MONTI, Attilio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)

MONTI, Attilio

Giorgio Meletti

MONTI, Attilio. – Nacque a Ravenna l’8 ottobre 1906 da Giuseppe, un fabbro attivo nel borgo di San Biagio a Ravenna, e da Anita Miccoli.

Iniziò a lavorare giovanissimo, come venditore porta a porta di macchine agricole nella campagna di Ravenna, affermandosi nel settore e raggiungendo un buon successo. Al commercio delle macchine agricole affiancò presto quello degli oli minerali, materiale di consumo fondamentale per la meccanizzazione rurale. Nel 1929 divenne subagente dell’AGIP per la provincia di Bologna. Nel 1938 ottenne dal governo italiano l’iscrizione all’elenco degli importatori diretti di petrolio dai paesi produttori, diventando concessionario per la Romagna dell’APIR (Azienda petroli italo-rumena). Di lì a poco costituì la SAMA (Società Anonima Monti Attilio) e avviò la costruzione di un deposito costiero di prodotti raffinati della capacità di 12.000 tonnellate. Le dimensioni relative dell’operazione furono significative, nonostante la limitata crescita dei consumi petroliferi italiani dovuta soprattutto alla politica autarchica del regime fascista tesa al contenimento del deficit commerciale e valutario del paese. Nel 1938 l’APIR arrivò a coprire poco meno del 3% delle importazioni italiane di prodotti petroliferi, pari a 1914 milioni di tonnellate. Nel frattempo Monti aveva sposato Caterina De Stefani, dal matrimonio con la quale era nata la figlia Maria Luisa, detta Marisa, e la famiglia si era trasferita in una villa in collina a Bologna.

Le vicende giovanili dell’imprenditore ravennate sono state più volte collegate all’amicizia con il concittadino Ettore Muti (1902-1943), esponente di spicco del Partito nazionale fascista e segretario dello stesso dall’ottobre 1939 all’ottobre 1940. Nel quadro delle lotte di potere ai vertici del PNF, Muti fu accusato di aver favorito Monti nel 1939 con la concessione petrolifera, che rappresentava un vantaggio non trascurabile. Allo scopo di consentire allo Stato il contingentamento annuale delle importazioni, con Rdl 2 novembre 1933 n. 174, era stato disposto che chiunque volesse «trasformare, rettificare o comunque elaborare gli oli minerali o i residui provenienti dalla raffinazione degli oli medesimi» dovesse chiederne concessione al ministro per le Corporazioni.

Il presunto favoreggiamento di Muti non fu mai provato: il gerarca si difese dimostrando che la decisione del ministero era stata precedente alla sua nomina a segretario del partito. L’amicizia tra i due, cementata dalla comune adesione al fascismo, fu sincera e solida. Non a caso dopo la morte di Muti, ucciso in circostanze misteriose a Fregene (Roma) il 25 agosto 1943, Monti si fece carico del mantenimento della vedova Fernanda Mazzotti e della figlia Diana con un vitalizio.

Durante la ritirata tedesca la villa bolognese di Monti fu requisita e messa a disposizione dello Stato maggiore della Wehrmacht. Nella fase finale del conflitto Monti decise quindi di trasferirsi a Milano; qui si avvicinò al Partito d’Azione e in particolare a Leo Valiani, distinguendosi come uno dei principali finanziatori dell’organo del partito L’Italia libera. Questa momentanea vicinanza con un movimento laico e antifascista va inquadrata nei mesi turbolenti di fine guerra e non avrà seguito: Monti sarà per il resto della sua vita vicino alla Democrazia Cristiana e alle forze di destra.

Nel dopoguerra si impegnò nella ricostruzione del suo deposito costiero di Ravenna, progettando nel frattempo il passaggio dalla distribuzione dei prodotti alla lavorazione del greggio. Una serie di ragioni – legate alla liquidazione dei danni di guerra, al sistema di aiuti alla ricostruzione dell’ERP (Enterprise Resource Planning, più noto come Piano Marshall), all’afflusso di grandi quantità di greggio dal Medioriente e alla minor convenienza di importare prodotti finiti – favorì il potenziamento della capacità di raffinazione nella penisola, quasi sempre attraverso alleanze tra soggetti privati italiani e grandi compagnie petrolifere, in prevalenza americane. Fu in questi anni che cominciarono ad affermarsi i nomi di grandi petrolieri privati come Edoardo Garrone, Angelo Moratti e lo stesso Monti.

