ASSISI

Enciclopedia Italiana (1930)

ASSISI (A. T., 24-25-26)

Riccardo RICCARDI
Fortunate PINTOR
Camillo CRIVELLI
Goffredo BENDINELLI
Giustiniano Degli Azzi-Vitelleschi

Città dell'Umbria, costruita a 424 m. s. m. (chiesa di S. Francesco) su uno sprone del calcareo M. Subasio (1290 m.), da cui domina un vasto tratto della piana del Chiascio e del Topino. Ha pianta allungata, con vie strette, tortuose e spesso a forte pendenza, solitarie e silenziose, d'aspetto vetusto, rallegrate da orti e giardini pensili. Tre arterie maggiori la percorrono, a livello differente, riunite tra loro da vicoletti e da gradinate. Lo sviluppo di Assisi, tanto topografico quanto demografico, è stato sempre molto lento e, per lunghi periodi, quasi stazionario: nella popolazione si nota anzi una diminuzione dalla seconda metà del sec. XVII al principio di questo secolo, poiché infatti dai 4900 ab. circa che si calcola avesse nel 1656, si scese a 4002 nel 1708 e a 3705 nel 1881. La popolazione è andata poi aumentando lentamente: nel 1921 si computarono 5353 abitanti. La sua posizione topografica, che certo non è favorevole alle comunicazioni (la stazione ferroviaria, ad esempio, dista 4 km. dalla città), e quindi alle relazioni commerciali, non ha permesso uno sviluppo simile a quello che hanno avuto altri centri umbri.

Scarso è il movimento commerciale di Assisi, e assai modesta la sua importanza industriale. Sono degne di nota, peraltro, alcune piccole, caratteristiche industrie locali, come quella dei lavori artistici in ferro battuto, dei ricami a punto Assisi (detto anche punto francescano) e delle ceramiche.

Il comune di Assisi è uno dei più vasti dell'Umbria (196,93 kmq.) e comprende territorî di pianura e di montagna. Si eleva infatti da quota 190 a quota 1290, ma la maggior parte del territorio comunale si trova sotto i 600 m. di altezza (kmq. 147,6). La popolazione, che nel 1921 risultò di 19.720 ab., dei quali 9317 nei centri e 10.403 nelle case sparse, è assai variamente distribuita secondo l'altezza: nella zona compresa tra i 190 e i 600 rn. la densità è assai forte, superando i 120 ab. per kmq.; tra i 600 e gli 800 m. si hanno però soltanto 35 ab. per kmq., e le zone superiori sono disabitate.

Più della metà della popolazione accentrata abita, come s'è visto, nel centro capoluogo: il resto è diviso fra 16 altri centri, che, tranne S. Maria degli Angeli (1332 ab.), sono tutti villaggetti di poche centinaia di abitanti (Petrignano, 473 ab.; Pieve S. Nicolò, 273; Tordandrea, 262; Castelnuovo, 256, ecc.).

La maggior parte del territorio comunale è occupato da seminativi (9939 ha.); notevoli superficie sono pure occupate da prati e pascoli permanenti (3845 ha.) e da boschi e castagneti (5070 ha.). Relativamente piccola è la superficie sterile per natura e quella occupata da fabbricati, strade, ecc.

Assisi possiede una Biblioteca comunale, costituita nel 1866 con le librerie dei conventi soppressi, la quale comprende circa 30.000 voll., 946 mss. dal sec. IX al XV e 310 incunaboli. Vi è unito l'archivio municipale. Un elenco dei mss. della biblioteca in Mazzatinti, Inventarî, IV, 21-141. Cfr. anche Inv. dell'antica Biblioteca del Convento di S. Francesco, 1381, pubblicato con raffronto ai codici esistenti nella Comunale della stessa città, da A. Leti (Assisi 1906).

In Assisi ha sede, dal 1902, per iniziativa di P. Sabatier, la Società internazionale di studî francescani che possiede - presso la Comunale - una propria biblioteca, di circa 3500 volumi e pubblica un Bollettino.

