ATALARICO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ATALARICO

Paolo Lamma

Figlio di Eutarico e di Amalasunta, figlia di Teoderico (Jordanis Getica,parr. 80, 251), nacque nel 516 (Id., ibid.,par. 304) o nel 518 (Id., Romana,par. 367; Procopii Bellum Gothicum,l.I, cap. 2, par. 1); è più probabile che sia giusta la prima datazione. Quando nel 522 morì Eutarico, lasciò solo una figlia, Matasunta, cosicché a Teoderico non rimaneva altro erede diretto (oltre ad Amalarico, re dei Visigoti, per molti motivi escluso dalla possibilità di reggere l'Italia) che il piccolo Atalarico. Probabilmente la difficoltà della successione, che aveva un duplice aspetto, data la particolarità del regime gotico, nei riguardi dei barbari da un lato, dei Romani dall'altro, complicata anche dai rapporti con l'impero, fu uno dei problemi che resero gravidi di preoccupazioni gli ultimi anni di Teoderico. Sentendo avvicinarsi la fine, il re goto volle risolvere la difficile situazione e, convocati i grandi del suo regno, li fece giurare fedeltà al nipote, che designò come suo erede. Indubbiamente per una soluzione di questo genere ci voleva tutta l'autorità di Teoderico, che al momento del trapasso era impegnato nel preparare i mezzi per una politica energica contro i suoi più potenti avversari: i Vandali e l'impero, accostatisi dopo la morte di Trasamondo e l'imprigionamento di Amalafreda (Jordanis Getica,par. 304). Secondo il costume germanico, il nuovo re sarebbe dovuto essere eletto dall'assemblea dei guerrieri in armi, com'era avvenuto anche per Teoderico una prima volta nei campi della Tracia, e, una seconda volta, ad opera anche di altre genti accostatesi ai Goti, dopo la sconfitta di Odoacre. Questa designazione da parte di Teoderico ha l'aria di un compromesso fra la tradizione gotica e gli usi della corte imperiale bizantina, anche se, nell'interpretazione interessata di Giordane, non sarebbero mancati esempi, nella storia gotica, di designazione, come attesterebbe il caso di Teodemiro.

Non sappiamo se veramente il vecchio re in quell'occasione volesse indicare, come afferma Giordane (par. 304), un progiramma politico al suo successore nella famosa raccomandazione ai Goti di venerare il re, amare il Senato e il popolo romano e di cercare di avere il principe orientale sempre propizio e pacificato. Certo la ricerca di un accordo con i Romani e con l'Oriente appare una delle tendenze affermatesi durante gli otto anni di regno di A., anni che, come afferma con orgoglio e rimpianto Giordane (Romana,par. 367), trascorsero nella pace più profonda. Ma accanto a questa volontà di equilibrio e di accordo, altre tendenze si presentarono e tentarono di imporsi durante il periodo di Atalarico.

Giordane per la sua stessa posizione ideale di goto vissuto'in Oriente, che scrive quando il regno degli Amali è ormai distrutto e pone le sue speranze in un alleanza matrimoniale tra la sorella di A., Matasunta, e Germano, il nipote di Giustiniano, dal quale si attendeva un nuovo indirizzo di conciliazione che permettesse l'accordo tra l'impero e il resto del popolo goto, è portato naturalmente a proiettare all'indietro le sue speranze e a far vedere come la convivenza pacifica era già un programma realizzato da tutti gli Amali. Diversa è la posizione di Procopio, l'"assessor" di Belisario, che seguì il generale nelle guerre di Persia, d'Africa e d'Italia, e nei riguardi dei Goti rivela una curiosità mista a simpatia e ad ammirazione per la figura di Teoderico e per la sua famiglia, non disgiunta da una non sempre celata opposizione a Giustiniano e da un rimpianto per i tempi di Anastasio, che era fondamentalmente vissuto in accordo coi Goti. Altra ispirazione ancora ha Cassiodoro, che fu sempre l'interprete ufficiale della politica gotica fino al 537 e spesso tentò di intervenire attivamente nelle vicende del suo tempo durante il regno di A., sotto la reggenza di Amalasunta con un indirizzo, sostanzialmente, di collaborazione tra gli interessi dei grandi signori romani e quelli della dinastia amala nella difesa dell'indipendenza romana dal primato orientale. Con questa varietà delle nostre fonti si comprende come risulti estremamente difficHe comporre un quadro coerente ed unitario del regno di Atalarico.

