Si tracciano due o quattro righe per volta, diametralmente opposte, e pochissimo profonde, quindi si fa rotare la bocca da fuoco e si tracciano altre righe, si torna poi a scavarle tutte con lenta progressione, rappresentata da circa 1/10 di millimetro per volta.

Finalmente si eseguono le ultime operazioni per la costruzione definitiva della bocca da fuoco, che consistono essenzialmente nelle seguenti: adattamento del congegno di chiusura; rifinitura delle forme esterne, anche per l'applicazione di talloni, supporti, bottoni, ganci e anelli; ricavo del piano del quadrante, di fori, d'incisioni, d'iscrizioni, ecc.; e, infine, opportuna verniciatura di alcune superficie esterne.

Le bocche da fuoco odierne e le loro parti accessorie (otturatori, ecc.), durante le varie fasi della lavorazione e alla fine della costruzione, subiscono una lunga serie di collaudi e di prove, compresa quella della intercambiabilità di alcune parti, in modo da garantire, sotto ogni riguardo, il buon risultato della laboriosa e costosa fabbricazione. L'ultima prova è quella dello sparo, che si fa normalmente tirando tre coppie di colpi con la carica massima tra quelle che l'artiglieria è destinata a usare. Le bocche da fuoco accettate si bollano al punzone e s' immatricolano; le rifiutate si rompono.

Bibl.: G. Ellena, Corso di materiale d'artiglieria, Torino 1872-84, voll. 3, opera classica, ancora meritevole della più ampia consultazione; E. Bravetta, L'artiglieria e le sue meraviglie, Milano 1919; opera ricca di dati e di belle illustrazioni; Manganoni, Armi da fuoco, testo completo e modernissimo accompagnato da numerose tavole di figure, litografate a cura dell'Accademia d'artiglieria e genio di Torino ed ora in corso di stampa a Torino; Gascouin, L'évolution de l'artillerie pendant la guerre, Parigi 1920; Herr, L'artillerie, Parigi 1925. Tutto ciò che tratta il materiale d'artiglieria ed in particolare modo le bocche da fuoco, dal punto di vista della costruzione, del servizio e dell'uso, è largamente considerato in speciali pubblicazioni periodiche, di cui citeremo le più importanti: Rivista di artiglieria e genio, iniziata nel 1861: si pubblica a Roma in fascicoli mensili, Revuc d'artillerie, pubblicazione francese analoga alla precedente, anch'essa importantissima: si pubblica a Parigi in fascicoli mensili. Altre corrispondenti pubblicazioni estere sono: Militärwissenschaftliche und technische Mitteilungen (Vienna); Artilleristische Rundschau (Berlino). Vedi inoltre C. Cranz, Lehrbuch der Ballistik, Lipsia 1910; E. Buat, L'artillerie de campagne. Son histoire, son évolution et son état actuel, Parigi 1910; H. A. Bethell, Modern Artillery in the Field, Londra-New York 1911; id., Modern Guns and Gunnery, Londra 1910; E. Girardin, Leçons d'artillerie, 4ª ed., Parigi 1913; Mayer, Zur Neuentwickelung der Artillerie, Berlino 1913; F. Wille, Wiederholungsbuch der Waffenlehre, Berlino 1914; G. Madaschi, Nozioni generali sul materiale d'artiglieria, Torino 1915; id., Sunto descrittivo del materiale d'artiglieria, Torino 1916; S. Hodgson, Trilingual artillery dictionary, Londra 1918; L. Jacob, Résistence et construction des bouches à feu, voll. 2, Parigi 1920; A. Juliani y Negrotto, Balística experimental y aplicada, voll. 2, Madrid 1921; Matériels allemands et autrichiens à grande puissance, Parigi 1921; Comando delle Scuole centrali militari, Materiali di fanteria e d'artiglieria, Roma 1923; Serrano Jiménez, Fabricación de artillería y municiones, Madrid 1924.

Il tiro delle artiglierie terrestri. - Il tiro d'artiglieria si può considerare come l'applicazione pratica delle leggi della balistica per il lancio di proietti su bersagli mobili o immobili situati sul terreno, sul mare o nello spazio. Da ciò i varî generi di tiro, che possono essere classificati nel modo seguente:

tiro delle artiglierie campali; tiro da costa; tiro contro aerei; tiro navale.

Come preparazione al tiro, occorre in precedenza studiare il puntamento delle bocche da fuoco, retto da leggi geometriche e balistiche. Puntare una bocca da fuoco significa disporla in modo che, sparando, la traiettoria media passi per il segno (segno per bersaglio). Mirare ad un punto con una bocca da fuoco significa disporla in modo che la linea di mira, fissa su di essa, ad una data posizione passi per quel punto. Puntare in direzione significa disporre il piano di tiro in modo che esso faccia col piano verticale contenente la linea di sito l'angolo dovuto. Dare l'inclinazione significa far assumere all'asse della bocca da fuoco il voluto angolo con l'orizzonte.

Il puntamento si dice diretto quando viene eseguito mirando al segno, se questo è visibile dalla batteria, e indiretto, quando si mira ad un punto differente dal segno, detto falso scopo. Questo può essere un punto ben distinto del terreno, oppure un disco, un paletto (detto palina) o altro oggetto simile che si dispone in un conveniente punto del terreno.

Per eseguire il puntamento diretto, si fa segnare sul congegno di mira, posto a sinistra e vicino alla culatta del pezzo, l'elevazione e lo scostamento relativi alla distanza del segno. Questi dati si ricavano dalla tavola di tiro, apportando ad essi le correzioni dovute alle variazioni atmosferiche, alla temperatura, allo stato igrometrico, al vento e ad altri fattori variabili. Se si muove la bocca da fuoco così preparata in modo che la linea di mira vada al segno, la linea di mira stessa formerà con l'orizzonte un angolo uguale all'angolo di sito, l'inclinazione assunta dall'asse della bocca da fuoco risulterà uguale alla somma algebrica dell'elevazione e dell'angolo di sito del segno, e il pezzo risulterà puntato. Il puntamento diretto di una batteria può essere eseguito mirando sia con tutti i pezzi ad uno stesso segno, sia con ciascun pezzo ad un segno diverso, sempre col criterio di avere una buona distribuzione del fuoco.

Per il puntamento indiretto occorrono due operazioni distinte: dare l'inclinazione e dare la direzione.

L'inclinazione si dà sempre per mezzo del livello, sia che questo faccia parte del congegno di mira, sia che si adoperi il solo quadrante a livello. Tale operazione, quando la bocca da fuoco è stata in precedenza disposta in giusta direzione, equivale evidentemente a dirigere la linea di mira al segno. Quindi, se l'asse della bocca da fuoco, graduando l'asse del congegno di mira precisamente come nel puntamento diretto, è stato disposto in modo da formare con la linea di mira l'angolo di elevazione voluto, esso assumerà, rispetto all'orizzonte, l'inclinazione α ± ε, cioè la bocca da fuoco sarà puntata (v. balistica).

Del tiro occorre studiare le irregolarità e le loro cause. Infatti noi osserviamo che in più colpi successivi, eseguiti con una stessa bocca da fuoco contro un determinato bersaglio, adoperando sempre lo stesso alzo e dirigendo il puntamento sempre allo stesso punto, ciascun proietto descrive nell'aria una traiettoria diversa dalle altre, e perciò colpisce il bersaglio in un punto differente dagli altri. L'insieme di queste traiettorie costituisce il fascio delle traiettorie corrispondenti all'alzo impiegato; questo fascio, in un tiro di molti colpi, assume la forma di un cono ricurvo col vertice alla bocca del pezzo. Le cause che fanno variare le traiettorie da colpo a colpo, producendo irregolarità nel tiro, si possono dividere in tre categorie, secondo che dipendono dalla bocca da fuoco, dalle munizioni e dalle condizioni atmosferiche. Alla prima categoria appartengono le irregolarítà dovute al rinculo e alle vibrazioni della bocca da fuoco, al riscaldamento di questa e allo stato di lubrificazione e di pulizia dell'anima. Alla seconda categoria le variazioni di peso del proietto e quelle dovute alla differenza di omogeneità e di simmetria, nonché di densità trasversale; alle variazioni del peso della carica, della densità di caricamento, dello stato di conservazione, della temperatura e della velocità di combustione. Alla terza categoria appartengono le variazioni atmosferiche dovute alla temperatura, allo stato igrometrico, alla pressione, alla densità dell'aria e al vento.

Tutto il fascio di traiettorie di una stessa bocca da fuoco che incontra un piano dà origine ad un insieme di punti detto rosa di tiro. I punti della rosa sono irregolarmente disposti, però tendono a raggrupparsi verso la parte centrale della rosa e a situarsi con una determinata legge a misura che cresce il numero dei punti; se questo è molto grande, la rosa tende a divenire regolare e simmetrica rispetto a due assi normali fra loro. Il punto d'intersezione C di questi due assi si chiama centro della rosa o centro dei tiri.

La traiettoria che passa per il centro della rosa, e che rappresenta la traiettoria centrale, è detta traiettoria media. Il fascio delle traiettorie può essere intersecato con infiniti piani perpendicolari al piano di tiro e passanti per uno stesso punto della traiettoria media; quindi, variando l'inclinazione del piano sulla tangente alla traiettoria nel punto considerato, si ottengono infinite rose di dimensioni diverse.

Le rose che ordinariamente si considerano sono quelle determinate sul piano verticale, sul piano orizzontale e sul piano normale alla tangente; esse sono rispettivamente dette rosa verticale, rosa orizzontale, rosa normale. La forma delle rose di tiro risulta evidente dalla considerazione che il fascio può ritenersi un cono ricurvo, le cui generatrici esterne sono delle traiettorie. La rosa verticale e quella normale hanno forma quasi circolare alle brevi distanze, ed ellittica, con l'asse maggiore nel piano di tiro, alle medie e grandi distanze; la rosa di tiro orizzontale ha sempre forma ellittica. Se immaginiamo la rosa sul piano verticale T (figura 8) e circoscriviamo ad essa un rettangolo i cui lati b e d siano orizzontali ed e ed f verticali, questi lati rappresentano le dimensioni della rosa verticale, e prendono rispettivamente il nome di larghezza (b) e altezza (e) della rosa verticale.

Considerando analogamente la rosa sul piano orizzontale T′, i lati d′ e b′, e′ ed f′ del rettangolo che la circoscrive prendono rispettivamente il nome di larghezza (b′) e profondità (e′) della rosa orizzontale. Nei problemi di tiro si considerano generalmente solo le rose verticali e orizzontali; la larghezza delle due rose si può ritenere la stessa. Se chiamiamo a l'altezza della rosa verticale e p la profondità della rosa orizzontale, queste quantità sono legate dalla relazione

dove ω è l'angolo di caduta della traiettoria media del fascio.

In una rosa verticale di tiro (fig. 9), la distanza l di un punto M1 della rosa dall'asse verticale si dice deviazione laterale del punto M1; la distanza a di M1 dall'asse orizzontale si dice deviazione verticale del punto M1; la distanza r di M1 dal centro della rosa si dice deviazione assoluta del punto M1. La massima deviazione verticale, cioè la metà altezza della rosa verticale, si dice dispersione verticale del tiro: la massima deviazione laterale, cioè la metà larghezza della zona, si dice dispersione laterale del tiro; la massima deviazione longitudinale, cioè la metà della profondità della rosa orizzontale, si dice dispersione longitudinale del tiro.

Il valore delle dispersioni non permette di far apprezzare esattamente la precisione del tiro, poiché, trattandosi in pratica di rose determinate con un limitato numero di colpi, i punti più lontani dal centro hanno deviazioni irregolari, e quindi pochi colpi sensibilmente irregolari possono dare alla rosa una dimensione esagerata, in relazione al raggruppamento effettivo di tutti gli altri colpi; perciò conviene considerare le dimensioni delle strisce del 50% dei colpi, dette anche impropriamente strisce di giustezza.

Indicando con F′ l'altezza della striscia verticale e con F la profondità della striscia orizzontale, tra queste esiste la relazione

La teoria generale sulla probabilità degli avvenimenti si può applicare alla probabilità degli errori nel tiro, poiché gli errori, in tal caso, sono le deviazioni dei colpi; anzi la natura geometrica delle deviazioni permette uno studio più semplice e più chiaro di quello degli errori in generale. Le deviazioni dal centro del tiro sono dovute alle variazioni che, anche a parità di condizioni, possono subire i parametri della traiettoria ad ogni colpo. Queste variazioni sono le cause delle deviazioni, ma, per poter applicare i principî del calcolo delle probabilità, è necessario che la loro azione sia fortuita e possa intervenire in tutti i colpi in grado maggiore o minore, agendo indifferentemente in ogni senso, cioè è necessario che le deviazioni siano puramente accidentali. Per applicare il calcolo delle probabilità al tiro, si premette che per le artiglierie il tiro è centrato, quando il centro della rosa dei tiri coincide col centro del bersaglio.

La media aritmetica delle deviazioni si chiama deviazione media k. Il valore assoluto della deviazione a cui corrisponde la probabilità 1/2, cioè del 50%, chiamasi deviazione probabile, e s'indica con f. La profondità della striscia orizzontale contenente il 50% dei colpi s'indica con F. La larghezza in metri della striscia, sia orizzontale, sia verticale, contenente il 50% dei colpi, s'indica con E. L'altezza in metri della striscia verticale del 50% s'indica con F′. I valori delle dimensioni delle strisce del 50% dei colpi sono elencati per ciascuna tavola di tiro in corrispondenza delle varie distanze di tiro. La dimensione della rosa corrisponde a quattro volte le dimensioni della corrispondente striscia del 50%. Una striscia centrata, se doppia di quella del 50%, contiene l'82% dei colpi; se tripla, il 96%; se quadrupla, contiene tutti i colpi.

Tiro dell'artiglieria campale. - L'esecuzione pratica del tiro in generale richiede pure una condotta del fuoco, cioè norme da seguirsi durante il tiro, perché le leggi della balistica e del calcolo delle probabilità siano applicate col maggior rendimento. Una delle prime operazioni della condotta del fuoco è la determinazione della distanza, e il modo più semplice per la conoscenza di essa, quantunque sia il meno esatto, è la stima a vista. Altro metodo consiste nel dedurla da una carta topografica, nella quale si è segnata la posizione della batteria e quella del bersaglio. Un altro metodo semplice e spedito per individuare un bersaglio sulla carta è quello di riferire la sua posizione alle accidentalità topografiche del terreno. Quando ciò non è possibile, o non è sufficiente, si può individuarlo con molta esattezza per intersezione, misurando, da due osservatorî laterali abbastanza distanti fra loro, gli angoli azimutali da un caposaldo. Nel caso di terreno ondulato, basterà misurare, da un unico osservatorio, un angolo azimutale e l'angolo di sito, e, servendosi dell'abbaco per profilamenti, individuare il bersaglio sulla carta. La distanza, infine, può essere misurata mediante un telemetro monostatico, e si può anche dedurla con facile calcolo dalle misure di angoli da due osservatorî, o anche da uno solo. Determinata la distanza topografica del bersaglio, si apportano ad essa le correzioni dovute alle condizioni già accennate del momento, e si ha così la distanza fittizia o corretta, in corrispondenza della quale si hanno i dati occorrenti per iniziare il tiro. Nonostante le correzioni preventive fatte, è poco probabile che il primo colpo vada sul bersaglio; perciò, basandosi sulle deviazioni dei punti di arrivo dei successivi colpi, si apportano ulteriori correzioni; da ciò appare la necessità dell'osservazione dei colpi, poiché un tiro senza osservazione ha effetto quasi nullo.

L'osservazione dei risultati del tiro dà il mezzo per passare dal valore della distanza fittizia, dedotto dalle tavole di tiro, ad altri valori più approssimati, sino ad ottenere l'approssimazione che, dato lo scopo del tiro, è necessario raggiungere. Ordinariamente l'osservazione dà solamente il senso delle deviazioni in gittata.

Le regole per la condotta del fuoco sono basate sui principî fondamentali del calcolo delle probabilità, e adattate alle particolari esigenze del tiro da eseguire; cioè bisogna ricercare quel procedimento generale per ottenere la distanza con la massima approssimazione consentita dal mezzo impiegato e col minimo consumo di tempo e di munizioni.

Infatti, sparando il primo colpo con alzo o elevazione corrispondente ad una distanza fittizia o corretta, per quanta cura si abbia nel determinare le correzioni iniziali, si avrà sempre un colpo lungo o corto rispetto al bersaglio, eccezionalmente su questo. In considerazione che la determinazione della distanza col cannone si fa con la forcella (cioè con colpi a cavallo del bersaglio), l'ampiezza di questa, cioè l'entità della correzione da apportare, dipende dall'approssimazione con la quale questa distanza fu determinata, dall'abilità del misuratore e dalla bontà dei mezzi adoperati. Questi criterî e la pratica del tiro determinano l'apertura più conveniente della prima forcella. L'apertura di questa dipenderà dalla precisione della bocca da fuoco. Col calcolo delle probabilità si dimostra che, quando la forcella semplice è di quattro strisce, la probabilità che il segno si trovi entro i limiti della forcella è di 0,862, cioè abbastanza grande. Quindi la prima forcella entro cui dovrebbe trovarsi il bersaglio dev'essere dell'ampiezza di quattro strisce.

Ottenuta così una prima forcella, il valore più probabile della distanza è la media aritmetica dei due limiti della forcella; perciò facendo un colpo a quella distanza, cioè dimezzando la forcella, si prosegue fino ad ottenere un'ultima forcella di ampiezza conveniente, secondo la profondità del bersaglio. Quando l'ultima forcella è dell'ampiezza di due strisce, la probabilità che la distanza vera sia compresa nei limiti della forcella è un poco maggiore di 0,7, mentre tale probabilità è minore di 1/2, se l'ultima forcella è di una striscia.

Eseguito il controllo dell'ultima forcella, si parte dal punto medio di questa per l'ulteriore prosecuzione del tiro; l'entità delle correzioni va quindi diminuendo, e quanto più piccola è la correzione, tanto maggiore deve essere il numero dei colpi sui quali essa deve essere basata. Perciò le ultime correzioni sono basate sull'osservazione non più di un colpo isolato, ma di un gruppo di colpi che costituisce il gruppo di aggiustamento. Dalla formula ottenuta conviene cercare di vedere a quale dei due limiti è più vicina la distanza che si cerca, e ciò si ottiene apportando le correzioni di una striscia (in più o in meno). Il calcolo delle probabilità insegna che la correzione di una striscia deve essere basata sull'osservazione di almeno quattro colpi con i dati medî dell'ultima forcella; la correzione di una striscia sarà opportuna, se tutti i quattro colpi risultano dalla stessa parte del segno, ossia tutti lunghi o tutti corti.

Appena si hanno due colpi lunghi o due corti, si può ottenere l'aggiustamento del tiro raggiunto. La regola dice due o quattro colpi, perché, se con i primi due colpi se ne avesse uno lungo e l'altro corto, l'aggiustamento del tiro sarebbe pure raggiunto. Per l'esecuzione del tiro, misurata e corretta, come si è detto, la distanza del bersaglio, si desume l'alzo e si apporta a questo la correzione relativa dell'angolo di sito, se questo è rilevante, e si ha l'angolo di elevazione col quale iniziare il tiro; in corrispondenza a questo, si ricava dalla tavola di tiro lo scostamento. Questo metodo è seguito in generale dalle artiglierie dette pesanti, le quali, per la maggiore efficacia del colpo isolato e per la limitata rapidità di caricamento e talvolta di puntamento, possono e debbono eseguire un tiro relativamente lento, condotto con ponderazione e giusto criterio, in modo da risultar esatto ed efficace. I bersagli di queste artiglierie sono in generale bersagli resistenti, ed eccezionalmente bersagli animati, posti a distanze tali da non poter essere raggiunti e battuti dalle artiglierie leggiere. Contro i primi si usano granate con la massima carica consentita dagli eventuali ostacoli frapposti fra batteria e bersaglio, contro i secondi granate a tempo o shrapnel.

Per le artiglierie leggiere da campagna, caratterizzate dal piccolo calibro, cioè dalla limitata efficacia del proietto e dalla grande rapidità di tiro, si possono variare alquanto le norme generali, perché si tende a supplire, col grande numero di proietti lanciati in brevissimo tempo, alla scarsa efficacia dei colpi isolati.

Il tiro d'artiglieria, nel campo tattico, costituisce l'insieme dell'azione di fuoco svolta dall'artiglieria per concorrere al raggiungimento dello scopo che il comandante delle truppe si prefigge di conseguire.

I tiri d'artiglieria hanno denominazioni diverse, a seconda dell'ufficio che compiono.

Il tiro di appoggio diretto ha lo scopo di sostenere e proteggere la fanteria durante l'avanzata, con una massa di fuoco concentrata o distribuita sul fronte, densa e improvvisa, intesa a neutralizzare la capacità reattiva del difensore.

I tiri di concorso comprendono tutti quei tiri d'artiglieria che si eseguiscono contro truppe, contro difese attive e contro artiglierie che ostacolano l'avanzata della fanteria, e sono obiettivi scaglionati in profondità e spesso situati anche lateralmente al fronte d'attacco.

I tiri di accompagnamento sono tiri che si sommano a quelli delle artiglierie di appoggio diretto, ma sono svolti da speciali batterie che seguono la fanteria più intimamente, e perciò sono dette batterie d'accompagnamento, e generalmente sono costituite da batterie someggiate.

I tiri di sbarramento si eseguono contro truppe ed hanno lo scopo di formare una barriera di fuoco davanti alle posizioni del difensore per arrestare l'avanzata delle fanterie attaccanti; sono tiri caratteristici della difensiva; si eseguono mediante masse di fuoco concentrate o distribuite sul fronte, con azione improvvisa, in modo da annientare o diminuire la capacità aggressiva del nemico e romperne la coesione.

I tiri di repressione sono eseguiti per battere il nemico che sia riuscito a mettere piede sulla posizione principale di difesa, per impedirgli di sviluppare il successo, di rafforzarsi sul posto, di ricevere rinforzi e rifornimenti.

l tiri d'interdizione, in senso lato, sono tutti i tiri che si propongono l'inibizione di esistenza o di attività in genere, movimento compreso, del nemico. Si suddividono in tiri d'interdizione vicina e in tiri d'interdizione lontana. I primi mirano ad ostacolare, nelle posizioni avanzate del nemico, sia la preparazione dell'assalto, sia il funzionamento dei comandi e dei servizî. I secondi sono rivolti ad ostacolare il movimento delle riserve ed il funzionamento dei comandi e dei servizî nelle posizioni arretrate, cioè di massima oltre il raggio utile delle artiglierie divisionali. Questi tiri si eseguono con proietti a spoletta istantanea, o con proiettì a tempo, o con proietti tossici.

