DELLA CORNIA, Ascanio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DELLA CORNIA (Della Corgna, Della Corgnia, Della Corna), Ascanio

Irene Fosi Polverini

Nacque a Perugia il 13 nov. 1516 da Francesco, detto Francia, e da Giacoma Ciocchi Del Monte, maggiore di un anno del fratello Fulvio Giulio. Fu presto inviato a Roma presso lo zio card. G. M. Ciocchi Del Monte il quale si occupò personalmente della preparazione umanistica e giuridica del nipote, incline, fin dall'adolescenza, allo studio dell'arte ed in particolare dell'architettura militare.

A 16 anni, tornò a Perugia dove, nel 1534, fu nominato, con Lamberto Della Cornia, capitano per il rione di Porta S. Susanna e, come nobile, fu annoverato fra i savi dello Studio, carica che ricoprì anche nel 1536; partecipò, con i giuristi Giulio Orandini e Ristoro Castaldi, a gare accademiche, dando prova di profonda preparazione. Nel 1535 a Bologna, dove si trovava con il card. Del Monte, fu arruolato da Guido Rangoni, che cercava di ricostituire un esercito per Francesco I per attaccare Genova. Prese parte all'assedio della Mirandola e alla morte del capitano Bronzone, vessillifero francese, Gugnin Gonzaga lo scelse come suo alfiere. Tornato in Piemonte dopo l'assedio di Genova, il colonnello dell'esercito francese Cristoforo Guasco gli offrì di passare al suo servizio al comando di 200 fanti. Durante lo scontro con gli Spagnoli a Casale Monferrato fu ferito da un colpo di lancia che gli causò la perdita dell'occhio destro. Fatto prigioniero, fu liberato per l'intervento di Pirro Colonna e, solo dopo diverso tempo, si decise a tornare a Bologna con alcuni compagni. Tradito, forse involontariamente, dal conte Ugo Carpegna, che si era incaricato di garantire l'incolumità dei reduci, il D. fu arrestato ma presto rimesso in libertà. Il tradimento fu lavato in un duello a Bologna e il Carpegna ebbe salva la vita ammettendo il proprio errore. Tornato a Perugia, fu cercato da Piero Strozzi, che lo persuase ad unirsi ai fuorusciti fiorentini; il 31 luglio 1537 il D. combatté a Montemurlo, riuscendo a salvarsi dopo la rotta degli antimedicei. Già noto e stimato per la sua preparazione militare, per la perizia strategica e per le doti di architetto, fu chiamato al servizio della Repubblica di Venezia: il 27 ott. 1528 partecipò con l'esercito di Vincenzo Cappello all'assalto della fortezza di Cattaro occupata dai Turchi e, alla morte del capitano Valerio Orsini, guidò l'attacco per liberare il castello. Disciolta l'armata veneziana, tornò a Perugia.

Durante la guerra del sale, il D. propose la difesa ad oltranza contro gli attacchi pontifici, opponendosi all'opinione prevalente nel Consiglio dei venticinque, favorevole ad una resa immediata. Difese la rocca di Torgiano che, munita di nuove fortificazioni, resse all'attacco delle truppe guidate da Pier Luigi Farnese: questi, consapevole delle qualità del D. e certo che la difesa non si sarebbe protratta a lungo, gli propose di passare nelle sue file. Il D. accettò la resa a patto che fosse rispettata l'incolumità dei suoi soldati, ma il Famese saccheggiò Torgiano, facendo prigionieri i difensori. Caduta Perugia, il D. partecipò alla guerra di Paliano e successivamente continuò a militare sotto le insegne farnesiane: ricevette infatti l'incarico di presidiare Parma, Piacenza e Rimini, dove svolse anche un'importante opera di revisione delle strutture difensive, e a tal fine fu poi inviato anche ad Avignone. Passato in Francia e presentato da Piero Strozzi a Francesco I, il D. si trovò con le armi francesi alla battaglia di Perpignano. Al suo ritorno in Italia fu fatto arrestare a Firenze da Cosimo de' Medici, con l'accusa di aver "maneggiato alcuni trattati" scoperti nello Stato di Milano (Vita..., f. 13r): riconosciuto del tutto estraneo alle accuse, fu liberato da Cosimo.

