ASTROFISICA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

ASTROFISICA (V, p. 89; App. II, 1, p. 293; III, 1, p. 164)

Guglielmo Righini

Il perfezionamento dei mezzi di osservazione del cielo ha avuto una parte decisiva nel progresso fatto dall'a. nell'ultimo quindicennio. Non solo sono entrati in servizio numerosi strumenti astronomici di aperture fra 3 e 4 m e di grande efficienza, ma grandi passi sono stati fatti nel miglioramento dei ricettori: le lastre fotografiche, oggi molto più sensibili che per il passato, sono state largamente superate da quei dispositivi elettronici noti col nome di intensificatori d'immagini, i quali ricevendo la debole immagine di un oggetto celeste la rinforzano tanto che essa può venire fotografata con un'esposizione di pochi minuti, anziché di ore come accadeva prima. Tubi fotomoltiplicatori hanno permesso accurate e rapide misurazioni fotometriche anche di galassie lontane e di stelle deboli, così come l'aumentata efficenza degli spettrografi, soprattutto di quelli con reticoli a riflessione, ha dato modo all'astrofisico di raccogliere numerosi e importantissimi dati sugli spettri degli oggetti celesti.

Tecniche nuove, quali la radioastronomia (v. in questa App.) e la tecnica aerospaziale, hanno permesso di esplorare altre regioni dello spettro dei corpi celesti. Con la radioastronomia è stato possibile studiare le emissioni radio in quella ampia banda di lunghezze d'onda che va da pochi millimetri a una decina di metri; con la tecnica aerospaziale (missili e satelliti debitamente strumentati, sonde interplanetarie per missioni ai pianeti del sistema solare) si è superato l'ostacolo dell'assorbimento atmosferico estendendo gli studi spettrali fino alla zona dei raggi X molli emessi dal plasma stellare. Tecniche intermedie, come quelle che usano palloni stratosferici a quote di 30 o 40 km, hanno pure contribuito a fornire preziose informazioni sulla radiazione emessa dai corpi celesti o sulla ancor discussa natura e origine della radiazione cosmica proveniente dallo spazio.

Né si deve dimenticare in questo quadro generale il grande contributo portato dalla fisica nucleare e dalla fisica teorica in generale, grazie al quale è oggi possibile avere un quadro abbastanza convincente sia del complesso fenomeno dell'evoluzione stellare, sia dello stato particolare della materia stellare a forti densità.

Le scoperte più notevoli si devono alla tecnica aerospaziale, ma è grazie al grande lavoro fatto dagli osservatori terrestri che oggetti eccezionali, come le sorgenti di raggi X e le stelle di neutroni, possono trovare la loro interpretazione nel quadro generale dell'evoluzione stellare. In questo senso anche gli oggetti con emissione nell'infrarosso, scoperti in questi ultimi anni con osservazioni di terra, si collocano bene nell'ambito dell'evoluzione stellare.

Sono poi da ricordare altri due tipi di oggetti celesti importantissimi, e cioè le pulsar e le quasar, per le quali v. in questa Appendice.

Supernovae. Stelle di neutroni. Buchi neri. - Alla base dell'evoluzione stellare sta la corretta interpretazione del diagramma di Hertzsprung-Russell, nel quale, com'è noto, si ha in ordinata la luminosità degli astri, riferita al Sole, in scala logaritmica, e in ascissa la temperatura stellare o il tipo spettrale (fig.1). In tale diagramma i punti rappresentativi delle stelle si addensano in prevalenza lungo una zona diagonale chiamata sequenza principale e con minore frequenza in altre aree del piano note col nome di ramo delle giganti, ramo delle supergiganti e sequenza delle nane bianche.

La ragione di ciò è strettamente legata al ciclo evolutivo delle stelle.

Ricordiamo che una stella in generale si forma per condensazione della materia costituita da gas e polveri che si trova in grande abbondanza diffusa nell'universo. Si ha dapprima una fase di contrazione gravitazionale durante la quale la protostella, che è essenzialmente un ammasso di materia oscura del diametro anche 10.000 volte quello solare, si riscalda a spese dell'energia gravitazionale. Alla fine di questa prima fase di contrazione la temperatura al centro della protostella raggiunge il milione di gradi, sufficienti per innescare le reazioni nucleari.

Incomincia così una fase stabile, perché l'energia viene prodotta principalmente col processo di fusione di quattro nuclei d'idrogeno e la formazione di un nucleo di elio; la differenza di massa fra i quattro protoni e l'elio risultante viene trasformata in energia e irradiata nello spazio. Il punto rappresentativo della stella nel diagramma di Hertzsprung-Russell si sposta da destra verso sinistra fino a raggiungere la sequenza principale; la fase contrazionale dura circa un milione di anni mentre quella nella quale si ha produzione di energia per fusione dell'idrogeno per una stella di tipo solare ha una durata di 6 ÷ 7 miliardi di anni. La maggior durata di quest'ultima fase giustifica l'addensarsi dei punti rappresentativi lungo la sequenza principale. I tempi di evoluzione ora indicati valgono per una stella come il nostro Sole (fig. 2); stelle di massa maggiore e quindi anche più luminose del Sole hanno cicli evolutivi più brevi in quanto "bruciano" più rapidamente il loro idrogeno. Si aggiunga inoltre che nelle stelle più luminose sono efficienti anche altre reazioni nucleari nella produzione di energia.