Certamente la successione di Teoderico, col regno affidato a un bambino sotto la reggenza di una donna, Amalasunta, chiamata a quella funzione non tanto dalla tradizione gota quanto dalla volontà del padre e dagli esempi romani, non poté non sollevareopposizioni, nontanto tra i Romani anche nelle correnti più favorevoli a Bisanzio, quanto tra gli stessi Goti. Di una candidatura estranea alla famiglia degli Amali è fatto esplicito cenno (Cassiodori Variae,l. VIII, 9):si tratta di un misterioso Gensimondo che, adottato "per arma", rimase fedele al giovane re anche quando avrebbe potuto aspirare al regno. Lo stesso probabilmente avrebbe potuto pretendere anche Tuluin, il "praefectus cubiculi" e valoroso generale, che per lungo tempo si rivelò un sostegno fedele del sovrano e della reggenza, per non parlare delle aspirazioni di Teodato, figlio di Ainalafreda e nipote di Teoderico. Non mancarono proprio agli inizidel nuovo regno torbidi e difficoltà come inpiù punti risulta in Cassiodoro (Variae,l. VIII, 6, 15, 16, 20; l. IX, 8-13). D'altronde non si potrebbe capire come le cose fossero andate altrimenti, tanto era il contrasto tra la forza della personalità di Teoderico e la debolezza del suo successore. Non bastavano l'energia e la capacità della madre, la cui posizione costituzionale era veramente precaria, tanto che durante la vita del figliolo non assunse mai il titolo di regina e non comparvemai negli atti ufficiali del regno, che furono emanati a nome di A., così come la sua effigie non apparemai sulle monete. Solo nella sua comunicaziune al Senato dell'avvenuta nomina a prefetto del pretorio (settembre del 533), Cassiodoro esalta l'attività della reggente e la sua direzione degli affari (Variae,l. IX, 1).Del resto il giuramento che, dopo la morte di Teoderico, fu richiesto a Goti e Romani, d'Italia e di Gallia, giuramento che fu prestato reciprocamente anche dal re, mostra la particolarità della situazione e la sua difficoltà. In realtà "Athalaricus rex" era sovrano non solo dei Goti, ma anche dei Romani, A e non si poteva per lui rifarsi ai patti personalmente stretti con gli imperatori d'Oriente, Zenone ed Anastasio, come era stato per il suo avo. Si direbbe quasi che col legame del giuramento si volesse precedere e vincolare la decisione del riconoscimento orientale. Accanto al giuramento ci sono misure che sembrano volere ristabilire con l'elemento romano e anche con la Chiesa cattolica relazioni migliori di quelle attestate per gli ultimi tempi di Teoderico (Variae, l.VIII, 8, 15, ecc.). Cipriano e Onorato, compromessi nel processo di Boezio, furono in un primo tempo sostituiti con elementi più moderati: a Onorato subentrò nella questura un antico allievo di Ennodio, quell'Ambrogio, la cui chiamata rappresenta un successo delle tendenze favorevoli a un accordo tra Romani e Goti con l'esclusione dei più accesi sostenitori tra i Romani del regime barbarico e con un allontanamento dei più intransigenti tra i Goti. Il problema dell'esercito fu risolto con la nomina di Tuluin a "patricius presentalis", una vera e profonda innovazione costituzionale.

