BRANDOLINI, Aurelio Lippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BRANDOLINI, Aurelio Lippo

Antonio Rotondò

Nacque a Firenze nel 1454 circa da Matteo di Giorgio e da una certa Antonia. Di probabile origine veneta, la famiglia Brandolini si era stabilita a Firenze da circa due secoli e alcuni suoi esponenti vi avevano ricoperto cariche pubbliche di rilievo. Ma la sua agiatezza economica dovette poi a mano a mano decadere e fu forse questo il motivo del trasferimento di Matteo a Napoli insieme con la sua famiglia intorno al 1466. A Napoli il giovane B. attese ai primi studi, pur essendo fin dalla fanciullezza colpito da una quasi totale cecità. Alla corte napoletana, secondo quanto narra il fratello di lui Raffaele in una sua breve biografia, acquistò fama di poeta componendo versi estemporanei in latino e in volgare. Al periodo trascorso a Napoli risalgono, oltre ad alcune composizioni in versi in lode di Lorenzo de' Medici, Federico da Montefeltro e del musico ferrarese Pietrobono del Chitarrino, anche le prime opere in prosa: un volgarizzamento del Panegirico di Plinio Secondo a Traiano, dedicato a Ferdinando I nel 1478 circa, e l'orazione De rei militaris litterarumque dignitate affinitate et laudibus (anch'essa volgarizzata dall'autore), pronunciata a Capua come prolusione alle lezioni che il B. vi tenne nel 1478-79, chiamatovi "ad insegnar littere" appunto da Ferdinando.

Il Volgarizzamento è preceduto da un Proemio in cui il B., tessendo le lodi di Ferdinando, delinea l'ideale dell'ottimo principe secondo il modello già presente nella letteratura umanistica napoletana (ad esempio il Panormita) e la figura dell'"optimo servidore", che verrà più tardi definita in tutti i suoi aspetti dal Pontano e dal Carafa. Il rapporto fra signore e suddito è fondato su un assoluto disinteresse e su reciproco amore: munificenza da una parte, fedeltà dall'altra. Il volgarizzamento è condotto dal B. con particolare attenzione alla piena corrispondenza fra l'espressione latina e quella volgare pur nella consapevolezza della differenza fra le due lingue e della intraducibilità della "gintileza" di qualsiasi lingua (Proemio, f. 10v). Tali considerazioni riprendono la allora dibattuta questione della superiorità o meno del latino rispetto al volgare, che il B. risolve assegnando al volgare la funzione di avvicinare le "litterae" ad un più vasto Pubblico (Praefatio al De rei militaris, ff. 3v-4r).

Nell'orazione De rei militaris litterarumquedignitate il B. tratta un problema vivamente sentito nell'ambiente culturale napoletano: l'importanza delle lettere e della disciplina militare e lo stretto rapporto di interdipendenza fra loro. Queste due "arti" sono per lui fondamento e salvaguardia della società: la guerra non è solo dimostrazione di grandezza d'animo, ma è "salutifera" perché serve a conquistare e conservare l'ordine e la giustizia necessarie alla vita sociale; le lettere non solo rendono gli uomini "alli immortali iddei proximi et vicini" (f. 61v), ma soprattutto sono la base della "sapientia" da cui traggono origine le leggi, fondamento della società (f. 66rv); esse sono indispensabili al capitano per guidare con avvedutezza la guerra o le trattative di pace e per sostenere l'animo dei soldati parlando loro con eloquenza "dell'iddei immortali, della carità, della patria, della pietà, della constantia, della fede" (f. 76r).

