PERSIO Flacco, Aulo

Enciclopedia Italiana (1935)

PERSIO Flacco, Aulo (Aulus Persius Flaccus)

Augusto Mancini

Poeta latino, nato a Volterra il 4 dicembre del 34 d. C., da famiglia equestre, di cui si ha notizia (Mus. Guarnacci di Volterra, urna n. 231) fino dal sec. III a. C., morto il 24 novembre del 62. Il prenome etrusco era Aules, latinizzato in Aulus. Fonte biografica è la Vita Auli Persii Flacci, probabile sunto della vita premessa dal celebre grammatico contemporaneo Valerio Probo alla sua edizione commentata di Persio.

La vita. - P. perdette il padre a sei anni e appena dodicenne fu condotto a Roma, dove studiò col grammatico Remmio Palemone e col retore Virginio Flavo. Ma a sedici anni lo troviamo già presso Anneo Cornuto filosofo stoico, la cui amicizia e consuetudine Persio non lasciò se non con la vita. Non è senza interesse quanto si afferma dei rapporti di Persio con Seneca; ma P. conobbe tardi Seneca e non ne subì l'influsso, ciò che non meraviglia, data la differenza del carattere fra Persio, del tutto alieno dalla vita pratica, che vive solo delle sue dottrine e conosce il mondo per rifuggirne, e Seneca, grande figura che ha una vita combattiva e piena, caratteristica per lo sforzo non riuscito di dominare persone ed eventi. Natura mitissima, P. fu di una moralità impeccabile, di amore tenerissimo verso i familiari, i parenti e il maestro: morì a ventotto anni. Si ricorda anche la sua bellezza quasi virginale, accentuata in pseudoritratti di origine umanistica, ma nulla resta d'iconografia attendibile. Esecutore testamentario fu Cornuto che non accettò una somma legatagli (eredi furono la madre e la sorella) e tenne volentieri i libri, "libros circa septingentos Chrysippi sive bibliothecam omnem". Cornuto fece distruggere dalla madre di P. alcuni scritti giovanili (si ricorda un poemetto d'incerto titolo e un Odoeporicon, che si potrebbe porre in rapporto coi viaggi fatti da P. con Peto Trasea attestati dalla Vita), ritoccò qua e là (leviter) il testo delle satire, tolse alcuni versi dall'ultima rimasta interrotta sicché apparisse in qualche modo compiuta, e ne consentì l'edizione a Cesio Basso, poeta lirico al quale è dedicata appunto la sesta satira.

Le Satire. - Che tutta la produzione di Persio che parve degna di essere conservata, sia costituita appena da seicentosessantaquattro versi non fa meraviglia, se si pensi non tanto alla brevità della vita del poeta, quanto alla scarsa vena, già posta in rilievo dalla Vita: scriptitavit raro et tarde (il tarde non significa sero, ma "con fatica"). Alle sei satire in esametri precedono o seguono nella varietà della tradizione manoscritta e sono quindi prologo o epilogo, quattordici versi coliambi, della cui autenticità e integrità si è dubitato senza ragione. Concetto e forma hanno l'impronta caratteristica dell'autore delle Satire: ma è probabile che i quattordici coliambi non fossero scritti da P. come prologo alle Satire, e che Cornuto, trovatili fra le carte dell'amico, abbia loro dato questa non inopportuna sede e funzione. Delle sei satire la prima (vv. 134), che è verosimile sia anche la prima scritta (che sia stata scritta ultima, come taluno crede, sembra da escludersi per l'attestata incompiutezza della sesta) è d'argomento letterario, specialmente dal v. 63 alla fine, ma insieme di evidente intento etico, perché dimostra qual genere di poesia il secolo corrotto preferisca all'onesta e sana musa cara al poeta: ed onesta musa sono le cinque satire che seguono e che trattano, più o meno ex professo, un argomento di dottrina etica secondo la Stoa. La seconda (vv. 75), una fra le più lette e apprezzate dal mondo cristiano, ha per argomento il falso culto, a cui si oppone la purezza e l'intima onestà della coscienza, la sola cosa che degnamente si possa offrire agli dei. La terza (vv. 118) è contro le malattie morali della gioventù del tempo, che non sa apprezzare i benefici della dottrina stoica e si ride di chi vuole liberare i giovani dalla servitù delle passioni. La quarta (vv. 52) è sul tema del "nosce te ipsum" socratico. La quinta (vv. 191) svolge il tema della vera libertà, che è tutt'una cosa con la saggezza cioè con la filosofia, mentre la gente ha fuori e dentro di sé infiniti padroni. La sesta (vv. 80) ha per argomento le pretese e le impazienze degli eredi che impedirebbero a un galantuomo persino di aiutare un amico in bisogno.