Monumenti artistici. - Poco o nulla avanza in Assisi del periodo barbarico: le scarse notizie storiche ce la ricordano contesa aspramente tra Goti e Greci, occupata quindi dai Longobardi sotto i quali fece parte del ducato di Spoleto. Epoca d'impoverimento e di decadenza, durante la quale sicuramente le distruzioni furono assai di più che le fabbriche nuovamente costruite. La città cominciò a rifiorire di vita gagliarda dopo il Mille. Il vescovo Ugone nel 1028 ricostruì la chiesa di S. Rufino protettore della città, divenuta più tardi cattedrale: alcuni capitelli della basilica ugoniana rimangono ancora, e per energia di sagoma e di decorazione sono fra i più notevoli avanzi del primitivo romanico umbro. Il secolo seguente fu per Assisi, come per tutti gli altri centri della valle spoletana, eccettuata Perugia, l'epoca di un largo rinnovamento edilizio, dovuto al consolidarsi rapido quantunque burracoso del nuovo governo comunale. La città si cinge di nuove mura, più ampie dell'antica cerchia romana; molte chiese minori sorgono in uno schema che ricorda più le costruzioni coeve di dubbio che quelle di Spoleto: unica nave con abside a semicerchio e pilastri addossati al muro perimetrale, sui quali s'impostano archi acuti che sorreggono il tetto a due spioventi; la copertura a volta è piuttosto rara; rade e piccole finestre, porte a tutto sesto sobriamente decorate. Di tale tipo è la chiesetta suburbana di S. Damiano, che tanta parte ebbe nella storia del movimento francescano. E da Gubbio fu chiamato nel 1140 quel maestro Giovanni che diresse i lavori della nuova chiesa di S. Rufino fino alla sua morte, accaduta certo dopo il 1163, quando egli segnava a sua firma nel semplice rosone di S. Maria Maggiore, la vecchia cattedrale. Entrambe a tre navate, divise da piloni, non da colonne come a Spoleto, con i soliti arconi, sui quali posano le travi scoperte del tetto, sono coperte a vòlte nelle navatelle. L'abside di S. Rufino è scompartita da semicolonne sulle quali ricorre il coronamento ad arcatelle rette da mensole. La ferrigna facciata col piano inferiore a riquadri chiusi da cornici classicheggianti, tra cui si aprono tre portali con ricche fasce a racemi e ad animali fantastici, con i tre rosoni dal frastaglio d'una leggerezza mirabile e col timpano racchiudente un arcone ogivale a rincasso, destinato a contenere un grande musaico, come nel duomo di Spoleto, è certamente una delle più belle creazioni del nostro romanico, chiara ed equilibrata, con l'aerea galleria che la divide. I lapicidi che la decorarono, se non raggiungono l'abilità tecnica e la squisita nobiltà dei marmorarî del S. Pietro e del duomo di Spoleto e del Pietro di Tuscania, derivano dalla stessa scuola che attesta la evozione dei maestri umbri alla gloriosa tradizione classica. Qualche avanzo di pittura romanica locale (celebre il Crocifisso di S. Damiano, ora in S. Chiara) la ricollega strettamente alla scuola spoletina di Alberto Sozio e di Ranaldetto.

