AUTOCLAVE

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

AUTOCLAVE (dal gr. αὐτός "stesso" e dal lat. clavis "chiave")

Arturo CASTELLAZZI

Conformemente all'etimo, questo termine (anche caldaia autoclave) si riferisce in senso stretto a un recipiente ermetico, atto a sopportare una pressione interna ottenuta in maniera qualsiasi, e provvisto di un coperchio, che serve all'introduzione degli oggetti o sostanze che debbono essere trattate, congegnato in modo da mantenersi chiuso per effetto della pressione interna.

Nel modo più semplice questo risultato si ottiene facendo il coperchio più ampio dell'orificio da chiudere e interponendo fra i bordi del coperchio applicato dall'interno del recipiente e dell'orificio una guarnizione elastica destinata ad assicurare la tenuta (fig. 1); aumentando la pressione nell'interno del recipiente, essa contribuirà ad assicurare sempre meglio la tenuta; tanto il coperchio quanto l'orificio hanno sezione ovale, per rendere possibile l'estrazione del coperchio.

Se l'orifizio è a sezione circolare, ma di piccole dimensioni, si può ottenere la chiusura autoclave con coperchio o tappo estraibile per mezzo di opportuni artifici, come, ad es., nel tappo autoclave tipo Simonis e Lanz. In esso orifizio e tappo hanno i bordi conici, finemente lavorati. L'introduzione del tappo dall'esterno è resa possibile da due coppie d'intaccature diametrali, praticate rispettivamente nei bordi del foro e del tappo, le quali si approfondano fino al diametro medio delle superficie coniche di combaciamento.

I tipi di chiusura sopra descritti non si prestano che per aperture di dimensioni modeste, che vanno da pochi centimetri di diametro per i fori circolari a sezioni ovali di cm. 40 × 50 al massimo; pertanto, mentre il loro impiego è estesissimo nei passi d'uomo e nei fori d'ispezione delle caldaie a vapore, raramente essi si riscontrano nelle autoclavi per uso industriale. Anche quelle per laboratorio di piccole dimensioni sono più frequentemente provviste di altri tipi di chiusura, come vedremo in seguito, sacrificando così il vantaggio della chiusura automatica alla più facile manovra del coperchio.

Nella generalità delle autoclavi la chiusura degli orifici si ottiene con tappi a vite nel caso di fori di piccole dimensioni e di pressioni altissime, oppure più generalmente con coperchi di dimensioni alquanto maggiori della luce netta dell'orificio, che vengono sovrapposti a quest'ultimo e fissati in posto con una serie di bulloni. Salvo casi eccezionali di piccoli diametri, la tenuta non viene assicurata per combaciamento perfetto fra metallo e metallo; si applicano invece delle guarnizioni elastiche di cartone di amianto, gomma con inserzioni di tela e simili, e talvolta anche anelli metallici di piombo o rame. Per le pressioni limitate la guarnizione è piana ed appoggia sui bordi bene spianati ed eventualmente provvisti di piccole scanalature circolari; quando la pressione è notevole - superiore a quattro o cinque atmosfere - la guarnizione piana corre il rischio di essere espulsa, e allora è preferibile l'impiego di guarnizioni incassate in una scanalatura a sezione rettangolare, praticata di solito nel bordo dell'apertura, e premute dentro di essa da un risalto del coperchio (fig. 2).

Di manovra rapidissima e assolutamente sicura nell'esercizio è la chiusura a baionetta rappresentata dalla fig. 3, che si è introdotta negli ultimi anni. In essa il bordo del coperchio è provvisto di denti a cuneo che sporgono, mentre l'orlo dell'apertura presenta un'incassatura che si apre verso l'interno e il cui bordo superiore è interrotto a tratti, in modo da permettere l'ingresso ai denti del coperchio. Appostato quest'ultimo, gli si dà una piccola rotazione impegnando così i denti entro l'incassatura e fissando in posto il coperchio. Con questo sistema di chiusura le ordinarie guarnizioni non servono, poiché non possono essere sufficientemente compresse e comunque si deteriorerebbero rapidamente per la rotazione del coperchio; vengono quindi sostituite da guarnizioni automatiche, che fanno tenuta sotto la pressione interna. Si può usare un anello di Brahma, oppure anche semplicemente un angolare di tessuto gommato.

Svariatissimi sono i tipi di autoclavi impiegate nei laboratorî e nell'industria chimica, a seconda della loro speciale destinazione. Citiamo, in via di esempio, autoclavi per sterilizzare recipienti e materiale di medicazione, per la saponificazione dei grassi, per la sbianca e tintura dei tessuti, per lisciviare cenci destinati a fabbricare carta (v. carta, IX, p. 190), per il trattamento del legno nell'industria della cellulosa, per la produzione di benzina e petrolio col processo Bergius, per svariati procedimenti di sintesi dell'ammoniaca, per impregnare legnami con sostanze preservative, per vulcanizzare la gomma elastica, per fabbricare i mattoni di sabbia e calce noti sotto il nome di arenoliti, ecc. Secondo il parere dei tecnici, l'impiego delle autoclavi andrà vieppiù estendendosi, di mano in mano che la disponibilità di materiali più resistenti permetterà di affrontare pressioni sempre più alte.