La satira di P. è satira del costume e si ricongiunge direttamente alla satura luciliana, di cui forse più da vicino seguiva lo spirito: quanto a Orazio basta la semplice lettura per accorgersi di quello che essa gli debba. Ma troppo diversa è la tempra d'ingegno e di arte, ben altro il modo di sentire la vita e altri i tempi. Indubbiamente P. non ha il sereno umorismo di Orazio, vede la vita da un angolo ristretto, manca in lui, e in lui giovane, la gioia di vivere e manca il riso: il tono è di disgusto, la voce di condanna. Parimente non è dubbio che l'espressione di P. sia spesso faticosa e oscura, così nella composizione generale e nei passaggi, come nelle singole immagini e nel dettato. Ma d'altra parte l'oscurità di P. è stata esagerata, e il suo valore poetico, in tempi recenti, troppo recisamente negato ed escluso: alcune satire, come la seconda, la quarta, la sesta hanno una linea semplice e chiara, e in tutte, o quasi, ci si offrono situazioni e scene di buon effetto felicemente intuite e rappresentate. Né manca d'interesse letterario e storico e di nota personale la stessa lingua di P. Ma l'importanza e il significato della sua satira sta in ciò che egli è l'interprete di un contrasto di idee che viene maturando: insofferente della comune esteriore vita del suo tempo, P. vive già fuori della romanità e trova nel neostoicismo la soluzione dei problemi che saranno invece risolti dal cristianesimo.

Fortuna e fama. - Nobile, ricco, colto, impeccabile di costumi, P. è una figura interessante: ciò che contribuisce, al pari della sua fine immatura, a spiegarci il favore con cui la sua opera fu apprezzata dai contemporanei; ma la ragione vera non è esteriore e sta nel valore etico della satira e nella stretta aderenza ai tempi (senza volere troppo precisare si può bene ammettere che ne fosse colpita la società neroniana e lo stesso Nerone) e nei consensi spirituali che la posizione assunta da P. trovava. Si può dubitare se l'ammirazione di Lucano, di cui fa cenno la Vita, si riferisca a scritti non conservati, ma dell'interesse suscitato dalle satire è testimone la Vita stessa (c. 8: librum continuo mirari homines et diripere coeperunt), lo attesta Marziale (IV, 29: saepius in libro numeratur Persius uno, quam levis in tota Marsus Amazonide) e ampio riconoscimento ne fa Quintiliano (X,1, 94: multum et verae gloriae quamvis uno libro Persius meruit). Lo stesso Valerio Probo commentò P. e sembra anche Acrone: a commenti di uso consueto nelle scuole accenna S. Girolamo (Adv. Ruf., I, 16). E, oltre che nella tradizione grammaticale, lo studio di P. trova seguito e sviluppo nuovo negli scrittori cristiani, fino da Lattanzio; e per tutto il Medioevo P. è considerato come "aureus auctor", letto, diffuso, per excerpta, trascritto, commentato. Né diminuisce la sua fortuna col Rinascimento: i numerosissimi codici umanistici stanno a dimostrarlo. Quanto ai commenti, oltre quello che risulta dagli Scolî, si sa che Heiric d'Auxerre (sec. IX) illustrava nelle sue scuole P., Giovenale, Orazio, e fra gli umanisti commentatori di P. meritano ricordo il trecentista Paolo da Perugia, Tommaso Schifaldi (1461), Bartolomeo Della Fonte (1480), Giovanni Britannico (1481). Sorge durante il Rinascimento la tradizione, priva di base e dovuta solo a un'errata interpretazione dei vv. 6-9 della VI satira, che dà a P. come patria Luni.

Gli studî su P. non s' illanguidiscono nemmeno con lo sfiorire del Rinascimento: a vent'anni di distanza dall'edizione di Giovenale e di P. a cura del Pithou (1585) compare la grande edizione di I. Casaubon (1605): la preziosa bibliografia di M. H. Morgan dimostra la continuità degli studî sul poeta volterrano. D'altra parte poeti satirici moderni ne traggono spunti e motivi: basti ricordare il Parini.

Tradizione del testo. - P. ha una buona tradizione che esclude ogni seduzione di emendamenti. Se ne attribuisce il merito a Valerio Probo, la cui edizione è da ritenersi il fondamento delle due recensioni, rappresentata l'una, la più pura, dal Montepess. 125, sec. IX, fondamentale anche per Giovenale, detto P dal Pithou, che lo tenne a base della sua edizione; l'altra dai mss. della recensione sabiniana, che Flavio Giulio Trifoniano Sabino pubblicò nel 402 (Montepess. 212 A, sec. X; Vat. Arch. S. Petri 26, HB sec. IX). Appartiene alla recensione P il frammento Vaticano, proveniente da Bobbio, 5750 del sec. IV-V. Non del tutto inutile risulta, per saggi recenti, lo studio dei codici recentiores.