Lasciando stare la questione se veramente la fonte di legittimità del potere di Teoderico sui Romani fosse il conferimento a lui della carica di "magister militum" come dal Mommsen in qua si è troppe volte ripetuto, l'incarico e più il titolo attribuito a Tuluin e la sua entrata al Senato, nonché i modi con cui questo provvedìmento viene annunciato al generale goto e al Senato, attestano, per quel che si può ricavare dalle espressioni di Cassiodoro, volontà di autonomia e di indipendenza, anche nei riguardi dell'Oriente (Variae l. IX. 9, 10, 11). In realtà tra gli altri oscuri accenni agli inizi del nuovo regno non manca anche un riferimento a movimenti di truppe e di navi nel Bruzio e nella parte meridionale dell'Italia diretti quasi certamente a dimostrazione contro l'únpero (Variae l. XI, 1). Nelle prime dichiarazioni dei documenti ufficiali sia per il giuramento da parte dei provinciali sia per la nomina di Tuluin vengono richiamati pure i rapporti con i Franchi e i Burgundi, nel tentativo di far rivivere anche oltre la realtà dominata dai successi franchi il ricordo della fermezza teodericiana, così come l'episodio della guerra sirmiense del 508 contro Anastasio viene intenzionalmente messo in evidenza. Conciliazione con i Romani, dìfesa della dinastia cercata in provvedimenti militari e in accordi confermati dal vincolo dei gìuramento che legava individuahnente al giovane re ogni goto e ogni romano, appoggio richiesto anche al papa, quel Felice IV imposto dalla volontà di Teoderico, e ai vescovi (Variae, l.VIII,8, 18), provano l'intenzione da parte della reggenza di cercare nuovi consensi e nuovi equilibri che permettessero di presentarsi all'Oriente con una volontà di pace, ma non così puramente e semplicemente ossequiosa come sembra apparire in Giordane. In Oriente il vecchio finperatore Giustino aveva lasciato sempre di più le redini del governo al nipote Giustiniano, che dopo poco sarebbe stato associato al trono e poi sarebbe successo allo zio. Nell'esaminare i rapporti tra i Goti e l'impero non si deve, come in genere sì è fatto, prescindere dalla situazione interna del mondo orientale e dalla possibilità di un'attiva influenza, anche da parte dei regno barbarico, sulle complicate situazioni politiche dell'impero. Teoderico molte volte aveva tentato di esercitare il suo influsso e si può dire che un'attiva presenza a Bisanzio abbia sempre rappresentato uno degli obiettivi della sua politica. La situazione è ora molto cambiata, ma non si deve pensare che ragioni di debolezza ci fossero solo nel regno occidentale e non travagliassero, nei rapporti con la Persia, nella pressione dei barbari lungo il Danubio, neì dissidi religiosi e politici, anche la vita della nuova Roma. Uno dei motivi che poteva rendere più debole la posizione di Giustino e del nipote era la mancanza di legami dinastici e il collegamento con una tradizione, i cui rappresentanti potevano servirsi, per combattere il regúne, anche delle origini recenti di esso. Ora, nella lettera di A. a Giustino (Variae, l. VIII, 1) uno dei motivi dominanti è l'antichità del sangue amalo e l'esaltazione dei legami e dei patti stabiliti tra Teoderico e i predecessori dell'imperatore, Zenone e Anastasio. Accanto all'insistenza su questa nobiltà di sangue, la lettera, la cui data non è precisata e che solo l'importanza dell'únperatore cui è diretta ha fatto collocare all'inizio dell'VIII libro delle Variae, cerca di insinuare che i rapporti tra Giustino e il padre di A., adottato "per arma" dall'imperatore, console ordinario nel Sig, furono sempre cordiali e sembra insistere sulla possibilità di stabilire una forma di parentela spirituale che si collegasse a quell'adozione. In questa maniera sarebbero stati superati gli ostacoli degli urti con Teoderico, il cui ricordo è semplicemente accennato e si sarebbe potuto avviare il complesso dei rapporti con Bisanzio in una formula abbastanza larga per consentire una sostanziale concordia, senza legarla a condizioni troppo precise.

In sostanza, dal complesso delle lettere del primo anno di regno di A. emerge: un tentativo di accostamento ai Romani, un'intensificazione dei rapporti con Felice IV, eletto per volontà di Teoderico negli ultimi giorni della sua vita contro il candidato della maggìoranza dei Senato e dei clero romano (Variae,l. VIII, 15),una generica dichiarazione di fermezza nei riguardi degli altri popoli barbarici e, infine, una volontà di accordo, non per altro troppo condiscendente e ossequiosa, con l'impero, ché anzi, a parte alcune formule equivoche della lettera a Giustino, che attraverso l'idea della parentela adottiva potevano anche suggerire modi di tutela, almeno apparente, non mancano accenni d'indipendenza e di autonomia (Variae,Il. VIII, 10, 15; X, 32; XI, 1).