Intorno al 1480 il B. si trasferì a Roma, dove almeno per qualche tempo godette del favore di Sisto IV e poi di Innocenzo VIII e della stima di alti prelati fra i quali Marco Barbo e Giuliano Della Rovere. A Roma completò una raccolta di poesie latine in onore di Sisto IV e della sua corte: fra le usuali adulazioni s'incontrano anche interessanti testimonianze sull'energica opera di rinnovamento edilizio condotta da Sisto IV e sulla munificenza con cui il papa promosse la ripresa della vita culturale riaprendo l'Accademia Romana, di cui fece parte, anche il B., e incrementando e aprendo al pubblico la Biblioteca Vaticana. Al fervore di studi filologici di quegli anni sono da collegarsi i Georgicorum carminis commentarii, che il B. scrisse probabilmente sotto l'influenza dell'insegnamento di Pomponio Leto. Sull'esempio del Leto, imposta il commento virgiliano secondo il nuovo metodo umanistico, sostituendo le divagazioni scolastiche e le citazioni di autori medievali con l'interpretazione letterale del testo e le citazioni degli antichi scoliasti e di gran numero di autori latini e greci, da cui trae notizie "antiquarie" su tutti gli aspetti della vita del mondo classico. Al periodo romano (1486) risale anche la Oratio pro Antonio Lauredano che, pur non essendo stata pronunciata al processo cui fu sottoposto l'ambasciatore veneto, è di notevole interesse per la storia dell'eloquenza umanistica, in cui sono rari gli esempi di oratoria giudiziaria.

Dopo un fallito tentativo di farsi chiamare a Firenze da Lorenzo de' Medici per divenirvi abate del convento di S. Trinita (lettere a Lorenzo del 17 e 26 giugno 1488), nel 1489 il B. lasciò Roma per Buda per insegnarvi rhetoricam, forse chiamatovi da Mattia Corvino tramite l'ambasciatore ungherese a Roma Giovanni Vitéz. Alla corte ungherese rimase fino alla morte di Mattia, i cui favori poté godere solo per pochi mesi e al quale dedicò le due opere più importanti composte in quel periodo: il De humanae vitae conditione et toleranda corporis aegritudine e il De comparatione reipublicae et regni.

Nel De humanae vitae conditione ilB. affronta un problema già ampiamente discusso dalla cultura umanistica, in particolare a Napoli: il problema del valore della vita umana e della "dignità dell'uomo". Gli interlocutori del dialogo sono lo stesso Mattia, dal quale il B. fa difendere la tesi della miseria della vita umana, e l'ambasciatore di Ferdinando I in Ungheria, Pietro Ransano, che tesse l'elogio dell'uomo ed esprime il pensiero dell'autore. Particolarmente evidente è l'influenza del dialogo De dignitate et excellentia hominis di Giannozzo Manetti, da cui il B. riprende le argomentazioni sia per confutare il trattato di Innocenzo III De miseria humanae conditionis, sia per sostenere l'immortalità dell'anima contro i filosofi che la negano o la mettono in dubbio. Sull'esempio del Manetti, il B. svolge ampiamente i temi della centralità dell'uomo nell'universo, della sua partecipazione alle virtù divine della sapienza, bontà, potenza, intelligenza, della perfezione dell'essere umano nell'armonica fusione di elementi materiali e spirituali.

Il De comparatione reipublicae et regni, scritto per ammaestramento del figlio di Mattia, Giovanni, risente dell'influenza del trattato Dei doveri del principe di Diomede Carafa. In esso viene abbandonato il tipo della trattazione tradizionale come descrizione ed enumerazione didascalica delle virtù dell'"optimus princeps". I temi centrali del dialogo sono la crescita e decadenza degli Stati e il miglior modo di organizzare in essi la giustizia, il sistema fiscale, il commercio, le milizie. La trattazione non è condotta solo sul piano della teoria ma, col continuo riferimento alla realtà politica contemporanea, affronta le diversità di organizzazione politica civile ed economica esistenti fra una concreta monarchia e una concreta repubblica: l'Ungheria e Firenze. La difesa delle due forme di governo è affidata a Mattia e al fiorentino Domenico Giugni, consigliere regio. Il primo porta a sostegno della monarchia i tradizionali argomenti della sua maggior forza, unità e giustizia e della sua somiglianza al regno di Dio. Il Giugni, al quale anzitutto non sembra argomento pertinente la somiglianza tra monarchia e regno di Dio, sostiene la superiorità della repubblica esaltandone la libertà, l'autogoverno, la vivacissima attività economica. Nonostante in generale il B. mostri simpatia per le istituzioni repubblicane, egli tuttavia dà la preferenza alla monarchia, non per motivi dedotti dalla tradizione scolastica, ma perché gli pare l'unico governo in grado di sedare le lotte civili e di frenare gli arbitri e le violenze (ibid., p. 158).