Excerpta e scolî. - Gli excerpta sono nella loro varietà un documento importante della fortuna di P.; e non senza interesse anche per la tradizione del testo, per il quale debbono essere studiati con criterî analoghi ai codici secondarî. Gli scolî ci sono conservati in duplice forma, quelli marginali e interlineari nei più antichi manoscritti e che risalgono a fonti antiche, anteriori nel complesso al sec. IV, e il cosiddetto Commentum Cornuti, nello studio del quale, se si sono avuti recenti notevoli contributi (Marchesi), troppo manca ancora perché si possano formulare conclusioni precise. Certo il processo di formazione del commento, del quale abbiamo anche varietà di redazioni, una più ampia, l'altra minore, se è nelle linee generali chiaro e con possibilità di raffronti con testi analoghi greci e latini, essendosi convogliati elementi diversi di origine, di età, di carattere, di valore, da antiche e preziose annotazioni a manipolazioni e aggiunte di epoca carolingia, che ci richiamano a Remy d'Auxerre, e ad ampliamenti seriori, presenta sempre difficili incognite, che non si possono risolvere senza una più ampia e precisa esplorazione del materiale conservato in numerosi manoscritti. Così si contendono il campo le più disparate ipotesi sull'origine e sul valore dell'attribuzione a Cornuto, sull'esistenza di uno o più maestri medievali che per dar credito ai proprî commenti avrebbero assunto il nome del filosofo maestro di P., sui rapporti fra il Commento a P. e gli scolî e la Cornuti expositio sopra Giovenale. Lo studio parziale della tradizione degli scolî e del Commento è prezioso, ma anche pericoloso per la seduzione delle illazioni.

Ediz.: Ed. princeps di Roma, senza data, forse del 1469, e, sembra, separatamente da Giovenale (1470) (cfr. Hain, 12.714). Classiche le edizioni del Pithou (1585); del Casaubon (1605), riprodotte più volte e, nel sec. XIX, da F. Dübner (Lipsia 1833); di O. Iahn (con gli scolî, Lipsia 1843), ridotta, ma migliorata in successive edizioni da F. Buecheler, 3ª ed., Berlino 1893, e da F. Leo, Berlino 1910. Seguono le edizioni Connington-Nettleship, 3ª ed. (Oxford 1893); Ramorino (Torino 1905); G. Albini (Bologna 1907); Owen (Oxford 1907); Consoli, 2ª ed., Roma 1911, con un diligente elenco di testimonianze su P. e di codici persiani), Villeneuve (Parigi 1918); Cartault, nella coll. Les Belles Lettres, 2ª ed., 1927; A. Mancini nella Bibl. della Rass. Volterrana (Volterra 1928).

Bibl.: M. H. Morgan, A bibliography of Persius, Cambridge 1909. Trattazioni generali: D. Nisard, Études sur les poètes latins de la décadence, I, 4ª ed., Parigi 1878; W.G. Teuffel, Studien und Charakteristiken, 2ª ed., Lipsia 1889; C. Martha, Un poète stoïcien, in Revue des deux Mondes, XLVII (1863); C. Marchesi, La libertà stoica romana in un poeta del sec. I, in Riv. d'It., 1906; Ch. Surnier, Le rôle des satires de Perse dans le développement du néo-stoïcisme, La Chaux-de-Fonds 1909; Fr. Villeneuve, Essai sur Perse, Parigi 1918; V. Gérard, Le latin vulgaire et le langage familier dans Perse, in Musée Belge, 1897; V. D'Agostino, De A. Persi Flacci Sermone, in Riv. Ind. Grec. It., 1928. - Per l'imitazione di Orazio è ancora fondamentale la trattazione del Casaubon (nell'ed. del 1615 e riprodotta dal Dübner); v. anche Th. Werther, De Persii Hortii imitatione, Halle 1883; per Lucilio v. G. C. Fiske, in Trans. of the Americ. phil. Assoc., XL (1910). - Per la fama di Persio nel Medioevo, M. Manitius, Gesch. d. lat. Lit. des Mittel, v. ind. s. v. persius. Per la tradizione mss.: J. Bieger, De Persii cod. Pithoeano recte aestimando, Berlino 1890; F. Nougaret, in Mélanges Havet, Parigi 1909; F. Ramorino, in Studi ital. di fil. class., XII (1904); K. Wotke e C. Hosius, Persius Excerpta, in Rh. Mus., XIV (1888). Per gli scolî: A. Berger, in Wiener Studien, XXXII (1910); C. Marchesi, in Rivista di filol., XXXIX (1911). Traduzioni italiane: del Monti (Milano 1826), del Tosi (Firenze 1901), del Milio (Messina 1905), del Mancini (Volterra 1928), del Gustarelli (Milano s. a.).