Tuttavia le difficoltà per il regno ostrogoto non si rivelano piccole. L'atteggiamento dei Vandali, il cui re Ilderico si era accostato all'Oriente e aveva fatto uccidere Amaiafreda, sorella di Teoderico e moglie di Trasamondo, restava ostile e nei suoi riguardi A. si limita a proteste, seppur ferme, quasi che da parte gotica si fosse desiderosi di venir persuasi di una voce poco credibile, che attestava come Amalafreda fosse morta di morte naturale. Coi Visigoti si arrivò a un compromesso: Amalarico ebbe il potere effettivo nel regno, dove tuttavia l'ostrogoto Teudi continuò ad esercitare una grande influenza. I tesori del regno, tra cui le prede romane di Alarico, vennero riportati in Spagna, e i guerrieri ostrogoti, che avevano sposato donne visigote, furono autorizzati a rimanere con le loro mogli e anche questo rappresentò un indebolimento non trascurabile, data la relativa scarsità demografica del popolo ostrogoto. Per il momento non ci furono minacce da parte dei Franchi; soltanto, come si è detto, Cassiodoro sente il bisogno, più di una volta, di accennare ai successi di Teoderico nei riguardi di quel popolo (Variae, l. VIII, 9; l. XI, 1, ecc.), ma Giordane, che tenta di dare una valutazione d'insieme, fa ben capire tutta l'importanza della minaccia franca, che sembra costituire il motivo principale dell'appoggio, secondo lui richiesto dalla reggente a Giustiniano (Romana,par. 367, Getica,par. 305). Non mancavano neppure gravi difficoltà interne: la "civilitas" gota nel faticoso equilibrio tra due civiltà e due razze, entro gli schemi di una legislazione non sentita dai guerrieri barbarici, rappresentava una costruzione delicata che si reggeva solo sulla forza della grande personalità di Teoderico. Non bisogna neppur dimenticare che negli ultimi tempi del grande re gli animi dei barbari si erano accesi contro i Romani e forse la spedizione che, con a capo Vitige probabilmente nel 527, respinse un attacco dei Gepidi presso Sirmio e occupò anche lembi di terre imperiali nella Mesia Prima, rappresenta un tentativo di creare una contropartita ai nuovi rapporti che la reggenza voleva instaurare tra Goti e Romani. La sconfitta di Mundo, che aveva rinnovato in quel territorio conteso le gesta del 508 e finì poi stranamente, con quella logica tutta particolare alle vicende danubiane nell'impero bizantino, "magister militum per Illyricum" nel 528 e quindi addirittura nel '31 "magister " in Oriente contro i Persiani, fu presentata come un successo comune del valore gotico e delle tendenze anti-orientali della tradizione romana (Variae,l. XI, 1).Malgrado questo successo alla fine del 527 ci fu indubbiamente un rivolgimento che allontanò dal potere quelli che si sogliono chiamare i moderati e vi portò gli elementi più compromessi nel processo su Boezio, Opilione e Cipriano, che, prima patrizio, nel 528, probabilmente, sostituì Cassiodoro come "magister officiorum". Sono romani che hanno imparato a vestire alla barbara, a parlare goto, a combattere negli eserciti operanti e nelle paludate espressioni di Cassiodoro, prima della sua sostituzione, c'è veramente il segno dell'inizio di una rivoluzione, destinata per altro a rimanere inefficace, perché non legata alla realtà e, soprattutto, impossibile per la persistente opposizione religiosa tra i due popoli. Sostanzialmente la vicenda di questi primi anni come appare nella corrispondenza ufficiale di Cassiodoro concorda col racconto un po, critico, un po, tradizionale e talvolta pittoresco di Procopio. Lo storico greco ci parla, naturalmente, non del re fanciullo, ma della madre e ne esalta la figura fisica e morale. Pace coi Romani, indennizzo ai figli di Simmaco e di Boezio, educazione alla romana del giovane re, sono i tratti distintivi dell'azione di Amalasunta nel racconto procopiano. Di qui l'urto coi Goti che non volevano quest'influenza femminile sull'erede degli Amali e ritenevano poco degni "dell'impero di Teoderico" questo sottoporre il nipote all'autorità dei maestri di scuola romani. Così, se in Cassiodoro si parla del trionfo di Romani goticizzanti, Procopio esprime l'indignazione dei giovani barbari contro i loro connazionali inclini alla moderazione e contro il tentativo di fare di A. un principe romanizzato (Bellum Gothicum, I, 2, 8-17).