Il periodo che segna nella storia dell'arte il trapasso dal romaico al gotico, fu quello in cui visse il grande santo che ha dato d Assisi nome ed importanza universali. Sulla tomba di S. Francesco sorse la duplice basilica, ancora romanica l'inferiore, di un arioso gotico l'altra, che nella moderata verticalità testimonia già l'adattamento dello stile francese al gusto italiano. Ambedue ad unica nave di quattro campate e transetto, con abside semicirolare nella cripta, poligonale nella basilica, coperte da vòlte a crociera a grossi costoloni rettangolari in quella, a leggere nervature n questa, che per ampie bifore e quadrifore è inondata di luce, mentre l'altra è avvolta in una cupa penombra. Ai bassi piloni dell'inferiore fanno contrasto le slanciate colonnine a fascio della superiore, che è avvivata nei lati più brevi dei bracci del transetto a un'aerea galleria di gusto schiettamente francese. Chiunque ne sia stato l'architetto, la basilica superiore di Assisi divenne nell'Umbria il modello delle maggiori chiese francescane erette nel '200, a cominciare dalla Santa Chiara. Ma il vecchio stile tra noi reagiva energicamente, come dimostra la chiesa benedettina di S. Pietro, la cui facciata recante la data del 1268 è ancora concepita con spirito schiettamente romanico. Da Roma col Torriti, da Firenze con Cimabue e con il cosiddetto "maestro di S. Francesco", poi con Giotto e i suoi seguaci, da Pisa con Giunta, da Siena con i Lorenzetti e con Simone Martini, da Bologna con Andrea di Bartolo aiutato da Pace di Assisi, tutta la rinnovata pittura italiana convenne in Assisi a creare il più ricco insieme pittorico che l'arte medievale italiana possieda. Senza del quale rimarrebbe in gran parte oscuro il suo sviluppo e non si spiegherebbero gl'influssi reciproci tra le varie scuole, che qui, in una così vasta collaborazione, risultano evidenti e quasi necessarî. Le numerose cappelle che cardinali, vescovi e nobili durante il periodo avignonese aggiunsero alla basilica inferiore, oltre ad offrire un vasto campo alla pittura, furono arricchite d'incrostazioni marmoree, di musaici, di tombe e di vetrate dipinte. La scultura venne per lo più da Roma e lo stile cosmatesco vi domina quasi incontrastato; reminiscenze arnolfiane si trovano nel sepolcro d'una regina o principessa della casa latina di Costantinopoli. Ma non tardò tra tanti lavori a formarsi una scuola locale di lapicidi, abilissimi nel lavorare la difficile pietra, bianca e rossa, del Subasio, riaonoscibili al modo d'intagliare i fogliami con un gusto che ricorda i decoratori gotici abruzzesi; a loro si devono i capitelli, le mensole delle cappelle, le tombe del tetro cimitero attiguo alla basilica e quelle meglio conservate in S. Pietro. Anche l'arte del vetro, largamente adoperata sin dallo scorcio del '200 nelle due basiliche, fu coltivata in Assisi nel secolo seguente con onore, e vetrieri assisani, oltre che in patria, furono invitati a lavorare in Siena e in Orvieto, dove Giovanni Bonino d'Assisi, soprannominato del vetro, eseguì la grande finestra obsidale, e per la basilica inferiore nella cappella di S. Antonio creò il capolavoro dell'arte vetraria trecentesca italiana. Anche l'arte alfine del musaico ebbe in Assisi cultori notevoli che operarono in Orvieto, tra i quali lo stesso Bonino. Nella basilica francescana si conserva ancora il calice donato da papa Nicolò IV, firmato da Guccio di Mannaia da Siena, il più antico esemplare databile di smalto translucido italiano. La ricchezza del- l'oreficeria posseduta dal tempio è enumerata in un catalogo trecentesco, che ricorda anche un numero altissimo di drappi e di ricami preziosissimi: pochi ne avanzano ancora e sono tra i più belli e rari che il Medioevo ci abbia lasciato. Il saccheggio del tesoro operato dai Francesi alla fine del'700 ha risparmiato pochissimi oggetti d'argento cesellato e smaltato, quasi tutti d'arte francese, perché donati da principi angioini, grandi protettori dell'ordine minoritico e devoti del Santo.

Nell'attiguo convento si venne formando una delle più ricche biblioteche che a quel tempo fossero in Europa, e un catalogo del '300 ne elenca i codici, molti dei quali trascritti da amanuensi del convento stesso, dove fiorì certamente anche una scuola di miniatori. Fortunatamente la biblioteca esiste ancora quasi intatta e, unita alla Comunale, contiene un archivio musicale dei più preziosi d'Italia. Così tutte le arti fiorirono all'ombra della basilica eretta in onore di quel santo che aveva avuto un'anima così squisitamente sensibile ad ogni bellezza.

Il'300 fu il secolo d'oro di Assisi. La città si estese ed ebbe una terza e più ampia cinta di mura, con porte turrite, che conservano in parte la decorazione ad affresco e gli stemmi scolpiti dei varî dominî cui andò soggetta, dopo la decadenza politica del libero comune, ridotto oramai a una condizione di vassallaggio verso Perugia.