Nel 1545 il D. si arruolò nell'esercito imperiale al comando di 500 fanti assegnatigli da Marzio Colonna: portatosi fra i primi nella zona di guerra, fu inviato, a Casale Monferrato per difenderla dall'attacco francese.

In questa occasione venne in contrasto col fiorentino Giovanni Taddei che, creato capitano nel 1545 dal D., ne misconosceva l'autorità, rifiutandosi di sottostare ai suoi ordini. Dimessosi dalla sua carica e raggiunto in Toscana il Taddei, il D. lo sfidò nel campo franco di Pitigliano alla presenza di illustri testimoni, come lo stesso conte di Pitigliano Giovan Francesco Orsini, Ottavio Farnese e il conte di Santa Fiora. La sfida, conclusa con la morte del Taddei, conferì ulteriore prestigio al D., accolto in seguito trionfalmente in Perugia: l'episodio fu riprodotto, più tardi, in un affresco nel salone del palazzo Della Cornia a Castiglion del Lago.

Tornato al servizio di Paolo III, il D. fu inviato al comando di 300 archibugieri in Germania, nell'estate 1546, con l'esercito di Ottavio Farnese contro i protestanti. Rientrato in Italia col card. A. Farnese, il D. lasciò sul campo il suo luogotenente Napoleone Montemellini perugino, non prima di aver impedito l'ammutinamento dei soldati, insofferenti del comportamento di Alessandro Vitelli nei loro confronti. Nominato nel 1547 da Paolo III colonnello-guardia di Ancona, rimase nella Marca per tre anni, durante i quali represse la rivolta di Fermo contro la S. Sede capeggiata da Federico Nobili. Ad Ancona gli giunse la notizia dell'elezione al pontificato dello zio Gian Maria Ciocchi Del Monte, che avrebbe impresso una svolta decisiva alla sua vita.

Il D. infatti mal celava l'ambizione di ipserirsi da protagonista nelle vicende diplomatiche e militari europee segnate dal conflitto franco-asburgico ed allo stesso tempo aspirava a crearsi un dominio personale nelle terre dei Chiugi perugino, dove da secoli la sua famiglia aveva goduto di un'indiscussa preminenza. Dopo aver nominato il D. capitano generale della fanteria e della cavalleria il 22 febbr. 1550, il 1° giugno dello stesso anno il papa concesse il Chiugi perugino, Castiglion del Lago, Montalera, Bastia e Montecolognola con i relativi benefici economici e privilegi giurisdizionali per nove anni, alla sorella Giacoma, che aveva prestato 12.000 scudi d'oro alla Camera apostolica. Il beneficio, legato alla improbabile restituzione da parte della Camera della somma imprestata, pose di fatto le basi per la formazione del marchesato castiglionese dei Della Cornia, contemplandosi, nel medesimo breve, anche la possibilità di una successione senza limiti temporali. Il 18 dic. 1550 il papa sancì il dominio personale del D. sul territorio staccato dalla legazione perugina nominandolo, con il fratello card. Fulvio, governatore perpetuo con mero, misto impero e potestà del gladio di Castel della Pieve (poi Città della Pieve). Creando dunque il nipote vicario apostolico in temporalibus anche per Castiglion del Lago ed il Chiugi, Giulio III stabilì una linea ereditaria nella discendenza maschile, che tuttavia mancò, perché il D. non ebbe figli dalla legittima moglie Giovanna Baglioni (adottò poi Diomede, figlio della sorella Laura e di Ercole Della Penna, che ereditò i beni feudali). Il legame con il papa, sfruttato abilmente dal D., fu sancito anche dall'aggiunta delle armi dei Del Monte nello stemma familiare dei Della Cornia: il solo Ascanio si attribuì nel 1553 uno stemma composto dall'arma corgnesca, con un elemento nuovo (il monte che sostiene il corniolo), e da quello di Giulio III.