Dal 527 fino al 533 Cassiodoro tace e abbiamo per questo periodo notizie di altro genere che in sostanza non suonano liete per la monarchia di Atalarico. A Roma, papa Felice IV di fronte ai pericoli della lotta elettorale che l'aveva portato al soglio pontificio e alle difficoltà economiche della Chiesa e del popolo romano colpiti dalla carestia, crede di provvedere meglio alle esigenze della tranquillità e dell'ordine designando un successore cui trasmise il pallio alla fine d'agosto dei 530,sentendosi vicino a morire. L'erede era l'arcidiacono Bonifacio, romano di nascita, ma figlio di un germanico, Sigisvulto. I "regnanti" ne furono informati e sembrerebbe qui che venisse riconosciuto ufficialmente il potere di Amalasunta accanto a quello del figlio, ma il Senato, senza consultare né papa né re, emise un decreto contro coloro che, vivo il papa, cercavano con danaro o pressione di procedere a tractationes elettorali. E indubbiamente la maggioranza del Senato, del clero e del popolo di Roma, come ai tempi dello scisma laurenziano, non erano d'accordo con la designazione di Bonifacio, cosicché, dopo la morte di papa Felice, il 12 sett. 530, ci fu una duplice elezione. Accanto a Bonifacio, venne designato un altro diacono, Dioscoro, un greco di Alessandria, profugo a Roma dai tempi dello scisma acaciano, già sostenitore di Simmaco e collaboratore di Ormisda nella pace religiosa con l'Oriente del 519. Non si sa se basti questo a fare di lui un sostenitore dei Bizantini e un nemico dei Goti, perché l'interpretazione dell'ortodossia da parte di Giustiniano era molto personale e poteva darsi che un calcedoniano deciso del 519 fosse meno gradito quando qualche temperamento coi monofisiti si rìvelava, dopo anni di governo e nel pìeno della lotta con la Persia, certamente opportuno. Ma quel che conta è lo spirito di turbolenze e di lotta che continuava a Roma ora che non c'era più la mano ferma di Teoderico a controllare gli sviluppi di questi moti. Dioscoro morì dopo pochi giorni, ma Bonifacio, di cui pure si ricorda una volontà benefica nei riguardi dei poveri e del clero, non riuscì nell'intento di designare a sua volta un successore nella persona del diacono Virgilio e dovette di sua mano bruciare il costituto della sua decisione. Anche qui non si può dire se la politica di Bonifacio fosse o meno favorevole al governo di Ravenna, ma è certo che nel 531 egli volle decidere una questione molto delicata sulla legittimità di un'elezione episcopale nella sede di Larissa in Tessaglia contro le decisioni, ritenute illegali per mancanza di competenza, del patriarca di Costantinopoli Epifanio. Qui siamo veramente su un terreno delicato, perché le pretese del papato romano potevano in qualche modo essere viste in concordanza con le dimostrazioni gotiche verso la Mesia. Alla morte di Bonifacio venne eletto un prete romano, Mercurio, nel 532, che prese il nome di Giovanni, e la lotta elettorale non dovette essere leggera se molta gente, ancora due anni dopo, rimaneva in carcere e furono impegnati perfino i vasi sacri.