Si rinnovò quasi per intero l'abitato, con case di piccole proporzioni, in pietra bene squadrata con porte ampie per i fondachi e lunghe e strette per salire dalla ripida scala al piano superiore l'interno e leggermente acuto nella serraglia dell'arco, recinto talvolta da cornice aggettante; le finestre a sesto ribassato, ampie e numerose, si aprono sulle nude muraglie alle quali il tempo ha conferito patine stupende. Rare le costruzioni di qualche grandiosità: il palazzo del capitano del popolo sulla piazza (1282); la torre vicina a pianta rettangolare sul tipo spoletino, con doppio ordine di finestre, più simile a un campanile che ad una costruzione civile; il vecchio ospedale, poi Monte Frumentario, con leggiadro portichetto a colonnine sorreggenti archi schiacciati, costruzione altissima, del tipo palazzo-torre, schiettamente eugubina; la Rocca maggiore, sulla cima del colle, che non vide molto alterato il suo carattere trecentesco di fortilizio sodo e severo dalle aggiunte del '400 e del '500. La città insomma prese allora l'aspetto che conserva oggi quasi intatto, perché i secoli seguenti poco rifecero e meno ancora fabbricarono, limitandosi al più a incorporare vecchie casette in un solo maggiore organismo, dove porte e finestre del tardo Rinascimento sembra che assumano qualche cosa della rude severità medievale e non riescano a dire una parola più forte di quella che il '300 tuttora grida da ogni canto della vecchia città addormentata. Non piccola parte ebbero le confraternite nel formare questo aspetto severo di Assisi, la parte che in altre città svolsero le corporazioni delle arti e che nella patria di Francesco toccò invece ad istituzioni di prevalente carattere religioso. Ognuna ebbe il suo oratorio coperto di affreschi, la sua casa con la Maestà sopra la porta d'ingresso, la sua sala di adunanze, parimenti affrescata. Poiché Assisi, e non poteva essere a meno tra tanti insigni modelli dei più celebrati maestri, ebbe una locale scuola pittorica, influenzata largamente, come tutte le altre coeve dell'Umbria, dall'arte senese, il cui migliore rappresentante è quel Cola che si firmò sulla Maestà presso la Rocca, a torto confuso dai critici con l'omonimo Cola Petruccioli da Orvieto, a lui di molto inferiore.

Ma, col decadere della città straziata dalle lotte intestine e oppressa dalla potente Perugia, questa scuola pittorica era affatto decaduta verso la meta del'400, quando per opere di qualche importanza si dovette ricorrere ad artisti forestieri, non però perugini, forse per l'odio che covava contro la vicina rivale; né il Caporali né il Bonfigli lavorarono per Assisi. Vi furono invece chiamati Matteo da Gualdo (v.), d'un'ingenua efficacia decorativa nella sua rude arte derivata dai camerinesi; Pierantonio Mezzastris da Foligno (v.), seguace assai personale del Gozzoli, e più di tutti Nicolò di Liberatore, detto l'Alunno (v.), il più espressivo ed energico dei quattrocentisti umbri. L'oratorio dei Pellegrini, con gli affreschi dei primi due, è delizioso, sia nell'insieme sia nei particolari. Con Pierantonio vi collaborò un ignoto, che conosceva forme più larghe di quelle di Benozzo e animava figure d'una nervosa vivacità pollaiolesca; Andrea Aloisi, detto l'Ingegno (v.) che fu del Vannucci il più fedele seguace. Più sicura, ma di molto inferiore, è invece l'opera di Tiberio Diotallevi (v. tiberio d'assisi).