Fin dall'inizio del pontificato Giulio III si valse dell'opera del nipote sul piano diplomatico e militare. Nell'ottobre 1550, il D. si dichiarava pronto a servire il re di Francia e nell'aprile 1551 fu incaricato di convincere Francesco I ad avallare la proposta pontificia circa il ritorno di Parma alla S. Sede e la conseguente concessione di Camerino ad Ottavio Farnese.

All'inizio dell'estate 1551 egli manifestava però il disagio che il servizio presso il re di Francia gli aveva procurato nell'ambiente familiare e presso la stessa corte romana. Da parte francese si sospettava della sua posizione e si insisteva perché non lasciasse il servizio del papa, che nell'agosto 1551 lo aveva invitato ad assumere il comando delle operazioni militari a Parma. Il temuto e già sospettato passaggio del D. all'Impero non doveva però tardare.

All'inizio di agosto il D. scriveva a don Diego de Mendoza di non poter accogliere l'invito a servirlo con 2.000 fanti, per non essere ancora sciolto dall'obbligo verso la Francia, che gli fruttava una pensione annua di 2.000 scudi, ma, allo stesso tempo, si dichiarava "prontissimo et apparecchiato andare... et con la spada et la cappa in tutti i luoghi del mondo senza rispetto alcuno di mio particolar interesse a spender volentieri la vita, gli amici et tutto quel poco che la fortuna mia mi lassa possedere" (Urb. lat. 879, I, f. 201v). Nell'assicurare l'eventuale disponibilità, il D. esponeva all'imperatore il proprio programma militare ispirato ad una perfetta conoscenza della situazione e delle necessità del momento.

Nominato nel maggio 1552 da Carlo V capitano generale di 4.000 fanti ed altrettanti cavalieri in Italia, fu sollecitato dal Mendoza a sciogliere il proprio contingente, ma, per la pressione dei cardinali spagnoli a Roma, ottenne di poterlo mantenere. Fra il marzo e l'agosto 1552 il D. aveva ripetutamente scritto anche a Ferdinando d'Asburgo offrendosi di servire anche sotto Giovan Battista Castaldo, "cosa che forsi non fariano molti miei pari" (ibid., f. 219r), chiedendo poi esplicitamente di essere destinato "contra gl'Infedeli", per evitare emulazioni con altri capitani in servizio per l'imperatore in Italia.

Nell'estate 1552 era divenuto ormai inevitabile uno scontro fra la Francia e l'Impero in seguito alla ribellione di Siena (27 luglio 1552). Diego de Mendoza partì da Roma alla volta di Perugia e poi di Castel della Pieve per indurre il D. ad un'azione militare, nei confronti della Repubblica ribelle: d'accordo col Mendoza e con Cosimo de' Medici, il D. portò il suo contingente di 4.000 fanti, tutti arruolati nei suoi territori e per lo più a sue spese, ai confini senesi, da dove attaccò alcune località, rientrando poi nei propri domini del Chiugi. Il comportamento dei suoi soldati nel territorio senese non doveva esser stato irreprensibile verso gli abitanti delle locali Comunità, se il D. trovava necessario giustificare davanti al papa alcuni episodi di saccheggi e devastazioni come normali azioni belliche. Nominato nel 1553 da Pietro di Toledo generale della fanteria italiana impegnata nella guerra di Siena, il D., che aveva anche arruolato a sue spese 2.500 fanti, si congiunse nei pressi del Trasimeno con l'esercito spagnolo ed entrò nel Senese per assalire alcuni luoghi fortificati, come Montefollonico (14 febbr. 1553) e Monticchiello, difeso da Adriano Baglioni (19 marzo 1553). Rimasto ferito durante l'assedio dì Montalcino l'11 aprile, fu condotto a Montepulciano, mentre gli giungevano rimproveri, per il suo troppo ardire, dal pontefice e dal fratello card. Fulvio, al quale egli rispose che il "capitano d'onore e di valore non con altri riflessi distingue e misura il tempo che col bisogno e colla riputazione" (Pascoli, Vite..., p. 102). Costretto per breve tempo al riposo, tornò presto alle armi nel dicembre 1553, quando fu inviato a Norcia con l'incarico del pontefice di sedare una contesa fra Orsini e Colonna. Richiamato da Cosimo contro Siena, rimase vittima del tradimento di Santaccio da Pistoia, che lo fece cadere in mano senese (23 marzo 1554).

