VERRUA, Augusto Filiberto Scaglia di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VERRUA, Augusto Filiberto Scaglia

Andrea Pennini

di. – Nacque tra il 1632 e il 1633 da Carlo Vittorio Amedeo conte di Verrua, governatore di Nizza e cavaliere dell’Ordine della Santissima Annunziata (m. nel 1653), e da Claudia Francesca de Saint-Michel d’Hermance (m. nel 1640), prima dama d’onore della duchessa Cristina di Francia.

Augusto Filiberto fu destinato alla carriera ecclesiastica e, al pari del prozio Alessandro Cesare e dello zio Filiberto Amedeo, assunse importanti incarichi istituzionali e diplomatici al servizio della dinastia di Savoia. Commendatario perpetuo dell’abbazia di S. Fede di Cavagnolo, alla morte dello zio Filiberto Amedeo Verrua acquisì la commenda dell’abbazia di S. Giusto di Susa.

Consolidando lo stretto legame tra la famiglia Scaglia e la città di Nizza, in occasione della nuova apertura del portofranco nel 1668, Verrua sottoscrisse insieme a un numero importante di nobili e mercanti piemontesi una «compagnia d’assicurazione dei resighi marittimi per tutte le mercanzie che si caricheranno in Nizza o Villafranca alla città di Torino» (Bulferetti, 1953, pp. 91 s.). Nel 1671 ottenne la titolarità dell’abbazia di S. Stefano d’Ivrea e, nel tentativo – risultato poi vano – di risollevare il monastero dalla decadenza in cui versava, fece costruire una nuova chiesa che inaugurò due anni dopo il suo ingresso. Il 1673 risultò uno snodo importante nella vita di Verrua. Da un lato il 13 aprile morì a Vercelli suo fratello, il conte di Verrua Alessandro Gherardo, per cui egli assunse un ruolo centrale nella gestione della famiglia Scaglia; dall’altro, per volontà del duca Carlo Emanuele II, venne insignito della carica di gran cancelliere dell’Ordine della Santissima Annunziata.

Nel 1677 venne destinato a Parigi dalla duchessa Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, vedova di Carlo Emanuele II e reggente del ducato, in qualità di ambasciatore ordinario. Nel gennaio del 1679 la reggente recapitò a Verrua istruzioni in cui si richiedeva il sostegno francese al progetto di matrimonio tra il duca Vittorio Amedeo II e Isabella Luisa di Braganza, nipote di Maria Giovanna, a cui la seconda Madama reale stava lavorando fin dal 1675. Accertata l’impossibilità di far convolare a nozze la principessa portoghese con un candidato francese, Verrua riuscì a ottenere l’approvazione da parte di Luigi XIV del matrimonio che avrebbe allineato il futuro duca di Savoia al re di Francia, rafforzando considerevolmente gli interessi geostrategici transalpini in Italia. Lo stesso ambasciatore ebbe a scrivere alla reggente: «per parte de’ francesi vediamo chiaro che la lor intenzione non era di far acquisizioni in Italia, ma solo vi volevano diversioni» (Archivio di Stato di Torino, Lettere Ministri, Francia, mz. 108, c. 2).

Durante gli anni di permanenza di Verrua a Parigi ebbe luogo una crisi diplomatica sull’asse Torino-Parigi, che lo investì. Luigi XIV era irritato dalla presenza nella corte sabauda di Domenico Cellamare duca di Giovinazzo che, inviato nel 1675 da Madrid per le condoglianze alla morte di Carlo Emanuele II, si stabilì a Torino agendo de facto da ambasciatore. Con la scusa di chiudere la vertenza sulla dote della duchessa Catalina Micaela moglie di Carlo Emanuele I, Maria Giovanna Battista eludeva le continue rimostranze francesi, ma, sul finire del 1679 Luigi XIV le intimò di congedare il duca di Giovinazzo. Maria Giovanna Battista chiese a Verrua, con istruzioni piuttosto ambigue, di prendere altro tempo, ma l’ambasciatore scrisse che la reggente, «invece di limitarsi agli ossequi sinceri e generici che gli erano stati prescritti, aveva rassicurato il re che il ministro di Spagna non sarebbe stato ricevuto» (Savoia-Nemour, 2011, p. 169). La duchessa – quindi – accondiscese alla richiesta di Luigi XIV, allontanando lo spagnolo, ma fece ricadere la colpa su Verrua che, sollevato dall’incarico e sostituito dal marchese Tommaso Felice Ferrero della Marmora, fu costretto a sostare nella propria abbazia di S. Giusto a Susa «e, dopo un soggiorno di qualche tempo, gli fu permesso di ritornare a corte» (ibid., p. 177). La fine definitiva della reggenza (1684) e l’ascesa al trono di Vittorio Amedeo II riabilitò definitivamente Verrua, che venne nominato consigliere e ministro di Stato.