I tiri contro difese attive costituiscono gran parte dei tiri di appoggio diretto e di concorso; sono eseguiti dalle artiglierie leggiere o pesanti campali, a seconda del rispettivo raggio di azione, per neutralizzare le difese attive specie durante l'avanzata e durante l'attacco.

I tiri contro le artiglierie possono assumere carattere di distruzione o di neutralizzazione. La distruzione di una batteria è basata sull'esatta conoscenza delle postazioni delle batterie avversarie. Sono adatti alla controbatteria i cannoni pesanti campali e le artiglierie pesanti di corpo d'armata. La neutralizzazione della batterie deve non solo esercitarsi sulla linea dei pezzi, ma estendersi anche a tutta la zona nella quale si svolge l'attività delle batteria nemica. Con proietti tossici si può avere un potente effetto di neutralizzazione.

I tiri contro difese passive e contro opere d'arte comprendono i tiri di distruzione per i quali il calibro e la specie della bocca da fuoco saranno scelti in relazione al genere e all'ubicazione dell'obiettivo; comprendono tiri contro reticolati, trincee e camminamenti, appostamenti per mitragliatrici, osservatorî di trincea, blindamenti varî, linee ferroviarie, ecc.

I tiri contro obiettivi speciali sono quelli che si eseguono contro carri d'assalto, palloni osservatorî, o il loro carro di manovra.

I tiri con proietti tossici hanno caratteristiche varie a seconda della specie di proietto che si usa. Coi proietti ad azione fugace si cerca di formare una nube di gas in posizione tale che possa essere trasportata dal vento sull'obiettivo. Con quelli ad azione persistente il tiro si eseguisce in modo da spargere il liquido su tutta la sua estensione.

Tiro da costa. - I bersagli dell'artiglieria da costa sono le navi avversarie, le quali possono essere offese con tiri tesi o con tiri arcati dalle artiglierie di grosso calibro, e con tiri tesi da quelle di piccolo e medio calibro; i proietti sono palle piene o granate. Le prime si usano contro le murate delle navi o le pareti delle loro ridotte o delle torri, allo scopo di riuscire a perforarle (tiro perforante) alle brevi distanze, o sconquassarle alle distanze maggiori (tiro contundente). Invece si usano granate di grande calibro contro le tolde delle navi e contro i ponti corazzati; tali granate sono ad ogiva completa e indurita.

I bersagli, in tale genere di tiro, sono quasi sempre in moto, e le loro velocità possono essere grandi (fino a 20 m. al secondo), ma hanno una forma semplice e conosciuta, di più offrono il vantaggio di essere sempre visibili, e quindi riesce facile il puntamento diretto. L'esatta conoscenza della distanza ha sul tiro da costa la massima importanza a causa della poca rapidità del tiro e della grande mobilità del bersaglio, per cui sarebbe difficile determinare i dati di puntamento più convenienti mediante l'osservazione del risultato dei colpi. La distanza è misurata mediante telemetri a base verticale e a base orizzontale, i quali sono a indicazione continua. I telemetri a base verticale possono essere molto lontani dalle batterie, e allora si dicono telegoniometri, o telemetri esterni. Le artiglierie da costa usufruiscono di un alzo per dare l'elevazione, detto alzo automatico, poiché, essendo il bersaglio sulla superficie del mare, l'elevazione è funzione della sola distanza, e quindi riesce facile costruire un quadro dei valori corrispondenti della distanza dell'angolo di tiro e dell'alzo. Mediante un congegno cinematico, si collegano fra loro la tacca di mira e l'arma in modo che, col movimento di questa intorno all'asse degli orecchioni, la linea di mira si muove venendo a disporsi sull'alzo corrispondente all'angolo di tiro; la visuale passante per la bocca di mira e per il mirino incontra il livello del mare nello stesso punto in cui lo incontra la traiettoria. Perciò si dirige la linea di mira ad un punto sul livello del mare, movendo l'arma, e questa prende automaticamente l'inclinazione necessaria per colpire quel punto. Ciò costituisce l'alzo automatico. Siccome il bersaglio si sposta con grande celerità, nel determinare i dati di puntamento si deve tener conto degli spostamenti del bersaglio durante la traiettoria del proietto; perciò si deve sparare in tempo opportuno, cioè in precedenza, in modo che proietto e bersaglio arrivino contemporaneamente nello stesso punto. Ultimate le operazioni di caricamento dei pezzi, si misurano col telemetro le componenti laterali e longitudinali della velocità del bersaglio, osservando gli spostamenti di questo nelle due direzioni in un breve tempo (10′′). Si stabilisce quindi la distanza alla quale si vuol colpire il bersaglio, in modo da essere sicuri di poter compiere tutte le operazioni per il tiro qualche tempo prima che il bersaglio arrivi a questa distanza, tempo che sarà leggermente maggiore di quello che il proietto impiega a percorrere la traiettoria.

Lo scostamento è determinato in modo da tener conto della derivazione nonché dello spostamento laterale del bersaglio durante il tempo che il proietto impiega a percorrere la traiettoria; perciò si preparano delle tabelle di scostamento che diano i valori di questo per le varie distanze e per le varie velocità in senso normale al tiro. I pezzi vengono puntati con l'inclinazione corrispondente alla distanza di tiro e con lo scostamento dedotto dalla tabella. Il momento opportuno per far partire il colpo è quello in cui il bersaglio si trova ad una distanza uguale alla distanza di tiro, aumentata se il bersaglio si allontana, diminuita se si avvicina, della quantità di cui si sposta longitudinalmente il bersaglio nel tempo t, aumentato dell'intervallo fra l'istante in cui viene dato il comando e l'istante in cui partirà il colpo. Questa distanza alla quale si trova il bersaglio nell'istante in cui viene dato il comando di fuoco, si dice distanza di fuoco.

Tiro contro aerei. - I bersagli delle artiglierie contro aerei sono i dirigibili, gli aeroplani, cioè bersagli mobilissimi nello spazio in qualsiasi direzione. Data la natura dei bersagli così fatti, il tiro dovrà essere preparato con molta accuratezza ed eseguito con la maggior rapidità possibile, potendo essi in pochi secondi non solo percorrere grandi spazî, ma variare la loro velocità e la loro rotta.

I proietti più adatti per tali generi di tiro sono: gli shrapnel, le granate dirompenti, munite di spoletta a tempo, e gli shrapnel incendiarî, se trattasi di dirigibili.

Le modalità del tiro sono analoghe a quelle delle artiglierie da costa; anche qui bisogna prestabilire la distanza di tiro e la distanza di fuoco. Si determina, cioè, la posizione occupata dall'aereo attuale che corrisponde alla posizione occupata dall'aereo all'istante del lancio del proietto e quella dell'aereo futuro, cioè la posizione che avrà l'aereo dopo il tempo corrispondente alla durata della traiettoria.

Lo studio del problema di tiro antiaereo ferve dal tempo della guerra, e si tende ad una soluzione di esso sempre più esatta, nonostante le difficoltà del problema stesso, dovute alla variabilità dei fattori della rotta di un aereo. S'impongono quindi ipotesi più o meno restrittive, si tende alla soluzione del problema per approssimazioni successive, il cui ordine di grandezza si mantenga abbastanza soddisfacente in relazione ai mezzi di puntamento e alle qualità balistiche dei materiali d'artiglieria.

Le ipotesi fondamentali in uso presso i varî eserciti sono due: la francese (analoga a quella americana, inglese e tedesca) e l'italiana. La prima suppone la rotta dell'aereo rettilinea, orizzontale e percorsa a velocità costante; la seconda si basa sulla costanza del moto, cioè viene ad ammettere che gli elementi del moto (rotta e velocità) durante il tempo di fuoco e la durata della traiettoria variino con la stessa legge che regolava le loro variazioni durante gl'istanti immediatamente precedenti. In altre parole, se l'aereo percorre una rotta rettilinea, inclinata sull'orizzonte di un angolo dato con velocità uniformemente ritardata, l'ipotesi italiana ammette che, durante il tempo di fuoco più la durata della traiettoria, l'aereo continuerà a percorrere la stessa rotta rettilinea, inclinata del detto angolo e con velocità uniformemente ritardata. La posizione dell'aereo nello spazio viene da noi individuata per mezzo della direzione, del sito e della distanza, misurata nel piano di sito. Durante il moto dell'aereo variano naturalmente questi tre elementi. Volendo quindi rappresentare il moto dell'aereo, basterà che noi costruiamo i diagrammi che c'indicano come variano col variare del tempo i tre elementi individuanti la sua posizione nello spazio. Per far ciò, occorreranno i seguenti strumenti: un misuratore del tempo (cronometro), un misuratore della direzione e del sito (goniometro), un misuratore della distanza (telemetro), ed una tavoletta su cui tracciare i diagrammi.

Quindi, mentre quattro operatori saranno intenti a misurare il tempo, la distanza, il sito e la direzione, altri tre tracceranno su un'apposita tavoletta i tre menzionati diagrammi in base ai dati che ogni 10′′ verranno loro trasmessi, prendendo per ordinate i tempi e per ascisse rispettivamente la distanza, il sito e la direzione. Il prolungamento delle curve ottenute nei varî diagrammi in corrispondenza del tempo di fuoco e della durata della traiettoria, ci darà la posizione dell'aereo per il quale si ricaveranno automaticamente i dati.

La nostra marina segue invece l'ipotesi francese, che permette di mettere il problema del tiro antiaereo in forma analitica nel modo seguente: supponiamo che la rotta dell'aereo sia A0 A, e che questa sia rettilinea, orizzontale e percorsa a velocità costante. P sia il punto di osservazione a terra. Siano Δ e δn le coordinate di un punto qualsiasi A della rotta dell'aereo. Il significato dei varî simboli che a noi interessa è il seguente:

Il punto A dipende dal tempo T impiegato dall'apparecchio a percorrere il tratto A0 A. Le due incognite del problema, Δ e δn sono date dal sistema di equazioni

Il tempo impiegato dal proietto per giungere da P in A si può esprimere sotto la forma seguente

La condizione affinché aereo e proietto s'incontrino nello stesso punto è data da

Il sistema delle quattro equazioni a quattro incognite permette la soluzione del problema. Notiamo che le equazioni (1) e (2) traducono in forma analitica l'ipotesi fondamentale; la (3) non rappresenta un'equazione esplicita, poiché la funzione f (Δ•h) è conosciuta soltanto mediante apposite tabelle a doppia entrata, precedentemente preparate, e un apposito grafico; la (4) è l'equazione del problema principale.

Il sistema delle equazioni (1), (2), (3), (4) si riduce, per l'identità (4), ad un sistema di tre equazioni a tre incognite. Con l'ipotesi aggiuntiva h = h0 le tre incognite si riducono a due sole Δ e δn, per cui, se fosse possibile l'eliminazione del fattore t, si giungerebbe ad un sistema di due equazioni di forma esplicita nota

in cui, introducendo i valori noti di h, Δ0Vα0, si ricaverebbero direttamente i valori delle incognite δn e Δ. L'impossibilità della risoluzione analitica della relazione t = f (Δ•h) non permette però di giungere a tale sistema, per cui il tempo t diventa un'incognita principale, e il sistema di equazioni (1), (2), (3) è, per la soluzione del problema, il sistema base, a cui se ne aggiunge un altro

che ci dà il valore di t.

La risoluzione dei sistemi di equazioni sopraccitati viene eseguita automaticamente da macchine calcolatrici, e i dati sono trasmessi elettricamente ai pezzi.

Tiro navale. - Il tiro delle artiglierie navali si svolge contro due tipi ben distinti di bersagli: contro navi o bersagli a terra. L'esecuzione pratica del tiro richiede che si risolvano i seguenti problemi e si svolgano le seguenti operazioni:

1. scelta della forma di tiro, cioè della forma geometrica della traiettoria, scelta del proietto, della specie di tiro e determinazione della massima distanza utile di tiro;

2. determinazione delle coordinate del segno (bersaglio), cioè ascissa, ordinata e azimut.

La scelta della forma geometrica più conveniente della traiettoria dipende dalla posizione e giacitura del bersaglio. Nel tiro fra navi e navi occorre che la traiettoria sia, quanto è più possibile, tesa, e perciò i cannoni navali hanno una sola carica per ogni specie di proietto. Ma nel caso di operazioni costiere, e più specialmente nel tiro contro bersagli riparati da ostacoli, occorrono traiettorie curve, ed a questo scopo alcuni cannoni navali hanno una o due cariche ridotte. Può talvolta accadere che, per far acquistare alla traiettoria la necessaria curvatura, oltre ad usare la carica minima, occorra opportunamente aumentare la distanza di tiro.

Il proietto più efficace contro gli ultimi tipi di navi molto protette è la granata perforante, mentre contro navi che hanno protette le sole parti vitali è più conveniente la granata a deboli pareti e grande capacità. Per la misura della distariza orizzontale, cioè dell'ascissa, si usano appositi telemetri che possono raggiungere basi di cinque metri, ma, di là da 3000 m., essi dànno un'approssimazione non sufficiente. Uno dei mezzi di misurazione della distanza è quello di servirsi dell'altezza nota di uno degli elementi della nave avversaria (p. es., l'alberata, un fumaiolo, ecc.).

Nel tiro contro la costa, per avere la distanza orizzontale, si segna, coi metodi della navigazione piana, il punto della nave sulla carta della località, e si misura sulla scala della carta stessa il segmento che l'unisce al segno.

Quando si deve fare un tiro contro le coste a puntamento indiretto e la nave è abbozzata, per tracciare i piani di direzione sulla carta della località, basta segnarvi la posizione della uave, o meglio, se la grandezza della carta stessa lo permette, quella dei cannoni, ed unirle col segno. Ciò fatto, si prende nota degli oggetti più in vista per i quali passano questi congiungenti, si scelgono tra loro i più convenienti come falsi scopi e s'indicano ai puntatori. Qualunque sia il tiro che si eseguisce, i dati occorrenti per l'esecuzione di esso e per giudicare della sua precisione ed efficacia sono raccolti in tabelle numeriche, dette tavole di tiro. Per ogni bocca da fuoco si hanno apposite tavole di tiro distinte per i diversi proietti e per le diverse cariche.

Tavole di tiro. - Le tavole di tiro sono fatte per proietti di dato peso mediante l'impiego delle tavole balistiche di Siacci e in corrispondenza del loro speciale coefficiente balistico ridotto C′, per un dato affusto e per una densità balistica δ = 1, cioè supponendo il pezzo a 130 m. sul livello del mare, il bersaglio allo stesso livello del pezzo e le cariche alla temperatura di 15°.

Le tavole di tiro contengono gli elementi necessarî per correggere i varî dati, quando il tiro sia eseguito in condizioni differenti da quelle per cui furono calcolate.

L'argomento della tavola di tiro è sempre la gittata, alla quale si riferiscono tutti gli altri dati.

Oltre le tavole di tiro speciali per altitudini differenti da quelle per cui δ = 1 (per cannoni da montagna), vi sono tavole di tiro speciali per artiglierie da costa, nelle quali si tiene conto che il bersaglio è sempre sulla superficie del mare e che la batteria è a quota fissa; tavole di tiro a traiettorie grafiche per batterie fisse in zona montuosa, e tavole di tiro per cannoni controaerei, il cui argomento è la distanza, misurata sulla linea di sito. Per ciascun angolo di sito, di 5 in 5 gradi, sono indicati l'alzo, la durata, la velocità restante ed altri dati occorrenti.

Bibl.: G. Ronca, Manuale sul tiro, Livorno 1901; Maillard, Mécanisme du tir de l'artillerie de campagne, Parigi 1910; A. Collon, Manual práctico de tiro colectivo, Barcellona 1907; P. Charbonnier, Balistique extérieure rationnelle, Parigi 1907; G. Bianchi, Balistica esterna, Torino 1910.

Le vicende organiciie dell'artiglieria italiana. - Le origini dell'arma di artiglieria dell'esercito italiano possono farsi risalire alla seconda metà del sec. XVI e precisamente al 1560, anno in cui Emanuele Filiberto duca di Savoia costituì un'artiglieria nazionale, fece costruire una fonderia delle bocche da fuoco ed edifizî per la fabbricazione della polvere, dei fucili e delle armi bianche, e regolò il servizio d'artiglieria mettendovi a capo un ufficiale col titolo di "capitano generale". Il personale però non era militare, perché sin dai tempi più antichi i bombardieri erano riuniti in corporazioni di mestiere e prestavano servizio temporaneamente e per mercede: esistevano parchi di materiali, stati maggiori, capi cannonieri, artificieri, capi operai, capi convoglio addetti al parco, ma non esisteva una truppa vera e propria.

Solo nel luglio del 1625 Carlo Emanuele I stabilì che il personale dei bombardieri dovesse appartenere alla milizia e formò così una "compagnia bombardieri". Nel maggio del 1657 fu annesso all'artiglieria il servizio delle mine e nel 1667 i servizî amministrativi; le fabbriche e i laboratorî furono posti sotto la gestione di un "consiglio d'artiglieria", a cui presiedeva un intendente. Nel 1678 il capitano generale ebbe il titolo di "gran mastro", carica considerata tra le più alte dignità dello stato.

Però l'artiglieria piemontese mancava ancora di una vera organizzazione militare. Solo nel 1691 essa fu ordinata in 3 compagnie (bombardieri, maestranza, minatori) e in seguito ripartita in due classi, delle quali una destinata a servire nelle piazze e l'altra in campagna; fu stabilita anche un'uniforme per gli artiglieri.

Un più deciso passo sulla via dell'organizzazione militare del corpo d'artiglieria fu fatto il 26 dicembre del 1696 con la costituzione del "battaglione cannonieri" e con l'assimilazione del personale d'artiglieria alle truppe di linea.

Il battaglione cannonieri fu costituito di un consiglio direttivo e di 8 compagnie, delle quali 6 di cannonieri e 2 di minatori e operai: il consiglio venne poi soppresso nel 1730 restando il comando superiore del corpo al gran mastro. Un secondo battaglione cannonieri formato nel 1714 in Sicilia ebbe solo 4 anni di vita. Nel 1726 il battaglione cannonieri prese il nome di "battaglione di artiglieria"; si costituì inoltre una compagnia di bombisti in Sardegna. Nell'aprile del 1739 le compagnie del battaglione furono portate a 12 e quella di bombisti prese il nome di "compagnia franca" Fu inoltre stabilito che il corpo facesse parte delle truppe di fanteria. Regnando Carlo Emanuele III, il 13 giugno dello stesso anno fu consegnata al corpo per la prima volta la bandiera e furono istituite le scuole tecniche militari per l'artiglieria e per la fortificazione. Inoltre i cannonieri vennero armati di fucile, i minatori di pistola e gli zappatori furono muniti di elmetto e di corazza.

Nel maggio del 1743 le 12 compagnie vennero raggruppate in due battaglioni e con essi fu costituito il "reggimento d'artiglieria di S. M.", che si distinse talmente per la disciplina, per i progressi nelle scienze e per il sentimento d'emulazione che animava i suoi componenti, che il re gli concesse il 27 agosto 1774 l'onorevole titolo di Corpo reale d'artiglieria. Rimonta a tale epoca l'istituzione "dell'artiglieria dei battaglioni", assegnata a ciascun reggimento di fanteria e poi nel 1784 riunita al Corpo reale.

Il 9 dicembre 1798, dopo la campagna contro i Francesi condotti dal Bonaparte, il Corpo reale d'artiglieria venne sciolto dal giuramento di fedeltà al re e formò, nell'esercito della Nazione piemontese, un reggimento di due battaglioni ciascuno di 8 compagnie cannonieri. Nel maggio del 1799 anche tale reggimento fu sciolto, ma l'anno successivo la Commissione di governo piemontese riorganizzò due battaglioni d'artiglieria fusi poi in uno di dieci compagnie che, nell'agosto del 1801, passò a far parte dell'esercito francese e fu incorporato nel 1° reggimento francese d'artiglieria a piedi. Nel 1814 il Corpo reale d'artiglieria venne ricostituito e diviso in 5 categorie: artiglieria a piedi d'ordinanza, artiglieria a piedi provinciale, artiglieria volante, artiglieria reale di Sardegna, artiglieria sedentaria.

L'istituzione delle batterie permanenti, avvenuta nel 1815 con la costituzione di una compagnia treno per il trasporto del materiale, segnò un notevole progresso per l'artiglieria piemontese. Infatti, fino allora, al traino dei pezzi si era provveduto prima con requisizione di attacchi e contratti di appalto, e poi, durante le guerre della Rivoluzione francese, con la creazione di un corpo militare, che però non aveva mai avuto organizzazione fissa e duratura, detto "treno d'artiglieria", poi "treno di provianda di campagna" e infine "di provianda per le truppe".

Nell'aprile del 1816 il corpo venne riordinato in artiglieria attiva e sedentaria e poi nel 1820 in un comando del personale e in uno del materiale, retti da due colonnelli alle dipendenze del gran mastro, comandante supremo e ispettore. Nel personale furono comprese la brigata reale d'artiglieria e l'artiglieria di presidio: la brigata fu composta di tre battaglioni di 6 compagnie, mentre l'artiglieria di presidio, addetta al servizio delle fortezze, comprese un solo battaglione di 8 compagnie (di cui 2 in Sardegna). Del materiale facevano parte gli uffici, le fabbriche e i laboratorî. L'artiglieria attiva comprendeva la brigata reale d'artiglieria, ripartita in artiglieria di linea (14 batterie) per il servizio delle batterie da campagna e da posizione, in artiglieria leggiera (i battaglione di 4 compagnie) e in artiglieria di presidio per il servizio delle piazze (4 compagnie più 2 del treno); l'artiglieria per le incombenze comprendeva gli stabilimenti e i laboratorî, e l'artiglieria sedentaria il personale e i comandi fissi delle piazze e degli uffici.

Il 23 agosto 1831 il corpo fu di nuovo diviso in materiale e in personale, diretti da un ispettore generale: il materiale riunì tutte le scuole e i laboratorî, mentre il personale fu ordinato in una brigata su due reggimenti, ciascuno di 14 compagnie ripartite fra 3 battaglioni. La brigata fu posta alle dipendenze di un maggiore generale o colonnello, comandante il personale.