Consegnato a Piero Strozzi, fu imprigionato a Siena nella Dogana del sale, anche se gli fu riservato un trattamento privilegiato, grazie alle pressioni esercitate sullo Strozzi dal card. Fulvio e dallo stesso Giulio III. Dopo uno sfortunato tentativo di fuga, il D. fu condotto a Porto Ercole il 10 maggio e di qui imbarcato verso la Francia, mentre la diplomazia pontificia si adoperava per la sua liberazione. Se il papa contava su un riconoscimento da parte del re della lealtà del D., Francesco I, al contrario, si valeva del ricordo delle "tante sorte di disservitii" procuratigli dal capitano perugino per procrastinarne la liberazione. Le trattative condotte dai card. Farnese, Gualtiero e Del Monte si protrassero dal 19 maggio al 10 dic. 1554, quando al D. fu permesso di rientrare a Roma, a condizione di non prendere parte, almeno temporaneamente, ad azioni belliche e di tornare in Francia se lo avesse richiesto il sovrano.

Durante questi anni di intensa attività militare, il D. mantenne stretti legami con la nativa Perugia, che favorì perorando presso Giulio III la restituzione dei privilegi tolti da Paolo III e partecipando, compatibilmente con i suoi impegni, alla vita politica cittadina. Accolto trionfalmente con il card. Fulvio il 9 genn. 1553 per la cerimonia della restituzione dei privilegi, fu eletto per il primo trimestre dell'anno successivo primus mercator, carica che ricoprì anche nel secondo trimestre 1562.

Particolarmente significativo fu il rapporto di amicizia e di collaborazione con l'architetto perugino Galeazzo Alessi. Durante il pontificato di Giulio III, il D. aveva fatto costruire a Castel della Pieve un grandioso palazzo, espressione concreta della sua smania di potenza e di autorità, sancita dai recenti privilegi pontifici. La costruzione fu iniziata fra il 1552-54su progetto dello stesso D., mentre l'Alessi certamente costruì per l'allievo ed amico il palazzetto di Castiglion del Lago, dove il D. stabilì poi la sua residenza.

Rimasto insoddisfatto per la nomina, nel gennaio 1555, a custode della Chiesa e di Roma, che lo sottometteva all'autorità del duca di Urbino, pensò di allontanarsi da Roma per partecipare, a fianco degli Imperiali, alla guerra di Corsica. Dissuaso da Baldovino Del Monte, che il papa voleva creare duca di Camerino valendosi, in questa operazione, dell'eventuale appoggio militare del D., rinunzio infine all'impresa contro la Francia. Durante il breve pontificato di Marcello II, il D. mantenne la carica di custode generale di Roma "con amplissima autorità", ottenendo anche dal papa di poter portare un drappello di svizzeri nel suo Stato di Castiglione.

Con l'elezione di Paolo IV non solo il D., che nel maggio 1555 serviva ancora la S. Sede sotto l'autorità suprema del duca di Urbino, ma tutta la famiglia Della Cornia cadde in disgrazia presso il nuovo pontefice, fieramente antispagnolo. Nell'agosto 1555 il papa privò il D. dei possessi feudali in base alla bolla Iniunctum nobis e, per garantirsi da eventuali tentativi di riconquista dei feudi, lo costrinse a versare alla Camera apostolica una cauzione di 15.000 scudi. Per colpire inoltre più direttamente la famiglia Della Cornia, Paolo IV ordinò il sequestro dei grani del Chiugi ed il loro trasporto a Perugia invece che a Firenze.

