ATELLANA

Enciclopedia Italiana (1930)

ATELLANA

Cesare Giarratano

. Gli Osci della Campania usavano rappresentare una specie di farsa con personaggi fissi. I Romani, che la conobbero dopo le guerre sannitiche, la chiamarono fabula atellana, perché era stata portata a Roma da attori di Atella (v.), oppure perché si rappresentava in Atella nell'occasione di feste religiose: spiegazione più probabile, pur non escludendo la prima. L'atellana, da principio, era recitata a Roma in osco, e così rimase come parte di una festa romana fino all'età d'Augusto. Ma la gioventù di Roma si compiacque delle atellane e prese a improvvisarle in latino. Non si sa quando cominciassero precisamente queste rappresentazioni improvvisate, ma certo prima dell'età di Livio Andronico. Gli attori dilettanti delle atellane non erano colpiti d'infamia come gl'istrioni.

L'atellana divenne un genere letterario al tempo di Silla, quando dopo breve splendore cominciava a decadere la fabula togata. La sollevò a dignità letteraria L. Pomponio bolognese: accanto a esso gli scrittori latini ricordano Novio, che dovette essere suo contemporaneo. Nulla sappiamo della vita dei due poeti, solo titoli e frammenti ci restano delle loro opere: settanta titoli e quasi duecento versi di Pomponio, quarantaquattro titoli e un centinaio di versi di Novio.

L'atellana si rappresentava come exodium dopo una tragedia, secondo l'esempio del dramma satiresco dei Greci, che seguiva la trilogia tragica. Era perciò di breve estensione e di rapido svolgimento. Vi recitavano attori di professione, che portavano le maschere come i dilettanti, ma non ne conservavano i privilegi. Il suo carattere si desume, per quanto è possibile, dai titoli, dai frammenti e da poche notizie degli antichi. I frammenti sono di regola d'un verso o di due, e solo di un'atellana si possiedono dieci frammenti con quattordici versi. Essi sono stati conservati dai grammatici, e specialmente da Nonio, per qualche particolarità grammaticale o lessicale.

Ogni atellana doveva avere pochi personaggi, conforme alla sua brevità, ma quattro erano i tipi caratteristici del genere letterario: Maccus, Pappus, Bucco e Dossennus, che non era necessario comparissero tutti in ogni dramma. I primi tre son tipi di stupido: Maccus e Bucco sono d'età giovanile, Pappus è il vecchio babbeo Maccus è anche un ghiottone, Bucco fa lo smargiasso. Invece Dossennus è il gobbo scaltro che si spaccia per sapiente: ma anche lui, come Maccits, cerca i bocconcini buoni. Questi personaggi fondamentali sono rappresentati nelle più varie condizioni, come si desume dai titoli. In Pomponio troviamo Maccus miles, Maccus sequester, Maccus virgo, Macci gemini, Bucco auctoratus, Bucco adoptatus, Hirnea Pappi, Pappus agricola, Pappus praeteritus, Sponsa Pappi, e in Novio, Bucculus, Pappus praeteritus, Maccus copo, Maccus exul, Duo Dossenni. Nel Maccus virgo di Pomponio Dossennus è maestro di scuola, nei Pictores dello stesso poeta è forse medico.

L'atellana riproduceva la vita del popolino e della gente di campagna in tutti i suoi aspetti. Son frequenti i titoli che si riferiscono a mestieri (in Pomponio: Aeditumus, Aruspex, Auctoratus, Augur, Citharista, Decuma fullonis, Fullones, Leno, Medicus, Pictores, Piscatores, Pistor, Praeco posterior, e in Nonio: Fullones, Fullones feriati, Fullonicum, Optio), ad animali o ad occupazioni rustiche (in Pomponio: Asina, Capella, Maialis, Porcetra, Rusticus, Sarcularia, Vacca, Verres aegrotus e V. salvos, e in Novio: Agricola, Asinus, Bubulcus cerdo, Ficitor, Gallinaria, Vindemiatores), a feste (in Pomponio: Kalendae Martiae, Nuptiae, Quinquatrus). Altri titoli accennano a caratteri morali: Parci (Pomponio), Malivoli (Novio), o a condizioni particolari: Cretula vel Petitor (Pomponio), Dives (Pomponio), Dotata (Pomponio e Novio), Ergastilus (Pomponio), Heres petitor (Pomponio), Verniones (Pomponio), a tipi regionali: Campani (Pomponio), Galli transalpini (Pomponio), Syri (Pomponio), Milites Pometinenses (Novio). Alcuni titoli sembrano presi dalla togata: Augur di Pomponio (cfr. Augur di Afranio); Fullones di Pomponio e Novio (cfr. Fullonia di Titinio); Gemini di Novio (cfr. Gemina di Titinio); Satura di Pomponio (cfr. Satura di Atta); Virgo praegnans di Novio (cfr. Virgo di Afranio); altri dalla palliata: Adelphi di Pomponio (cfr. Adelphoe di Terenzio); Hetaera di Novio (cfr. Hetaera di Turpilio); Paedium di Novio (cfr. Paedion di Turpilio); Synephebi di Pomponio (cfr. Synephebi di Cecilio).

Dai frammenti non si può rilevare la differenza artistica fra i due poeti. La lingua dell'atellana era piena di volgarismi, come risulta dai giudizî degli antichi e dai frammenti: questi mostrano anche la ricerca affettata delle allitterazioni. I metri più comuni erano il settenario e il senario giambico e il settenario trocaico. Poteva esserci il prologo (cfr. Pomponio, fr. 182 Ribbeck).