Il 4 maggio 1950 Monti costituì la SAROM (Società anonima raffinazione olii minerali) e fece sorgere a Ravenna un impianto in principio autorizzato a raffinare 104.000 tonnellate di greggio all’anno, e poi ampliato fino a raggiungere nel 1955 una capacità annua di 1,3 milioni di tonnellate e nel 1960 di 3,25 milioni di tonnellate. Nei primi anni Monti raffinò prevalentemente per conto dell’inglese BP (British Petroleum) e dell’olandese Shell, che fornivano greggio di provenienza mediorientale. Il gruppo SAROM conosceva nel frattempo un’impetuosa crescita degli affari. Con la Pibigas, che incorporò la Solgas, si inserì nel settore del gas in bombole divenendo un agguerrito concorrente dell’ENI. Nel 1957 il salto di qualità: Monti cedette alla BP la sua rete di distributori di benzina (circa 700), ottenendo in cambio un contratto di esclusiva per la raffinazione del petrolio BP diretto al mercato italiano. Nel 1961 creò a Milazzo, in provincia di Messina, la Raffineria Mediterranea, destinata a diventare la maggiore d’Europa. Il terzo impianto di raffinazione fu acquistato nel 1969, a Gaeta, dalla Getty Oil del petroliere americano Jean Paul Getty.

Gli anni Cinquanta furono quelli della consacrazione tra gli imprenditori di grandezza e fama nazionali. Il 2 giugno 1956, quando non aveva ancora compiuto i cinquanta anni, fu nominato cavaliere del lavoro. Nello stesso anno, con una scelta che colpì per raffinatezza e lungimiranza, affidò all’architetto bolognese Melchiorre Bega la progettazione di un grattacielo destinato a ospitare gli uffici della SAROM a Milano. La Torre Galfa, così battezzata perché costruita all’incrocio tra via Galvani e via Fara, fu terminata nel 1959.

Negli anni Sessanta la crescita dell’impero industriale di Monti si caratterizzò per un rapporto sempre più stretto con i partiti politici e per una scelta di diversificazione negli affari che lo portò a investire in nuovi settori industriali, in catene alberghiere e in immobili.

La trasformazione dell’azienda, e con essa dell’immagine pubblica, avvenne alla fine del 1966 in coincidenza con l’acquisto della SIALL (Società industrie agricole ligure lombarda), che controllava la holding Eridania. Questa, oltre ad una posizione di forza nel mercato nazionale dello zucchero, deteneva il controllo della Poligrafici Editoriale, editrice di due quotidiani di Bologna, il Resto del Carlino e lo sportivo Stadio, nonché de La Nazione di Firenze, sesto giornale italiano per tiratura. La scelta fece automaticamente di Monti un protagonista dell’editoria. L’ingresso nel mercato dell’informazione fu accompagnato da polemiche e dal sospetto che si volesse giubilare il direttore de La Nazione, Enrico Mattei (omonimo del fondatore dell’ENI) orientato politicamente a destra, in una stagione nella quale Monti era vicino alla politica di centro-sinistra dell’allora presidente del consiglio Aldo Moro. Nel 1969 la Poligrafici Editoriale rilevò Il Telegrafo di Livorno e il quotidiano romano Il Giornale d’Italia dalla Confindustria: due acquisizioni che permisero al gruppo Poligrafici di raggiungere le 600.000 copie di diffusione quotidiana. L’ambizione di giocare un ruolo determinante nell’editoria spinse Monti, nel 1984, a candidarsi all’acquisto del Corriere della Sera dal gruppo Rizzoli, finito in amministrazione controllata dopo la vicenda correlata al dissesto del Banco Ambrosiano; l’operazione non ebbe successo in quanto alla fine prevalse una cordata dominata dalla finanziaria Gemina (gruppo Fiat con Montedison e altri) e da Mediobanca. Nello stesso 1984, però, la Poligrafici aveva acquistato dalla Rizzoli Il Piccolo di Trieste, cui seguì, nel 1990, Il Tempo di Roma dal gruppo Pesenti.

Innovatore dal punto di vista tecnologico e del marketing editoriale, Monti fu tra i primi in Italia ad abbandonare la stampa basata sul piombo e a passare all’informatizzazione dei procedimenti di stampa già alla fine degli anni Settanta. Fu altresì precursore nelle operazioni di sinergia editoriale, avviando la sostanziale fusione de Il Resto del Carlino e de La Nazione, estesa dopo la sua morte a Il Giorno.

Fino alla crisi petrolifera mondiale seguita alla guerra del Kippur (ottobre 1973) il gruppo SAROM fu impegnato soprattutto nella raffinazione e distribuzione dei derivati dal greggio. Proprio nel 1973 rilevò dalla BP la rete di 3200 distributori di benzina, alla quale applicò il marchio Mach, e la nuovissima raffineria di Volpiano in provincia di Torino. L’affare fu sottratto da Monti in extremis (con un’offerta di 120 miliardi contro i 100 dell’Eni) all’ENI, intenzionato, dopo l’acquisizione della rete italiana della Shell e di parte di quella Esso, a consolidare la posizione dominante sul mercato italiano dei carburanti per autotrazione; secondo osservatori coevi, l’operazione fu forse favorita dall’appoggio del governo Andreotti-Malagodi.