Nel 1832 l'artiglieria ebbe il suo primo equipaggio da ponte, modello Cavalli. Nel 1833 re Carlo Alberto abolì i due reggimenti e riunì le 28 compagnie in 8 "brigate" di batterie (due da piazza, quattro campali, una d'"artisti", una di Sardegna), e istituì un Consiglio superiore d'artiglieria a cui presiedeva il generale comandante del corpo. Venne così radicalmente mutato l'antico significato della parola "brigata", che da allora assunse quello corrispondente all'odierno gruppo.

In fatto di traino si fece un deciso passo avanti con la fusione del treno con l'arma d'artiglieria: ogni batteria ebbe, oltre ai pezzi e ai serventi, anche le sue pariglie e i suoi conducenti. Fu ancora conservata però la distinzione di nome e di fatto tra serventi, esclusivamente istruiti nel servizio dei pezzi, e conducenti, che altro incarico non avevano se non quello del traino.

Il 7 gennaio 1845 le brigate d'artiglieria campali furono da 4 portate a 6, tutte su due batterie, e presero la seguente denominazione: 4 brigate da battaglia, 1 di guarnigione, 1 a cavallo. Scomparve anche ogni distinzione fra serventi e conducenti; venne inoltre stabilita la durata degli obblighi di servizio del personale in 8 anni di ferma, detto servizio permanente o d'ordinanza, e in 16 anni di congedo illimitato e di riserva, o di servizio provinciale.

Nel 1846 fu abolito il Consiglio superiore e creato il Congresso permanente d'artiglieria a cui presiedeva il gran mastro; nel gennaio 1848 le 12 compagnie di piazza vennero ripartite in 3 brigate, e poi nel marzo dello stesso anno l'artiglieria campale fu divisa in 5 brigate di 15 batterie complessivamente. Si formò anche una brigata di pontieri.

All'aprirsi della campagna del 1848 quasi tutte le batterie avevano il materiale Cavalli mod. 1844, ma il repentino inizio delle ostilità fece sì che solo 7 batterie si trovassero subito allestite. Però in meno di 15 giorni furono seguite da altre 4 e poi dalle rimanenti. Com'è noto, tale campagna fu in certo qual modo la prova del fuoco dell'artiglieria piemontese, non seconda a nessun'altra europea e per bontà del materiale e per elevato spirito del personale. Grazie a questa preparazione materiale e morale essa rese durante tutta la campagna tali segnalati servizî da meritare la medaglia d'oro "per l'attiva condotta tenuta sempre e dovunque".

Negli anni 1848-49 l'artiglieria piemontese ebbe notevoli accrescimenti, anche per l'incorporazione, fino al maggio del 1849, dell'artiglieria lombarda.

Il 1° ottobre 1850 il corpo fu riordinato su nuove basi: il Congresso permanente si trasformò in Comitato d'artiglieria, e vennero costituiti uno stato maggiore e tre reggimenti: uno di operai su 7 compagnie (artificieri, polveristi, pontieri, ecc.), uno da piazza su 12 compagnie, e il terzo da campagna, formato dalle batterie dell'antico corpo reale (2 a cavallo e 18 da battaglia).

Nel 1855-56 sei batterie da battaglia, riunite su tre brigate provvisorie da campagna e cinque compagnie operai costituenti una brigata provvisoria da piazza, presero parte alla guerra di Crimea, alla fine della quale vennero sciolte.

Nel febbraio del 1859 tutte le batterie furono portate sul piede di guerra e altri reparti si costituirono durante e dopo la campagna di quell'anno: nel giugno le compagnie del reggimento da piazza furono portate a 16 e poi nell'ottobre a 24, riunite in 4 brigate; nel settembre il reggimento operai si accrebbe di una brigata pontieri, e infine nell'ottobre le batterie campali, portate a 30, formarono il 1° e 2° reggimento da campagna, ciascuno su 15 batterie. Le batterie a cavallo formarono una brigata del 1° reggimento.

Nel 1860, dopo l'incorporazione delle batterie da campagna toscane (6) ed emiliane (9) e delle relative compagnie da piazza (6 e 6), l'artiglieria del regno di Sardegna, con r. decr. 17 giugno 1860, passò a far parte dell'esercito italiano.

Per effetto di tale decreto il Corpo reale diventò Arma d'artiglieria così costituita: un comitato d'artiglieria, uno stato maggiore per il servizio dei comandi d'artiglieria territoriali e delle direzioni di stabilimenti, e 8 reggimenti: 1° operai, 2°, 3° e 4° da piazza, 5°, 6°, 7°, 8° da campagna. Nel 1861 le compagnie pontieri del reggimento operai vennero riunite in reggimento pontieri (9°). Alla campagna del 1860-61 presero parte 8 batterie da battaglia. Nel 1863 si costituì il 10° reggimento da campagna e nel dicembre 1864, per scioglimento del reggimento operai, le cui truppe, diventate autonome, furono addette ai varî stabilimenti di fabbricazione, il reggimento pontieri divenne 1°, e il 10° da campagna 9°.

Con r. decr. del 13 novembre 1870, i preesistenti 9 reggimenti vennero sostituiti da altri 11 così formati: il 1° reggimento, di uno stato maggiore, 9 compagnie pontieri, 2 compagnie treno e 1 compagnia deposito; ciascuno degli altri 10 reggimenti, di uno stato maggiore, 5 compagnie da piazza, 8 batterie da battaglia, 3 compagnie del treno e 1 battaglione deposito. L'anno seguente si abolì una compagnia da piazza in ciascuno dei 10 reggimenti per portare a 9 le batterie da battaglia.

Con legge 30 settembre 1873, l'artiglieria fu così riordinata: uno stato maggiore; 10 reggimenti da campagna, ognuno su 15 batterie e 3 compagnie treno; 4 reggimenti da fortezza, ognuno di 1 compagnie; un numero indeterminato di compagnie da costa, di operai e di veterani. I pontieri passarono al Corpo del genio e il servizio territoriale d'artiglieria a 6 comandi territoriali d'artiglieria con 12 direzioni territoriali.

Nel 1882 l'artiglieria fu così aumentata: uno stato maggiore; 12 reggimenti da campagna; 5 reggimenti da fortezza; 2 brigate a cavallo su 2 batterie (aggregate ai reggimenti da campagna); 2 brigate da montagna su 4 batterie (aggregate ai reggimenti da fortezza); 5 compagnie di operai e 1 di veterani.

Ogni reggimento da campagna comprendeva uno stato maggiore, 3 brigate da battaglia, 10 batterie, 1 brigata treno di 3 compagnie e un deposito; ogni reggimento da fortezza era costituito di uno stato maggiore, 3 brigate, 12 compagnie da fortezza o da costa e 1 deposito.

Un nuovo notevole incremento fu dato all'artiglieria con la legge 23 giugno 1887. Essa comprese infatti: 1 ispettorato generale d'artiglieria; 5 ispettorati; 6 comandi d'artiglieria, direzioni ierritoriali e direzioni di stabilimenti d'artiglieria; 24 reggimenti d'artiglieria da campagna, di cui 12 divisionali e 12 di corpo d'armata; un reggimento d'artiglieria a cavallo; un reggimento d'artiglieria da montagna; 5 reggimenti da fortezza; 5 compagnie di operai e 1 compagnia di veterani. Ogni reggimento da campagna divisionale comprendeva: uno stato maggiore, 2 brigate su 4 batterie ciascuna, una compagnia treno e un deposito; ogni reggimento di corpo d'armata aveva in più una compagnia treno.

Tale ordinamento venne così modificato con successivi decreti nel 1894 e nel 1895: 4 ispettorati; una direzione superiore delle esperienze; 4 comandi d'artiglieria da campagna; 2 comandi d'artiglieria da fortezza; 12 comandi locali d'artiglieria; 24 reggimenti da campagna, un reggimento a cavallo; un reggimento da montagna; 22 brigate d'artiglieria da costa e da fortezza (76 compagnie); 5 compagnie di operai.

Dal 1895 all'inizio della guerra italo-austriaca l'artiglieria italiana, seguendo l'evoluzione delle altre armi dell'esercito, andò gradualmente accrescendosi e perfezionandosi, sia quanto a materiale, sia nella specializzazione. Notevole, in tale periodo, è la comparsa dell'artiglieria pesante campale.

Le tappe principali di tale evoluzione sono rappresentate dagli ordinamenti del 1897 e del 1910, e specialmente dagli aumenti avvenuti nel periodo della neutralità.

Nello specchietto che precede sono riepilogati i dati relativi alle unità di artiglieria create coi detti ordinamenti e a quelle esistenti allo scoppio della guerra.

Durante la guerra l'arma di artiglieria, fra quelle terrestri, è stata quella che ha avuto forse le maggiori modificazioni, sia quantitativamente, sia, soprattutto, qualitativamente.

Il carattere prevalentemente statico assunto dalla guerra, che ha permesso agli eserciti in campo di coprirsi di una corazza fortificata sempre più robusta, rese necessario non solo l'aumento numerico notevolissimo del mezzo (proietto) destinato a romperla, e quindi delle bocche da fuoco che tali proietti dovevano lanciare, ma anche l'accrescimento della potenza distruttiva di tali proietti. Aumentò quindi notevolmente l'artiglieria da campagna, ma si accrebbe in misura anche maggiore quella di medio e di grosso calibro. Inoltre la vicinanza delle opposte linee fortificate fece sorgere una nuova specialità di artiglieria, quella di trincea, rappresentata massimamente dalle bombarde, mentre la necessità di poter appoggiare efficacemente le fanterie nell'attacco delle zone fortificate, infestate dalle innumerevoli mitragliatrici, indusse ad assegnare alle minori unità di fanteria - reggimenti e battaglioni - speciali artiglierie, dette di materiale d'accompagnamento, e reparti armati con cannoncini di piccolo calibro e con lanciabombe.

D'altra parte, gli sviluppi sempre maggiori dell'arma novissima del cielo, che riusciva a portare l'offesa fin nel cuore del paese nemico, resero necessaria una nuova specialità di artiglieria destinata a battere gli aerei in volo, la quale prese appunto il nome di artiglieria contro-aerei.

Un'idea sommaria dell'evoluzione subita dall'artiglieria durante la guerra potrà essere fornita dai dati che seguono:

a) Comandi. - Nell'inverno 1915-16 vennero creati i comandi di raggruppamento d'artiglieria da montagna, pesante campale, d'assedio e misti. Nel maggio 1916 i comandi d'artiglieria di alcuni corpi d'armata furono sdoppiati in comandi di brigata d'artiglieria d'assedio e da campagna; vennero formati così 8 comandi di brigata da campagna e 8 comandi di brigata d'assedio in sostituzione dei comandi di parco d'assedio. Nel marzo 1917 furono aboliti i comandi di brigata d'artiglieria da campagna e d'assedio, e vennero costituiti invece presso ciascun comando di corpo d'armata un comando d'artiglieria e un comando d'artiglieria a disposizione.

b) Artiglieria da campagna. - Vennero costituiti, nella primavera del 1916, 6 gruppi e 16 batterie; nel giugno 1916, con glí elementi e coi materiali rimpatriati dalla Libia, 3 reggimenti; nella primavera del 1917, 2 reggimenti, 15 gruppi e 32 batterie; nell'agosto del 1917, 1 reggimento e 32 batterie; nell'autunno dello stesso anno, 60 batterie; nell'inverno 1917-18,3 reggimenti; nell'autunno del 1918, 2 reggimenti autocarreggiati.

Tutti i reggimenti da campagna nell'inverno del 1916-17 assunsero la formazione su 3 gruppi e 8 batterie, ma la forza di queste fu ridotta a 135 uomini e 78 cavalli. Nel giugno del 1918 gli organici delle batterie subirono una nuova riduzione (117 uomini e 72 cavalli).

c) Artiglieria da montagna. - In un primo tempo si trasformarono alcune batterie da montagna in someggiate, che vennero successivamente riunite in gruppi. Tali batterie nel luglio 1917 assunsero l'organico delle batterie da posizione, e infine nel gennaio 1918 si addivenne ad un tipo unico di batteria, dotato di un quantitativo di mezzi intermedio fra quello della batteria da montagna e quello della batteria someggiata. Le batterie someggiate vennero tutte abolite, ad eccezione di 6 batterie Skoda. Nel marzo 1918 venne stabilita l'assegnazione fissa di alcuni gruppi e batterie da montagna ai gruppi alpini.

Gli aumenti di unità furono i seguenti: nell'inverno 1915-16, 17 gruppi e 27 batterie someggiate; 2 gruppi e 4 batterie someggiate speciali (Skoda); 5 gruppi e 12 batterie da montagna; 1 gruppo e 4 batterie da montagna speciali (Skoda); nella primavera del 1916, 2 gruppi e 5 batterie someggiate; nell'inverno 1916-17 gruppi e 11 batterie someggiate; nella primavera del 1917,1 gruppo, 5 batterie someggiate e 14 sezioni; 6 gruppi e 18 batterie da montagna; nell'autunno 1917, 8 batterie someggiate e 5 sezioni; 3 gruppi e 9 batterie da montagna; nell'autunno del 1918, 5 gruppi e 15 batterie da montagna; 1 gruppo da montagna autocarreggiato.

d) Artiglieria pesante campale. - Questa specialità si accrebbe durante la guerra anche di una nuova sottospecialità, cioè dell'artiglieria autocampale (cannoni da 102 e da 105).

Gli aumenti furono: nel marzo 1916, 12 gruppi e 34 batterie, nella primavera del 1916, 2 gruppi e 6 batterie; nell'inverno 1916-17, 9 gruppi e 27 batterie; nella primavera del 1917, 41 gruppi e 131 batterie; nell'autunno del 1917, 14 gruppi e 42 batterie; nell'inverno 1917-18, 2 gruppi e 1 batteria; nel maggio del 1918, 5 gruppi e 14 batterie; nell'autunno del 1918, 16 gruppi e 49 batterie.

e) Artiglieria da fortezza. - La denominazione "da fortezza" apparve sin dall'inizio della campagna non adatta allo speciale impiego d'assedio che ebbero tali batterie. E poiché quest'ultimo impiego andò sempre più generalizzandosi, tanto da escludere addirittura quello proprio di fortezza, così la denominazione "da fortezza" cadde in disuso per lasciare posto all'altra "da assedio". Talune batterie da assedio di piccolo calibro, caratterizzate dalla loro immobilità e dall'esiguità di organici e di mezzi, vennero chiamate "da posizione". In seguito anche la denominazione "da assedio" apparve inadatta e, prendendo per base il criterio della manovrabilità, si adottò quella di "artiglieria pesante". Notevole fu l'impiego su vasta scala di mezzi automeccanici per il trasporto delle artiglierie di questa specialità.

I principali aumenti furono i seguenti: nel marzo 1916, 37 gruppi e 102 compagnie da fortezza; nella primavera del 1916, 8 gruppi e 46 compagnie da fortezza; nell'inverno 1916-17, 10 gruppi e 40 compagnie da fortezza; nella primavera del 1917, 20 gruppi e 40 compagnie da fortezza; nell'autunno del 1917, 12 gruppi e 48 compagnie da fortezza.

f) Artiglieria contro aerei. - Fu creata durante la guerra, adottando all'inizio mezzi di ripiego, poi apposite bocche da fuoco su affusti speciali (cannone da 75 C.K.), atte anche a celeri spostamenti. Per avere un'idea del suo sviluppo, basti tener presenti queste cifre: esistenza al 24 maggio 1915: 2 pezzi autocampali e una sezione trainata da 75/11 C.; al 4 novembre 1918: 1124 pezzi, di cui 849 in zona di guerra e il resto in quella territoriale.

g) Bombarde. - Gli studî sulle bombarde e sulla preparazione dei bombardieri cominciarono da noi nella seconda metà del 1915, specie per l'imprescindibile necessità di creare mezzi adatti per vincere l'ostacolo dietro il quale si stendevano le linee nemiche. S'istituì dapprima una scuola presso la 3ª armata e poi un'apposita scuola a Susegana, che funzionò da centro d'istruzione e di costituzione dei reparti bombardieri. Nel frattempo l'industria nazionale fornì le armi occorrenti, cosicché nella primavera del 1916 un numero sufficientemente alto di bombarde era già in linea alla fronte. In seguito agli ottimi risultati ottenuti nella battaglia di Gorizia con tale nuova arma, dimostratasi efficacissima per la distruzione dei reticolati e delle trincee avversarie, se ne accrebbe il numero e se ne generalizzò l'uso.

Nello specchio che segue sono riepilogati i dati relativi alle batterie esistenti nei varî periodi della campagna.

Di quale superbo sforzo sia stata capace la nostra industria e quali siano state le necessità manifestatesi nel corso della guerra appare chiaramente dalle cifre suesposte: basti rilevare che nel primo anno di guerra il numero delle batterie pesanti campali venne quasi quadruplicato e quello delle batterie d'assedio aumentato di quasi dodici volte. Quale grandioso contributo alla vittoria delle armi italiane abbiano apportato le artiglierie, non è chi ignori. Dalle vette altissime al Carso e al Piave, esse hanno rappresentato sempre e dovunque il possente e indispensabile sostegno delle nostre fanterie, dividendone le glorie e i sacrifici.

Terminata la guerra, quasi tutte le unità di artiglieria create ex novo furono gradualmente disciolte. Il primo ordinamento provvisorio (21 novembre 1919) costituì l'arma d'artiglieria così: un ispettorato generale dell'arma, un ispettorato delle costruzioni d'artiglieria; 15 comandi di brigata d'artiglieria di corpo d'armata; 30 reggimenti da campagna; 15 reggimenti campali pesanti; un reggimento autoportato; un reggimento a cavallo; 3 reggimenti da montagna; 6 reggimenti pesanti; 4 reggimenti da costa; 3 depositi scuole antiaerei; un reparto palafrenieri; una direzione delle esperienze; 15 direzioni d'artiglieria; stabilimenti d'artiglieria (fabbriche d'armi, arsenali di costruzione, laboratorî di precisione, laboratorî pirotecnici, polverifici, officine di costruzione); depositi d'allevamento di cavalli per l'artiglieria, con addetti riparti di rimonta. Al servizio tecnico dell'artiglieria vennero permanentemente adibiti ufficiali generali e ufficiali dell'arma costituenti un ruolo speciale.

Nell'aprile 1920 l'arma d'artiglieria venne così ordinata: un ispettorato delle costruzioni d'artiglieria; 10 comandi d'artiglieria di corpo d'armata; 27 reggimenti da campagna; un reggimento autoportato; 3 reggimenti da montagna; 6 reggimenti pesanti; 4 reggimenti da costa; 3 depositi scuole contro aerei; 1 reparto palafrenieri; una direzione delle esperienze; 10 direzioni d'artiglieria; stabilimenti d'artiglieria; depositi d'allevamento di cavalli.

In base al successivo ordinamento del 1923 l'arma d'artiglieria comprese:

1. L'arma e il servizio territoriale d'artiglieria: 10 comandi d'artiglieria di corpo d'armata; 27 reggimenti da campagna; 14 reggimenti pesanti campali; un reggimento a cavallo; 3 reggimenti da montagna; 10 reggimenti pesanti e da costa; 10 gruppi controaerei e una scuola contro-aerei; un reparto palafrenieri; 10 direzioni d'artiglieria.

2. Il servizio tecnico d'artiglieria: una direzione superiore delle costruzioni d'artiglieria; una direzione delle esperienze d'artiglieria con sezione staccata e ufficio tavole di tiro; stabilimenti d'artiglieria.

In base all'ordinamento odierno, entrato in vigore nel 1926, l'arma d'artiglieria comprende:

a) l'arma e il servizio territoriale d'artiglieria;

b) il servizio tecnico d'artiglieria.

L'arma e il servizio territoriale d'artiglieria provvedono all'impiego delle artiglierie e ai servizî loro necessarî, nonché a fornire le armi e i carreggi necessarî a tutto l'esercito.

Il servizio tecnico studia, fabbrica e ripara i materiali per l'artiglieria e per le armi di tutto l'esercito.

Organo centrale di consulenza, di studio e d'ispezione è l'ispettore d'artiglieria. Organo centrale amministrativo è la Direzione generale d'artiglieria e di automobilismo del Ministero della guerra.

L'arma e il servizio territoriale comprendono: 11 comandi d'artiglieria di corpo d'armata; un comando d'artiglieria della Sicilia, un comando d'artiglieria della Sardegna.

Da tali comandi dipendono direttamente tutte le truppe dell'arma assegnate organicamente alle rispettive grandi unità o dislocate nel territorio di loro giurisdizione, tranne i reggimenti d'artiglieria da campagna e da montagna, facenti parte integrante delle divisioni di fanteria e delle brigate alpine. Per tutto quanto concerne le questioni tecniche d'artiglieria, però, anche tali reggimenti fanno capo ai comandi di artiglieria.

L'arma d'artiglieria comprende le seguenti unità: 30 reggimenti d'artiglieria da campagna - in ragione di uno per divisione di fanteria - costituiti ognuno di un comando, 4 gruppi di 203 batterie di vario calibro, una compagnia treno e un deposito; 12 reggimenti d'artiglieria pesante campale (uno è ancora in via di costituzione), su 2 gruppi cannoni e 2 gruppi obici, assegnati in ragione di uno per corpo d'armata e uno al comando militare della Sicilia; un reggimento d'artiglieria a cavallo, su 4 gruppi, 2 ippotrainati e 2 portati; 3 reggimenti d'artiglieria da montagna, su 2, 3 0 4 gruppi di 2, 3 0 4 batterie (fanno parte integrante delle brigate alpine); 5 reggimenti d'artiglieria pesante, ognuno costituito di cinque gruppi di 2 batterie, 3 reggimenti d'artiglieria da costa, ognuno comprendente da 3 a 5 gruppi di due batterie. Si hanno inoltre: un gruppo da costa autonomo alla Maddalena; 12 centri controaerei, ciascuno composto di un riparto fotoelettricisti e di un numero vario di gruppi autocampali e da posizione; 1 reparto palafrenieri per artiglieria.

Al servizio territoriale d'artiglieria provvedono 12 direzioni di artiglieria e relative sezioni staccate alla dipendenza dei comandi d'artiglieria di corpo d'armata e dei comandi delle isole.

Il servizio tecnico d'artiglieria comprende: una direzione superiore del servizio tecnico di artiglieria e gli stabilimenti e centri tecnici di artiglieria il cui numero è determinato per decreto reale.