Se queste vicende toccano Roma, altri eventi minacciano dal di 1uori il regno gotico: nel 531 cade in battaglia Amalarico combattendo contro Childeberto re dei Franchi, nel 532 Childeberto e Clotario attaccano Godomaro, re dei Burgundi; per altro nel 531 Lotario aveva ucciso Ermanfredo re dei Turingi e costretto Amalaberga a fuggire in Italia (Stein, pp. 332, 333). Veramente sembrava che il sistema di Teoderico andasse in pezzi e qui si può inserire il racconto procopiano che parla di un momento di disperazione di Amalasunta, la quale avrebbe chiesto a Giustiniano di accoglierla nell'impero e avrebbe mandato una nave a Durazzo con i tesori e con i suoi più fidi, pronti a preparare lo sbarco della regina (Bellum Gothicum, 1, 2, 16-29).Non si sa quanto di vero ci sia nel racconto di Procopio, che talvolta si compiace anche di favole, come quando riferisce la voce dei Goti secondo cui Amalasunta avrebbe voluto liberarsi del figlio per assumere direttamente il regno associandosi il nuovo marito, in un racconto pittoresco che concorda stranamente con quello che in tono di celebrazione dei Franchi e di deprecazione antiariana fa Gregorio di Tours (Hist. Franc., III, 31). Ma probabilmente è vero che Amalasunta cercò di liberarsi dei suoi avversari più pericolosi inviandoli in posti lontani e che di fronte alla reazione dei parenti e degli amici dei colpiti, tentò, se non di cedere il regno, almeno di stringere legami più stretti con Giustiniano. Che poi addirìttura, come Procopio insinua negli Aneddoti (c. 16),questi contatti fossero tali da provocare la gelosia di Teodora, esce dalla possibilità di un controllo storico. Tuttavia non è impensabile che poco prima o poco dopo la rivolta del Nika del 532, che mise in pericolo l'esistenza stessa dell'impero di Giustiniano e minacciò il ritorno di una dinastia anastasiana più favorevole alla pace coi barbari, i rapporti coi Goti acquistassero un'importanza particolare. Ma Amalasunta riuscì a uccidere i principali avversari e a riguadagnare il controllo della situazione e rinunciò alla fuga in Oriente. A questo punto rientra la testimonianza di Cassiodoro, che nel 533 fu nominato prefetto del pretorio con una motivazione che mette in luce particolare i suoi meriti di propagandista e di interprete del programma teodericiano. "Fece romana la storia dei Goti, celebrò la gloria degli antichi re amali, combatté con le armi agli inizi del nostro regno", è detto nella partecipazione al Senato della nomina di Cassiodoro (Variae,l. IX,24). Sia nelle lettere scritte da Cassiodoro a nome di A., sia in quelle dei libri XI e XII dirette personalmente come prefetto del pretorio per il periodo 533-534, noi vediamo testimoniato un tentativo di reprimere gli abusi dei Goti e dei grandi Romani, di difendere i più deboli, i piccoli proprietari e consumatori, di ottenere la collaborazione del papa accettando la stessa posizione del Senato contro l'elezione del successore in spregio ai diritti del clero e dell'aristocrazia cittadina. Ma nelle frasi magniloquenti, nell'esaltazione di programmi ambiziosi, come nelpanegirico di Amalasunta (Variae,l.XI, 1), che finalmente è dichiarata 'domina', e considerata ufficialmente partecipe del potere e viene contrapposta a Placidia, che cedette l'Illirico alla Grecia, mentre la principessa gotica "Romanum fecit esse Danubiuni", si sente lo sforzo di una volontà che lotta contro difficoltà gravi, difficilmente dominabili. I provvedimenti contro gli abusi ne rivelano la gravità e la frequenza ed era vano parlare di cultura, di scuola, di difesa delle città quando si dovevano ammettere disordini amministrativi e perfino rivolte di rustici che attaccano i mercanti durante le fiere in zone che, come la Lucania, avrebbero dovuto essere particolarmente tranquille (Variae,VIII, 32, 33; IX, 5, ecc.). Ma, malgrado le dimostrazioni verso il Danubio e le dichiarazioni verbali contro i Franchi, la posizione del regno non era sicura alla vigilia dell'intervento di Giustiniano in Africa. Può essere che nell'offrire la propria neutralità molto benevola e nel mettere a