Autismo

Dizionario di Medicina (2010)

autismo


Disturbo neurocomportamentale (detto anche sindrome di Kanner) di tipo pervasivo che interessa più aree dello sviluppo del bambino (comunicativa, sociale, cognitiva), tanto che, nell’accezione psicodinamica, si parla di un disturbo dello sviluppo del pensiero e dell’affettività. Il termine autismo deriva dal greco autós («sé stesso ») e indica l’autoreferenzialità, la negazione dell’altro e di ciò che è differente da sé, e quindi la mancanza del senso della realtà. Attualmente, nella considerazione che molti quadri sintomatici differenti vengono designati (talvolta impropriamente) con tale termine, si preferisce parlare di disturbi dello spettro autistico, come pure di disturbi pervasivi dello sviluppo, o – secondo il Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali dell’American psychiatric association (DSM-IV) – di disturbi generalizzati dello sviluppo (➔), annoverando fra questi la sindrome di Asperger, il disturbo disintegrativo dell’infanzia, ecc. La prevalenza delle forme di a. vero e proprio è, dunque, piuttosto bassa: si parla di uno o due bambini ogni diecimila. Le altre forme di disturbi dello spettro autistico – più lievi e per le quali si ipotizzano fra i fattori di rischio quelli socioambientali – sembrano, invece, essere in aumento. Attualmente, possono arrivare sino a oltre venti, trenta, bambini ogni diecimila, mentre la diffusione tra i maschi risulta di quattro volte maggiore rispetto alle femmine. La diagnosi deve essere accertata esclusivamente in ambito specialistico e può essere formulata già fra i due e i tre anni e mezzo, quando cioè diventa più evidente l’assenza, o la carenza, del linguaggio e di qualsiasi altra forma di comunicazione visiva o gestuale; oppure quando si assista a una improvvisa perdita, da parte del bambino, delle capacità in precedenza acquisite o comunque si manifestino comportamenti tali da far sospettare un disturbo dello spettro autistico (➔ sviluppo, disturbi generalizzati dello).

Il percorso dell’autismo

Sia Leon Kanner nel 1943 sia Hans Asperger nel 1944 parlarono dell’a. come di una sindrome dovuta a una condizione organica, sebbene in un primo momento Kanner avesse annoverato, fra le cause, anche componenti psicologiche quali l’inadeguatezza dell’affetto materno. Successivamente, tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso, grazie ai pionieristici lavori di alcuni psicoanalisti, un crescente interesse si rivolse alle particolari anomalie che si riscontravano nei bambini e nelle persone affette da autismo. In tale ambito, hanno trovato grande sviluppo le ricerche sull’attaccamento, sull’attività mentale precoce (infant research), sull’osservazione delle prime interazioni fra mamma e bambino (infant observation),le ricerche cognitiviste sullateoria della mente e le indagini mediche epidemiologiche, genetiche e di neuroimaging. Si è quindi giunti a un’opinione abbastanza condivisa di un’eziologia multifattoriale dell’a., ove esistano concomitanti fattori organici e fattori psicologici.

Ipotesi a confronto

Furono i lavori di Frances Tustin a modificare completamente la visione psicoanalitica dell’autismo. Si abbandonarono, infatti, sia le ipotesi formulate da Margaret Mahler, che cercava di comprendere il funzionamento autistico come una regressione a uno stato di a. primario ritenuto normale nel neonato, sia le celebri tesi di Bruno Bettelheim, che indicavano come causa della sindrome i rapporti primari dei piccoli con madri così affettivamente distanti da essere denominate ‘madri frigorifero’. La Tustin collega piuttosto questa sindrome al trauma della separazione, vissuta dal bambino come un evento devastante, carico di angosce e terrori insostenibili, a causa non solo di una eccessiva fusionalità con la madre ma di una predisposizione costituzionale che rende il bambino più fragile di altri, incapace di tollerare il normale alternarsi di presenza e assenza della figura materna. Anche Donald Meltzer propenderà per tale ipotesi, elaborando visioni originali sulla forma di pensiero ‘smantellato’: ciò significa che, a causa di un fallimento delle funzione primaria di contenimento, l’oggetto esterno viene scomposto dal bambino, così che questi coglie sensorialmente dell’oggetto una sola componente con la quale tende a fondersi, senza poi alcuna possibilità di ricomporre e rappresentare l’oggetto nella sua interezza. Attualmente, molti analisti insistono sulla centralità del padre nonché sulla nozione di campo relazionale fra madre e bambino, mentre le teorie sistemiche – che stanno alla base delle terapie familiari – continuano ad attribuire un ruolo preponderante all’intera famiglia del bambino autistico. Interessanti anche le ipotesi che nelle varie teorie della mente attribuiscono le cause dell’a. ora a un deficit semantico, cioè a una carenza nelle capacità metarappresentative di ‘rappresentarsi le rappresentazioni’, ora (soprattutto da parte del costruttivismo) a una congenita incapacità generale di costruzione e di revisione teorica. Di recente poi, la scoperta dei neuroni specchio aveva fatto pensare all’a. come a un deficit degli stessi neuroni specchio (per gli autistici sembra, infatti, difficile comprendere le intenzioni dei movimenti altrui). Ma le numerose riflessioni critiche sulla capacità umana di rappresentarsi gli stati psicologici (credenze, intenzioni, desideri, emozioni) e di ascriverli ad altri (il cosiddetto mindreading, che va molto al di là del meccanismo dei neuroni specchio) ha molto ridimensionato l’importanza di tale ipotesi.

Trattamento dell’autismo

Un tempo si pensava all’a. come a una malattia non guaribile: in realtà si è visto che la diagnosi precoce, un intervento personalizzato e flessibile, integrato e multimodale (alla luce delle teorie su accennate), e, infine, un’attenzione agli aspetti educativi, possono portare, soprattutto nelle forme più lievi, a un esito positivo, purché ci sia una modulazione dell’intervento nel tempo e una corretta integrazione tra servizi sanitari e sociali durante il percorso evolutivo e nel delicatissimo passaggio all’età adulta.

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