Il D., che aveva sopportato con spirito fin troppo remissivo i provvedimenti contro di lui, avrebbe avuto l'occasione di riprendersi i suoi feudi con un colpo di mano, grazie all'appoggio del duca di Firenze e delle truppe imperiali. Infatti, secondo la testimonianza di Bernardino Grazino, segretario del D., processato davanti al governatore di Roma nel febbraio 1556, il D. avrebbe mandato a Firenze il capitano Vermiglioli per sondare la disponibilità fiorentina all'impresa, ma vi avrebbe poi rinunziato nell'incertezza dell'esito e, soprattutto, per non compromettere definitivamente la sua posizione di fronte al papa.

Mentre il D., nel dicembre 1555, era in trattative con l'ambasciatore di Venezia a Roma Bernardo Navagero per porsi al servizio della Repubblica, il papa gli affidò, alla metà di dicembre, l'impresa contro il ribelle conte di Bagno. Doveva essere questa una prova della lealtà del D. che, nel gennaio 1556, mosse con l'artiglieria verso Ancona da dove raggiunse Rimini per concludere con successo l'operazione militare alla metà di febbraio, proprio quando la sua posizione venne definitivamente compromessa dalla testimonianza del Grazino. La reazione di Paolo IV non fu però immediata e, il 18 apr. 1556, il card. Carlo Carafa, ambasciatore ad Enrico II dopo la tregua di Vaucelles, concesse al D. il generalato della cavalleria pontificia, incaricandolo anche di revisionare le fortezze al confine col Regno. Recatosi ad apprestare la difesa di Velletri alla metà di luglio, il D. fu richiamato a Roma da Giovanni Carafa il 23 luglio, dopo la scoperta di inconfutabili prove della sua partecipazione ad un conciliabolo del partito filospagnolo tenutosi in precedenza a Roma. Avvertito dal fratello Fulvio, riuscì a sfuggire alle truppe di Papirio Capizzucchi inviato ad arrestarlo. Dopo una fuga verso Nettuno si portò a Gaeta, dove fu accolto da Marcantonio Colonna e condotto a Napoli; il duca d'Alba si avvalse subito della conoscenza che il D. aveva delle fortezze pontificie e della sua perizia nell'architettura militare per affidargli il compito di munire alcuni castelli in Abruzzo.

Il D. intanto aveva fatto stampare a Napoli un suo scritto (Manifesto e giustificazione fatta dal Sig. Ascanio Della Cornia, Napoli 10 ag. 1556), nel quale confutava l'accusa di aver tentato di rioccupare con la forza i suoi feudi e giustificava il proprio passaggio al servizio del duca d'Alba con il cattivo stato finanziario seguito alle persecuzioni e alle confische operate da papa Carafa.

Liberata Nettuno, il D. ricevette dal duca d'Alba l'ordine di marciare su Roma per tentare un assalto a porta Maggiore, rinviato all'ultimo momento per i timori del duca, che fece dirigere il capitano e le sue forze verso Ostia. Nella pace di Cave il duca d'Alba premette invano per ottenere la restituzione dei beni confiscati al D. e perché gli fosse riservato lo stesso trattamento del Colonna e del conte di Bagno. In risposta all'intransigenza di Paolo IV, Filippo II, per compensare il D. della perdita dei suoi beni e per l'azione militare svolta nella guerra di Campagna, gli concesse una pensione annua di 7.000 scudi, nominandolo inoltre maestro generale del campo in Italia, membro del Consiglio degli affari di Fiandra e capo delle fortificazioni di tutti i domini spagnoli europei e lo destinò immediatamente a ristrutturare la fortezza di Graveline ed altre al confine con la Francia.