La lettura dei frammenti sorprende soprattutto per le espressioni di crudo realismo (cfr. Pomponio, 64, 97, 129, 130, 151; Novio, 6) e per le oscenità (cfr. Pomponio, 1, 68, 69, 76, 83, 99 segg.; Novio, 81 segg.). La comicità talvolta è grossolana, ma abbondano motti vivaci, arguti e sentenziosi. Un tale raccomanda a Buccone: puriter fac ut rem tractes, e Buccone finge di fraintendere e risponde: lavi iandudum manus (Pomponio, 10 segg.). Una moglie è confortata con queste parole: "Non t'inquietare: è naturale che ogni marito desideri la morte della moglie" (Pomponio, 30 segg.). Un poveretto esclamava: "Trovo appena da mangiare ora: e che sarà, se prenderò moglie?" (Pomponio, 33). Un altro diceva: "Fare il fattore lontano dalla città e dove il padrone venga di rado, non è fare il fattore, ma il padrone" (Pomponio, 45 segg.). Pappo bocciato alle elezioni si consola così: "È questo il costume del popolo: oggi ti va contro, ma t'appoggerà domani" (Pomponio, 105 segg.). Si chiedeva a Dossenno che scoprisse il ladro dell'oro. E quello: "Io non faccio l'indovino gratis" (Pomponio, 109 segg.). "Che cos'è il denaro?" si domandava a un tale: "È un bene breve, somiglia al cacio sardo" (Novio, 45). Macco partiva per l'esilio salutando il soffitto, che tante volte gli aveva rotto la testa, e la soglia dove s'era spezzate tutte le dita (Novio, 49 segg.). E così di seguito, anche in tono assai più triviale.

Una varietà nelle atellane è rappresentata dai drammi mitologici. I frammenti ne attribuiscono quattro titoli a Pomponio (Agamemno suppositus, Lar familiaris, Marsya, Pytho Gorgonius) e quattro a Novio (Andromache, Hercules coactor, Mania medica, Phoenissae), ma Porfirione ne ricorda altri tre di Pomponio: Atalante, Sisyph0s, Ariadne. Non è probabile che questa fosse un'innovazione di Pomponio o di Novio; ma la farsa osca, come subì l'influenza greca nel nome di due maschere (Maccus e Pappus), così accettò la parodia mitica che fioriva a Taranto. Ma i drammi mitologici dovettero piacere meno come exodia, e perciò fu così scarso il loro numero. Infine il tentativo di rappresentare il contrasto di figure allegoriche, come fece Novio nel Mortis et vitae iudicium, non ebbe imitatori.

Altri poeti di atellane furono il dittatore Silla, Aprissio (il nome è dubbio) e Mummio: di questi due ultimi resta qualche frammento. Mummio visse sono l'Impero, perché, come riferisce Macrobio (Sat., I, 10, 3), post Novium et Pomponium diu iacentem artem atellaniam suscitavit. Difatti nell'età di Cesare l'atellana era decaduta di fronte al mimo. Nel primo secolo dell'Impero tornò a fiorire. Erano frequenti le rappresentazioni delle atellane, e gli attori anche si permettevano allusioni contro illustri personaggi: perfino Tiberio, Nerone e Galba furono obliquamente colpiti. Dagli scrittori di quel tempo sappiamo che le atellane avevano allora cantica: così sarà stato anche di quelle di Pomponio e di Novio, benché non ce ne sia rimasta traccia. Ma soprattutto l'atellana fu in onore nell'età di Adriano, secondo quella moda che faceva prediligere i poeti della repubblica: Marco Aurelio faceva excerpta anche delle atellane di Novio. In seguito prevalse nuovamente il mimo.

I frammenti delle atellane sono stati pubblicati dal Ribbeck, Com. Rom. Fragm., 3ª ed., Lipsia 1898, pp. 269-335.

Bibl.: E. Munk, De fabulis atellanis (con appendice dei framm.), Lipsia 1840; Th. Keller, De lingua et exodiis atellanarum, Bonn 1850; R. S. Maffei, Le favole atellane, Forlì 1892; D. A. H. van Eck, Quaestiones scaenicae Romanae, Leida 1892; C. Sittl, I personaggi dell'atellana, in Riv. di storia antica e scienze affini, 1895, p. 27 segg.; F. Graziani, I personaggi dell'atellana, in Riv. di fil. e d'istr. class., 1896, pp. 388-92; A. Dieterich, Pulcinella; pompejanische Wandbilder und römische Satyrspiele, Lipsia 1897 (sostiene la derivazione del tipo di Pulcinella dal buffone della commedia antica e altresì le possibilità di ricostruire nella loro essenza drammatica le antiche atellane e fabulae satyricae col mezzo delle moderne commedie pulcinellesche. Vedi, contro la tesi del D., B. Croce, in Saggi della letteratura italiana del seicento, Bari 1911, pp. 215-227); J. J. Hartman, De atellana fabula, in Mnemosyne, 1922, pp. 225-238; S. Reiter, Der Atellanendichter Aprissius, in Phil. Woch., 1925, coll. 1435-39; Schanz, Geschichte der röm. Litteratur, 4ª ed., I, § 85.

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