Sotto il pontificato di Sisto IV furono condotti grandiosi lavori di consolidamento e di ampliamento nella mole conventuale di S. Francesco, con la direzione di alcuni degli architetti toscani preferiti da quel papa. Si eresse il ricco protiro davanti al duplice portale della basilica inferiore, si costruì il grande chiostro a doppio ordine di logge, s'impedi la rovina della parte occidentale del sacro convento con il gigantesco sprone che dette a quella parte della fabbrica l'aspetto d'una solida fortezza. Alla decorazione scultoria di tali opere cooperarono gli assisani Girolamo di Bartolomeo e Francesco Zampa che nel 1488 segnarono col loro nome la facciata dell'oratorio di S. Bernardino, forse sui disegni di Baccio Pontelli; la durezza del loro stile male si accompagna con l'eleganza del disegno, che è del più puro Rinascimento. Il quale periodo ebbe in Assisi ben poco da fare, perché il Medioevo aveva già tutto e costruito e decorato. Fu vera fortuna che nella città, come in Siena, continuasse ad aleggiare uno spirito di età arretrate che fu necessariamente conservativo; quando il gusto dei tempi prevalse, si compirono anche da noi deplorevoli rinnovamenti, tra i quali il più malaugurato fu quello dell'interno del duomo, dove le solenni forme romaniche di Giovanni da Gubbio rimasero soffocate sotto un gelido dorico d'intonazione vignolesca, dovuto peraltro ad uno dei più ricchi e fantasiosi architetti del pieno '500, Galeazzo Alessi (v.). Il vandalismo, per quei tempi giustificabile, fu operato nel 1571. Ma già due anni prima lo stesso Alessi aveva disegnata la nuova basilica di S. Maria degli Angeli e il suo progetto aveva avuta l'approvazione del Vignola, al quale poi la tradizione finì con l'assegnare la paternità di quella grandiosa, ma fredda costruzione. Il vasto edificio, al quale Cesare Bazzani (v.) ha recentemente aggiunto un arioso nartece a doppio ordine di logge, ispirato a quelli del Laterano e di S. Maria Maggiore, è scompartito in tre ampie navate, fiancheggiate da cappelle, con la snella cupola che ricopre l'umile Porziuncola. Dei due campanili in progetto, uno solo venne eseguito e la costruzione della basilica e dell'attiguo convento, nel quale rimangono parti notevoli di edifici medievali, si protrasse ben a lungo nel'600, sotto la direzione di architetti che rimasero fedeli al modello alessiano, arieggiante la chiesa di tipo romano della tarda rinascenza.

Intanto la pittura umbra si era esaurita con gli scolari del Perugino, voltisi quasi tutti all'imitazione di Raffaello. S'iniziava anche da noi il periodo manieristico, del quale Assisi dava anzi alla regione il rappresentante più insigne, Dono Doni (v.).

Nel'600 la città, oramai quieta, dopo tante lotte, sotto lo snervante governo della chiesa, se non ebbe nuovi edifici d'importanza (la Chiesa Nuova è lontana da ogni velleità baroccheggiante) contò qualche artista di notevole importanza. Giacomo Giorgetti, che studiò architettura e scultura col Bernini e pittura col Lanfranco, ebbe ingegno vivace che gli permise di sentire i suoi tempi, sottraendosi alla forza suggestiva del vecchio ambiente cittadino. La cappella del Sacramento in duomo, i palazzi Sperelli e Confidati ce lo dimostrano architetto abile, ma non esuberante. Anche meglio riuscì come pittore, per certa facilità di fattura, per un chiaroscuro largo ed energico che nessuno degli umbri contemporanei ebbe mai, non escluso Andrea Camassei (v.), il quale in complesso deve riconoscersi il migliore di tutti. Ma il'600 era così lontano Cesare Sermei (v.), nato ad Orvieto, ma per lunga dimora assisano, appartiene invece ancora alla corrente manieristica e rimane quasi sempre freddo nella sua superficiale correttezza. Questi due artisti lavorarono molto e largamente in patria e nella regione, ma non ebbero successori.

ll neo-classicismo trovò l'occasione di lasciare una sua traccia nella basilica francescana. Nel 1818 si scoprì lo scheletro del santo entro la roccia sotto l'altar maggiore della cripta e poiché si constatò alla prova dei fatti la falsità d'una leggenda che parlava d'una terza chiesa sepolcrale, chiusa e inaccessibile, la si volle scavare nel masso e cinque anni dopo il sotterraneo era compiuto in stile dorico pesante e gelido, su disegno del romano Pasquale Belli.