Nel momento culminante della sua ascesa imprenditoriale, con 30.000 unità di lavoro impiegate, Monti fu colpito dalla crisi petrolifera mondiale. Tra il 1974 e il 1977 il gruppo SAROM accumulò perdite per 234 miliardi di lire e l’indebitamento salì da 700 a 1140 miliardi, mentre le sue raffinerie accusarono un grave sottoutilizzo (il 30% della capacità). Rimasto vedovo negli anni Sessanta, dopo la morte del genero e collaboratore Bruno Riffeser nel 1976, Monti avviò la dismissione dell’impero, preservando per la figlia Maria Luisa l’attività editoriale. Nel 1979 procedette alla vendita dell’Eridania all’imprenditore ravennate Serafino Ferruzzi e avviò una lunga trattativa per la cessione all’ENI delle attività petrolifere.

Edgardo Curcio, direttore generale per la programmazione e lo sviluppo dell’AGIP (gruppo ENI), incaricato di valutare le attività della SAROM, espresse al presidente dell’AGIP Enzo Barbaglia la contrarietà a che l’ENI rilevasse l’azienda, ma forti furono le pressioni politiche in favore dell’acquisto. Il presidente dell’ENI, Alberto Grandi, in una lettera al ministro delle Partecipazioni statali Gianni De Michelis, nel maggio 1980, dichiarava la disponibilità a rilevare la SAROM solo a fronte di chiare direttive del governo, presieduto da Arnaldo Forlani. L’acquisto fu deciso il 29 gennaio 1981, al prezzo simbolico di lire una. L’indebitamento del gruppo, oltre 1100 miliardi di lire, risultava nettamente superiore al valore delle aziende.

Ceduta la Torre Galfa alla Banca popolare di Milano, Monti si ritirò a Bologna, nel quartier generale della Poligrafici, dedicandosi all’editoria e all’addestramento del nipote Andrea Monti Riffeser (figlio di Bruno e Maria Luisa) come successore alla guida dell’azienda.

Nel 1981 lo scandalo della loggia massonica P2 coinvolse indirettamente la Poligrafici Editoriale: il nome di Giorgio Zicari, ex giornalista del Corriere della Sera, per diversi anni portavoce di Monti, comparve tra gli iscritti all’associazione. Dopo che La Nazione pubblicò un’inchiesta in 14 puntate sugli anni giovanili del capo della P2 Licio Gelli, il direttore Gianfranco Piazzesi fu sollevato dall’incarico. Lo stesso Piazzesi ipotizzò successivamente in un libro di memorie che Monti subisse pressioni degli ambienti piduisti più che esserne direttamente partecipe.

Negli ultimi anni si ritirò nella villa di Cap d’Antibes (Francia), dove morì il 23 dicembre 1994.

Fonti e Bibl.: Memoria scritta inedita dell’ex direttore de Il Resto del Carlino Marco Leonelli; testimonianza orale di Maria Luisa Monti Riffeser, raccolta da G. Meletti a Bologna il 30 novembre 2010. Notizie sull’imprenditore si ritrovano in: G.E. Kovacs, Storia delle raffinerie di petrolio in Italia, Roma 1964; J. Nobécourt, L’Italie à vif, Parigi 1970; P. Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra, Bari 1978; G. Piazzesi, Gelli. La carriera di un eroe di questa Italia, Milano 1983; G. Pansa, L’irresistibile ascesa del cavalier “Artiglio”, in La Repubblica, 11 settembre 1984; P. Ottone, Il gioco dei potenti, Milano 1985; G. Pansa, Carte false, Milano 1986; C. Peruzzi, Il caso Ferruzzi, Milano 1987; S. Cingolani, Le grandi famiglie del capitalismo italiano, Bari 1990; G. Stella, Petrolio & piadina: le vicende del cavalier A. M., Rimini 1993; S. Battilossi, A. M.: il «miracolo » del petrolio tra grande impresa e politica, in Il «miracolo economico» a Ravenna. Industrializzazione e cooperazione, a cura di P.P. D’Attorre, Ravenna 1994, pp. 141-167; D. Biondi, M., settant’anni sulla breccia, in Il Resto del Carlino, 28 dicembre 1994; V. Benini, Storia del gruppo Ferruzzi, tesi di laurea in Scienze politiche, Università degli studi di Bologna, a.a. 1998-99; F. Briatico, Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia, Bologna 2004; G. Sangiorgi, Piazza del Gesù, Milano 2005; M. Pini, Craxi. Una vita, un’era politica, Milano 2006; GCA [Giorgio Carlevaro], Quando il Governo trent’anni fa obbligò l’Eni a salvare il gruppo Monti, in Staffetta quotidiana petrolifera, 21 gennaio 2011 (www.staffettaonline.com/articolo.aspx?ID= 90288).

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