disposizione di Belisario le basi siciliane, Amalasunta sperasse di poter collaborare con l'impero in una posizione di forza, anche se non è provato quanto afferma Malalas (459B) che A. si rifiutò di ricevere il legato del vandalo Gelimero. Ma gli eventi le diedero torto e veramente si può dire che il prodigioso successo africano di Belisario, anche se non fu così solido come poteva apparire in principio dopo la vittoria su Gelimero, segnò l'inizio della crisi anche per i Goti. Ci furono delle espressioni pubbliche di malcontento per la maniera con cui ci si era comportati nei riguardi dell'impero e non , è da escludersi che accanto ai Goti che, come Leutari, "comes" di Napoli, accoglievano disertori del composito esercito di Belisario (Bellum Gothicum,I, 3, 15),anche i Romani favorevoli all'autonomia dall'Oriente non avessero gradito quella condiscendenza così piena ai voleri di Bisanzio. Belisario prima e poi Giustiniano, a mezzo del "comes" Alessandro, reclamarono la cessione all'impero di Lilibeo, la dote di Amalafredal che i Goti avevano occupato durante il disastro vandalico. Nelle pagine di Procopio ci sono espressioni di grande interesse sulla doppia serie dei negoziati segreti e palesi tra Bisanzio e Ravenna. Da un lato evidentemente egli ha attinto a documenti ufficiali ispirati alla consueta difficile posizione costituzionale e politica dei Goti nei riguardi dell'impero, ma improntati a dignità, dall'altra lo storico greco continua a parlare di offerte di tutta l'Italia all'imperatore, quasi che Amalasunta di fronte alla previsione della morte del figlio, consumato dalla sregolatezza della nuova educazione gotica, volesse salvare contro l'opposizione dei suoi e degli stessi Romani, la sua posizione di dominio personale. Sembra veramente che ci fosse, malgrado le affermazioni addirittura imperiali di Cassiodoro particolarmente frequenti in questo periodo (Variae, IX, 16, 22, 24, 25; X, 1 ecc.), un tentativo non solo da parte di Amalasunta, ma anche di altri Goti, di salvare la propria posizione personale in un compromesso con l'impero.

Comincia in questo periodo che va dall'estate del 533,inizio della campagna vandalica, fino al 2 ott. 534,morte di A., l'avventura che doveva portare al trono gotico Teodato. Era costui fratello di Amalaberga e figlio del primo matrimonio di Amalafreda. Di lui Procopio narra che viveva come un- gran signore nei suoi possessi di Tuscia e si vantava di conoscere la filosofia platonica e le lettere latine (Bellum Gothicum, I, 3, 1-3).Cassiodoro afferma che addirittura era colto anche nelle scienze sacre (Variae,X, 3), il che farebbe pensare a una sensibilità verso una conciliazione tra Romani e Goti sul terreno religioso. Comunque nella sua posizione di appartenente alla dinastia regale e di grande proprietario terriero, Teodato aveva cercato di allargare i suoi possessi con tutti i mezzi, tanto che più di una volta lo stesso Teoderico aveva dovuto richiamarlo per le prepotenze e le usurpazioni in danno dei suoi vicini (Variae,IV, 39; V, 12).Quest'attività non aveva solo significato economico, ma anche politico, tanto che in realtà sembra che Teodato fosse signore dell'intera Tuscia, cosicché Gregorio di Tours lo chiama "rex Tusciae" (Hist. Franc.,III, 31). Anche quest'attività particolaristica getta una luce singolare sulla crisi gotica e non è da meravigliarsi che agli inizi della reggenza Amalasunta abbia cercato di venire a patti coi pericoloso cugino restituendogli i beni della madre, uccisa in terra d'Africa (Variae,VIII, 23).Quando Giustiniano, dopo il giugno del 533,in coincidenza con l'inizio della guerra vandalica inviò in Italia presso il papa Giovanni II due vescovi per fare approvare la formula teopaschita, la professione di fede nella quale si affermava che "uno della Trinità aveva sofferto nella carne", espressione prettamente ortodossa, ma tale da offrire degli accomodamenti con i monofisiti, Teodato approfittò di quest'occasione e, forse interessato per la sua cultura alle dispute religiose così poco apprezzate da Procopio, si servì dei due vescovi per