Nulla d'importante avvenne nel campo dell'arte nel primo sessantennio dell'800; ricongiunta l'Umbria al regno d'Italia, Assisi cominciò a vivere una vita meno desolata e vide crescere nel mondo, con la cresciuta venerazione per il Poverello e per l'arte dei primitivi, la fama sua e l'affluire dei pellegrini, degli studiosi e degli artisti. Ma non mancarono nuovi guai. Il sacro convento, tolto quasi interamente ai frati, fu ridotto a collegio e manomesso con rifacimenti, divisioni e alterazioni d'ogni sorta. Ci fu per altro un compenso nei lavori di restauro agli affreschi della duplice basilica, condotti in genere con metodo lodevole; furono tolti gli altari barocchi, le tele settecentesche nascondenti le vecchie pitture e le magnifiche vetrate. Fu però spinta la mania del ripristino sino a far rimuovere dall'abside della basilica superiore il magnifico coro intagliato e intarsiato tra il 1491 e il 1501 da Domenico Indivini da Sanseverino, nel gusto venezianeggiante dell'arte del legname nelle Marche, della quale è buon saggio anche il coro della inferiore, finito nel 1471 da Apollonio Petrocchi da Ripatransone, di un gotico fiammeggiante anch'esso d'influsso veneziano. Più tardi l'opera dell'Indivini fu rimessa al suo posto. Nel 1882, in occasione delle feste centenarie della nascita di S. Francesco, si volle, cedendo all'imperversante mania dei monumenti, erigerne uno al santo nella città che possiede da secoli, e a lui dedicato, uno dei più bei monumenti del mondo. La statua di Giovanni Dupré (v.), collocata nella piazza del duomo, di fronte alla severa facciata romanica, appare misera e inutile. Si decorò con affreschi l'interno del duomo stesso per mano di Alessandro Venanzi; meglio sarebbe stato ripristinarlo togliendo il rifacimento dell'Alessi.

Dal Dupré imparò l'arte Vincenzo Rosignoli (1858-1920) che, stabilitosi a Firenze, lasciò in patria il gruppo in bronzo di S. Francesco e la pecorella nel giardino delle rose agli Angeli. E vivono e operano con meritato successo Carlo Gino Venanzi, architetto e pittore, e Laurenzio Laurenzi, paesista ed incisore. Nelle solennità centenarie del 1926 si eseguirono in tutta la città, specialmente sulla piazza del Comune, molti lavori intesi a restituire a case, chiese e palazzi l'aspetto primitivo e, quando si è costruito ex novo, si è cercato lodevolmente di evitare stridenti contrasti. Per volontà del governo nazionale è stato restituito il Sacro Convento a quei padri che per oltre sei secoli ne erano stati intelligenti e gelosi custodi, trasferendo in altro edificio nuovamente costruito il collegio degli orfani dei maestri italiani.

Nell'ex-convento di S. Antonio, per cura del municipio e per opera dell'architetto Alfonso Brizi, si venne formando un modesto Museo civico con annessa pinacoteca. L'epoca romana comprende qualche statua tra cui un Apollo, musaici pavimentali, frammenti di fine decorazione parietale, cippi, iscrizioni. Tra le pitture, affreschi distaccati la maggior parte, sono notevoli alcune di arte locale d'imitazione senese, di Matteo da Gualdo, di Andrea e di Tiberio d'Assisi, di Nicolò da Foligno, del Doni, del Sermei e del Giorgetti. V'è altresì una raccolta di bozzetti dell'assisano Vincenzo Rosignoli. Non mancano saggi di pitture votive, dovute a mestieranti campagnoli e che interessano più il folklore che la storia dell'arte. Sull'area del convento sorgeva il tempio di Ercole, ricordato nell'iscrizione dell'oculista Publio Decimio Merula che lo dotò di statue; una delle quali era probabilmente il celebre bronzetto ellenistico ora al Louvre, detto l'Ercole di Foligno, ma che fu invece trovato qui nel sec. XVII, quando si scavarono le fondamenta del convento. Offerto in vendita dai frati al comune e non potuto acquistare da questo, finì, dopo molti passaggi di proprietà, al grande museo parigino.