Poco prima della morte di Paolo IV il D. era rientrato in Italia, fermandosi a Monte San Savino per organizzare un trionfale ingresso a Perugia. Di qui si recò a Roma per porgere omaggio al Sacro Collegio: ricevuto con grande pompa dalla nobiltà romana, il 25 ag. 1559, sebbene il card. Du Bellay lo avesse previamente invitato alla moderazione, si discolpò cinque giorni dopo in Campidoglio con una solenne messa in scena, spiegando il suo comportamento nei passati eventi bellici e rimettendo tutti i suoi beni nelle mani dei Romani.

Reintegrato nei suoi privilegi da Pio IV che con un breve lo nominò, il 20 ott. 1560, vicario a vita di Castiglion del Lago e governatore perpetuo di Castel della Pieve, col solo obbligo di pagare alla Camera apostolica 2.000 scudi d'oro, nel gennaio 1560 il D. fu incaricato di rivedere le difese di Roma insieme a Latino Orsini e Galeazzo Alessi. Pio IV sembra fosse intenzionato ad inviarlo a Trento, nel gennaio 1563, con 100 cavalli e 200 fanti a presidiare il concilio, sebbene l'imperatore si fosse dichiarato decisamente contrario all'iniziativa "per non dar maggiori sospetti a Protestanti" (Nuntiaturberichte, III, p. 5) e lo stesso D. ammettesse di non essere al corrente del piano pontificio. Ottenuto dal papa il titolo di marchese di Castiglione, Chiugi e Castel della Pieve, il 17 nov. 1563, il D. si dedicò più direttamente al governo dei suoi feudi: concesse gli statuti a Castiglion del Lago (24 apr. 1570 e 12 nov. 1571); fece proseguire da G. Alessi i lavori del palazzetto, rimasti interrotti dopo la confisca.

La pressione fiscale esercitata sui vassalli dette origine a forti tensioni, culminate nella richiesta di protezione e di aiuto inoltrata dagli abitanti direttamente al papa nel 1564; l'8 aprile fu inviato a Castiglione dal governatore di Perugia, per ordine del papa, il luogotenente Fazio Menichini per svolgere una indagine sul governo del Della Cornia. Arrestato il 17 genn. 1565 e fatto rinchiudere in Castel Sant'Angelo con le accuse di abuso di potere, di vari "eccessi" ed anche di omicidi di vassalli, fu liberato per le istanze del fratello card. Fulvio e, soprattutto, dell'imperatore, di don Garzia di Toledo, viceré di Sicilia, e del gran maestro dell'Ordine di Malta La Valette, dietro l'esborso di 24.000 scudi d'oro.

Il D., che nel 1561era stato ammesso da Cosimo I nell'Ordine dei cavalieri di S. Stefano, partecipò al gran soccorso di Malta attaccata dai Turchi. Chiamato nell'agosto 1565 a Messina da don Garzia di Toledo, che lo nominò maestro di campo, per decidere se affrontare i Turchi in una battaglia navale o procedere alla difesa dell'isola, si portò a Malta con 8.000 fanti italiani e spagnoli per fortificarla su richiesta del gran maestro La Valette. Invitato in Spagna dallo stesso Filippo II, dopo la vittoria, a rendere conto dei lavori compiuti e della strategia che aveva determinato il successo cristiano, il D. ottenne dal re soddisfazione anche delle paghe arretrate per il valore di 50.000scudi e, tornato nell'isola, propose di fortificarla "a suo modo", originando però notevoli contrasti sui progetti da realizzare. La nomina del marchese di Pescara a generale contro i Turchi scontentò il D., che si recò in Spagna per avere dal re spiegazione di tale scelta: Filippo II, che giustificò la nomina come del Consiglio e non sua propria, conferì al D. la carica di maestro di campo generale per tutto il Regno e lo nominò membro del Consiglio di Napoli. La presenza del D. in questa magistratura fu oggetto di controversia, risolta con parere definitivo da Filippo II, che stabilì le funzioni di consulenza militare attribuite al C. all'interno del Consiglio di Napoli. Tornato in Italia, il D. alternò la sua dimora fra Roma ed i suoi feudi. Imprigionato ancora una volta in Castel Sant'Angelo e processato davanti al governatore di Roma nel giugno 1566 con l'accusa di aver commissionato, insieme al figlio adottivo Diomede Della Penna, l'omicidio del capitano Flaminio Graziani, fu poi scagionato dalle imputazioni ancora una volta per l'intervento del fratello e del doge di Venezia Girolamo Priuli.

