Vitèllio, Aulo

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Imperatore romano (n. 15 d. C. - m. 69), uno degli imperatori del periodo dell'anarchia seguente alla morte di Nerone (68-69). Poco dopo essere diventato governatore della Germania inferiore (69) fu acclamato augusto dalle proprie truppe in contrapposizione a Galba e poi a Otone, che sconfisse a Bedriaco, presso Cremona. Nello stesso anno fu a sua volta vinto da Vespasiano e ucciso.

Vita e attività

Di nobile famiglia, fu console (48) e proconsole in Africa. Da poco comandante della Germania inf., il 2 genn. 69 fu salutato imperatore dalla I legione, presto seguita dalle altre e da quelle della Germania super., ribelli contro Galba. All'annunzio della sostituzione di Galba con Otone (15 genn.), V. era già in marcia verso l'Italia. A lui aderirono la Gallia Belgica, la Lugdunense, la Rezia, l'Aquitania, la Gallia Narbonense, la Britannia e la Spagna. Con abile manovra militare, dovuta però soprattutto ai suoi luogotenenti, avendo diviso in due le sue forze, V. entrò in Italia, superando la debole resistenza di Otone, che fu poi battuto (metà aprile) presso Bedriaco e si suicidò. Tuttavia, V. non seppe sfruttare concretamente il successo, non avendo vere doti militari e non essendo in grado di rendersi conto della vicenda in cui era stato trascinato. Riconosciuto rapidamente dall'Oriente, dette inizio a una cattiva politica di vendetta sugli ex oppositori, e atteggiandosi, anche nei costumi, a successore di Nerone, scontentò tutti. Contro di lui le legioni del Danubio e dell'Oriente si accordarono sul nome di Vespasiano, salutato imperatore in Egitto (1º luglio 69). Privo dei legati migliori, o tradito da essi (come da A. Cecina), V. non fu in grado di opporre resistenza alle truppe del nuovo imperatore, guidate da M. Antonio Primo e il suo esercito venne sconfitto davanti a Cremona. A Roma, V. era pronto a cedere il potere al fratello di Vespasiano, Flavio Sabino, ma, costretto dal popolo a restare, organizzò una spedizione contro di lui, chiuso sul Campidoglio, nel corso della quale s'incendiò il tempio di Giove Capitolino. La sera stessa (20 dic. 69), vinte le ultime resistenze, Antonio Primo entrò a Roma e V., dopo aver tentato di fuggire, venne catturato e precipitato dalle gemonie.

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