Notevoli avanzi rimangono ancora sul Monte Subasio, a 781 metri d'altezza, dell'abbazia di S. Benedetto, la cui origine si è voluta riportare senza sicuri documenti al sec. X. L'abside semicircolare è ancora in piedi e sovrasta una bella cripta con volticine a vela sorrette da colonne in parte raccogliticce; le forme sono quelle del romanico umbro del sec. XII e richiamano la simile cripta della chiesetta di S. Masseo, posta a mezzogiorno della città a breve distanza da S. Damiano. L'abbazia di S. Benedetto che favorì il movimento francescano ne' suoi albori cedendo al santo la Porziuncola, sua dipendenza, fu distrutta dagli Assisani alla fine del'300 perché divenuta ricovero e roccaforte di nemici del comune. I residui della foresteria sono oggi abitazione colonica.

Anche l'umile chiesetta dell'Eremo delle carceri dipendeva dalla stessa abbazia poco distante, che la concesse al Poverello. La forra selvosa, nella quale sembra nascondersi, non le toglie però la vista veramente magnifica della valle spoletana per tutta la sua lunghezza. S. Francesco e alcuni dei suoi primi seguaci la tennero come luogo di ritiro per la vita contemplativa, ricoverandosi o in umili capannucce o in grotte scavate nella scogliera. Il conventino fu edificato molto più tardi da S. Bernardino da Siena che vi appose il nome di Gesù nella solita corona raggiante, suo notissimo simbolo. Poche aggiunte o modificazioni subì in seguito; così l'Eremo è ancora uno dei francescanesimo anteriore alla rilassiatezza conventuale. Da questo sacro luogo dove regna veramente Madonna Povertà, trassero ispirazione molti di quei riformatori che vollero riportare l'ordine minoritico alla purezza degli ideali del fondatore.

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Storia. - Assisi fu una delle città che chiusero le porte ad Annibale dopo la battaglia del Trasimeno. Fiorente municipio in età romana, appartenente alla tribù Sergia, noto principalmente come patria di Properzio, ricordato dallo stesso (4, 1, 125) e da Plinio (Nat. Hist., III, 113). Magistrati supremi del municipio romano furono i quattuorviri; anteriormente erano stati i marones. Presenta avanzi monumentali cospicui. Primo fra tutti il superbo tempio di Minerva (oggi chiesa di S. Maria della Minerva), perfettamente conservato nella facciata esastila. Davanti al tempio si stendeva in antico il Foro della città, adorno di monumenti notevoli, come i risultati, tuttora visibili, degli scavi del secolo scorso hanno permesso di accertare. Tracce, facilmente identificabili, di un teatro romano e di un anfiteatro si osservano nella parte più alta della città. Gli avanzi monumentali antichi, rinvenuti nelle cantine e nelle fondazioni delle case medievali, permettono di definire con esattezza il circuito delle mura urbiche in età romana. Città presa e distrutta da Totila nel 545.

Bibl.: H. Nissen, Italische Landeskunde, II, Berlino 1902, p. 395; E. De Ruggiero, Dizion. epigr. di antichità rom., s. v. Asisium; Hülsen, in Pauly-Wissowa, Real Encycl. d. class. Altertumswiss., s. v. Asisium; Bormann, in Corp. Inscr. Lat., XI, 5371-5606 e p. 784; G. Antolini, Il tempio di Minerva in Assisi, Milano 1803; A. Brizi, Tracce umbroromane in Assisi, in Atti dell'Accademia Properziana di Assisi, II, pp. 409-438.