Nominato maestro di campo generale delle fanterie della lega di principi cristiani che si preparava ad affrontare i Turchi, il D. fu consultato il 25agosto da Giovanni d'Austria sull'opportunità di salpare ed espresse il suo parere sulla strategia da adottare nel consiglio di guerra tenutosi a Messina alla metà di settembre 1571, inviando poi le proprie riflessioni in merito allo stesso Filippo II (Due discorsi dell'Ill.mo A. Della Cornia dati da lui al Ser.mo Don Giovanni d'Austria circa il combattere con l'armata turchesca..., in Fiorenza 1571), alcune delle quali erano già state scritte precedentemente (Lettera ad anonimo circa la lega tra i Principi Cristiani per la guerra contro i Turchi, Napoli, 19 dic. 1570).Dopo la vittoria di Lepanto il D. fu incaricato con Gabrio Serbelloni, Prospero Colonna e Lelio Massimo di revisionare la fortezza di Santa Maura, ancora in mano nemica, e di studiare l'eventualità di un attacco, che egli pero giudicò impossibile. Durante il viaggio di ritorno a Roma, fra il 19 ed il 22 novembre, fu colto da febbre. Morì a Roma nel palazzo del fratello Fulvio, il 6 dic. 1571: trasportato con grande pompa a Perugia, fu onorato in ogni tappa del viaggio e dopo le solenni esequie fu sepolto nella chiesa di S. Francesco al Prato.