Il servizio logistico d'artiglieria. - Il servizio d'artiglieria è uno fra i più importanti servizî logistici (v. logistica) presso l'esercito in guerra. Provvede al rifornimento delle armi e delle munizioni di ogni specie occorrenti alle truppe, e allo sgombero e alla riparazione delle armi guaste. Se si riflette al grande numero e alla varietà dei congegni che costituiscono l'armamento di un esercito; al fatto che tali armi, ormai tutte a tiro rapido, consumano enormi quantità di munizioni, che esse sono anche di complicata costruzione, di delicato funzionamento e di facile logoramento, è agevole intendere quanto vasto sia il compito che hanno in guerra i personali addetti al servizio d'artiglieria.

Per un soddisfacente funzionamento di esso, si richiede innanzi tutto un'accurata mobilitazione in paese degli stabilimenti industriali capaci di produrre armi e munizioni, e una perfetta organizzazione dei trasporti ferroviarî, automobilistici, a traino animale, a soma, mediante i quali le armi e le munizioni fabbricate in paese possano giungere rapidamente e in buone condizioni sino ai riparti combattenti.

A dimostrare l'importanza di questo servizio valgano alcuni dati statistici relativi alla nostra grande guerra 1915-1918. Nel corso di essa furono costruiti in Italia circa 2.600.000 fucili, 540.000 moschetti, 37.000 mitragliatrici, 7000 bombarde e lanciabombe, 16.000 pezzi d'artiglieria, 3.616.000.000 munizioni per fucili, moschetti e mitragliatrici, 7.300.000 munizioni per bombarde e lanciabombe, 70.000.000 di munizioni per artiglierie, 22.360.000 bombe a mano. Per provvedere a organizzare tale ingente produzione fu istituito un apposito ministero delle armi e delle munizioni. La mano d'opera impiegata fu di 1.288.000 persone, di cui 565.000 non obbligate a servizio militare, 193.000 operai militari, 165.000 esonerati, 279.000 donne e minorenni, 20.000 prigionieri, 8500 profughi delle terre invase dal nemico dopo Caporetto, 1500 detenuti, tutti addetti a lavori di officine; poi 6000 libici e 50.000 fra borghesi e militari territoriali, adoperati in lavori di manovalanza.

Presso il Comando supremo dell'esercito e presso ciascun comando di grande unità (armata, corpo d'armata, divisione di fanteria, divisione di cavalleria), esiste un ente direttivo del servizio. generalmente rappresentato dal comando d'artiglieria addetto alla unità stessa. Questo ente provvede a una duplice funzione: tattica, in quanto governa l'impiego dei riparti d'artiglieria assegnati alla grande unità; logistica in quanto dirige il servizio di rifornimento delle armi e delle munizioni. L'esperienza fatta nella passata guerra ha però indotto, nel nostro esercito, a separare il servizio di rifornimento per le armi portatili da quello per le artiglierie. Quest'ultimo è rimasto ai comandi d'artiglieria, mentre il primo è stato affidato agli stati maggiori delle grandi unità. La riforma fu suggerita dalla considerazione che lo stato maggiore di una grande unità può conoscere la situazione delle munizioni per le proprie truppe di fanteria assai più presto e meglio che non i comandi di artiglieria. La separazione riguarda però solo gli enti direttivi.

Gli enti esecutivi del servizio sono, in ogni armata: più avanti, verso l'esercito mobilitato, il magazzino d'artiglieria di armata, e più indietro, verso il paese, il deposito centrale d'artiglieria di armata. Quest'ultimo riceve da tergo le armi di ogni specie e le munizioni, a richiesta, e le invia poi al magazzino d'artiglieria di armata: è un elemento fisso e può anche essere costituito dagli stessi stabilimenti di produzione. Il magazzino d'artiglieria di armata a sua volta fornisce armi e munizioni alle truppe operanti: è un elemento mobile, e i suoi spostamenti avvengono normalmente per ferrovia. Sino alla passata guerra anche i corpi d'armata e le divisioni avevano ciascuno un proprio ente esecutivo per il servizio d'artiglieria e cioè un parco di artiglieria in ogni corpo d'armata e una colonna munizioni in ogni divisione: i detti enti, muniti di mezzi a traino animale, trasportavano parte delle munizioni al seguito immediato delle unità cui erano addetti. L'esperienza di guerra ha consigliato di sopprimerli. Per le ragioni della riforma, comuni a tuttì i servizî logistici, v. logistica.

Per la riparazione delle armi sono assegnati laboratori campali in in ragione di uno a ogni divisione, per le armi portatili, e di uno a ogni corpo d'armata, per le artiglierie. Sono officine autocarreggiate le quali, recandosi rapidamente presso le singole unità combattenti, possono provvedere a quelle riparazioni per le quali i corpi non abbiano a disposizione mezzi adatti e sufficienti. Inoltre ad ogni magazzino d'artiglieria di armata sono annessi laboratorî per le riparazioni di maggiore entità.

Per facilitare le operazioni di calcolo nei rifornimenti delle munizioni si è istituita l'unità di misura convenzionale detta giornata di fuoco. Teoricamente è il quantitativo di munizioni corrispondente al medio consumo giornaliero delle varie armi in combattimento; ma in pratica lo studio dell'esperienza del passato non permette di trarre dati medî attendibili circa il consumo di munizioni in una giornata, poiché troppo diverse possono essere le circostanze in cui si svolgono i combattimenti. Perciò la giornata di fuoco ha un valore del tutto convenzionale, utile solo per facilitare i calcoli da parte degli enti incaricati dei rifornimenti.

Il servizio d'artiglieria trova nell'arma aerea il suo principale ostacolo, soprattutto perché essa ha reso quanto mai pericolosa la costituzione dei grandi magazzini d'artiglieria, che formeranno in una futura guerra il bersaglio preferito da parte delle squadriglie aeree. Lo scoppio, facile a determinarsi mediante lancio di bombe, d'ingenti masse di munizioni, oltre a privare l'armata, che ne fosse colpita, di un rifornimento assai prezioso e di non facile né immediata sostituzione, potrebbe arrecare gravi danni agli abitati, alle strade, alle stazioni ferroviarie, ecc. È consigliabile perciò, per la costituzione dei magazzini di artiglieria, ricorrere, finché è possibile, a caverne o ricoveri blindati; ma, poiché essi saranno sempre scarsi in confronto al bisogno, s'imporrà il provvedimento di frazionare i magazzini d'artiglieria in depositi largamente distanziati, situati in lontananza dai grossi centri abitati o da stazioni e linee ferroviarie, ecc. Si dovrà anche ricorrere in larga misura al mascheramento sia naturale (alberatura), sia artificiale (mimetismo) e alla difesa antiaerea.

Le artiglierie navali.

I cannoni impiegati su galleggianti e destinati a battere altri galleggianti, costituiscono un sistema di armi che si è a mano a mano differenziato dal corrispondente sistema di terra, e ciò per molte ragioni di cui ecco brevemente le principali:

1. I bersagli da battere si spostano in genere con notevole velocità, hanno dimensioni limitate e sono assai spesso fortemente protetti, specialmente nel senso verticale.

2. L'effetto del colpo si può considerare praticamente nullo se il bersaglio non è direttamente colpito; esso è comunque limitato, se il proietto non riesce a perforare il bersaglio prima di esplodere.

3. L'ampio orizzonte libero che si ha sul mare permette in condizimni favorevoli di avvistare il bersaglio a distanze molto forti, e perciò i cannoni debbono avere un'adeguata portata.

4. Mancano quasi sempre punti di riferimento per giudicare con qualche esattezza quale sia la posizione relativa dei punti di caduta dei proietti rispetto al bersaglio; in compenso però i proietti stessi, cadendo in mare alzano colonne d'acqua visibili a grandi distanze che individuano la salva.

5. La piattaforma delle armi risulta mobile in modo vario a seconda dello stato del mare, nonché in dipendenza della manovra della nave che esegue il fuoco.

6. Il poco spazio che si ha disponibile a bordo limita il numero delle armi che ciascuna nave può utilmente impiegare, ed esige che le armi stesse siano molto raggruppate, anche per sfruttare il massimo campo di tiro.

7. L'affusto può essere fissato alla nave in modo così robusto da poter sopportare sforzi notevolissimi senza che si abbiano sobbalzi sensibili.

8. A bordo si ha quasi sempre a disposizione energia meccanica per la manovra delle artiglierie.

9. I cannoni non vengono rimossi dalla loro posizione se non in occasioni eccezionali per visita o per riparazione; perciò il fattore peso ha importanza relativamente minore che nelle armi terrestri.

Sistemi di costruzione. - Per potere rispondere a queste esigenze, i cannoni navali devono essere, in relazione al calibro, armi della massima potenza, capaci di fare un tiro molto celere e dotate di organi di manovra e di punteria molto esatti. Per quanto riguarda i varî sistemi di costruzione ci riferiamo a quanto è esposto nella parte relativa alle artiglierie terrestri. Ricorderemo solo che in epoca assai recente il problema della costruzione delle armi è stato avviato su una strada completameme nuova (autoforzamento), esperimentata contemporaneamente in America ed in Francia, ma che in realtà ebbe la prima pratica e larga applicazione soltanto in Francia. Presentemente il metodo dell'autoforzamento è adottato anche nella nostra marina: lo descriveremo quindi un po' più estesamente.

Il procedimento che si segue per la costruzione delle armi autoforzate è schematicamente il seguente: il tubo che costituisce il cannone (supponiamo per ora che si tratti di un'arma formata da un unico tubo) viene lavorato a un diametro interno alquanto inferiore al calibro previsto, e viene chiuso alle due estremità mediante tappi capaci di tenere un'altissima pressione idraulica. Il tubo è quindi riempito d'acqua che, con un sistema di pompe e di moltiplicatori idraulici, è messa sotto pressione fino a raggiungere valori che in qualche caso superano anche le 8000 atmosfere, e che ad ogni modo devono garantire che anche lo strato esterno del tubo abbia subito un principio di deformazione permanente.

In queste condizioni il tubo si rigonfia ed è possibile seguire mediante appositi apparecchi l'andamento degli accrescimenti sul diametro esterno, accrescimenti dovuti alla somma delle deformazioni permanenti e di quelle elastiche. Apposite formule permettono di passare dalle deformazioni unitarie sullo strato esterno a quelle sullo strato interno e di dedurre da queste ultime il valore del limite elastico raggiunto dal metallo per qualunque strato. L'operazione di forzamento viene arrestata quando sui diametri esterní corrispondenti alle varie sezioni del tubo si sono raggiunti gli accrescimenti previsti dallo studio di costruzione dell'arma. Col cessare della pressione dovrebbero scomparire del tutto le deformazioni elastiche e restare soltanto quelle permanenti; dato però che le deformazioni permanenti vanno diminuendo in valore percentuale dallo strato interno verso l'esterno, ne segue che i varî strati in cui si può supporre suddiviso il tubo, non possono assumere quell'assetto che corrisponderebbe alle deformazioni permanenti effettivamente subite, giacché a ciò si oppongono gli strati più interni che, in proporzione, sono rimasti maggiormente dilatati. Ne segue che tutti gli strati infinitesimi nei quali consideriamo suddiviso lo spessore del cannone permangono in uno stato di tensione elastica, eccettuato un unico strato intermedio che si troverà in condizioni di equilibrio; tutti gli strati situati esternamente a quello in equilibrio risulteranno in tensione, mentre quelli situati internamente risulteranno compressi. Insomma fra ciascuno degl'infiniti strati nei quali possiamo supporre suddiviso il cannone e gli strati contigui, si eserciteranno delle mutue reazioni che corrispondono a quel fenomeno che si crea col cerchiamento a caldo sulle superficie di contatto dei varî cerchi. Si riesce per tale via a risolvere m modo pratico il problema ideale del cerchiamento con un numero infinito di tubi (soluzione a cui si era dapprima cercato di arrivare coi cannoni fasciati a nastro) e a realizzare quindi, a parità di peso dell'arma, valori assai alti per la resistenza elastica dell'arma stessa, e quindi anche valori assai alti per l'energia alla bocca che essa può fornire.

La lavorazione del cannone, dopo il forzamento del tubo, procede in modo analogo a quella di un comune cannone monoblocco.

I vantaggi che presenta il sistema dell'autoforzamento sono:

1. Possibilità di raggiungere valori molto alti per il limite elastico, pur partendo da comuni acciai da cannone; il che ha una grande importanza, sia rispetto all'economia sia rispetto alla sicurezza; giacché gli acciai ad alto limite elastico ottenuti per fusione con l'aggiunta di speciali sostanze (vanadio, tungsteno, molibdeno, ecc.), oltre a costare assai di più, presentano notevoli difficoltà di fusione nei riguardi dell'omogeneità del metallo.

2. Garanzia contro eventuali difetti interni nella massa del metallo dei tubi; giacché sotto l'altissima pressione idraulica di forzamento i difetti stessi sarebbero palesati dalla rottura del tubo o per lo meno da deformazioni anormali.

3. Minor peso del cannone a parità di energia alla bocca, oppure maggior energia a parità di peso dell'arma.

4. Costruzione più rapida e che richiede impianti meno ingombranti e meno costosi.

Lasciando da parte le caratteristiche di speciale grande potenza, che coinvolgono naturalmente questioni di peso dell'arma e di lunghezza dell'anima, nessun'altra notevole differenza vi è fra i cannoni navali e quelli terrestri, eccezione fatta per la rigatura, che è in genere a passo sinistro per le artiglierie dì terra e a passo destro per quelle navali; non vi è alcuna ragione per preferire, nei cannoni, la rigatura destra a quella sinistra e l'impiego dell'una anziché dell'altra dipende soltanto dall'abitudine.

Quanto ai sistemi di chiusura, non vi sono differenze importanti fra le artiglierie di bordo e quelle terrestri, usandosi in ambedue i casi sia otturatori a blocco sia otturatori a vite; solo è da notarsi che l'otturatore a blocco richiede l'uso del bossolo, il quale, a bordo, presenta non lievi inconvenienti, sia per la possibilità che, date le altissime pressioni che oggi si sfruttano, esso si deformi e rimanga forzato entro l'anima, rendendo inutile temporaneamente il cannone; sia per la difficoltà di evacuare i bossoli sparati dall'ambiente, spesso chiuso e ristretto, dove è contenuto il cannone.

Nella nostra marina si ritiene che il bossolo sia conveniente sino al calibro da 120 compreso, e che possa anche essere adoperato per il 152, ma che non convenga usarlo per calibri maggiori; le altre marine sono in genere anche meno propense all'impiego del bossolo, eccetto la marina tedesca, che lo usa, con adattamenti speciali, per tutti i calibri.

Tipi regolamentari di cannoni navali. - Ciascun tipo di cannone è contraddistinto nella nostra marina da una caratteristica che comprende normalmente un primo numero indicante il calibro dell'arma espresso in millimetri, un secondo numero indicante la lunghezza del cannone (dalla faccia anteriore dell'otturatore sino al taglio di volata) espresso in calibri, e un terzo numero che dice l'anno in cui il cannone fu progettato; fra il secondo e il terzo numero vi può essere una sigla che indica la fabbrica da cui l'arma proviene; così, p. es., la caratteristica: 152/53 Ans. 1927 indica un cannone del calibro da 152, lungo 53 calibri, costruito dalla ditta Ansaldo e studiato nell'anno 1927. I dati dell'arma che veramente interessano l'uso di essa sono: la velocità del proietto alla bocca e il peso del proietto stesso, dai quali si deduce la potenza alla bocca; potenza che si misura in dinamodi (tonnellate metro).

Qui sotto sono indicati i principali cannoni navali in uso da noi e presso le principali altre marine:

Per quanto riguarda le gittate, bisogna tener conto che esse dipendono non soltanto dal tipo del cannone, ma anche dall'elevazione massima concessa dall'affusto; ciò spiega, p. es., come il cannone da 120/45 con 850 m. s. di velocità iniziale, ma con possibilità di elevazione sino a 30°, abbia una gittata massima superiore al 152/45, che ha la stessa velocità iniziale ed elevazione ridotta a 14° circa. In quanto alle sigle distintive delle varie fabbriche d'armi cui appartengono i cannoni sopra elencati, esse corrispondono alle indicazioni seguenti:

A., fabbrica Armstrong di Pozzuoli; presentemente chiusa.

SK., fabbrica austriaca Skoda; si tratta di cannoni preda di guerra.

S., fabbrica francese Schneider del Creusot.

S.A., cannoni costruiti dalla fabbrica Ansaldo di Sampierdarena su progetto della ditta francese Schneider.

Ans., fabbrica Ansaldo di Sampierdarena.

V., fabbrica Vickers-Terni di Spezia.

Erosione dei cannoni. - Le artiglierie navali, come qualunque bocca da fuoco, si consumano al tiro; il fenomeno però assume in questo caso un'importanza assai più grande, perché, a causa della maggiore potenza dei cannoni e della maggiore rapidità di tiro, il consumo procede in modo assai più rapido. Anche riguardo agli effetti, il logoramento delle armi è più da temersi nel tiro navale che non in quello terrestre, tenuto conto della differenza dei bersagli da battere. Infatti, come abbiamo già detto, nel tiro navale tutti i colpi che non colpiscono direttamente il bersaglio sono colpi perduti; e siccome il consumo delle armi agisce in senso sfavorevolissimo sulla precisione del tiro, esso viene a diminuire di molto il rendimento, ciò spiega la grande importanza data al problema.

Dopo aver escogitato varî espedienti, si è giunti a concludere che l'unica soluzione è quella di cambiare i cannoni logori, o per lo meno di rimetterne a nuovo la parte interna; e posto che il tener pronti in numero sufficiente i cannoni di ricambio costerebbe troppo, si è giunti ad una costruzione che permette di ricambiare con relativa facilità il tubo interno, o una parte di esso.

Quest'operazione, cui si dà il nome di ritubamento, può essere eseguita in diverse maniere. Col primitivo sistema il cannone veniva messo al tornio e se ne asportava per tutta la lunghezza uno strato interno di determinato spessore, sostituendolo poi con un sottile tubo infilato a forzamento; il tubo a sua volta veniva dapprima tornito al calibro esatto e poi rigato in modo da restituire al pezzo le sue caratteristiche iniziali. Ma questo metodo richiedeva un tempo assai lungo, e perciò era sempre necessario aver pronte armi di riserva, se non si voleva essere obbligati a disarmare parzialmente le navi.

Dopo la guerra si esperimentò un sistema di ritubamento assai più rapido. L'idea primitiva, di origine francese, consiste in questo: il cannone porta nel suo interno un sottile tubo (che costituisce la parte rigata), il quale è infilato dentro il cannone propriamente detto con un certo lasco che si mantiene nei limiti di un paio di decimi di millimetro, in modo da rendere abbastanza facile e rapida l'operazione di messa a posto e di estrazione. Questo tubo, che è fatto con acciaio di limite elastico assai più alto di quello dell'acciaio di cui son fatti gli altri tubi del cannone, sotto l'effetto della pressione dello sparo si dilata sino ad aderire alla superficie interna del cannone; da questo momento in poi esso si deforma contemporaneamente al cannone stesso, il quale pertanto viene a funzionare come un cannone ordinario. Al cessare della pressione, tutto ritorna allo stato di riposo, e il sottile tubo interno riprende le primitive dimensioni, che permettono di estrarlo, se è necessario, con relativa facilità e anche, per armi di piccolo calibro, senza che si debba trasportare il cannone in officina.

Questo sistema di ritubamento, geniale nel suo concetto, presenta alcuni inconvenienti nell'applicazione; perciò esso è stato recentemente modificato in questo, che il tubo viene fatto di spessore alquanto maggiore, usando in compenso acciaio con limite elastico meno alto, e lasciando fra esso e il cannone il minimo lasco compatibile con la possibilità d'introduzione e d'estrazione da eseguirsi senza operazioni termiche e per mezzo di semplici dispositivi meccanici da potersi facilmente mettere in opera sul posto.

In questo caso le operazioni possono essere un pochino più lente (sempre eseguibili però nel termine di qualche ora anche per cannoni di medio calibro), ma la garanzia di buon funzionamento è molto maggiore. I più moderni cannoni della nostra marina sono costruiti con questo sistema.

Installazioni. - Più ancora che per il cannone propriameme detto, le artiglierie navali differiscono da quelle terrestri per l'affustamento, che deve rispondere a esigenze differentissime. Si distinguono a bordo le sistemazioni su affusto da coperta (che possono essere scudate, oppure no), quelle in casamatta, quelle in barbetta (ormai completamente fuori uso) e infine quelle in torre.

Gli affusti da coperta sono di due tipi principali: a piedistallo e a piattaforma. L'affusto a piedistallo è costituito schematicamente: da un robusto pernone che ruota entro l'alloggio portato da apposita boccola fissata al ponte, e che si biforca superiormente in due bracci destinati a sostenere gli orecchioni della culla entro cui scorre il cannone durante i movimenti di rinculo e di ritorno in batteria, è il tipo di affusto più semplice, più leggiero, e che si usava di preferenza per i cannoni di piccolo e di medio calibro; esso però non si presta per cannoni destinati a sfruttare forti angoli di elevazione, e tende quindi ad essere abbandonato.

L'affusto a piattaforma è costituito invece da una piattaforma circolare che ruota su di una corona di sfere o di rulli portati dal sotto-affusto fisso al ponte; sul basamento s'innalzano le due fiancate entro le quali muove il cannone in elevazione; è questo il tipo di affusto che incontra oggi maggior favore per tutti i calibri.

Gl'impianti in casamatta sono quelli relativi a cannoni sistemati in un ponte coperto; essi sfruttano come posizione la stessa protezione dei fianchi della nave (nei quali sono aperte le cannoniere, da cui sporgono le anime dei pezzi) e sono in genere del tipo a piedistallo. Presentano molti inconvenienti, quali, per esempio: a) limitato campo di tiro; b) limitato orizzonte di punteria a causa della poca elevazione sul livello del mare; c) indebolimento della protezione dello scafo per l'apertura delle cannoniere; d) pericolo di allagamento attraverso le cannoniere, in caso di sbandamento della nave per via d'acqua. Essi sono da considerarsi come del tutto antiquati, tanto più che oggi la tendenza è di sistemare tutte le artiglìerie in coperta lungo l'asse longitudinale del bastimento, per sfruttarle sia sull'uno sia sull'altro fianco.