Negli anni di permanenza a Parigi Verrua combinò inoltre il matrimonio tra il nipote Augusto Manfredi Scaglia di Verrua e Jeanne Baptiste (Giovanna Battista) d’Albert de Luynes, figlia di Louis Charles, pari di Francia, che fu celebrato il 25 agosto 1683. Le relazioni tra il cinquantenne abate e la nipote acquisita furono piuttosto conflittuali. In un primo momento Verrua, che Louis de Rouvroy de Saint-Simon (1829) definì «fou d’amour pour sa nièce» (II, p. 482), sembrò spingere la giovane a cedere alle lusinghe di Vittorio Amedeo II, con lo scopo di far mantenere alla famiglia Scaglia una preminenza a corte, per poi biasimarne la condotta una volta che Giovanna Battista dal 1688 diventò l’amante del duca.

Nell’ambito della Guerra della grande alleanza (1688-97) e del progressivo allontanamento del ducato di Savoia dall’orbita francese, nella tarda primavera del 1690 Verrua venne inviato a protestare formalmente a nome del duca Vittorio Amedeo II contro la richiesta del comandante in capo delle armate francesi in Italia, Nicolas de Catinat de La Fauconnerie, di consegna delle piazzeforti di Torino e Verrua. La mediazione fallì e si aprì per gli Stati sabaudi un lungo ciclo bellico che si concluse soltanto con la Pace di Utrecht (1713).

Alla vigilia di un suo probabile incarico diplomatico alla corte di Vienna, Augusto Filiberto morì il 29 gennaio 1697 a Torino e venne tumulato il giorno successivo nella chiesa di S. Tommaso, luogo di sepoltura degli Scaglia dall’inizio del XVII secolo.

Verrua ingrandì il patrimonio immobiliare della famiglia acquistando nel marzo del 1686 nella regione Crocetta di Torino una grangia che fece trasformare in una vera e propria villa extra moenia, tuttora esistente. Per mezzo del testamento datato 23 gennaio 1697 istituì eredi il fratello Giacinto, a cui lasciò la villa della Crocetta, e il nipote Augusto Manfredi.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Biella, Archivi di Famiglia, San Martino di Baldissero e della Motta dei Conti - Scaglia di Verrua; Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie politiche per il rapporto all’estero, Negoziazioni, Francia, mzz. 14-15; Lettere Ministri, Francia, mzz. 107-110, 355-358; Materie politiche per il rapporto all’interno, Matrimoni della Real Casa, mz. 32.

L. de Rouvroy de Saint-Simon, Mémoires complets et autentiques du duc de Saint-Simon sur le siècle de Louis XIV et la Règence, II, Paris 1829, p. 482; D. Carutti, Storia del regno di Vittorio Amedeo II, Torino 1856, pp. 166-172; A. Della Marmora, Le vicende di Carlo di Simiane marchese di Livorno poi di Pianezza tra il 1672 e il 1706, Torino 1862, pp. 301-335; G. de Léris, La comtesse de Verrue et la cour de Victor Amédée II de Savoie, Paris 1881; L. Bulferetti, Sogni e realtà nel mercantilismo di Carlo Emanuele II, in Nuova Rivista storica, XXXVII (1953), pp. 91 s.; F. Avogadro di Vigliano, Gli Scaglia e Giovanna Battista d’Albert de Luynes VI contessa di Verrua, in Rivista biellese, VIII (1954), 4, pp. 45 s.; M. Cassetti, L’archivio S. Martino Scaglia, in Studi piemontesi, X (1981), 1, pp. 198-202; Id., Palazzo Scaglia di Verrua e l’isola di Sant’Alessio in Torino. Storie di case, di palazzi e di famiglie, Invorio 2009; M.G.B. di Savoia-Nemours, Memorie della Reggenza, a cura di C. Naldi, Torino 2011; T. Osborne, «Nôtre grand dessein». Il progetto di nozze fra Vittorio Amedeo II e l’infanta Isabella Luisa (1675-82), in Portogallo e Piemonte. Nove secoli (XII-XX) di relazioni dinastiche e politiche, a cura di M.A. Lopes - B.A. Raviola, Roma 2014, pp. 159-179; M.L. Bertini, La chiesa di Santo Stefano di Rivera. Dalla fondazione promossa dalla comunità e dall’abate commendatario A.F. S. di V., all’ingrandimento di metà Ottocento, in Segusium, LIV (2016), pp. 105-142.

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