Assioma

Dizionario di filosofia (2009)

assioma


Dal lat. tardo axioma, gr. ἀξίωµα der. di ἄξιος «degno di valore». In generale designa una proposizione il cui ruolo conoscitivo è quello di un principio evidente di per sé e mediante il quale possono essere derivate (cioè fondate e giustificate) altre proposizioni. L’impiego del termine nella letteratura scientifico-filosofica non è tuttavia univoco: per es., nella riflessione matematica pre-euclidea il concetto di a. era espresso con il termine principio, facendo riferimento a proposizioni fondamentali, sebbene provvisorie (ipotesi), attraverso cui risolvere problemi specifici; in Aristotele e in Euclide il termine si colloca nel contesto della concezione classica dell’assiomatizzazione (➔) e designa i principi comuni a tutte le scienze; nello stoicismo il termine è usato come sinonimo di enunciato; nella concezione astratta dell’assiomatizzazione è impiegato con riferimento sia ad a. logici sia ad a. non-logici o propri. In linea generale, è possibile classificare due concezioni della nozione di a.: la concezione intuitiva e la concezione astratta.

La concezione intuitiva

Per questa concezione la caratteristica fondamentale della nozione di a. è l’evidenza, frutto della intrinseca intelligibilità e intuitività dei termini che compongono gli assiomi. La concezione intuitiva è già presente nella matematica pre-euclidea, la quale, piuttosto che come un edificio sistematico, si configura come un insieme di problemi in relazione ai quali sono stati accumulati insiemi di proposizioni destinate a risolverli. In Ippocrate di Chio, per es., i principi non sono organizzati in base a un sistema univoco e immutabile: il loro insieme è determinato dalle condizioni del problema specifico che si intende risolvere, non in funzione di tutta la geometria come in Euclide di Alessandria. Ippocrate ignorava l’idea di sistema deduttivo in senso euclideo: il principio è essenzialmente una proposizione che viene scelta perché fondamentale nella soluzione dei vari casi del problema. Il momento fondamentale di sviluppo della concezione intuitiva da una dimensione pre-euclidea a una euclidea è registrato da Platone, che nella Repubblica (➔) (VI, 510 c-e; VII, 533 b-c) critica la nascente interpretazione degli a. che sarà propria di Aristotele ed Euclide. La critica platonica è rivolta ai matematici che scambiano le ipotesi per verità indiscutibili e che, invece di fondarle mediante ipotesi più generali, sviluppano ciò che da esse deriva. Coloro che praticano il metodo assiomatico usano, per Platone, le ipotesi in modo improprio, perché le danno per scontate come principi assiomatici tanto evidenti per tutti da non richiedere alcuna spiegazione: poiché costoro non forniscono gli a. di un logos, gli a. si riducono a semplici convenzioni e su questa base non è possibile edificare alcuna conoscenza. Una prospettiva differente è presente in Aristotele, per il quale ogni scienza deve possedere dei punti di partenza indimostrabili. Negli Analitici secondi (➔) (I, 2, 72 a 14-24) Aristotele classifica diversi tipi di punti di partenza di una scienza dimostrativa: «tesi» è quello che non può venire dimostrato, né deve essere necessariamente posseduto da chi vuole apprendere qualcosa; a. è quel principio che deve essere necessariamente posseduto da chi vuol apprendere qualunque cosa. Tra le tesi, poi, quella che stabilisce una qualsiasi delle due parti della contraddizione è per Aristotele un’«ipotesi», mentre quella che prescinde da ciò è un’«espressione definitoria». Inoltre, Aristotele aggiunge che chi conduce la dimostrazione assumendo delle premesse dimostrabili senza però averle provate, stabilisce un’«ipotesi» nel caso in cui assume una proposizione ritenuta vera da colui che impara; pone, invece, un «postulato» nel caso in cui assume quella stessa proposizione mentre il discepolo non ha alcuna opinione in proposito o nutre l’opinione contraria. Dunque, l’ipotesi differisce dal postulato perché quest’ultimo risulta contrario all’opinione di chi impara oppure, pur essendo dimostrabile, viene assunto e utilizzato senza dimostrazione. Tali considerazioni si collocano nell’ambito della definizione aristotelica di un modello di scienza valido per ogni scienza particolare (geometria compresa), modello nel quale il concetto di dimostrazione ha un ruolo fondamentale. I sostenitori della dimostrazione come unica forma di scienza giungono, tuttavia, secondo Aristotele, a delle tesi contraddittorie: alcuni affermano che non vi è scienza perché i principi della dimostrazione non sono dimostrabili; altri sostengono che vi è scienza di tutto perché tutto è dimostrabile. Al fine di evitare questa alternativa scorretta, Aristotele distingue la scienza in due parti: la parte «anapodittica», che concerne i principi primi e immediati oltre cui non si può risalire, e la parte «apodittica». La scienza dispone dello strumento del sillogismo che parte da premesse vere, immediate, prime e causa della conclusione. L’idea di scienza che Aristotele delinea è, dunque, quella di un sistema ordinato: i suoi elementi sono connessi da relazioni di antecedenza e conseguenza, da relazioni di derivazione di elementi subordinati da elementi primari e tale ordine è naturale nel senso che non è modificabile. Tale sistema ordinato è proprio di ogni scienza e non è in alcun modo corrotto dalla diversità di ambiti su cui ogni scienza opera. Ogni scienza, infatti, oltre a «principi propri», possiede anche una serie di «principi comuni» o a., che sono necessari per apprendere qualunque cosa. Il principio di non-contraddizione è per Aristotele un a., anzi il principio di tutti gli assiomi. Questo carattere di necessità è ciò che distingue gli a. dagli altri principi. Gli Elementi di Euclide di Alessandria sono stati tradizionalmente considerati come la realizzazione matematica dell’ideale di scientificità teorizzato da Aristotele. Euclide, infatti, tripartisce i principi in «definizioni, postulati» e a., chiamando però questi ultimi «nozioni comuni». Tale concezione aristotelica-euclidea influenzò profondamente il pensiero filosofico-scientifico sino alla modernità. Le varie riflessioni sugli a., pur condividendo una stessa prospettiva, si sono diversificate per la giustificazione della validità assoluta degli a. che, per es., sono ricondotti al principio di non-contraddizione (Aristotele); pensati come ottenibili via deduzione o induzione (F. Bacone); concepiti quali verità eterne collocate nella nostra mente (Descartes); come disposizioni originarie che l’esperienza rende esplicite (Leibniz); verità sperimentali risultato di generalizzazioni dall’osservazione (J. Mill); principi sintetici a priori (Kant).