Gl'impianti in barbetta sono ancora più antiquati, e gli ultimi che abbiamo avuti sono quelli da 343 delle navi tipo Sardegna. Essi sono cosiituiti da uno spalto robustamente corazzato, che si eleva dalla coperta e che protegge tutti i macchinarî di manovra dei cannoni e gli organi di caricamento; entro questo spalto ruota la piattaforma dei cannoni, coperti da una cupola di semplice lamierino avente l'unico scopo di proteggerli contro le intemperie.

Gl'impianti in barbetta sono del tutto irrazionali e vennero ben presto abbandonati per cedere il posto agl'impianti in torre che anche oggi rappresentano l'unico tipo di postazione usato per tutte le artiglierie di grosso calibro e per una parte di quelle di medio calibro. Nell'impianto in torre la piattaforma mobile, su cui sono spostati i cannoni, è protetta da una cupola corazzata solidale con essa, e porta inferiormente una grossa appendice tubolare, entro la quale si muovono gli elevatori delle munizioni, e che finisce nel deposito delle munizioni stesse. I vantaggi che presenta l'impianto in torre sono notevolissimi, come, per esempio: a) possibilità di sfruttare grandi campi di tiro installando le torri per chiglia; b) buona protezione del materiale e del personale; c) buona celerità di tiro delle armi, resa possibile dal fatto che il tubo degli elevatori pesca direttamente nei depositi.

Raggruppamento delle artiglierie. - Come si è detto precedentemente, la moderna tendenza è quella di sistemare a bordo tutte le artiglierie sui ponti scoperti, siano esse montate in torre o su affusti da coperta. Dalla d'altra parte la grande convenienza di aumentare al massimo il campo di tiro di tutti i cannoni, per poterne impiegare il maggior numero possibile qualunque sia la direzione secondo la quale si presenta il nemico, occorre studiare speciali adattamenti perché un'arma non disturbi il campo d'azione dell'altra. Questi adattamenti sono di tre specie: a) disporre possibilmente tutti i cannoni sull'asse longitudinale della nave; b) mettere gl'impianti su due piani di altezza differente in modo che quello superiore possa sparare al di sopra di quello sottostante; c) riunire due o più cannoni in un unico impianto in maniera da ridurre al minimo il numero degl'impianti stessi.

È utile illustrare più ampiamente il terzo dei suddetti provvedimenti. Supponiamo, p. es., di avere a bordo otto cannoni di un determinato calibro; se ciascun cannone fosse sistemato da solo, occorrerebbero otto impianti che difficilmente si potrebbero sistemare in modo da sfruttare per tutti un buon campo di tiro; riunendo invece i cannoni a due a due, il numero degl'impianti viene ridotto a quattro, che possono essere disposti secondo l'asse della nave due a prora e due a poppa, sopraelevando uno degl'impianti rispetto all'altro per ciascuno dei due gruppi. Si vengono con ciò ad ottenere anche altri vantaggi, quali, p. es., un'economia di peso ed una diminuzione del bersaglio totale esposto; è infatti evidente che una torre con due cannoni pesa meno, e presenta una minor superficie, che non l'insieme di due torri con un cannone ciascuna. Spingendo al limite questa teoria, si potrebbe giungere a concludere che convenga riunire tutti i cannoni di una nave in un unico impianto, che sfrutterebbe nel miglior modo il campo di tiro.

Vi sono però altre ragioni che c'inducono ad arrestarci a un certo punto su questa via. Eccone alcune: a) il peso delle artiglierie risulterebbe concentrato tutto su di un'unica e ristretta zona della nave, cosa contraria a una ragionevole ripartizione degli sforzi su tutto lo scafo; b) un'avaria qualunque all'unico impianto immobilizzerebbe insieme tutte le artiglierie della nave.

Sino ad oggi non si sono costruiti impianti che contengano più di tre cannoni; ed anzi l'impianto classico in torre ne contiene in genere solamente due; erano però già state progettate dalla marina francese torri con quattro cannoni di grosso calibro, torri che non vennero costruite, giacché, in seguito alla conferenza di Washington, la Francia non portò più a termine la costruzione delle grandi navi cui le torri stesse erano destinate.

Organi dell'affusto. - I moderni affusti comprendono sempre:

a) la culla, nel cui interno scorre il cannone durante i suoi movimepti di rinculo e ritorno in batteria. La culla porta gli orecchioni intorno ai quali essa può rotare in un piano verticale insieme col cannone; la culla è unita al cannone elasticamente mediante il freno di rinculo e gli organi di ritorno in batteria;

b) il freno, che serve per assorbire in parte l'energia di rinculo del pezzo, trasmettendo il rimanente all'affusto in modo graduale e regolabile, così da evitare strappamenti troppo bruschi. I freni che si usano a bordo sono del tipo a liquido, oppure combinato a liquido e ad aria; per i primi si usa la glicerina; per i secondi si può usare una miscela di acqua con altre sostanze che la rendano incongelabile,

c) l'organo di ritorno in batteria, che nella generalità dei casi è costituito da un ricuperatore il quale immagazzina una parte dell'energia di rinculo dell'arma, restituendola poi per rimandare il cannone in batteria. Il ricuperatore può essere a molla, oppure pneumatico, o infine anche idropneumatico; quest'ultimo tipo è quello che gode attualmente maggior favore, perché meno pesante di quello a molla, e di funzionamento più sicuro di quello pneumatico; in qualche caso il ricuperatore può essere incorporato entro il freno. Per gl'impianti che non hanno ricuperatore esiste i speciale organo per rimandare l'arma in batteria, impiegando energia fornita dal bastimento;

d) gli organi di manovra, che servono per muovere il cannone in un piano orizzontale (brandeggio) o verticale (elevazione);

e) il dispositivo di mira, che si chiama anche impropriamente alzo, che serve a materializzare nello spazio l'angolo che la congiungente bocca del pezzo-bersaglio deve fare con l'anima del cannone puntato, affinchè il proietto vada (almeno teoricamente) a cadere sul bersaglio;

f) gli organi di caricamento, che servono per rendere possibile, o per lo meno per facilitare, il caricamento del pezzo; questi ultimi però non esistono in tutti gl'impianti;

g) i congegni di messa a fuoco, che sono in parte contenuti nell'otturatore e in parte portati dall'affusto. Possono essere elettrici ed a percussione; a bordo ha maggiore importanza il sistema elettrico che facilita il fuoco simultaneo di più armi mediante la chiusura di un unico circuito. Vi è anche un sistema misto elettromagnetico che realizza il fuoco a percussione comandato però a distanza mediante un dispositivo elettrico; questo sistema ha largo uso nella marina francese, mentre da noi è stato abbandonato per i risultati non soddisfacenti che se ne sono ottenuti,

h) i congegni di sicurezza e gli scacciafumo, di cui i primi servono a impedire che si possa far fuoco ad otturatore non completamente chiuso, o a cannone non tornato bene in batteria, oppure che si possa aprire involontariamente l'otturatore, se il colpo è fallito; mentre i secondi servono a scacciare dall'interno dell'anima i gas residui della combustione della carica, evitandone l'espansione entro il locale dove il cannone è sistemato.

Alcuni organi dell'affusto richiedono per essere manovrati una certa forza, che può essere fornita o dai serventi o dall'energia di bordo. Per tutti gl'impianti di grosso calibro, e si può dire ora anche per quelli di medio calibro disposti su affusto binato, la manovra richiede l'energia fornita da bordo; e ciò specialmente per la celerità di punteria in brandeggio e per l'elevazione che si richiede, nonché per l'alta rapidità di caricamento anche dei grossi calibri.

Le due forme di energia più largamente usate negl'impianti d'artiglieria sono quella elettrica e quella idraulica; noi abbiamo esperimentato sia l'una sia l'altra, preferendo però attualmente l'energia elettrica, la quale gode oggi il favore di tutte le marine, eccettuata quella inglese che continua a costruire impianti idraulici.

È necessario che il congegno di brandeggio sia obbedientissimo, in modo da non richiedere dal puntatore uno sforzo che lo distrarrebbe dalla punteria; occorre inoltre che sia regolabile in velocità dentro limiti molto ampî per poter seguire con continuità le rapide variazioni di rilevamento di un bersaglio defilante ad alta velocità e a breve distanza, oppure le lentissime variazioni corrispondenti ad un bersaglio molto lontano e per il quale la velocità relativa abbia una componente normale al piano di tiro assai piccola; i limiti entro i quali la velocità di brandeggio deve potersi regolare in modo continuo, vanno dai 3′ ai 6° d'arco al secondo.

Per raggiungere più facilmente queste condizioni, occorre diminuire, per quanto è possibile, l'attrito delle parti rotanti e portare il centro di gravità delle masse in moto sul loro asse verticale di rotazione. Si raggiunge il primo scopo mediante l'adozione di corone di rulli o di sfere, e il secondo equilibrando opportunamente i pesi delle varie parti dell'impianto; così, p. es., per compensare il peso dei cannoni (che, per facilitarne l'elevazione, sono portati, per quanto è possibile, in avanti), si prolunga dalla parte posteriore l'impianto con una coda nella quale si tiene generalmente anche una riservetta di proietti. È molto importante avere il centro di gravità sull'asse di rotazione, perché, in caso contrario, per brandeggiare l'impianto quando la nave è sbandata, si dovrebbe vincere una componente del peso dell'impianto stesso.

Nei cannoni di piccolo calibro, e anche in alcuni di medio, il brandeggio si esegue a mano mediante vite senza fine e ruota a denti elicoidali; in questo caso la regolazione della velocità è fatta dal puntatore; negl'impianti più pesanti il brandeggio è elettrico o idraulico, e in tal caso, per ottenere una buona variazione di velocità, occorrono particolari dispositivi. Negl'impianti elettrici, poiché riesce difficile regolare la velocità agendo sul solo motore di lavoro, si ricorse talvolta al sistema del complesso intermediario dinamo-motore installato nella torre, in modo da poter agire sia sul campo della dinamo sia su quello del motore; in altri impianti si è invece applicato il principio del regolatore di velocità tipo janney, che risponde abbastanza bene allo scopo; più recentemente infine si è sperimentato un variatore continuo di velocità di tipo esclusivamente meccanico.

Per impianti idraulici la regolazione di velocità si può ottenere assai facilmente agendo sulla valvola d'immissione della pressione. I motori idraulici possono essere del tipo Brotherhood (cilindri disposti a stella), oppure del tipo a motore speciale basato sul principio del giunto janney.

Il movimento di elevazione è a mano per i piccoli calibri e talvolta anche per i medî, ed è meccanico per i grossi calibri; è però desiderabile avere anche per questi ultimi il modo di elevare i pezzi a mano in caso di avaria del congegno meccanico. La velocità di elevazione dev'essere tale da compensare il movimento di rollio della piattaforma; si ritengono sufficienti circa 5-6 gradi al secondo. Per facilitare il movimento di elevazione si usa in alcuni cannoni il sistema eliminatore di attrito: in questo caso il cannone non poggia normalmente su tutta la superficie dell'orecchione, ma questa va a contatto con l'orecchioniera soltanto durante il tiro.

L'elevazione può aversi con arco dentato, con pistone idraulico, oppure con vitone e madrevite. E necessario che i congegni di elevazione siano robusti per resistere al cimento prodotto dal rapido spostamento del centro di gravità durante il rinculo del cannone, e per opporsi all'eccessivo angolo di rialzamento.

Esistono inoltre anche altri congegni detti d' "interferenza fuoco" destinati a impedire che i cannoni di un impianto basso vadano, in speciali condizioni di brandeggio e d'elevazione relativi, a urtare contro i cannoni dell'impianto sopraelevato.

Per quanto riguarda i congegni di caricamento, essi in genere mancano nei cannoni di piccolo calibro, salvo che per quelli destinati ad eseguire tiro antiaereo; nei cannoni di medio calibro si ha la sola cucchiaia di protezione dell'alloggio otturatore; in quelli di grosso calibro, oltre alla cucchiaia, si ha anche l'elevatore dl munizioni e il calcatoio meccanico.

Il calcatoio può essere idraulico o elettrico; i calcatoi elettrici sono tutti a catena Gall; i calcatoi idraulici possono essere a catena Gall, oppure a cannocchiale. Il calcatoio è a corsa variabile: piena corsa per caricare il proietto e calcarlo fortemente in sede di caricamento; corsa ridotta per caricare l'elemento o gli elementi di carica. Il caricamento può avvenire a tutte le elevazioni concesse al pezzo, e allora il calcatoio deve seguire il cannone nei suoi movimenti; oppure può essere fatto a posizione unica di caricamento, e allora il calcatoio è fisso all'impianto.

Congegni di mira. - Perché il proietto possa raggiungere, almeno teoricamente, il bersaglio, è necessario, com'è già stato detto, che l'asse del cannone puntato faccia con la congiungente bocca del pezzo-bersaglio un determinato angolo verticale e uno orizzontale; il primo di essi rappresenta l'alzo, e il secondo il cursore. Nel tiro navale l'alzo deve tenere conto:

a) della distanza del bersaglio al momento in cui si esegue il fuoco;

b) della variazione di distanza che si verifica durante il percorso del proietto nell'aria per effetto della componente della velocità nemica secondo il piano di tiro;

c) delle correzioni che si devono apportare alla tavola di tiro per effetto del valore momentaneo della densità dell'aria, per la temperatura dell'esplosivo, per la variazione di velocità iniziale dovuta all'usura, per la partita e per il lotto dell'esplosivo;

d) della componente del vento, misurata secondo il piano di tiro;

e) della componente del moto della nave che spara, misurata secondo il piano di tiro;

f) dei controscarti forniti dal direttore del tiro in base all'osservazione dei punti di caduta.

Il cursore dal suo canto deve tener conto:

a) della componente della velocità del bersaglio misurata normalmente al piano di tiro;

b) della componente della velocità della nave che spara, misurata normalmente al piano di tiro;

c) della componente del vento, misurata normalmente al piano di tiro;

d) della derivazione;

e) dei controscarti laterali forniti dal direttore del tiro in base all'osservazione delle salve.

In passato gli alzi venivano forniti in misura angolare sessagesimale (gradi e primi) e i cursori in millimetri; si passò in un secondo tempo alla graduazione in millesimi, che venne dapprima adottata soltanto per i cursori e che presentemente è adottata anche per gli alzi. La definizione del millesimo geometrico è la seguente: "ampiezza angolare dell'arco la cui lunghezza è pari alla millesima parte del raggio".

Ne segue che, dovendoci essere in una circonferenza 2•π•1000 (ossia in cifra tonda 6280) millesimi, l'ampiezza angolare di un millesimo è all'incirca pari a 3′,44 di arco. Per facilitare l'incisione delle gradazioni, in luogo del millesimo geometrico si adotta attualmente il millesimo convenzionale, la cui misura angolare si ottiene considerando suddivisa la circonferenza in 6400 millesimi anziché in 6280; il millesimo convenzionale è quindi leggermente più piccolo di quello geometrico, ma nella pratica la cosa non ha importanza.

I tipi di congegni di mira che successivamente si adoperarono sono: 1) alzo rettilineo; 2) alzo circolare; 3) alzo panoramico. Il primo di essi è ormai completamente abbandonato; il secondo è ancora in uso per artiglierie del tipo anteguerra; il terzo è quello ormai adottato per tutte le artiglierie navali.

Un decisivo miglioramento nei congegni di mira si ottiene con l'introduzione del cannocchiale, che consente una precisione di punteria precedentemente non conosciuta. Il cannoechiale che si usa può essere ad ingrandimento fisso o variabile, e, in questa seconda ipotesi, l'ingrandimento può essere variabile con continuità entro determinati limiti, o può assumere alcuni differenti ma ben determinati valori.

Si adotta presentemente un tipo di cannocchiale con due soli ingrandimenti, che sono in linea di massima 4-8 per i piccoli e medî calibri, e 4-12 per i grossi calibri. Inoltre, unito al congegno di mira propriamente detto, vi è anche un cercatore che serve per portare rapidamente, e con una grossolana continuazione, la linea di mira sul bersaglio. Il cercatore può essere costituito da una linea di mira naturale che comprende due semplici traguardi, oppure da un altro sistema ottico a limitato ingrandimento (circa 1,5-2).

I cannocchiali di tipo telescopico, che si usarono dapprima per i congegni di mira, hanno l'inconveniente di essere poco raccolti e di sregolarsi facilmente; siamo quindi passati più recentemente ai cannocchiali prismatici nel cui uso siamo stati preceduti dalla marina francese.

Un'ulteriore e importante innovazione è stata attuata con l'adozione degli alzi panoramici che sono schematicamente costituiti da cannocchiali prismatici nei quali la misura degli angoli di alzo e cursore, anziché essere effettuata inclinando tutto il cannocchiale, è ottenuta col semplice movimento impresso al prisma obiettivo (prisma di testa).

I congegni di mira, che sono due per ciascun cannone navale, possono essere collegati al cannone, oppure alla culla, o infine all'affusto.

Il collegamento ai cannoni è ormai completamente abbandonato per gl'inconvenienti che esso cagiona per effetto del rinculo dell'arma; il collegamento alla culla è stato adottato universalmente fino a questi ultimissimi tempi; il collegamento all'affusto è invece adottato solo negl'impianti modernissimi.

Quando il congegno di mira è collegato alla culla, si cerca che esso risulti il più possibile prossimo all'asse degli orecchioni per rendere minimo il disturbo del puntatore durante i movimenti d'elevazione; in genere anzi si usa un cannocchiale con oculare piegato a 90° in modo che l'asse ottico dell'oculare stesso coincida con l'asse degli orecchioni del pezzo; con questo dispositivo l'occhio del puntatore non deve spostarsi durante i movimenti d'elevazione. Quando il congegno di mira è del tipo panoramico, è necessario che al prisma di testa vengano impressi, in senso contrario, i movimenti di elevazione fatti dal cannone; ciò implica l'uso di trasmissioni di grande precisione.

Affinché i congegni di mira rispondano bene allo scopo, occorre che gli assi ottici dei canocchiali, quando tutte le graduazioni sono a zero, risultino paralleli all'asse del cannone; appositi dispositivi servono a questo scopo. Col sistema più corrente ma meno preciso, consistente nell'uso di un cannocchiale infilato nell'alloggio del gambo della testa fungo e di un semplice crocicchio in volata, si trascura un'eventuale curvatura dell'anima del pezzo; volendo tener conto anche di questa curvatura, s'impiega in culatta un cannocchiale mobile portato da un collare che s'infila nell'alloggio dell'otturatore, e in volata un doppio crocicchio di forma speciale.

Sia con un sistema sia con l'altro, si traguarda poi con il cannocchiale di culatta un punto ben definito e molto lontano, e, se la linea di mira è bene impostata, si dovrà far collimare lo stesso punto anche col cannocchiale dell'alzo, avendo messo tutte le graduazioni a zero. Se ciò non succede, si sposta opportunamente l'alzo, manovrando gli appositi attacchi.

Ogni qual volta si gradua l'alzo, la linea di mira viene a spostarsi dal bersaglio, e, per riportarvela, occorre manovrare opportunamente il cannone; ciò costituisce un disturbo per il puntatore. Nelle artiglierie navali l'inconveniente di cui sopra è assorbito dall'altro della specie stessa, ma assai più appariscente come entità, dovuto ai movimenti della piattaforma dell'arma, movimenti che obbligano continuamente a rettificare la punteria, perché il bersaglio non esca dal campo del cannocchiale; non c'è quindi da preoccuparsene eccessivamente. La cosa però assume importanza più notevole nel caso che si tratti di cannoni con caricamento a posizione fissa. In tal caso infatti, ogni qual volta il pezzo ha sparato, bisogna muoverlo rapidamente e sensibilmente in elevazione per riportarlo alla posizione di caricamento, posizione sulla quale deve fermarsi per tutto il tempo necessario al caricamento stesso; ciò interrompe la punteria per un periodo abbastanza lungo con evidenti inconvenienti circa la rapidità di tiro.

Ad evitare gl'inconvenienti di cui sopra, si usa a bordo un sistema di svincolo del congegno di mira mediante il quale il cannone può essere sconnesso dal congegno di mira stesso per eseguire le operazioni di caricamento, mentre la punteria può continuare senza interruzioni; ultimato il caricamento, il cannone va automaticamente a ricongiungersi al congegno di mira, assumendo quindi la sua giusta posizione.

Un'altra particolarità di alcuni tipi di congegni di mira è quella che va sotto la denominazione di "congegni a linea di mira indipendente", i quali permettono, sfruttando un sistema a differenziale, di mantenere costantemente la linea di mira sul bersaglio, indipendentemente dalla manovra del pezzo in elevazione; essi sono usati in alcuni tipi di cannone antiaereo.

Congegni di accensione e di sicurezza. - Nei cannoni navali l'accensione delle cariche di lancio viene eseguita a percussione, oppure elettricamente, il sistema di gran lunga più importante è però quello elettrico, che si adopera di preferenza per i cannoni di medio e di grosso calibro.

Il sistema a percussione è quello usuale per i piccoli calibri, mentre per quelli maggiori è da considerarsi solo come sistema di riserva. Esso è costituito da un semplice percotitoio il quale, al momento opportuno, viene spinto violentemente da una molla contro l'innesco, determinandone l'accensione.

Il sistema elettrico consiste schematicamente in un circuito che viene chiuso a volontà dal puntatore, il quale può essere situato anche assai lontano dal cannone, circuito su cui è inserito un sottilissimo filo di platino (che si trova internamente al cannello) il quale, arroventandosi, determina l'accensione del cannello stesso. Il sistema elettrico presenta il grande vantaggio di poter fare funzionare contemporaneamente i cannelli di parecchi cannoni, cosa molto utile per il tiro a salve, e di poter far eseguire il fuoco da una posizione qualunque anche assai distante dai pezzi; esso è pertanto quello generalmente in uso su tutte le nostre navi.

I congegni di sicurezza previsti per i moderni impianti sono i seguenti: un congegno che impedisce l'esecuzione del fuoco, se l'otturatore non è completamente chiuso; un altro che impedisce lo sparo se il cannone non è ritornato completamente in batteria; e finalmente un terzo che impedisce di aprire involontariamente l'otturatore, quando il colpo sia fallito.

Con l'impiego delle cariche di lancio, costituite di esplosivo tipo cordite (regolamentare nella nostra marina), si manifesta talvolta l'inconveniente della fiamma di ritorno dovuta alla notevole quantità di ossido di carbonio che si trova nei gas residui dell'esplosione; il fenomeno si manifesta con una violenta lingua di fiamma che esce dalla culatta nell'istante in cui si apre l'otturatore. La fiamma di ritorno è un grave pericolo sia per i serventi sia per le cariche che eventualmente già si trovino pronte presso il cannone per i colpi successivi; ad eliminarla servono appunto i dispositivi che vanno sotto il nome di scacciafumo.