Le reazioni nucleari sono attive soltanto nel nucleo centrale della stella, dove la temperatura è adeguata; intorno al nucleo esiste un mantello o inviluppo gassoso, che, avendo temperatura inferiore al milione di gradi, non può in queste prime fasi partecipare alla produzione di energia. Esaurito però il combustibile (idrogeno) nel nucleo, la stella si trova ad avere un nucleo di elio, il quale, contraendosi sotto l'azione gravitazionale, fa elevare la temperatura di tutta la stella fino a che anche nell'inviluppo s'innescano reazioni nucleari. La stella si espande e pur diminuendo di temperatura la sua luminosità aumenta: il suo punto rappresentativo va a occupare il ramo delle giganti (fig. 3). Anche questa fase evolutiva ha una durata diversa a seconda della massa stellare; stelle con massa 10 volte la massa solare evolvono in 300.000 anni, stelle di massa uguale a quella solare impiegano invece per raggiungere la fase di giganti da 2 a 3 miliardi di anni.

A questo punto la stella si trova ad avere una temperatura centrale di 100 milioni di gradi, per cui s'innesca un nuovo processo di fusione: tre nuclei di elio danno origine a un nucleo di carbonio e all'emissione di un intenso flusso di radiazione γ che, trasformandosi gradualmente in radiazione visibile, dà alla stella una superluminosità. Si crea così una supergigante, la cui luminosità è da 100.000 a 1 milione di volte quella del Sole e la cui vita è però piuttosto breve poiché al massimo può raggiungere i 50 milioni di anni.

Il nucleo della supergigante è essenzialmente costituito da carbonio, con una densità di 100 kg/cm3; per contrazione gravitazionale si può allora produrre uno stato di "degenerazione" della materia, nel quale stato gli elettroni si dispongono in una struttura che resiste a ogni ulteriore contrazione. È possibile che in questa fase vi sia una forte emissione di neutrini, i quali, sottraendo energia alla stella, impediscono l'innesco di ulteriori reazioni nucleari, come la fusione di due nuclei di carbonio per formare un nucleo di magnesio; è altrettanto possibile invece che per un seguito di reazioni rapide e violente si arrivi a un evento catastrofico, come la formazione di una supernova.

Esistono d'altronde delle conclusioni teoriche secondo le quali una stella che abbia un nucleo di materia in stato "degenere" non può sostenere una massa che sia maggiore di 1,4 volte quella solare; la conseguenza ovvia di questo limite (chiamato limite di Chandrasekhar) è che soltanto stelle di massa inferiore possono avere una "vecchiaia" tranquilla; le altre devono a un certo punto, per forza di cose, attraversare una fase attiva che le liberi dalla massa in eccesso. Può darsi che questa sia il processo di formazione delle cosidette nebulose planetarie, stelle inviluppate in una nebulosità tenue e che sembrano rappresentare il legame fra le supergiganti e le nane bianche. L'evoluzione di una nebulosa planetaria avverrebbe in non più di 10.000 anni; alla fine di questo periodo l'involucro gassoso si sarebbe completamente dissipato, mentre la stella centrale, ormai incapace di contrarsi a causa della degenerazione della materia, si raffredderebbe lentamente per diventare un corpo oscuro nel giro di un miliardo di anni. Le nane bianche infatti hanno una massa uguale o minore di quella del Sole, con un raggio di un centesimo di quello solare. Ne segue che l'accelerazione di gravità alla superficie deve essere 10.000 volte quella solare, valore che viene confermato dallo spostamento gravitazionale verso il rosso delle righe spettrali, così come previsto dalla teoria della relatività.

Il diagramma di Hertzsprung-Russell dà quindi conto dell'evoluzione delle stelle normali. L'evoluzione esplosiva di una supernova è invece, come or ora accennato, totalmente diversa.

La supernova, così come viene osservata nelle galassie, è un oggetto che ha apparenza stellare e la cui luminosità in un tempo brevissimo aumenta fino a raggiungere un valore pari a quello di 10 miliardi di soli. La sua luminosità è quindi paragonabile a quella di un'intera galassia, da cui si deduce che la sorgente di energia interna alla stella dev'essere diversa da quella delle stelle normali.

Nella nostra Galassia abbiamo tracce notevoli dell'esplosione di supernovae; basti citare la nebula del Granchio (Crab nebula), che è quanto rimane della supernova del 1054 d.C., ricordata dagli annali cinesi. Residui di supernovae si trovano anche nelle zone del cielo dove Tycho Brahe nel 1572 osservò una stella brillantissima e nell'altra dove Galileo e Keplero nel 1604 osservarono pure un'altra supernova.