Fonti e Bibl.: tra i molti mss. contenenti notizie sulla vita del D. conservati a Perugia alla Bibl. com. Augusta si segnalano solo i piùsignificativi: ms. B 16: Vita del marchese A. D. ed esequie del medesimo, ff. 1r-75r; ms. 2949 (copie di diverse patenti, alcune lettere autografe ed un frammento di una Vita del D.), ff.82r-143r; ms. 1863: R. Sozi, Annali, memorie... e ricordi di Perugia dall'anno 1540, I, ff. 46, 83r-85v, 102r, 105v-106r, 115v-116r, 139v-140v, 194v-197r; II, ff. 422r-435v; III, ff. 961r-1090v; Arch. di Stato di Perugia, Archivio stor. comun., Carteggio, lettere ai Priori, nn. 458-459; Offici, n. 15, cc. 9r, 25v, 91v, 143v, 149r, 199r; n. 16, c. 21r; Bologna, Bibl. univer.: ms. 1216 (31) Compendio della vita di A. D. et alcuni particolari pertinenti al detto; Bibl. Ap. Vat., Urb. lat. 879, I, ff. 151r-237r, 322r-329r; Urb. lat. 855, ff. 322r-325r: Parere sopra la Lega di Lepanto; Urb. lat. 1113, ff. 254r-255v; Vat. lat. 6183, f. 48; Vat. lat. 13464, ff. 10r-15v; Reg. lat. 385, f. 62; Barb. lat. 5707, ff. 46, 148; Arch. Segreto Vaticano, Lettere di principi, vol. 16, f. 356; vol. 21, ff. 47r-113v; Arm XXIX, t. 213, f. 103; Arch. di Stato di Roma, Tribunale del Governatore, processi criminali del XVI sec., n. 30, ins. 10; n. 99, ins. 1; n. 105, ins. 4; n. 111, ins. 11; Registrazione d'atti, nn. 159, 170, 211, 284; Camerale I, Tesoreria provinciale Umbria e Perugia, n. 167; A. Andrea, Della guerra di Campagna di Roma..., Venezia 1560, ad Indicem; A. Fortunio, Cronichetta del Monte S. Savino... con alcune vite e con quella del Sig. A. D., Firenze 1583; C. Alessi, Elogia civium Perusinorum..., Fulginae 1635, pp. 32-39; C. Crispolti, Perugia Augusta, Perugia 1648, pp. 284 s.; P. Pellini, Dell'historia di Perugia, III, Venezia 1664, passim; L. 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Grottanelli, Torino 1863, ad Indicem.L'azione diplomatica del D., il suo passaggio dalla Francia alla fazione imperiale ed il suo ruolo nella politica di Giulio III sono ampiamente documentati, fra l'altro, in A . von Druffel, Beiträge zur Reichsgeschichte, I-IV, München 1873-1896, ad Indices; Nuntiaturberichte aus Deutschland, s. 1, XII, a c. di G. Kupke, Berlin 1901, ad Indicem; III, a cura di S. Steinherz, Wien 1903, pp. 5 s.; XIII, a cura di H. Lutz, Tübingen 1959, ad Indicem; XIV, a cura di H. Lutz, ibid. 1971, ad Indicem; XV, a cura di H. Lutz, ibid. 1981, p. 164; XVI, a cura di H. Goetz, ibid. 1965, ad Indicem; XVII, a cura di H. Goetz, ibid. 1970, ad Indicem; Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistolarum tractatorum nova collectio, Diariorum pars prima, ed. Soc. Goerresiana, Friburgi Brisg. 1901, ad Ind.; Diariorum pars secunda, ibid. 1911, ad Indicem; Epistularum pars prima, ed. G. Buschbell, ibid. 1916, p. 34 n. 5, 830; R. Ancel, Nonciatures de France. Nonciatures de Paul IV, Paris 1909, ad Indicem; Correspondance des nonces en France Dandino, Della Torre et Trivultio (1546-1551), a cura di J. Lestocquoy, Rome-Paris 1966, ad Indicem; Correspondance du nonce en France Prospero Santa Croce (1552-1554), a cura di J. Lestocquoy, ibid. 1979, ad Indicem;F. Balbi da Correggio, Diario dell'assedio di Malta, Roma 1965, pp. 129, 131 s., 169; C. Bromato, Storia di Paolo IV pont. max., II, Ravenna 1753, pp. 311 s., 317, 335; R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana..., I, Firenze 1781, pp. 229, 232; A. Fabretti, Biografia dei capitani venturieri dell'Umbria, III, Montepulciano 1844, pp. 213-261; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini fino al 1860, II, Perugia 1879, ad Indicem;A. Pieper, Die päpstlichen Legaten und Nuntien in Deutschland, Frankreich und Spanien seit der Mitte des sechzehnten lahrhunderts, Münster 1897, pp. 144, 126; G. Coggiola, A. D. e la sua condotta negli avvenimenti del 1555-56, in Bollettino della R. Dep. di storia patria per l'Umbria, X(1904), pp. 89-148, 221-362; L. Riess, Die Politik Pauls IV. und seiner Nepoten, Berlin 1909, ad Indicem; G.Prunai, A. D. e la sorpresa di Chiusi (22-23 marzo 1554), in Bollett. senese di storia patria, XLV(1938), pp. 101-172; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1963, ad Indicem; VII, ibid.1950, pp. 12 s., 523, 564; VIII, ibid. 1951, pp.515, 560; R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Siena 1962, ad Indicem; M. G. DonatiGuerrieri, Lo Stato di Castiglion del Lago e i Della Corgna, Perugia 1972, pp. 83-204; C. Bozzoni-G. Carbonara, Saggi di lettura di opere alessiane in Umbria: le costruzioni per i Della Cornia, in G. Alessi e l'architettura del Cinquecento (Attidel Conv. intern., Genova 16-20 apr. 1974), Genova 1975, pp. 211-222; C. F. Black, Perugiaand Papal Absolutism in the Sixteenth Century, in The English Historical Review, XCVI(1981), pp. 513 s., 528 ss.

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