Essi consistono in serbatoi di aria compressa, messi in comunicazione, mediante tubolatura che attraversa anche lo spessore della culatta del cannone, con la parte del congegno di chiusura situata posteriormente al dispositivo di otturazione. Aprendo l'otturatore, viene manovrata automaticamente una valvola, la quale permette l'immissione dell'aria compressa che scaccia dalla bocca tutti i gas residui della combustione. Lo scacciafumo ha inoltre anche un benefico effetto sulla pulizia dell'anima, asportando i depositi di carbonio residui della combustione e i rimasugli bruciacchiati degl'involucri delle cariche che eventualmente fossero rimasti entro il cannone.

Bocche da fuoco speciali antiaeree e antisommergibili. - Le notizie sommarie sopra esposte riguardano i cannoni navali propriamente detti, vale a dire quelle armi che sono destinate ad eseguire il tiro di lancio contro navi. Si usano però a bordo anche altre armi da fuoco con scopi particolari, quali, p. es., i cannoni per la difesa antiaerea, le bombarde per la difesa contro sommergibili, e le mitragliere.

I cannoni contro-aerei non differiscono dai cannoni navali altro che per la maggiore elevazione di cui sono capaci, elevazione che si mantiene entro gli 80-85°, e per il tipo di congegno di mira assai più complicato, dovendo tener conto non solo della distanza dell'aereo, ma anche della sua quota di volo. I cannoni contro-aerei sono di calibro piuttosto limitato, che nella nostra marina non supera i 102 mm.; esistono già in servizio però presso altre marine calibri superiori, come, p. es., il 120 inglese e il 127 americano.

La scelta del calibro antiaereo dipende molto dal punto di vista da cui si esamina la gravità e la forma dell'offesa aerea; a questo riguardo le opinioni sono assai disparate, giacché, mentre taluni ritengono che l'arma aerea sia in grado, in un avvenire assai prossimo, di rendere pressoché impossibile l'esistenza di navi di superficie, altri pensano invece che la probabilità di colpire con bombe lanciate dall'alto bastimenti in moto sia talmente piccola da non costituire un notevole pericolo per i bastimenti stessi.

Pure attenendosi a una linea di condotta media fra le due opinioni estreme sopraccennate, rimane pur sempre da stabilire quale sia l'armamento difensivo che risponda meglio allo scopo.

Vi sono a questo riguardo due scuole, di cui una prevalente nella marina francese e l'altra nella marina americana. La prima di esse pensa che i velivoli, per poter avere una qualche probabilità di offendere navi in moto, dovranno abbassarsi a quote assai ridotte (presumibilmente inferiori ai 200 m)., per le quali l'uso del cannone non è troppo indicato, stante la rapidità dei movimenti angolari che sarebbe necessario imprimergli per seguire con continuità l'aereo durante il suo volo. Si pensa pertanto in Francia che la difesa contro-aerei debba essere a bordo prevalentemente affidata alle mitragliatrici, le quali, data la maneggevolezza assai superiore, potranno seguire l'aereo nelle sue evoluzioni, e, dato il grande numero di colpi di cui sono capaci (anche superiore ai 500 colpi al minuto), avranno una maggiore probabilità di colpire direttamente il bersaglio, sia colpendo il personale, sia danneggiando l'aereo nei suoi organi e nelle trasmissioni. Dato questo presupposto le navi francesi hanno un gran numero di mitragliatrici e pochi cannoni da 76.

La teoria diametralmente opposta è invece quella seguita dalla marina nord-americana, la quale è andata mano a mano aumentando il calibro dei cannoni antiaerei, raggiungendo, come si è precedentemente accennato, quello da 127. In questo caso non si mira tanto a colpire direttamente il bersaglio, quanto ad inquadrarlo con un numero sufficiente di proietti scoppianti, contando più che altro sulla zona utile di schegge che essi producono allo scoppio. Per questa ragione è necessario avere proietti abbastanza grandi, capaci di contenere una notevole quantità di esplosivo, e nello stesso tempo occorre che essi siano lanciati in numero sufficiente.

La marina americana ha risolto il problema con un cannone automatico capace di circa 30 colpi al minuto, cannone che, naturalmente, avendo caratteristiche simili a quelle di una grossa mitragliatrice, non permette l'impiego delle alte velocità iniziali che si sfruttano nel tiro navale. Ne segue che, volendo usare promiscuamente i detti cannoni sia per la difesa contro-aerei sia per quella contro siluranti, viene sacrificata l'efficacia di quest'ultima, per la quale è fattore importantissimo la radenza della traiettoria.

Nella nostra marina si segue una linea di condotta intermedia, adoperando di preferenza cannoni sulle navi maggiori e mitragliatrici sul naviglio leggiero. Le mitragliatrici che noi usiamo sono di due tipi, con calibro differente: calibro di circa 12 mm. per mitragliatrici destinate al tiro perforante, e calibro di circa 35-40 mm. per il tiro di scoppio. Per qvanto riguarda i cannoni, volendosi avere, per ovvie ragioni di peso e di economia, armi che disimpegnino i due servizî di difesa contro aerei e dî tiro contro siluranti, si va incontro a una notevole difficoltà riguardante l'affustamento. Infatti, se il cannone dev'essere in grado di assumere elevazioni di circa 80°, bisogna che gli orecchioni risultino assai alti sul piano di coperta, tanto più dovendo tener conto del rinculo dell'arma e dello spazio necessario per il caricamento. Con cannoni così affustati si renderebbe malagevole la punteria e il caricamento nel tiro navale, che viene eseguito con piccoli angoli di elevazione, giacché in questo caso il congegno di mira e la culatta del pezzo risulterebbero troppo alti. La marina italiana, prima fra tutte, ha risolto felicemente il problema mediante l'uso di uno speciale affusto, che permette di variare rapidamente l'altezza degli orecchioni a seconda dell'angolo di sito su cui si trova il bersaglio.

Il tiro contro sommergibili ha caratteristiche differentissime da quelle del tiro contro naviglio di superficie, sia perché molto spesso tutto il bersaglio è immerso, sia perché la parte di esso che può talvolta essere visibile, è sempre talmente ridotta da rendere praticamente nulla la possibilità di colpire direttamente il bersaglio; si cerca quindi di danneggiarlo per via indiretta, producendo nelle sue immediate vicinanze esplosioni subacquee che siano capaci di determinare sulle strutture dello scafo pressioni tali da dar luogo a vie d'acqua.

Bisogna però tenere presente che l'avvistamento di un sommergibile difficilmente avverrà a grandi distanze, e che perciò il tiro sarà sempre limitato entro un modesto raggio in queste condizioni. Se si sparasse con i normali cannoni in uso a bordo, si avrebbero angoli di caduta così piccoli che il proietto rimbalzerebbe sull'acqua, scoppiando quindi in aria, oppure, ad un secondo rimbalzo, assai lontano dal punto mirato. Si è cercato dapprima di ridurre al minimo la velocità iniziale delle armi, ma poco si può fare su questa strada, perché, al di sotto di una certa densità di caricamento, la combustione delle cariche di lancio diventa molto irregolare, e inoltre la possibilità che si producano onde di pressione rende il tiro pericoloso; si è allora ricorso al sistema di alterare la forma dell'ogiva del proietto, facendolo terminare addirittura con una superficie piana in modo da accrescere la resistenza dell'aria e da aumentare quindi la curvatura della traiettoria.

Anche questo artificio si dimostrò però di scarsa utilità, per cui si è ormai rinunciato all'impiego delle artiglierie navali contro sommergibili immersi, tanto più tenendo conto del fatto che i proietti di tali armi, per i piccoli e medî calibri, contengono una quantità assoluta di esplosivo assai ridotta, e non possono quindi avere grandi effetti di concussione qualora esplodano sott'acqua; di qui la necessità di studiare altre armi di uso più razionale per questa forma di tiro.

Si venne quindi all'uso dei lanciabombe, molto simili a quelli che ebbero larghissima diffusione durante la guerra sul fronte terrestre, e che differiscono da essi soltanto per la possibilità di una punteria in direzione ed elevazione abbastanza rapida. I lanciabombe in uso a bordo impiegano cariche di esplosivo dello stesso tipo degli altri cannoni, non essendo né pratico né prudente l'impiego di miscele gassose; il loro raggio d'azione giunge sino a 1500 metri circa, e le bombe che vengono lanciate portano notevoli quantità di esplosivo; un'apposita spoletta ritardata fa sì che lo scoppio della carica avvenga alla profondità desiderata, che si può ritenere di circa 10 metri. Per le munizioni, v. esplosivi e munizioni.

Graduazione dei congegni di mira e trasmissione degli ordini. - I bersagli contro cui sono destinate ad operare le artiglierie navali si spostano rapidamente, talché la graduazione degli alzi e dei cursori varia continuamente e secondo una legge assai complessa, che si cerca di determinare mediante un insieme di dispositivi che costituiscono la stazione di punteria e la centrale di tiro; occorre pertanto che gli elementi così dedotti siano rapidamente trasmessi ai congegni di mira, affinché alzo e cursore si trovino sempre in armonia con la mutevole situazione relativa nave-bersaglio. Servono a tale scopo i sistemi di trasmissione che possono essere acustici, meccanici o elettromeccanici. I trasmettitori acustici sono di due tipi: telefonici e a portavoce. I primi hanno il vantaggio di poter contemporaneamente servire parecchi utenti con un solo apparato trasmittente, dato però che a bordo i varî locali, e specialmente quelli dei grossi impianti d'artiglieria, sono assai rumorosi, essi richiedono l'uso di cuffie riceventi che impacciano il personale nelle varie operazioni che deve compiere; d'altra parte, i telefoni altisonanti non hanno dato buona prova a bordo.

Per quanto riguarda i portavoce, oltre all'inconveniente del peso e alla difficoltà di potersi servire di un'unica tubolatura per trasmettere contemporaneamente gli ordini in locali diversi, essi costituiscono un pericolo di diffusione di gas velenosi, nonché di allagamento tra un locale e l'altro; per quanto riguarda i gas, si cerca di rimediare, impiegando speciali imboccature stagne a diaframma metallico, e, per quanto riguarda gli allagamenti, si rimedia distendendo le linee in modo da evitare percorsi orizzontali al disotto del galleggiamento; comunque, l'importanza dei portavoce va a mano a mano diminuendo.

Trasmettitori esclusivamente meccanici sono impiegati per qualche linea assai corta e non hanno avuto pratica applicazione nelle artiglierie; si possono comprendere in questo tipo anche i trasmettitori idraulici tipo Germain, da noi sperimentati con mediocre successo a bordo di qualche classe di cacciatorpediniere.

Presentemente i trasmettitori di gran lunga più usati sono quelli elettromeccanici di cui si hanno differenti tipi, fra i quali quelli a formazione di numero, quelli ad orologio graduato, e finalmente quelli a indice e controindice; i primi sono esclusivamente ad impulsi a corrente continua, mentre gli altri due possono essere ad impulsi, o sincroni a corrente alternata.

Nel trasmettitore e ricevitore a formazione di numero si hanno alcune finestrine al disotto delle quali ruotano i tamburi (delìe decine, centinaia e migliaia) che portano incise sulla periferia le cifre da zero a nove; a seconda della posizione assunta dai tamburi, si forma un numero che viene letto dal designato. Essi presentano l'inconveniente di essere lenti e di sfasarsi con facilità; per la qual cosa, dopo un certo tempo, i diversi ricevitori non sono più in accordo né fra di loro né col trasmettitore: sono ormai del tutto abbandonati.

Nel ricevitore ad orologio graduato si ha un indice il quale ruota su di un disco che porta la graduazione alla periferia. Anche qui, non potendosi avere su di un'unica circonferenza, tranne che non si accettino dimensioni troppo ingombranti, una graduazione sufficientemente sviluppata, si hanno due o tre orologi che, a seconda della posizione assunta dagl'indici, definiscono il numero. Questo tipo di apparecchio rappresenta un progresso rispetto ai precedenti, specialmente perché può sfruttare il sincronismo ottenuto con l'uso della corrente alternata; ma ha altri inconvenienti, tra cui quello della maggiore difficoltà di lettura.

Il terzo tipo, a indice e controindice, elimina anche questa ultima difficoltà, ed è oggi il tipo più perfetto. Con esso l'individuo designato a graduare i congegni di mira non deve fare nessuna lettura, ma deve preoccuparsi soltanto di mantenere, manovrando apposito volantino, un controindice meccanico sempre in corrispondenza dell'indice elettrico che muove sincronicamente col trasmettitore; così facendo, gradua automaticamente il congegno di mira per l'alzo e per il cursore corrispondenti alle quantità che vengono a mano a mano trasmesse.

Il tipo di trasmettitore ad impulsi, se ha l'inconveniente già accennato di sfasarsi facilmente, presenta però il vantaggio di essere capace di eseguire un certo lavoro; esso quindi si presterebbe assai bene per l'impiego nelle centrali meccanizzate nelle quali vi sono svariati congegni che devono precisamente essere azionati dai ricevitori. Il tipo di trasmettitore sincrono non è invece capace di eseguire alcun lavoro, ma presenta però il grande vantaggio che, inserendo in circuito un apparecchio, qualunque sia la sua posizione, esso assume immediatamente ed esattamente quella del trasmettitore; si evitano in tal modo tutti gl'inconvenienti derivanti dalla possibilità di sfasamento.

Presentemente sono assai più diffusi i ricevitori a corrente alternata (tipo tedesco) che non quelli ad impulsi (tipo inglese); e anzi anche l'Inghilterra e l'America stanno abbandonando i secondi per passare ai primi; ogni qualvolta però si voglia azionare qualche dispositivo meccanico col ricevitore elettrico, è necessario ricorrere all'aiuto di un motore da lavoro asservito.

Oltre ai trasmettitori e ricevitori per congegni di mira di cui si è detto, ve ne sono altri che prendono il nome di semplici trasmettitori d'ordini e che sono costituiti da un quadro con una finestrella al disotto della quale appaiono a mano a mano le differenti leggende; essi sono adoperati sia per il comando di fuoco sia per trasmissioni di ordini alla macchina, al timone, ecc.

Punteria delle armi a bordo. - A bordo si esegue in genere punteria diretta, vale a dire che il puntatore mantiene la linea di mira graduata sul bersaglio che deve ritenersi da esso visibile. La punteria diretta può essere eseguita individualmente dal puntatore di ciascun pezzo, oppure da un unico puntatore, situato in posizione favorevole; in questo caso non è evidentemente necessario che tutti i puntatori vedano il bersaglio, essendo sufficiente che lo veda l'unico puntatore incaricato della punteria. Su tutte le moderne unità ha oggi importanza senza paragone maggiore la punteria eseguita da un unico operatore (punteria centrale), mentre la punteria individuale fatta dai varî pezzi è considerata solo come sistema di riserva, quando vengano a mancare gli organi della punteria centrale.

Nella punteria individuale ciascun puntatore, dopo aver graduato l'alzo e il cursore con i dati che gli sono stati trasmessi nel modo che sopra si è indicato, dirige la linea di mira sul bersaglio e ve la mantiene con continuità.

Nella punteria centrale il puntatore unico, il quale generalmente si trova sistemato in apposita stazione situata sull'alberata della nave in modo da avere il maggiore orizzonte possibile, insegue il bersaglio con il suo congegno di mira, e, così facendo, esegue una delle due seguenti operazioni:

a) manovra diretta dei cannoni sia in elevazione sia in brandeggio per mezzo di motori elettrici azionati a distanza (punteria centrale automatica);

b) manovra diretta degl'indici elettrici dei ricevitori ai varî pezzi, sia per elevazione sia per brandeggio (punteria centrale a controindice).

La punteria automatica, da noi sperimentata alcuni anni or sono, non ha dato i buoni risultati che si potevano sperare, talché oggi si può dire che la punteria a controindice è l'unica impiegata; daremo quindi un cenno soltanto di quest'ultima.

L'impianto è costituito da una stazione di punteria sistemata in coffa e da tanti ricevitori di brandeggio e di elevazione per quanti sono rispettivamente gl'impianti di cannoni e i cannoni stessi. La stazione di punteria è servita da due operatori, uno dei quali punta in brandeggio e l'altro in elevazione; il puntatore in brandeggio, nel dirigere la linea di mira sul bersaglio, aziona anche un trasmettitore elettrico, il quale a sua volta provoca il movimento degl'indici elettrici dei ricevitori, indici che assumono, pertanto, una determinata posizione per ciascun valore del brandeggio; il puntatore in elevazione ha il compito di mantenere costantemente la linea di mira sul bersaglio anche durante i movimenti di oscillazione della piattaforma (antirollio), e, così facendo, manovra un trasmettitore elettrico che aziona, attraverso un differenziale, gl'indici dei ricevitori di elevazione, indici che già avevano assunta una determinata posizione dovuta alla graduazione di alzo che era stata trasmessa. In tal modo i ricevitori dei pezzi hanno gl'indici elettrici sempre graduati in relazione alla direzione del bersaglio, alla sua distanza, e al movimento di rollio della nave che spara; ciò del resto verrà meglio chiarito in seguito.

Compito dei puntatori ai pezzi rimane in tal modo soltanto quello di collimare gl'indici elettrici con i controindici meccanici, azionando appositi volantini i quali, nello stesso tempo, fanno muovere il cannone rispettivamente in brandeggio e in elevazione.

Quando si esegue la punteria centrale, anche il fuoco dei pezzi viene eseguito simultaneamente per tutti dalla stazione di punteria, manovrando un unico congegno; partono allora i colpi di tutti i pezzi inseriti in circuito. Il circuito di sparo è chiuso però in serie fra indice elettrico e controindice meccanico, talché, se la collimazione non è esatta entro i limiti di tolleranza previsti dall'apparecchio, i colpi non partono; si è ricorso a questo espediente per evitare di far sparare anche cannoni che siano sensibilmente fuori di punteria, cosa che, oltre a causare un inutile spreco di munizioni, renderebbe anche più difficile l'osservazione del tiro per la cresciuta dispersione della salva.

Il tiro delle artiglierie navali. - Sotto la denominazione di tiro navale propriamente detto si comprende il tiro teso o di lancio eseguito con alta velocità iniziale e con punteria diretta dalle artiglierie di bordo contro bersagli galleggianti. Benché il bersaglio risulti quasi sempre visibile, pure il tiro navale si eseguisce in condizioni di notevolissima difficoltà; le cause principali risiedono nel fatto ehe la piattaforma delle armi che sparano è sottoposta a complessi movimenti di oscillazione e di traslazione; che il bersaglio è mobile con velocità che può essere molto elevata; che le distanze di tiro sono generalmente cortissime e variano rapidamente, rendendo quindi difficile la loro misura; che l'osservazione di scarto in gittata è difficilissima, sia perché eseguita normalmente in condizioni molto sfavorevoli, sia perché l'uniformità dello specchio di acqua non offre l'ausilio di punti di riferimento; e infine che il bersaglio, di dimensioni relativamente assai piccole, tenuto conto della distanza di tiro, dev'essere colpito direttamente, senza di che l'efficacia del tiro stesso è praticamente nulla.

Movimenti della piattaforma. - Sono di tre ordini: vibrazione, rollio e beccheggio, movimenti di accostata e traslazione. Le vibrazioni dello scafo, dovute all'urto delle onde, al tiro delle artiglierie, e principalmente all'azione di tutti i macchinarî di bordo, ostacolano l'esatta collimazione del bersaglio, sia per i congegni di mira sia per i telemetri. Il loro effetto è specialmente sentito dal naviglio leggiero: in questo caso sarebbe consigliabile, compatibilmente con le esigenze di campo di tiro, sistemare le artiglierie e i telemetri nei punti nodo dei diagrammi di vibrazione. Salvo questa precauzione d'indole generale, non è possibile portare alcun rimedio veramente pratico per impedire le vibrazioni dei congegni di mira; per quanto invece riguarda i telemetri, si ottiene un notevole vantaggio con l'uso di supporti antivibranti. Il disturbo nella punteria è del resto risentito in modo decrescente a mano a mano che aumentano le dimensioni del peso dell'impianto.

La piattaforma delle artiglierie navali è sempre sottoposta, sotto il tiro, a movimenti di oscillazione. Se la nave si trova in acque tranquille, il movimento che essa assume risulta dalla combinazione di un beccheggio e di un rollio, che diremo artificiali, e che seguono le leggi del moto pendolare; in questo caso il periodo di oscillazione si mantiene costante, e le velocità angolari della piattaforma nei successivi istanti, a partire dalla posizione orizzontale, possono essere ricavate con sufficiente esattezza.

Normalmente però, agli sbandamenti dovuti al tiro si sovrappongono quelli ben piû notevoli dovuti al moto ondoso, dando origine ad un movimento oscillatorio assai complesso, nel quale il periodo e soprattutto l'ampiezza massima di oscillazione possono essere saltuariamente variabili.

Gli sbandamenti dipendono, come si è detto, da rollio e beccheggio combinati; siccome però in genere questo secondo movimento si mantiene, almeno per le navi maggiori, entro limiti assai moderati, si usa normalmente tener conto riguardo al tiro soltanto dell'effetto del rollio, limitando anche questo ad un massimo di 10°-15° per parte, che sembra costituire il limite pratico per un regolare impiego di artiglierie navali. Può darsi però che per speciali condizioni di mare il beccheggio abbia notevole ampiezza; nel qual caso non è possibile prescindere dalla sua influenza sulla precisione del tiro, giacché dalla concomitanza dei movimenti di rollio e beccheggio risulta modificato non solo il valore dello sbandamento, ma anche la direzione di massima inclinazione della nave, direzione che va scostandosi da quella del traverso a mano a mano che aumenta l'ampiezza del beccheggio.

Finché il proietto è contenuto entro l'anima del cannone, è evidente che esso è animato da una velocità di traslazione pari a quella della nave; perciò, quando allo sparo esso abbandona la bocca del pezzo, bisognerà comporre la velocità fornitagli dalla esplosione della carica con quella comunicatagli dal moto della piattaforma. Ciò naturalmente dà luogo ad alterazioni nella traiettoria regolare che il proietto avrebbe seguita se fosse stato lanciato da un cannone fermo.