Sembra accertato che le supernovae originariamente siano stelle di massa molto maggiore di quella solare; arrivate alla fase evolutiva nella quale tutto l'elio si è trasformato in carbonio, il nucleo stellare raggiunge una temperatura di oltre 100 milioni di gradi e densità di 10.000 t/cm3. In tali condizioni si possono innescare altre reazioni nucleari che portano rapidamente alla formazione di elementi pesanti della famiglia del ferro: questa fase di nucleosintesi ha una durata brevissima (dell'ordine di 100 sec), con una liberazione improvvisa di una quantità enorme di energia. L'onda d'urto che si forma proietta nello spazio gli strati più esterni della stella, mentre il nucleo stellare, che ora è quasi esclusivamente composto di elementi pesanti, subisce un rapido collasso gravitazionale: i nuclei atomici, date le estreme condizioni di pressione e di temperatura, vengono spezzati in neutroni e particelle α. La neutronizzazione della materia ha come conseguenza un rapido raffreddamento, e quindi una drastica riduzione della pressione interna. Non essendo più sostenuta, la materia cade verso il centro sotto l'azione della propria gravità; questo collasso non continua indefinitamente, bensì porta alla formazione di una stella di neutroni, la cui densità media è di un milione di t/cm3: questo equivale a una massa come quella del Sole condensata in una sfera di 10 km di raggio.

Si deve anche considerare l'ipotesi che il collasso non si arresti alla formazione della stella di neutroni, ma continui fino a ridurre la materia neutronica equivalente a una massa solare entro una sfera di 1 km di diametro: si ha allora la formazione di un "buco nero" (ingl.: black hole), ossia di un corpo che non si può manifestare con emissione di luce a causa del suo elevato campo gravitazionale che impedisce ai fotoni di sfuggire dalla superficie del corpo. Un black hole può manifestarsi unicamente tramite il suo campo gravitazionale: sembra che siano stati trovati sistemi binari di cui un componente è appunto un "buco nero".

Sorgenti di raggi X e infrarossi. - L'esplorazione del cielo con satelliti e con missili muniti di adeguata strumentazione ha portato alla scoperta di sorgenti che emettono nel campo dei raggi X molli, cioè nell'ambito delle lunghezze d'onda da 1 a 100 Å. Questi oggetti spiccano su di un fondo X più o meno uniforme e hanno la particolarità di essere variabili. Nel visibile le sorgenti X sono state identificate con stelle che mostrano uno spettro con righe di emissione e di assorbimento simile a quello di una nova.

L'intensità della radiazione X è molto elevata; si pensa che il flusso X venga prodotto nel materiale circumstellare, che dovrebbe trovarsi a una temperatura di 10 milioni di gradi e oltre. I residui di supernovae, come la Crab nebula, sono sorgenti di raggi X, e così pure alcune galassie e la grande Nube di Magellano. Fra le più importanti sorgenti X si devono annoverare la Sco X-1 nella costellazione dello Scorpione, che è stata la prima in ordine di tempo a essere scoperta, e la Cyg X-2 nella costellazione del Cigno.

Un'altra zona dello spettro che è stato possibile esplorare grazie allo sviluppo di bolometri speciali è quella dell'infrarosso.

Ricordiamo che gli spettri stellari si possono registrare fotograficamenre fino a lunghezze d'onda di 1,2 ÷ 1,5 μm; per onde più lunghe bisogna ricorrere a rivelatori fotoconduttivi raffreddati alla temperatura dell'azoto liquido (−200 °C) o dell'elio liquido (−269 °C). Le osservazioni sono possibili anche da terra in quanto il vapor d'acqua contenuto nell'atmosfera risulta trasparente in alcune zone dell'infrarosso. Località favorite per tali osservazioni sono quelle ad alta quota per il ridotto contenuto di vapor d'acqua atmosferico: per es., Mauna Kea (Hawaii) a 4200 m, Jungfraujoch (Svizzera) a 3500 m.

Oggetti infrarossi galattici sono stati individuati nella zona dove si addensa la materia interstellare sia oscura sia luminosa. Essi vengono interpretati come protostelle in formazione o come zone dense di gas e di polveri riscaldate per assorbimento della radiazione di una stella occultata dietro la nube. In generale questi oggetti hanno un massimo di emissione intorno a 100 μm; l'energia totale da essi irradiata è centinaia o migliaia di volte quella irradiata in totale dal Sole.

Tipica è la sorgente infrarossa che si trova nella nebulosa di Orione, dove molto probabilmente vi sono delle protostelle in evoluzione. Parecchie galassie, compresa la nostra, emettono radiazione infrarossa; tale emissione può essere collegata alla struttura di centri attivi nel nucleo galattico.

Bibl.: M. Schwarzschild, Structure and evolution of the Stars, Princeton, N. J., 1958; G. Abetti, M. Hack, Nebulose e galassie, Torino 1959; T. Page, The evolution of Stars, New York 1968; I. S. Skylowsky, Supernovae, ivi 1968; L. Oster, Modern astronomy, San Francisco 1973.

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