Tornato in Italia, il B. insegnò a Firenze e a Pisa nel 1490-91 (Arch. di Stato di Firenze, Deliberazioni circa lo Studio fiorentino e pisano dal 1484 al 1492, ff. 197rv-201r, 219r). A Firenze, sotto l'influenza di fra' Mariano da Gennazzano, entrò nell'Ordine degli agostiniani intorno al 1491 e negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla predicazione. Di questa sua attività, che lo portò in varie città d'Italia, ci restano alcune Orazioni latine nelle quali l'argomento religioso è lo spunto per una elaborata ricerca di eleganza formale. Durante uno di questi viaggi il B. si ammalò e morì di peste a Roma nell'ottobre del 1497.

Opere: De laudibus Laurentii Medicis libellus, in Carmina illustrium poetarum italorum, Florentiae 1719, pp. 439-453, e in G. Roscoe, Vita di Lorenzo de' Medici, Pisa 1799, III, pp. XVII-XXXII; Elegia in onore di Federico da Montefeltro, in A. Cinquini, Il cod.Urb. lat. 1193, in Classici e neolatini, VI (1910), pp. 26-28; Parigi, Bibl. Nazionale, cod. Ital. 616, Traductione del panegirico di Plinio;Parigi, Bibl. Nazionale, cod. Lat. 7860, Oratio de rei militaris litterarunque dignitate affinitate et laudibus;Lucca, Bibl. Capitolare, cod. Lat. 525, Libellus de laudibus musicae et Petriboni Ferrariensis, ff. 175v-184r (la prefazione e i sei epigrammi che lo accompagnano in T. De Marinis, La Bibl. napoletana dei re d'Aragona, Milano 1952, II, p. 75); Lippus B. in laudem Antonii Squarcialupi, in A. M. Bandini, Catalogus codicum manuscriptorum Bibl. Leopoldinae Laurentianae, III, Florentiae 1791, col. 250; Roma, Bibl. Nazionale, Fondo SS. Giovanni e Paolo, n. 7; Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 5008 e Urb. lat. 739; Vienna, Bibl. Naz., Pal. Vind. lat. 3324, n. 112 (contenente solo una parte dell'opera), De laudibus Beatissimi Patris Sisti IIII P. M. Molte poesie sono pubblicate in E. Müntz, Les arts à la cour des papes pendant le XV et le XVI siècle, Paris 1982, III, passim; De morte Platinae, in B. Platino, De vitis magnorum Pontificum historia, Venetiis 1511, Iiiii rv, e in D. A. Gandolfo, Fioripoetici dell'eremo agostiniano, Genova 1682, pp. 65-66; Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 2740, Georgicorum carminis commentarii;Bibl. Apost. Vat., Reg. lat. 1368, Oratio pro clarissimo viro Antonio Lauredano oratore veneto ad Principem et Senatum Illustrissimum;Venezia, Bibl. Nazionale Marciana, cod. Lat. cl. XII, n. CCX, ff. 2r-4v, Lippi Florentini extemporales versus;Roma, Bibl. Angelica, Fondo antico 1503, Lippi B. pro Laurentio Iustino equite et iureconsulto praestantissimo oratio in funere eius habita, ff. 216r-227r; De humanae vitae conditione et toleranda corporis aegritudine ad Mathiam Corvinum Dialogus, Basileae 1498 (ibid. 1540, 1541, 1543; Vindobonae 1541; Parisiis 1562; ultima ed. a cura di E. Abel in Irodalomtörténeti Emlékek, II[1890], pp. 1-75, che segue l'ed. Basilea 1541 e ne riporta la prefazione di Martino Brennero); De comparatione reipublicae et regni, a cura di E. Abel, in Irodalomtöténeti..., II (1890), pp. 77-183; De ratione scribendi libri tres, Basileae 1498 (ibidem 1543, 1549, 1565, 1585; Coloniae 1573; Romae 1735). Siena, Bibl. Comunale, cod. H. VI, 30, fasc. I, Oratio in cena domini, ff.120r-124v; Parigi, Bibl. Nazionale, cod. Lat. 8315, Carmina extemporalia Lippi Aureli Thusci, ff. 89r-97r; Oratio de virtutibus D. N. Iesu Christi nobis in eius passione ostensis, Romae 1496 (ibid. 1596; Coloniae 1645); Bibl. Apost. Vat., Ottob. lat. 121 (mutilo) e 438, e Cremona, Bibl. Governativa, ms. III, Epithoma in sacram Hebraeorum historiam; Oratio pro S. Thoma Aquinate (attribuita al fratello Raffaele dal Tiraboschi, IV, 3, p. 884), Romae, E. Silber, s.d.; Bibl. Apost. Vat., Reg. lat. 1558, e Roma, Bibl. Angelica, cod. 2293, Grammatices rudimenta; Paradixorum Christianorum libri duo ad Mathiam Corvinum, Basileae 1498 (ibidem 1543; Romae 1531; Coloniae 1573). Restano inoltre alcune lettere: una al Poliziano (in A. M. Bandini, Catalogus codicum Bibl. Mediceae Laurentianae, III, Florentiae 1775, coll. 536 s.); due a Lorenzo de' Medici (Firenze, Arch. di Stato, Carte Strozziane, s. 1, 137, ff. 131-132); una a Niccolò da Correggio e una a Giulio Cappello (Modena, Arch. di Stato, Letterati, busta 11); una a Piero Dovizi da Bibbiena (Firenze, Arch. di Stato, Mediceo avanti il Principato, filza 72, n. 107); una di Giorgio Valla al B. (Bologna, Bibl. Universitaria, Misc. Tioli, XIX, pp. 114 s.); due di Ermolao Barbaro al B. (E. Barbaro, Epistolae,orationes et carmina, a cura di V. Branca, Firenze 1943, II, epp. 89 p. 13; 144, p. 63).