Punteria continua. - Prendiamo in esame un cannone brandeggiato al traverso e puntato su un determinato bersaglio; se, mentre la nave rolla, il puntatore riesce con opportuna manovra del congegno di elevazione a mantenere la linea di mira costantemente diretta sul segno, l'angolo di elevazione si mantiene invariato e quindi la punteria è in ogni istante esatta; in tal caso diciamo che si esegue "punteria continua". Questo risultato teorico non si può praticamente raggiungere per quanto abili siano i puntatori e per quanto pronti siano i congegni di elevazione, ed è chiaro che la difficoltà di mantenere il bersaglio esattamente collimato sarà tanto più grande quanto maggiore è la velocità angolare e l'irregolarità di rollio. Se consideriamo quindi un certo numero di armi puntate sullo stesso bersaglio e supponiamo che esse sparino insieme in un istante qualunque, si comprende che l'inevitabile dispersione longitudinale dei colpi, dipendente dalla precisione delle armi, risulterà aumentata a causa delle piccole differenze di punteria fra pezzo e pezzo, dovute all'inesatta collimazione del bersaglio.

Da quanto sopra, si dedurrebbe la convenienza di sparare nei momenti in cui la velocità angolare di rollio è minima, giacché in tal caso risulterebbero logicamente ridotti anche gli errori di collimazione; e siccome la detta velocità si annulla agli estremi di rollata, sarebbe opportuno scegliere per l'esecuzione del fuoco uno degli istanti ad essi corrispondenti, dando la preferenza alla fine di rollata in alto per sfruttare il maggior angolo di tiro che ne deriva.

Si giungerebbe quindi alla conclusione che, eseguendo punteria continua con personale ben allenato, e scegliendo opportunamente l'istante del fuoco, i dannosi effetti dovuti al rollio sarebbero completamente neutralizzati; il problema però deve essere studiato anche sotto altri punti di vista, ai quali è bene accennare. Sia nella punteria ordinaria sia in quella generale, il fuoco è eseguito direttamente dal puntatore, il quale fa funzionare i congegni di sparo nel momento in cui giudica di essere esattamente in collimazione; per quanto però sia rapida la percezione e pronta l'esecuzione, intercede sempre un piccolo intervallo di tempo (ritardo dell'operatore) fra l'istante di collimazione e quello in cui il proietto lascia la bocca del pezzo.

Se il puntatore eseguisse veramente punteria continua anche in questo brevissimo intervallo, il ritardo non avrebbe nessun effetto; ma in realtà si verifica il fatto che, dal momento in cui il puntatore ha deciso di sparare, la punteria resta per qualche istante interrotta sia per il disturbo che il puntatore stesso risente, dovendo meccanicamente fare agire i congegni di sparo, sia per la naturale ed inevitabile preoccupazione in cui esso viene a trovarsi quando deve decidere di eseguire il fuoco. Non è facile stabilire il valore di questo ritardo che è naturalmente variabile a seconda delle armi e a seconda degl'individui; in genere però esso si ritiene aggirarsi sul 1/2 secondo. Accettando questo valore, e supponendo di eseguire su di una grande nave il fuoco nel momento in cui la nave stessa passa per la posizione dritta, si verifica un errore nella punteria verticale di circa 1°, a cui corrisponde uno scarto che può assumere valori anche superiori ai 1000 metri in gittata.

Si comprende quindi come sarebbe consigliabile, anche per questa ragione, sparare quanto più prossimamente è possibile all'estremo di rollata, giacché in tal caso, essendo quasi nulla la velocità di rotazione della piattaforma, risulta praticamente nullo anche l'errore nella punteria dovuto a ritardo degli operatori.

Inclinazione degli orecchioni e punteria preparata all'orizzonte. - Da quanto sopra si è detto si dovrebbe dedurre come senz'altro convenga eseguire a bordo il tiro in estremo di rollata; vediamo ora se realmente ciò convenga in tutti i casi.

Per effetto dell'inclinazione della piattaforma in relazione all'angolo di brandeggio col quale sparano i pezzi, si verifica sempre il fatto che, nel momento corrispondente all'estremo di rollata, l'asse degli orecchioni dei cannoni si trova inclinato sull'orizzonte; ciò produce un errore di punteria, il quale, se si mantiene in limiti moderati per quanto riguarda la gittata, assume invece valori molto sensibili, specialmente se confrontati con le dimensioni del bersaglio, per quanto riguarda il tiro in direzione. Il valore dello scarto laterale per ogni inclinazione della nave e per ogni angolo di brandeggio dei cannoni è dato da una speciale formula; dal cui impiego risulterebbe, per esempio, che, sparando con un cannone da 305 puntato in direzione di brandeggio di 45° gradi dalla prora, a una distanza di circa 20.000 metri, e in condizioni di un rollio di 5° per parte, eseguendo il fuoco in estremo di rollata, si darebbe luogo ad uno scarto laterale di quasi 400 metri, ossia circa il doppio della lunghezza dei maggiori bersagli navali.

Attenendosi quindi al sistema di eseguire il fuoco in estremo di rollata, è indispensabile correggere automaticamente e con continuità i dati di punteria per compensare il dannoso effetto dello sbandamento degli orecchioni; si sono a questo scopo concretati differenti dispositivi, dei quali però non è il caso di far cenno. Ad ogni modo, mentre si concretavano i mezzi per rimediare all'inconveniente accennato, si studiava anche la possibilità di sparare in condizioni tali che l'inconveniente stesso non potesse presentarsi; da ciò nacque il sistema della punteria preparata al passaggio per l'orizzonte, sistema che però, è bene notarlo subito, incorre nell'altro inconveniente precedentemente accennato parlando del ritardo dei ricuperatori. Esaminiamo brevemente come si dovrebbero impiegare i pezzi con l'uso della punteria preparata.

Supposto che tutte le piattaforme di rotazione degl'impianti siano esattamente parallele fra di loro, diamo ai pezzi un'elevazione, misurata a partire dal piano delle piattaforme stesse, pari all'angolo di tiro relativo alla distanza del bersaglio, e lasciamo questa elevazione inalterata mentre la nave oscilla. Se nel frattempo i puntatori in direzione dei varî impianti mantengono costantemente la visuale sul bersaglio, è chiaro che nell'istante in cui il piano delle piattaforme viene a passare per la posizione orizzontale, i cannoni risulteranno esattamente puntati per colpire il segno; se quindi in quell'istante preciso i proietti uscissero dalle bocche dei cannoni, l'esattezza del tiro non risentirebbe altro disturbo che quello dovuto alla velocità tangenziale assunta dalla bocca del pezzo, disturbo che è del tutto trascurabile.

A questo concetto molto semplice, con l'adozione del quale si eviterebbero senz'altro gli errori accidentali di collimazione che si hanno sempre nella punteria diretta, fanno però riscontro alcune difficoltà pratiche di esecuzione, difficoltà attinenti specialmente al comporsi del movimento di rollio con quello di beccheggio, alla esatta determinazione dell'istante in cui le piattaforme sono orizzontali, e all'inevitabile intervallo di tempo che verrebbe ad intercedere tra il predetto istante e quello in cui il proietto lascia la bocca del pezzo.

Il problema è stato ampiamente studiato in questi ultimi tempi, e si sono escogitati apparecchi giroscopici capaci di eliminare le difficoltà sopra indicate; in conseguenza di ciò il fuoco preparato al passaggio per l'orizzontale sta prendendo importanza sempre maggiore, tanto più che esso permette una maggiore celerità di tiro, giacché, mentre durante un intero periodo di rollio la nave raggiunge una sola volta la posizione di rollata in alto, essa passa invece per due volte nello stesso periodo di tempo per la posizione di piattaforma orizzontale.

Influenza del vento e del movimento del bersaglio. - Per quanto riguarda il vento, niente di speciale presenta il tiro navale in confronto a quello terrestre. Importantissime invece sono le conclusioni cui si arriva tenendo conto del fatto che il bersaglio su cui si spara muove con velocità che possono anche raggiungere i 20 metri al secondo; è chiaro infatti che, supponendo, per esempio, di far fuoco ad una distanza tale per cui la durata del tragitto (tempo necessario perché il proietto arrivi sul bersaglio) sia di 15′′, e ammesso che il bersaglio muova in direzione con velocità tale per cui si allontana o si avvicina alla nave che spara di una quantità pari a 10 metri al secondo, si verrebbe a commettere un errore in gettata di 150 metri. La velocità e la direzione secondo le quali muove il nemico non sono generalmente note, ed è quindi necessario ricavarle praticamente con l'uso di appositi apparecchi che risolvono meccanicamente il problema del moto relativo; citiamo per esempio i tracciatori di rotta, i misuratori della variazione del rilevamento del bersaglio, gl'indicatori delle correzioni.

Qualunque sia il tipo di apparecchio che si adopera, si arriva sempre alla conclusione di ottenere con maggiore o minore esattezza la rotta e la velocità del nemico; sicché è possibile, decomponendo la velocità nelle due componenti secondo il piano di tiro e normalmente ad esso, dedurre la legge secondo la quale il bersaglio si va allontanando o avvicinando, e quella secondo cui si dovrà variare la direzione orizzontale dei pezzi.

Come abbiamo visto a suo tempo parlando dei congegni di mira, prima che il cannone esegua il fuoco occorre graduare i congegni stessi per un determinato angolo di direzione e di elevazione, relativo alla posizione reciproca nave-bersaglio; è ovvio però che gli angoli di cui sopra devono riferirsi alla posizione nave-bersaglio nel momento dell'arrivo del proietto, giacché, se si sparasse con gli elementi relativi all'istante nel quale effettivamente si esegue il fuoco, il proietto non cadrebbe sul bersaglio giacché quest'ultimo si sposta per suo conto durante il tempo che il proietto impiega a compiere la traiettoria.

Occorre pertanto eseguire a bordo un lavoro di previsione, sia per quanto riguarda la distanza sia per quanto riguarda la direzione (alzo e cursore), lavoro che viene affidato a speciali organi i quali costituiscono nel loro complesso la centrale di tiro. Parleremo delle centrali di tiro in seguito, dopo aver messo in evidenza altre esigenze cui esse devono rispondere.

Uso delle tavole di tiro. - Le tavole di tiro, come già si è detto, sono fascicoli nei quali vengono raccolti tutti i dati necessari alla punteria e al razionale impiego delle armi. La conoscenza del moto relativo e del vento permettono di calcolare, col lavorio di previsione sopra accennato, i dati di punteria. A questi però si devono apportare numerose correzioni, giacché le tavole di tiro, dalle quali deduciamo gli elementi base, sono calcolate per condizioni particolari che quasi mai si riproducono all'atto pratico. Infatti la velocità iniziale fornita dalle armi è ben lungi dal mantenersi costantemente uguale a quella prevista dalle tavole; la densità dell'aria sarà in genere differente da quella assunta come campione nelle tavole stesse, e infine la temperatura dell'esplosivo differirà pure dalla temperatura base adottata per la esecuzione della serie dei tiri in balipedio. L'uso delle tavole presuppone quindi un lavoro preparatorio inteso a modificare opportunamente i dati di punteria in relazione alle effettive condizioni d'uso dell'arma al momento del tiro. Le correzioni si distinguono in tre gruppi:

1. Correzioni dovute al consumo delle armi e allo stato di conservazione dell'esplosivo con cui si spara; dato il carattere che le dette correzioni hanno, è chiaro che il loro valore è indipendente dalla giornata nella quale si spara, e può quindi essere calcolato in precedenza mediante apposite esperienze di tiri.

2. Correzioni dipendenti dalla temperatura dell'esplosivo e dalla densità dell'aria; variano naturalmente da giorno a giorno e anche durante il corso della giornata stessa; se il tiro è di breve durata, è però sufficiente calcolarne il valore prima d'iniziare il fuoco.

3. Correzioni per effetto del vento e del moto relativo, le quali in genere variano continuamente; per queste la preparazione del tiro si limita a calcolare i valori iniziali, mentre i valori successivi vengono dedotti dalla centrale di tiro.

Metodo di tiro. - Il metodo di tiro regolamentare nella nostra marina è il tiro migliorato a salve, eseguendo il fuoco per impianti, e con suddivisione delle artiglierie principali in due raggruppamenti i quali sparano alternativamente; per questa suddivisione è necessario però avere almeno 8 pezzi che prendano parte al tiro. Metodo analogo al nostro è in uso anche presso la marina francese, mentre gl'Inglesi e i Giapponesi eseguono il fuoco alternativamente coi pezzi di sinistra e di destra di tutti gl'impianti, e gli Americani sparano a bordata con tutti i cannoni ad un tempo.

Come si è già detto, le artiglierie principali di bordo vengono suddivise nella nostra marina in due raggruppamenti, e le armi di ciascun raggruppamento sparano insieme al fuoco eseguito dal puntatore generale. La centrale del tiro, oltre a calcolare le correzioni, fornisce anche i dati di punteria che vengono inviati agli alzi sufficientemente in anticipo sugl'istanti di fuoco, in modo da evitare errori di graduazione e dare contemporaneamente tempo ai singoli puntatori di rettificare la collimazione. Il direttore del tiro, coadiuvato dall'osservatore degli scarti, apprezza, servendosi di appositi strumenti ottici, lo scarto della salva, e determina le opportune correzioni in cursore e in gettata, comunicandole alla centrale, la quale a sua volta ne tien conto nel trasmettere il nuovo alzo, cosicché il secondo raggruppamento spara con dati già corretti in base ai risultati del primo raggruppamento. All'intervallo di fuoco fra le successive salve si dà il nome di ritmo; il ritmo deve essere il più stretto possibile in relazione alla durata del tragitto, alla rapidità di caricamento delle armi e al periodo di rollio della nave.

I pregi principali del nostro metodo consistono: nell'obbedienza del tiro alla direzione, obbedienza che si raggiunge mediante molteplici esercizî preparatorî, e nella possibilità d'impiego razionale di appositi strumenti, i quali compiono meccanicamente una quantità di operazioni che per il passato dovevano essere mentalmente eseguite dal direttore del tiro; nella grande disciplina di fuoco che rende minima la probabilità di errori di trasmissione, di graduazione e di punteria; nello sparo simultaneo di un gruppo di armi. Questa ultima condizione favorisce molto le osservazioni del tiro, permettendo di ricavare, anche alle massime distanze, dati attendibili circa il senso dello scarto e generalmente anche circa la sua entità.

Per quanto riguarda l'osservazione del tiro, la probabilità che lo scarto apprezzato corrisponda effettivamente all'errore sui dati di punteria, cresce sino a un certo punto col numero di colpi che compongono la salva; si comprende quindi che il metodo si appropria meglio ad un tiro eseguito con raggruppamenti di armi abbastanza numerosi. Nel passaggio dalle navi a batteria alle navi monocalibre a torri, il numero dei cannoni è diminuito, ma in compenso essi sono utilizzati con larghi campi di tiro sui due fianchi; il che permette ugualmente l'uso di salve abbastanza nutrite.

I vantaggi del tiro per impianti si possono così riassumere:

a) Maggiore simultaneità di fuoco, giacché i piccoli sfasamenti potranno avvenire fra torre e torre, ma non più fra pezzo e pezzo; ciò fa sì che i proietti arrivano insieme, e quindi l'osservazione della salva è più facile.

b) Si diminuisce in parte il dannoso effetto del ritardo degli operatori.

c) Si rendono più facili le comunicazioni d'ordini con telefoni e portavoce, e si facilita il compito del capo-torre; giacché al periodo rumorosissimo che corrisponde al caricamento, segue per tutti i cannoni dell'impianto un periodo di quiete, durante il quale qualunque comunicazione è facilmente sentita.

d) Si rendono in complesso più rapide le operazioni di caricamento, sia per il maggior ordine che si può mantenere specialmente nei depositi, sia perché tutto il personale in torre lavora senza l'istintiva ed inevitabile lieve preoccupazione che d-riva dallo sparo improvviso di uno dei cannoni dell'impianto.

e) Si migliorano le condizioni di sicurezza della nave riguardo a possibili fiammate entro le torri; si evita infatti di avere continuamente elementi di carica in cammino lungo il tubo degli eleva tori.

Aggiustamento. - Il fuoco viene aperto con i dati di punteria dedotti dalla curva telemetrica (oppure dal range e dall'indicatore delle correzioni) opportunamente corretti per tenere conto delle varie cause di errore precedentemente esaminate. Qualora la prima salva sia molto fuori in cursore, tanto da rendere difficile l'apprezzamento del senso dello scarto longitudinale, è consigliabile correggere solo lo scarto laterale; in caso diverso, ci si attiene in linea di massima alle seguenti norme: correzioni di 800 metri, se il tiro è tutto lungo o tutto corto; appena lo scarto ha cambiato di segno, correzioni pari alla dispersione media delle salve sino ad avere il bersaglio compreso nella rosa; da questo momento in poi correzioni pari a metà o ad un quarto della dispersione.

Le norme sopraindicate si basano essenzialmente sulla conoscenza del valore medio della dispersione delle salve, valore dedotto dai risultati di numerose esperienze e che si ritiene praticamente costante per un determinato tipo di armi; esse pertanto non tengono conto della maggiore o minore approssimazione con la quale i telemetri forniscono la distanza iniziale di tiro, approssimazione i cui limiti possono talvolta superare notevolmente i valori stessi della dispersione delle salve.

Sarebbe quindi consigliabile per l'avvenire basarsi a volta a volta per la correzione iniziale del tiro su quello dei due valori (dispersione della salva; incertezza nell'apprezzamento della distanza) che si giudica più forte; per il che si richiede però una buona conoscenza dell'approssimazione pratica fornita dai varî tipi di telemetri sui varî tipi di navi in relazione alla distanza, alle condizioni di visibilità, e alla mobilità di piattaforma, conoscenza che non potrà aversi che in seguito ad un programma sistematico di esperienze studiato e attuato al detto scopo.

Basandosi soltanto sul valore della dispersione, qualora la distanza iniziale fornita dai telemetri sia molto lontana dal vero, potrebbero occorrere troppe salve per giungere al centramento del tiro; e dovendo queste risultare distanziate di un intervallo pari alla durata del tragitto aumentata del tempo necessario per inviare le correzioni agli alzi e per rettificare la punteria, il periodo di aggiustamento risulterebbe relativamente assai lungo.

Data la tendenza generale ad accrescere le già notevoli distanze di combattimento, e posto che non c'è da contare, almeno per ora, sopra una sensibile diminuzione nell'errore sistematico del telemetro alle forti distanze (oltre i 20.000 metri), la possibilità che si presenti l'inconveniente predetto è da prendersi in seria considerazione; a ciò riuscirà forse possibile ovviare, determinando la distanza di apertura mediante l'uso della salva scalata.

Supponiamo, p. es., che in un dato istante sia x la distanza prevista dalla curva telemetrica e supponiamo di aver diviso provvisoriamente i cannoni di bordo in tre raggruppamenti; graduando gli alzi del primo gruppo per la distanza x, quelli del secondo per x diminuita di quattro dispersioni, e quelli del terzo per x aumentata invece nella stessa misura, e facendo fuoco contemporaneamente coi tre gruppi, sarà molto probabile che il bersaglio rimanga inquadrato; si ricaveranno quindi rapidissimamente due limiti di distanza entro i quali è compreso l'alzo buono, la cui precisa determinazione riuscirà pertanto più facile e pronta. Qualora poi i colpi risultassero tutti lunghi o tutti corti, occorrerebbe ripetere un'altra salva scalata, con lo stesso sfasamento fra gli alzi, ma diminuendoli o aumentandoli tutti di 2 0 3 dispersioni.

L'efficacia della salva aperta viene ad essere assai limitata, se i colpi sono affetti da un errore laterale molto forte; è quindi consigliabile farla precedere da una salva di controllo per il cursore.

L'impiego della salva scalata presenta nella sua applicazione alcune difficoltà d'indole pratica per la possibilità che ne risulti una diminuzione della disciplina di fuoco e per il pericolo che lo sfasamento degli alzi prodotto ad arte nel periodo di aggiustamento possa avere anche in seguito dannosa influenza per la dispersione delle salve; essa può pertanto essere adottata solo eccezionalmente, quando si abbia fondata ragione di dubitare che i telemetri, per speciali condizioni sfavorevoli, non possano fornire la distanza iniziale di tiro con un'approssimazione tollerabile.

Volume di fuoco. - Per sfruttare al massimo le armi di bordo, bisognerebbe che il ritmo fosse ridotto al minimo, compatibilmente con la possibilità di caricamento e con il periodo di rollio.

Per gl'impianti da 305/46, p. es., sono teoricamente sufficienti una ventina di secondi per eseguire il caricamento, sempre che il colpo sia già pronto e travasato in camera di manovra; tenuto pertanto conto del fatto che il periodo di rollio delle navi maggiori è approssimativamente di 15S, e che le armi sono divise in due raggruppamenti, si potrebbe eseguire il fuoco con intervallo di 30S fra colpo e colpo dello stesso pezzo e conseguentemente con ritmo di 15S fra salva e salva. Sarebbe questo un risultato eccezionalmente favorevole giacché in un minuto si verrebbero ad eseguire due bordate complete con tutto il grosso calibro.

Sarebbe, tuttavia, impossibile mantenere questo ritmo anche in un tiro di breve durata ed eseguito in favorevoli condizioni di visibilità e di tranquillità di piattaforma, e in pratica occorre un tempo doppio, se si vuole che le operazioni di caricamento siano eseguite, pur celermente, ma senza trascurare alcuna di quelle precauzioni che sono indispensabili per evitare avarie agli organi di caricamento e gravi pericoli di accensione degli elementi di carica. Si otterrebbe in tal modo una celerità di fuoco per ciascun cannone di circa un minuto e un ritmo di salva di 30S pari a due rollate; risultato che poteva considerarsi come assai buono per il passato, ma che oggi non soddisferebbe più completamente.

Ricordiamo però che il nostro metodo di tiro migliorato si basa sull'osservazione delle salve; è quindi logico che il ritmo dipenda anche dalla durata del tragitto.

Sparando con i grossi calibri a distanze sui 20.000 metri, si hanno durate di tragitto di circa 35S-40S; se a queste si aggiungono alcuni secondi necessarî perché le correzioni date dal direttore siano trasmesse in centrale, avviate agli alzi ed apportate effettivamente alla punteria, si ottiene un totale che corrisponde approssimativamente a tre rollate; e questo è il ritmo che si può in pratica mantenere durante il periodo di aggiustamento del tiro.

In queste condizioni il volume di fuoco risulterebbe piuttosto scarso, occorrendo circa un minuto e mezzo affinché tutti i pezzi eseguano un colpo; e le condizioni stesse peggiorano ancora quando si considerino distanze più forti (le quali comportano in conseguenza maggiori durate del tragitto), oppure se si tiene conto di un qualunque ritardo accidentale dovuto sia ad esitazione del direttore del tiro nello stabilire le correzioni, sia a qualche incaglio momentaneo nel funzionamento della centrale e degli organi di trasmissione.

