Asperitas

Enciclopedia Dantesca (1970)

asperitas

Pier Vincenzo Mengaldó

. A parte l'impiego più generico di Ep XIII 29, a., come l'unico esempio dell'aggettivo asper, è usato da D., sempre e solo nel De vulg. Eloq., nella precisa accezione linguistico-retorica cui si riportano alcuni celebri esempi di ‛ aspro ' in volgare (v.) : Cv IV Le dolci rime 14, ripreso in II 13, Rime CIII 1, If XXXII 1 (non sono invece attestati ‛ asprezza ' o ‛ asperità '). In questo senso D. eredita puntualmente la tradizione terminologica della retorica latina, dove, fin dall'epoca classica e poi nel Medioevo, asperitas, asper, aspere ricorrono spesso e stabilmente in affini accezioni tecnicizzate; basti confrontare il Thesaurus Linguae Latinae (sub vv.), da cui emerge anche la frequenza dell'uso di questi termini in correlazioni e opposizioni semantiche perfettamente corrispondenti a quelle che ritroviamo in D.: sinonimia di asper con durus, rudis, ecc., antonimia rispetto a dulcis, mollis, blandus e specialmente lenis (e così si dica per le coppie oppositive asperitas / lenitas, aspere / leniter) : cfr. Cicerone Ora/. III 28 e 216, Brutus 164; Ovidio Fasti V 481; Quintiliano Inst. X 23; s. Agostino Princ. dialect. 6. Tra gli esempi di testi più vicini a D. si potranno ricordare Adalberto Samaritano Principia Dictaminis, ed. Schmale 30 e 51 (" aspera et spinosa dictamina "), Guittone Altra fiata aggio già 163-164 (" E dice alcun ch'è duro / e aspro mio trovato a savorare "), e poi il Passavanti Specchio, Firenze 1725, 229 (" l'accento aspro e ruvido ").

Coerentemente alla poetica del contemperamento degli opposti e della sintesi di dolcezza e asprezza, che caratterizza il De vulgari Eloquentia, a. (con asper) vi compare, al centro di una raggiera di termini affini, a indicare una qualità appunto " aspra " di suoni, rime, vocaboli, che, mentre risulta disarmonica o troppo marcatamente risentita se domina come carattere esclusivo, produce la desiderata armonia verbale se opportunamente commista con elementi linguistici che abbiano l'opposta qualità della dolcezza o lenitas: di qui anche il fatto che il termine non è, di per sé, connotato senz'altro negativamente, ma è in sostanza ‛ neutro ', ricevendo specificazioni peggiorative dal contesto e dalla permutazione con sinonimi o quasi-sinonimi più espressivi e caratterizzati. La polarità cui si è accennato risulta già chiaramente da VE I XIV 4, dove al romagnolo troppo femmineo per eccessiva mollities di vocaboli e pronuncia, viene contrapposto il dialetto di Bresciani, Veronesi, Vicentini, Padovani e Trevisani, il quale è al contrario così yrsutum et yspidum che, propter sui rudem asperitatem (notare l'aggettivo che precisa negativamente il sostantivo, come yspidus nei confronti di yrsutus, v. oltre), fa sembrare uomini le donne che lo parlano. La sintesi degli opposti è realizzata nella parlata dei Bolognesi (cfr. VE I XV 3 e 5), che appare ad laudabilem suavitatem... temperata in quanto realizza in sé l'armonica commistione di quelle caratteristiche dialettali di per sé riprovevoli, assumendo dai Romagnoli (ab Ymolensibus) lenitatem atque mollitiem (si noti ancora una volta la coppia che sottolinea la trasformazione, in diverso contesto, di una qualità negativa in positiva), e dai " lombardi " Ferraresi e Modenesi una loro tipica garrulitas (sinonimo più risentito di a., replicato al § 4 dal consimile acerbitas (v. LOMBARDIA).

In due passi fondamentali del II libro lo stesso concetto viene senz'altro portato sul piano della normatività stilistica. In VE II VII 6, dopo aver esposto la sua teoria per cui alla poesia illustre, " tragica ", si convengono solo quei vocaboli " cittadini " e " virili " che abbiano una temperata, non eccessiva, morbidezza e levigatezza (che siano pexa ma non lubrica), soavi a pronunciarsi, o invece quelli aspri e ruvidi, ma non eccessivamente (yrsuta, non reburra), D. passa a precisare ed esemplificare cosa intenda per questi ultimi : mentre l'uso di alcuni vocaboli "irsuti ", come tutta una serie di monosillabi, è una necessità inevitabile, altri invece contribuiscono positivamente all'ornatus (sono ornativa), nonostante siano contrassegnati da vari elementi di asperitas alieni dalle parole " pettinate ", proprio in quanto mixta cum pexis, pulcram faciunt armoniam compaginis. Il passo è anche importante perché è l'unico a permetterci una qualche approssimazione al contenuto concreto della nozione dantesca di " asprezza ": qui l'a. si specifica, in una serie di caratteri opposti a quelli dei vocaboli pexa, come connessa alla presenza nella parola dell' " aspirazione ", dell'accento tonico sull'ultima sillaba, di consonanti " doppie " (X e z) o di gruppi di muta + liquida, di un numero di sillabe superiore alle tre-quattro (v. VOCABOLI, TEORIA DEI).

La stessa concezione stilistica che emerge da questo passo ritorna in VE II XIII 12 a proposito della rima : tra i difetti che il poeta aulico deve evitare nella tecnica delle rime D. indica appunto la rithimorum asperitas (esperita in grande stile nelle petrose, e prima soprattutto dal loro principale modello, Arnaut Daniel), ma non quando sia lenitati permixta, poiché anzi l'alta poesia (tragoedia) acquista tutto il suo splendore nella lenium asperorumque rithimorum mixtura. E non è escluso che, al di là della teorizzazione delle proprie passate esperienze di lirico dolce e sottile (in particolare nelle canzoni dottrinali), D. guardi già con queste formule alla nuova prassi stilistica della Commedia (cfr. il cenno di G. Contini, in " Paragone " XVI [1965] 35).

Bibl. - G. Varanini, Il c. XXXII dell'Inferno, in Lect. Scaligera 11130, 1132 ss.