Fonti e Bibl.: Roma, Bibl. Casanatense, ms. 805, Raphaelis B. Lippi iunioris De musica etpoetica opusculum, ff.84v-87v; M. Bosso, Familiares et secundae epistulae, Mantuae 1498, epp. 75 e 83; S. Corrado, Epistula ad Regienses, prefazione al De ratione scribendi, Basileae 1549; G. F. Foresti (Bergomense), Supplementum supplementi Cronicarum, Venetiis 1506, p. 437; D. A. Gandolfo, Dissertatio historica de ducentis celeberrimis Augustinianis scriptoribus, Romae 1704, pp. 85-89; G. M. Crescimbeni, Istoria della volgarpoesia, Venezia 1730, III, pp. 296 s.; F. Fogliazzi, Raphaelis B. Lippi jun. Dialogus Leo nuncupatus, Venetiis 1753, introd.; G. M. Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2013-2017; J. F. Ossinger, Bibl. Augustiniana, Ingolstadii et Augustae Vind. 1768, pp. 152-157; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, Venezia 1796, pp. 879-884; G. Bottiglioni, Lalirica latina in Firenze nella seconda metà delsec. XV, Pisa 1913, pp. 104-111; L. Thorndike, Science and thought in the fifteenth century, New York 1929, pp. 233-260; G. De Luca, Unumanista fiorentino e la Roma rinnovata da SistoIV, in La Rinascita, I (1938), pp. 74-90; D. A. Perini, Bibl. Augustiniana, Firenze 1929, I, pp. 149-155; E. Mayer, Un umanista fiorentino alla corte di Mattia Corvino, in Studi e doc. italo-ungheresi dell'Accademia d'Ungheria di Roma, II 1938, pp. 123-167.

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