Ad evitare questo inconveniente, si stabilisce la norma che il direttore del tiro, eseguito l'aggiustamento con tre o quattro salve sparate col minimo ritmo compatibile con l'osservazione degli scarti, debba temporaneamente astenersi dal dare correzioni, in modo che la centrale possa, per un breve intervallo di tempo, ordinare il fuoco stringendo il ritmo nei limiti indispensabili per un sicuro caricamento delle armi; il tiro a salva osservata dovrà però essere ripreso appena il direttore si accorga che le salve vanno di mano in mano diventando lunghe o corte. Si avrà così un alternarsi di periodi di fuoco a ritmo più largo e a ritmo serrato, capace di riportarci a quella media di un colpo al minuto per cannone che deve essere considerata come sufficiente.

Direzione e condotta del tiro. - Le numerose operazioni che si comprendono nelle parole "direzione del tiro" risultano tutte concatenate fra di loro; è quindi logico esaminarle contemporaneamente secondo il loro normale svolgimento.

Quando la nave si presenta al fuoco, l'ufficiale a capo della camera di previsione ha già calcolato il regime complessivo dovuto al regime assoluto, alla densità dell'aria, alla temperatura dei depositi; appena, poi, il comandante stabilisce (sempre con sufficiente anticipo) quale bersaglio si deve battere, il direttore ne fa prendere il rilevamento rispetto alla prora e lo comunica ai telemetri, alla centrale, alle stazioni di punteria generale e ai varî impianti, in maniera da assicurare l'identificazione del bersaglio stesso.

Da questo momento hanno inizio le operazioni per la condotta del tiro, che si possono brevemente riassumere come segue:

a) Tracciamento della curva telemetrica. - La curva si comincia a segnare con sufficiente anticipo in maniera che risulti già regolarmente avviata quando s'inizierà il fuoco; la centrale avverte periodicamente il direttore della maggiore o minore concordanza fra le indicazioni dei varî telemetri, di modo che, se uno di essi fornisce indicazioni chiaramente anormali, egli può dare ordine di escluderlo dalla previsione; in caso di bisogno, può anche ordinare che la previsione si appoggi sul gruppo dei telemetri di riserva.

b) Calcolo della velocità di avvicinamento e della componente trasversale. - Viene eseguito in centrale in base alle indicazioni di rotta e velocità della nave propria e di quella nemica, e in base all'angolo di brandeggio; i dati necessarî possono essere forniti dal direttore del tiro o meglio ancora dedotti da appositi strumenti (ripetitrice della bussola; indicatore di velocità; indicatore di brandeggio; tracciatore di rotta).

Lo stesso calcolo dev'essere fatto contemporaneamente anche da chi dirige il fuoco, mediante l'indicatore circolare delle correzioni; egli ha in tal modo un controllo per assicurarsi che non sia stato commesso in centrale qualche grossolano errore la cui possibilità non può davvero essere scartata, sia per la molteplicità di operazioni che la centrale esegue, sia perché i dati le vengono in parte trasmessi per telefono o portavoce.

Per quanto riguarda la velocità di avvicinamento (la cui nozione è di capitale importanza), se ne deduce il valore anche dalla curva telemetrica; questo valore e quello dedotto dall'indicatore delle correzioni devono risultare abbastanza coincidenti, se gli elementi del moto sono giustamente apprezzati.

Della eventuale discordanza, la centrale informa il direttore del tiro che decide se attenersi alle indicazioni del tavolo o a quelle dell'indicatore. Qualora non si abbia a bordo nessun mezzo atto a fornire con sufficiente precisione gli elementi del moto nemico, è consigliabile in via generale prestare maggior fiducia al tavolo, salvo che non si abbia qualche speciale ragione per mettere in dubbio i dati telemetrici; il direttore del tiro deve quindi cercare di mettere in accordo l'indicatore delle correzioni col tavolo, variando opportunamente velocità e rotta del nemico, e dando la preferenza alla rotta sul cui apprezzamento è più facile commettere sensibili errori. Qualora invece esistano a bordo tracciatori tattici, la direzione e la velocità del bersaglio sono note con sufficiente esattezza e quindi logicamente non deve presentarsi sensibile discordanza fra i dati dedotti con i due sistemi; nel caso poi che questa discordanza si presenti ugualmente, può talvolta convenire attenersi ai dati forniti dall'indicatore, specialmente quando la telemetria risultasse sensibilmente disturbata come si verificherebbe per effetto di rapide accostate della nostra nave.

Stabiliti in un modo o nell'altro i valori buoni per l'avvicinamento e per lo spostamento laterale, essi vengono trasmessi ai designati al calcolo delle correzioni.

c) Calcolo delle componenti del vento relativo. - Alla centrale sono avviati con continuità gli elementi del vento relativo per mezzo di apparecchi autoregistratori controllati automaticamente da un anemometro situato in alto sull'alberata, oppure, in mancanza di questo, gli elementi stessi vengono trasmessi con telefono o con portavoce dagli appositi designati. I dati relativi al vento servono per graduare un indicatore dal quale si ricava la componente nel piano di tiro e quella trasversale, anche queste componenti vengono comunicate ai designati al calcolo delle correzioni.

d) Calcolo delle correzioni longitudinali e laterali. - Si deducono in centrale di tiro mediante appositi congegni. Le correzioni complessive longitudinali e laterali così calcolate si comunicano con continuità ai trasmettitori delle distanze e dei cursori; di guisa che, appena s'inizia la trasmissione, i dati di tiro giungono agli alzi già corretti delle varie cause di errore.

e) Avviamento del cronoindicatore. - Con la velocità di avvicinamento calcolata, si regola la marcia dell'indicatore di distanza; e se la velocità stessa è abbastanza approssimata a quella reale, e i telemetri funzionano bene, le distanze successive fornite dal range devono trovarsi in accordo con le indicazioni del tavolo.

Il cronoindicatore non trova normalmente impiego nelle nostre centrali, sino a quando sia possibile avere una regolare previsione col tavolo; venendo questa a mancare, il tiro si appoggerà sul range la cui marcia sarà mantenuta in armonia con il valore della velocità di avvicinamento fornito dall'indicatore delle correzioni.

Mediante la coordinazione di tutti gli elementi di cui sopra, coordinazione che costituisce il compito della centrale, si possono avere gli alzi costantemente graduati per la distanza di tiro corretta delle varie cause di errore; è quindi possibile iniziare il fuoco appena ne venga dato ordine.

Quando si esegue punteria ordinaria, la determinazione dell'istante di fuoco è fatta in camera di previsione, basandosi sulle indicazioni di un apparecchio a livello che permette di seguire il movimento di rollio della nave; al momento che corrisponde all'estremo di rollata in alto, il designato comunica il segnale di fuoco ai varî impianti mediante i fonici. Appena partita la salva, in centrale viene messo in moto l'"indicatore degl'istanti di caduta" (indicatore che deve essere sempre mantenuto regolato per la durata del tragitto corrispondente alla distanza trasmessa dagli alzi), cosicché, quando la salva sta per cadere, il direttore è avvisato da una soneria e si prepara all'osservazione.

Qualora si faccia punteria generale, il fuoco viene materialmente eseguito dal designato al cannocchiale in coffa; la centrale però continua a fare tutte le altre operazioni come per la punteria ordinaria, salvo che in tal caso conviene che l'indicatore di caduta delle salve sia situato e manovrato nella stazione di direzione. Caduta la salva ed apprezzato lo scarto, il direttore determina le correzioni di alzo e di cursore che vengono subito trasmesse in centrale, dove intanto si continua a fare le previsione degli elementi di tiro; apportate queste correzioni alla distanza e allo scostamento, dalla centrale viene nuovamente dato il segnale di "fuoco" in relazione al ritmo prestabilito e basandosi sulle indicazioni della livella.

Il ritmo dev'essere mantenuto con esattezza: qualora però l'assistente del direttore abbia la convinzione che nel momento in cui si deve ordinare il fuoco non sia possibile che le correzioni trasmesse ai pezzi siano già state apportate ai congegni di mira, dovrà allungare il ritmo di una rollata per evitare che la salva parta con dati non corretti; il che trarrebbe in errore il direttore del tiro.

Eseguendo il fuoco in estremo di rollata non è possibile fare più d'una salva per ogni ciclo completo di rollio, giacché deve escludersi in genere la possibilità di sparare nella rollata in basso sia per il più limitato orizzonte, sia per il minor campo di elevazione che si può sfruttare; eseguendo invece il fuoco al passaggio della nave nella posizione orizzontale (punteria giroscopica preparata), si possono fare partire due salve ad ogni ciclo di rollio, purché naturalmente ciò sia consentito dalla celerità di caricamento delle armi.

Comunque, indipendentemente dalla scelta dell'istante di fuoco, tre o quattro salve al massimo saranno sufficienti, in genere, per avere la salva a cavallo (bersaglio compreso entro la dispersione longitudinale della salva stessa); da questo momento, se la variazione di distanza e lo spostamento laterale apprezzati corrispondono abbastanza al vero, il tiro si manterrà sensibilmente centrato per alcune salve senza che occorra l'intervento del direttore; le piccole oscillazioni che si presentano in gettata e in direzione tendono a compensarsi automaticamente, e l'intervento per cercare di correggerle volta a volta potrebbe riuscire più dannoso che utile.

È questo il periodo nel quale si deve sfruttare la massima celerità di fuoco secondo i criterî già accennati parlando del nostro metodo di tiro; pertanto, a salva centrata, il direttore deve darne avviso alla centrale, che inizierà senz'altro il ritmo accelerato senza più attendere le correzioni fra salva e salva. È ovvio dire che, nel caso che si esegua punteria generale (unico puntatore per tutti i pezzi situato nella stazione di punteria), anche il fuoco viene eseguito dal puntatore dell'apparecchio situato nella stazione di punteria.

Appena però il direttore abbia la sensazione che il tiro tende a diventare lungo o corto (il che avverrà inevitabilmente dopo un numero di salve maggiore o minore in relazione all'esattezza con la quale gli elementi del moto relativo sono calcolati nella centrale), ne darà avviso alla camera di previsione e riprenderà il tiro a salve osservate con le modalità prescritte; in questo caso però, per centrare nuovamente la rosa, sarà generalmente sufficiente mantenere le correzioni entro i limiti di mezza o di una dispersione.

Stazioni di direzione del tiro. - Le funzioni del direttore del tiro esigono che egli sia situato in luogo donde sia possibile avere chiara visione del bersaglio e della zona di mare circostante; di qui la necessità di portare le stazioni di direzione abbastanza in alto, limitandone più o meno la quota a seconda dei tipi di nave, della possibilità d'installazione, e della portata delle armi.

Le stazioni principali destinate al tiro del grosso calibro possono appartenere ai due tipi:

a) stazioni sprotette, sistemate generalmente in apposite coffe assai alte sull'alberata.

b) stazioni protette, situate entro torrette corazzate che contengono anche la stazione di comando della nave. Sulle maggiori unità si trovano stazioni di un tipo e dell'altro.

Le principali caratteristiche delle stazioni sprotette situate in coffa sono: grande ampiezza di orizzonte, sia come portata sia come campo, giacché non si risente dell'ingombro degli alberi e dei fumaioli; possibilità (compatibilmente con le condizioni di luce) di vedere il bersaglio sino a distanze pari alla portata dei cannoni maggiori e di eseguire con continuità il tiro, qualunque sia il rilevamento del bersaglio stesso; il che evita eventuali passaggi di direzione da una stazione all'altra. In confronto al tipo precedente, le stazioni protette in torretta godono dei seguenti vantaggi: miglior protezione dai colpi nemici, sicurezza di comunicazione con la centrale di tiro, contatto diretto e sicuro fra direttore del tiro e comandante.

Per la direzione del tiro di grosso calibro su di una grande nave devono essere previste: una stazione in coffa prodiera avente il completo giro di orizzonte; una stazione di prima riserva protetta e sistemata nella torretta corazzata di comando; due stazioni di seconda riserva entro gl'impianti sopraelevati prodiero e poppiero.

In base all'ubicazione sopraindicata per le stazioni di tiro, occorrono a bordo due direttori principali (coffa e torretta) e due di riserva (impianti sopraelevati) per il caso che, inutilizzate le stazioni principali o interrotte le linee di comunicazione, si debba passare al tiro in autonomia. In linea di massima il primo direttore deve stare nella stazione di coffa, essendo quella che maggiormente si presta per l'inizio del fuoco alle grandi distanze; il secondo direttore si terrà invece nella torretta avanti, pronto ad assumere la continuazione del fuoco, qualora per una causa qualunque venisse a mancare la direzione dall'alto.

Cura speciale deve essere rivolta ad assicurare buone comunicazioni fra le due stazioni principali e quella di comando della nave, affinché non venga a mancare durante il combattimento l'utile e necessario contatto col comandante.

Stazioni di punteria generale. - Si dà il nome di punteria generale a qualunque sistema di punteria interna, sia esso ad insegnamento d'indici, sia a pezzi asserviti. Con questo sistema ai congegni di mira dei singoli pezzi se ne sostituisce uno unico situato in conveniente posizione; l'insieme di questo congegno di mira e dei relativi organi trasmittenti costituisce una stazione di punteria.

A somiglianza di quanto s'è visto per le stazioni di direzione, anche per quelle di punteria occorre prevedere sistemazioni multiple. Per una efficiente organizzazione del tiro delle artiglierie principali di una grande nave, occorrono: una stazione di punteria sistemata sull'alberata possibilmente al disopra della coffa di direzione; una di riserva in apposita torretta corazzata; due di seconda riserva negl'impianti sopraelevati. Le due prime devono essere complete, vale a dire devono comandare sia il brandeggio sia l'elevazione; quelle di seconda riserva è invece sufficiente controllino soltanto il brandeggio, posto che il loro impiego sarà limitato al caso in cui si debba eseguire tiro in autonomia. Per le artiglierie secondarie occorrono poi tante stazioni complete quanti sono i settori di fuoco.

In linea di massima la punteria con pezzi asserviti sarebbe preferibile a quella ad inseguimento d'indice, con vantaggio tanto più sentito per le artiglierie secondarie che devono essere capaci di un puntamento molto rapido; l'asservimento dei pezzi complica però i congegni ed aumenta di conseguenza il peso degl'impianti e la probabilità di avarie. È risultato inoltre da apposite esperienze che riesce in pratica molto difficile ottenere un perfetto sincronismo fra il movimento del cannocchiale di punteria e quello dei cannoni, a causa della differente inerzia delle masse in moto; ciò costituisce un evidente e grave inconveniente, che però non è da escludersi possa essere evitato in un prossimo futuro con il miglioramento degli apparecchi.

I principali vantaggi che si ottengono con la punteria generale, sia limitata agli alzi, sia estesa addirittura ai pezzi, sono:

a) Assoluta sicurezza che tutti i cannoni mirino sullo stesso bersaglio; il complesso costituisce infatti di per sé stesso un perfetto indicatore di brandeggio.

b) Possibilità di punteria su bersagli molto lontani, che riuscirebbero invisibili o poco visibili ai puntatori sia per la depressione all'orizzonte, sia per speciali condizioni atmosferiche.

c) Possibilità di fare convergere il fuoco su di un unico punto difficilmente individuabile dai varî puntatori; il che è d'importanza grandissima nel tiro antisilurante notturno, nel tiro contro sommergibili, e tutte le volte insomma che si tratta di battere un bersaglio che sia stato avvistato dal puntatore generale.

d) Assoluta contemporaneità nel fuoco di più armi con vantaggio della osservazione degli scarti.

e) Minore dispersione della salva specialmente nel senso laterale.

Ha inoltre importanza grandissima il fatto che la punteria generale non richiede nessuna importante modificazione degli organi per la punteria ordinaria; cosicché, venendo per una ragione qualunque a mancare la prima, si può passare rapidamente alla seconda senza che si abbia sensibile interruzione del fuoco. Tutte le considerazioni suesposte hanno fatto sì che la punteria generale sperimentata dalle varie nazioni all'inizio della guerra mondiale è oggi divenuta d'uso assolutamente corrente sia per le maggiori unità sia per il naviglio leggiero di tutte le marine.

Per quanto si riferisce alle modalità d'uso della punteria generale, valgano i pochi cenni seguenti.

La punteria in brandeggio si esegue normalmente con inseguimento degl'indici elettrici (azionati dal puntatore di coffa) da parte degl'indici meccanici (azionati dai puntatori ai pezzi); per la punteria in elevazione si possono invece adottare i seguenti sistemi.

Punteria continua. - Inseguimento continuo degl'indici elettrici (oscillanti in relazione all'ampiezza del rollio) da parte degli indici meccanici.

Punteria preparata in torre. - Punteria ottenuta con piccoli movimenti degl'indici meccanici così da mantenerli in posizione opportuna per essere collimati dagl'indici elettrici al momento in cui questi giungono o all'estremo di rollata in alto, o alla posizione corrispondente al passaggio per l'orizzontale, a seconda dei due sistemi impiegati per la scelta dell'istante di fuoco.

Punteria preparata in coffa. - Il puntatore al cannocchiale di elevazione non segue il bersaglio durante la rollata, ma mantiene il cannocchiale stesso in posizione opportuna perché il filo orizzontale del crocicchio giunga al galleggiante del bersaglio al momento del massimo sbandamento in alto, valendosi di ogni rollata per correggere con piccoli movimenti la collimazione; in torre gl'indici elettrici dei ricevitori restano quindi fermi o quasi fermi e viene ad essere in conseguenza molto facilitato il compito dei puntatori per collimare gl'indici meccanici con quelli elettrici.

Dei tre sistemi, il meno pratico è senza dubbio il secondo; fra gli altri due conviene dare la preferenza alla punteria preparata in coffa, quando si spara con mare abbastanza calmo; in tal caso infatti il rollio della nave, dipendendo quasi esclusivamente dallo sparo delle armi, risulta assai regolare e si presta bene all'esecuzione della punteria preparata. Con mare sensibilmente mosso, oppure per bastimenti a piattaforma molto instabile, conviene invece attenersi al sistema della punteria continua.

La punteria con inseguimento degl'indici risolve solo parzialmente il problema della punteria generale, la cui soluzione completa si ha soltanto coi pezzi asserviti. In un impianto di questo genere la manovra del trasmettitore di coffa determina senz'altro il movimento di brandeggio e di elevazione delle armi, sopprimendo l'opera interposta dei puntatori. Ciò facilita notevolmente l'esecuzione della punteria continua con rollio, giacché, in luogo di seguire direttamente il bersaglio movendo il cannone, è sufficiente seguirlo con un semplice cannocchiale; il che senza dubbio riesce molto più facile.

Centrali di tiro. - La centrale di tiro, che in passato si chiamava anche camera di previsione, è il locale dove vengono riuniti quasi tutti gli apparecchi per la condotta del tiro, tranne la punteria e l'osservazione degli scarti; l'importanza della centrale è andata aumentando col crescere delle distanze di combattimento e con il criterio giustamente seguito di portare nell'interno della nave, in posizione ben protetta, tutti gli organi la cui presenza nella stazione di direzione non è assolutamente indispensabile.

La centrale per le artiglierie principali (considerando una nave monocalibra) è unica, situata al disotto del ponte corazzato, sull'asse della nave, per essere meno soggetta a danni dovuti a proietti o a siluri, e lontano possibilmente da rumori che possano disturbare la ricezione e la trasmissione di ordini verbali. A somiglianza di quanto si pratica sulle moderne navi per quegli speciali locali che si considerano di vitale importanza, anche la centrale di tiro è resa stagna contro le possibili infiltrazioni di gas velenosi; essendo però necessario provvedere alla buona abitabilità di questo locale in cui si trovano destinati parecchi operatori, la centrale di tiro ha dispositivi per la rigenerazione dell'aria simili a quelli in uso sui sommergibili; qualora ad essa facciano capo linee di portavoce, essi sono di un tipo speciale con imboccatura stagna ai gas, e funzionano per mezzo di lamina vibrante.

La centrale destinata al grosso calibro non può servire anche le artiglierie secondarie, per le quali è in genere da prevedersi un differente bersaglio; deve esistere quindi a bordo un'altra centrale; anzi spesso ve ne sono almeno due, aventi il preciso incarico di fornire gli elementi per il tiro delle artiglierie secondarie.

Sulle navi minori, e uarticolarmente sulle navi siluranti, che non hanno protezione sui fianchi, anziché mettere la centrale di tiro in locali interni, si preferisce utilizzare locali ricavati dalle sovrastrutture in vicinanza del palco di comando; ciò facilita le connessioni della centrale stessa con la stazione di punteria che, in tal caso, è sistemata sulla controplancia.

Il compito principale della centrale di tiro è quello di prevedere con sufficiente anticipo l'alzo e il cursore col quale devono sparare i pezzi, tenendo conto di tutte le cause di errore cui abbiamo precedentemente accennato. In passato gli elementi di correzione venivano dedotti dagli appositi designati, che si valevano di diagrammi o tabelle preventivamente preparate; più recentemente l'opera dei serventi è stata sostituita da calcolatori meccanici per cui, nelle moderne centrali, è sufficiente introdurre i dati di partenza per ricavare meccanicamente e con continuità quelli da fornire ai pezzi. Per il funzionamento delle centrali di tiro ci si è appoggiati principalmente, fino a pochi anni or sono, alla variazione di distanza dedotta dalla curva telemetrica; più recentemente si è pensato di sfruttare anche la variazione di rilevamento appoggiandosi a misuratori giroscopici; anzi può succedere, in determinate condizioni relative della nave che spara e del bersaglio, che questo secondo elemento abbia importanza maggiore del primo.

Qualunque sia il tipo di centrale che si usa, non bisogna però mai dimenticare la necessità di essere pronti a condurre il tiro anche con mezzi di riserva assai più semplici, ma sui quali si sappia di poter sempre contare; e ciò è tanto più necessario per le installazioni moderne, inquantoché la meccanizzazione spinta all'estremo può causare più facili e frequenti avarie nei congegni.

Bibl.: P. Bertagna, Manuale del tiro, II: Tiro navale e forme secondarie di tiro, Genova 1922.

TAG

Emanuele filiberto duca di savoia

Francesco di giorgio martini

Luigi conte di vermandois

Calcolo delle probabilità

Tabelle a doppia entrata