CELSO, Aulo Cornelio

Enciclopedia Italiana (1931)

CELSO, Aulo Cornelio (Aulus Cornelius Celsus)

Enrico Bianchi

Scrittore enciclopedico romano del sec. I d. C. Della patria, della famiglia, della vita di C. non si sa nulla. Dal fatto che il nome Cornelius Celsus ricorre spesso in iscrizioni della Gallia Narbonese, e da una certa conoscenza della lingua gallica che apparisce qua e là nell'opera di lui, si può congetturare che in quella regione egli abbia avuto i natali e vi abbia trascorso la gioventù. Ignoriamo anche l'anno della nascita e della morte; ma si può stabilire con una certa sicurezza che la sua attività si sia svolta a Roma tra il 18 e il 39 d. C., sotto il regno di Tiberio.

Scrisse una specie di trattato enciclopedico, intitolato Artes, diviso in quattro parti: De agricultura, in cinque libri; De medicina, in otto libri; De rhetorica, in sette libri; De re militari, non si sa in quanti libri. Della prima, terza e quarta parte non ci restano che scarsissimi frammenti, dai quali non è possibile farci un'idea, neanche approssimativa, di come la materia fosse disposta e trattata; solo per i cinque libri sull'agricoltura possiamo congetturare che trattassero successivamente dei campi, del bestiame, degli uccelli domestici, delle api; quanto ai sette libri della retorica, non dovevano valere gran che, se Quintiliano, così acuto e preciso nei suoi giudizî, poté chiamare Celso "uomo di mediocre ingegno". Ci restano invece per intero gli otto libri dei De medicina, trattato completo di medicina e chirurgia, secondo le norme ippocratiche. Dopo un proemio nel quale si fa la storia dell'arte medica dalla guerra di Troia fino ad Asclepiade e si discutono questioni generali di metodo e di cura, la trattazione vera e propria comincia con una serie di norme per mantenere la salute (libro I); prosegue dicendo dei segni o sintomi, secondo Ippocrate (libro II); delle malattie di tutto il corpo (libro III); delle malattie delle singole parti del corpo (libro IV): dei medicamenti (libro V); dei vizî delle singole parti del corpo (libro VI); della chirurgia in genere (libro VII); della chirurgia delle ossa (libro VIII).

Il trattato, ottimo per il contenuto, per la disposizione della materia e per la lucidità dell'esposizione, segue rigorosamente le norme già dettate da Ippocrate e costantemente seguite dai suoi discepoli; ma, fatta eccezione per la forma, poco è il merito di Cornelio Celso, la cui fatica si ridusse a tradurre in latino un buon libro greco di medicina. Poiché, sebbene per lungo tempo si sia creduto altrimenti, Celso non fu un medico, ma uno scrittore che si propose di riunire in un sol trattato gl'insegnamenti utili all'esercizio di quattro delle arti e professioni più importanti, secondo una tradizione che risaliva, in Roma, a Catone il censore. Di quali autori si sia servito per la compilazione delle norme sull'agricoltura, sulla retorica e sulla strategia, non è possibile dire; per la medicina, si è a lungo creduto ch'egli abbia in parte tradotto e in parte riassunto gli scritti di Asclepiade, il dottissimo medico contemporaneo di Pompeo Magno; ma i recenti studî del Marx hanno messo in chiaro ch'egli deve aver piuttosto tradotto l'opera di un discepolo di Asclepiade, probabilmente di Tito Aufidio Siculo, buon medico e ottimo scrittore. Ignorante com'era dell'arte medica, è chiaro che Celso ben poco poté aggiungere di suo nella trattazione della materia; ma nello siile e nell'elocuzione si dimostrò scrittore forbito ed elegante, tanto più degno per noi di considerazione, in quanto è l'unico autore di medicina del buon tempo della letteratura romana. Per la sua supposta competenza della materia fu chiamato dai posteri latinus Hippocrates: elogio immeritato, dopo quanto abbiamo detto. Più giusto invece l'altro appellativo di medicorum Cicero, sebbene lo stile e la lingua di lui più che l'armoniosa abbondanza ciceroniana ricordino la limpida eleganza di Cesare. È del resto molto probabile che, scrivendo sotto Tiberio, egli abbia foggiato la sua prosa sull'esempio degli scrittori cari a quell'imperatore: Asinio Pollione e, soprattutto, Valerio Messalla. La migliore e più recente edizione di Celso è quella di F. Marx, A. Corneli Celsi quae supersunt, in Corpus Medicorum Latinorum, I, Lipsia 1915, con un'ampia e dotta introduzione.

Bibl.: M. Schanz, Geschichte der röm. Litteratur, II, ii, 3ª ed., Monaco 1913, p. 424 segg., con ricca bibliografia.

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