Durante il Medioevo, fino al secolo XII, Assisi fece parte del ducato di Spoleto: il che le procurò danni infiniti, perché, non essendosi sottomessa, come le altre piccole città umbre, alla vicina Perugia, questo potente comune la contese accanitamente, per secoli, ai papi e ad altri signori, con feroci guerre, di cui la prima ricordata nelle cronache locali risalirebbe al 1054. Cristiano, arcivescovo di Magonza, la espugnò nel 1174, riconducendola sotto i duchi svevi di Spoleto, che sembra però le consentissero autonomia amministrativa: infatti sin dal 1184 si ha menzione dei consoli del comune e poi di una loro pace coi Perugini che ne avevano vinto le milizie e abbattuta la rocca (1194). Alla morte di Enrico VI, Innocenzo III riconquistò Assisi alla Chiesa, rendendole i suoi magistrati. Le lotte civili fra nobili e popolo determinavano nel 1202 una nuova guerra con Perugia, che vinse e fece molti prigionieri, tra cui Francesco di Bernardone allora ventenne. L' adesione fatta poi al partito guelfo procurò ad Assisi un periodo di tregua con Perugia e la benevolenza dei papi, che la visitarono spesso e nel 1287 ne riconobbero le franchigie comunali. Nel 1291, nuova rotta con Perugia, nuova sconfitta e sommssione. Rinfocolatesi sul principio del sec. XIV le lotte di parte, i fuorusciti ghibellini occuparono la città (1319), gridandone signore Muzio di Francesco, loro capo; ma, dopo appena due anni, egli fu cacciato dai Perugini che, sotto il comando di ser Cante Gabrielli da Gubbio, espugnarono Assisi, saccheggiandola orribilmente e riducendola in servitù, durata, salvo la breve signoria dei Trinci ghibellini (1327-30), sino al 1367. In quest'anno, per liberarsi dal giogo dell'odiata Perugia, la città si diede spontaneamente al cardinale Albornoz che le restituì le sue franchigie comunali. Ma, ribellatasi per ragioni di tributi anche alla Chiesa, Assisi tornò nel 1376 sotto la feroce tirannide d'un suo cittadino, Guglielmo di Carlo, nipote del Muzio anzidetto: il quale poi, cacciato a furore di popolo nel 1385, fu, dopo varia vicenda, preso dai ministri papali e decapitato (1393). Nel 1394, Assisi è presa dal condottiero perugino Biordo e annessa ai suoi dominî. Morto Biordo (1398), essa si dà al fratello di lui, Ceccolino Michelotti; quindi a un capitano di ventura, il Broglia di Trino (1399), e finalmente al Visconti di Milano (1400).

Per tutto il sec. XV, la città passa in cento mani: dai Visconti al papa, al conte Guidantonio di Montefeltro, a Braccio da Montone, a Martino V (che la dà prima a governare a Francesco Sforza e poi in signoria al nipote Antonio Colonna); a Niccolò e Carlo Fortebracci, a Niccolò e Jacopo Piccinino. Di quando in quando s'alternano Perugini e Chiesa romana. E sempre eccidî, saccheggi, rovine. Sulla fine del '400 e sui primi del '500, ai mali esterni si aggiungono sempre più gravì quelli interni: lotte rabbiose fra i Nepis, capi dei guelfi, e i Fiumi, capi dei ghibellini, che attirano sulla città le cupidigie e le furie dei Baglioni di Perugia e del Valentino. Solo Paolo III Farnese, riducendo sotto l'assoluto dominio pontificio tutta l'Umbria, ripagava le misere popolazioni della perduta libertà municipale con una relativa tranquillità. Ma questa serie di lotte interne ed esterne aveva ridotta Assisi a tal punto che Leandro Alberti, sul principio del sec. XVI, ne deplorava l'impressionante spopolamento; e un altro topografo, il Piccolpasso, in una sua relazione al governo pontificio, la descriveva come un mucchio di rovine, somigliante "piuttosto un residuo di città che città compita". Sin quasi ai nostri giorni questo lugubre aspetto di desolato squallore e di completo abbandono ha caratterizzato la dolce e pittoresca città umbra, la quale, però, risorge oggi a nuova e più lieta vita. (V. Tavv. I-XII).

Bibl.: F. M. Angeli, Historiae, libri 2, edit. da fra F. Carosi, Montefalco 1704; A. Cristofani, Delle storie d'Assisi, Assisi 1902; R. Elisei, Della città natale di S. Properzio (Assisi), 3ª ed., Roma 1916.

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