fare a Giustiniano la singolare offerta di cedergli l'intera Toscana in cambio di un posto nel Senato costantìnopolitano e di una ricca dotazione nell'impero. Era un curioso modo per un discendente di Teoderico di inserirsi nella vita politica costantinopolitana, ma in ogni caso Giustiniano doveva credere, almeno se l'interpretazione della situazione qual'è vista da Procopio era esatta, di avere delle ben forti opportunità di portare l'Italia sotto il suo controllo, mentre le armate di Belisario conquistavano l'Africa. Anche il papa si mostrò molto accomodante nei riguardi delle richieste di Giustiniano e il 25 marzo 534 rispose all'imperatore accettando la formula e annunciando la condanna di quei monaci acemeti che erano stati, all'inizio dello scisma acaciano e durante le trattative di Ormisda, uno dei più validi sostegni deTortodossia romana (Collectio Avellana, n. 84; Codex Iust.,I, 1, 8). Solo i senatori del partito di Cassiodoro si mostrarono preoccupati dell'atteggiamento del papa nei riguardi Bisanzio e Giovanni II era parecchio imbarazzato a giustificare il suo atteggiamento, non tanto, si capisce, dal punto di vista dogmatico, quanto della mancanza di, intesa e di discussione del lato politico del problema con i senatori residenti a Ravenna presso il "Concistorium regis". Così mentre i legami religiosi tra Roma e Bisanzio si fanno più stretti, mentre il Senato e l'aristocrazia romana approvano quest'intensificazione di rapporti e, colpiti dalle vittorie giustinianee, che del resto ponevano in un'altra luce i rapporti della Chiesa africana liberata dai Vandali col papato, inclinavano sempre di più verso una stretta collaborazione coll'impero, mentre Amalasunta e Teodato cercavano di avvicinarsi per diverse vie a Giustiniano, pareva che l'ideale della difesa dell'indipendenza della vecchia Roma dalla nuova e della collaborazione con i Goti fosse ancora sostenuta solo dal gruppo degli aristocratici che faceva capo a Cassiodoro.

In questa confusa e difficile situazione il 2 ottobre 534 moriva il re, che aveva dato il nome a un governo fondamentalmente in pace per otto anni e che tuttavia scompariva senza aver potuto effettivamente far sentire il peso della propria persona negli avvenimenti di quegli anni. La sua memoria però, nelle dure vicende della guerra gotica, fu associata a quella di Teoderico, come legata a un periodo di pace e di prosperità.

Fonti e Bibl.: Codex Iustinianus,a cura di P. Krueger, Berolini 1877; Cassiodori Variae, a cura di Th. Mommsen, in Monumenta Germ. Hist., Auctores Antiquissimi,XII,Berolini, 1894; Collectio Avellana,a cura di O. Günther, in Corpus Scriptorum Eccles. Lat.,XXXV,1-2, Vindobonae 1894; Iohannis Malalas Chronographia,a cura di L. Dindorf, Bonnae 1831; Iordanis Romana et Getica, in Monumenta Germ. Hist., Auctores Antiquissimi, V, Berolini 1882; Gregorii Turonensis Francorum Historiae libri X, a cura di B. Krusch, in Monumenta Germ. Hist., Scriptores Rer. Merovingicarum, I,Hannoverae 1884; Liber Pontificalis, a cura di L. Duchesne, I Paris 1886; Procopii Caesariensis Bellum Vandalicum, Bellum Gothicum, a cura di J. Haury, Lipsiae, 1905; Id., Anecdota,a cura di J. Haury, Lipsiae, 19o6; Agnello Ravennate, Liber Pontificalis,in Rer. Italic. Script.,2 ediz., II, a cura di A. Testi Rasponi; T. Hodgkin, Italy and her invaders,IV,London 1885, pp. 527-648; A. Gaudenzi, Sui rapporti tra l'Italia e l'impero d'Oriente tra gli anni 476 e 554,Bologna 1888, pp. 73-93; L. Ginetti, Il governo di Amalasunta e la Chiesa di Roma,Siena 1901; Th. Monunsen, Ostgothische Studien,in Gesammelte Schriften,VI(1910), pp. 362-484; G. Sundwall, Abhandlungen zur Geschichte des ausgehenden Römertums,Helsingfors 1919, pp. 259-279; J. B. Bury, History of the later roman empire,II,London 1923, pp. 159-167; R. Cessi, Le vicende Politiche dell'Italia medievale, I, La crisi imperiale,Bologna 1938, pp. 90 101; O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941, pp. 97-115; E. Stein, Histoire du bas-empire, II,Paris 1949, pp. 262-264, 328-337.

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