La concezione astratta

Lo sviluppo delle scienze moderne ha comportato una riflessione attenta sugli a., ossia sui propri fondamenti. La possibilità, infatti, di sviluppare nuove teorie come le geometrie non-euclidee o le geometrie non-archimedee, rinunciando ad a. ritenuti veri, necessari ed evidenti, determinò il crollo della concezione intuitiva degli a. e l’approdo a una concezione astratta in cui la nozione di a. perde ogni riferimento ai concetti di valore, di verità necessaria e autoevidente. In tale nuova prospettiva gli a. sono proposizioni primitive, appartenenti a una teoria formalizzata (mediante un linguaggio artificiale, all’interno di un sistema formale), da cui poter derivare (in base a precise regole di deduzione) le altre proposizioni della teoria. Gli a. sono così frutto di scelte arbitrarie: ciò che può essere posto come a. in una particolare assiomatizzazione, può infatti divenire teorema in una diversa assiomatizzazione della stessa teoria. Gli a. non sono più legati al significato intuitivo dei termini che li compongono: essi sono semplicemente schemi di proposizioni che possono ricevere diverse interpretazioni. Un’interpretazione dei concetti primitivi tale che gli a. diventino enunciati veri è detta modello. Non più considerati proposizioni evidenti, gli a. diventano definizioni implicite dei concetti e dei termini primitivi o indefiniti che contengono. Il valore degli a., l’opportunità della loro scelta e, perciò, la loro adeguatezza nell’assiomatizzare una teoria, non sono più caratteristiche legate alla loro intrinseca intelligibilità ed evidenza, ma a particolari proprietà metateoriche dei sistemi di assiomi. Nella concezione moderna e contemporanea dell’assiomatizzazione gli a. sono distinti in logici e non logici (o propri). I primi sono a. del sistema formale logico nel contesto del quale una specifica teoria viene formalizzata; essi, intuitivamente, sono enunciati veri in ogni possibile Universo (veri in tutti i modelli). Gli a. non-logici, diversamente, sono formule che svolgono il ruolo delle assunzioni specifiche della teoria stessa, rivestendo il compito, posta una particolare interpretazione, di catturare quello che è specifico di una particolare teoria. Frege, Peano (e la sua scuola), Russell, Hilbert, Tarski, ecc. seppero interpretare le evoluzioni delle scienze moderne e contemporanee fornendo contributi fondamentali al loro sviluppo e a quello della concezione astratta.