Infatti lo scopo dell'autoclave è nella grande maggioranza dei casi quello di sottoporre le sostanze amorfe o le miscele di sostanze, o anche oggetti già formati, a pressioni più o meno alte, generalmente accompagnate da forte temperatura, che permettano di realizzare reazioni chimiche che non si verificherebbero a pressione e temperatura ordinarie, o per lo meno di renderle più celeri.

Per creare la pressione e la temperatura necessarie per le diverse operazioni che si debbono eseguire, si usano mezzi diversi. Assai frequentemente s'immette nelle autoclavi vapore acqueo prodotto da apposite caldaie, facendolo eventualmente gorgogliare attraverso le sostanze liquide o pastose che debbono essere lavorate. Se la materia è suscettibile di evaporare in tutto o in parte, si può invece procedere al suo riscaldamento per via indiretta, creando cosi la pressione opportuna. In tal caso questo riscaldamento può essere effettuato a fuoco diretto con fornelli a carbone o meglio a gas, oppure immergendo l'autoclave in un bagno mantenuto a temperatura opportuna. Per ottenere alte temperature si usano bagni di olio o di metalli fusi. Assai più comune è il riscaldamento indiretto con vapore, che si ottiene rivestendo con un mantello l'autoclave o anche praticando dei vani nelle pareti e immettendo il vapore nelle cavità così ottenute; più semplice è immergere nella massa da trattare delle serpentine di tubo metallico percorse dal vapore oppure da acqua caldissima, che viene fatta circolare in modo continuo per mezzo di pompe. Utili servigi può rendere anche il riscaldamento elettrico, ottenuto con resistenze attraversate dalla corrente, per la grande facilità di regolare la emissione di calore.

Come esempî di moderne autoclavi illustriamo nella fig. 4 un'autoclave con riscaldamento a gas e nella fig. 5 un'autoclave con riscaldamento elettrico, usata per il saggio dei catalizzatori. L'autoclave della fig. 4 è costituita da un tubo d'acciaio senza saldatura, che presenta superiormente un'apertura pari all'intera sezione. Il coperchio viene serrato con bulloni a una flangia e la tenuta è assicurata dal combaciamento dell'orlo conico dell'autoclave (A) con una gola pur essa conica, ma con angolo minore, praticata nella superficie inferiore del coperchio; questo porta il manometro per il controllo della pressione, la valvola d'entrata e quella d'uscita del gas, un foro per la canna del termometro. Per una migliore utilizzazione del calore l'autoclave è fornita di mantello di protezione (M). L'autoclave della fig. 5 può sopportare pressioni fino a 200 atmosfere con temperature fino a 600° e, con speciali cautele, sin anche a 1000°. Il catalizzatore viene collocato entro il tubo centrale tra due setacci di amianto; al disopra di esso viene addotto, entro il tubo, il gas riscaldato elettricamente. L'intercapedine fra il tubo e le pareti è isolata con riempimento di amianto. Particolare cura richiede in questa autoclave la regolazione del gas, che si consegue mediante una spina conica molto appuntita.

Per la costruzione delle autoclavì s'impiega di solito la lamiera di ferro omogeneo per il fasciame e per il fondo fisso; i coperchi sono ordinariamente di ghisa o di acciaio fuso, come l'anello fisso sul fasciame che serve per fissarvi il coperchio. Le giunzioni delle lamiere si fanno con chiodatura, ma preferibilmente vengono saldate a gas d'acqua per meglio assicurare la tenuta, compromessa dal tormento al quale il giunto viene sottoposto in seguito ai ripetuti riscaldamenti e raffreddamenti successivi dell'apparecchio, che provocano ineguali dilatazioni. Le autoclavi di piccole dimensioni possono essere anche di ghisa o meglio di acciaio fuso, o ricavate per fucinatura da un pezzo massiccio, quando le pressioni in giuoco sono altissime. La ghisa è sempre poco consigliabile anche per gli anelli di bordatura dei coperchi, a cagione della sua fragilità. Il calcolo delle autoclavi si fa come per le caldaie a vapore.

Quando le sostanze da lavorare intaccassero il ferro, esso viene sostituito talvolta con altri metalli, come il rame e l'alluminio; più frequentemente però si protegge la superficie interna con rivestimenti opportuni: smalto, lastre di piombo, vernici protettive, rivestimenti di mattoni speciali o piastrelle, ecc. Molto utile in certi casi è la metallizzazione della superficie, ottenuta col processo Shoop, che permette di far aderire uno strato più o meno spesso di alluminio, zinco, rame, ecc.

Completa le autoclavi una serie di accessorî, necessarî in ogni caso: tali sono il manometro e la valvola di sicurezza per il controllo della pressione. Spesso si applicano anche una valvola di riduzione per regolare la pressione con la quale viene introdotto il vapore, termometri per il controllo della temperatura, indicatori di livello, finestre d'ispezione provviste di vetro, scaricatori del vapore condensato, tuberie diverse per l'introduzione delle sostanze da trattare o dei reagenti e per estrarre eventualmente l'aria quando si deve lavorare nel vuoto - per impregnazione di legnami, tessuti, avvolgimenti di macchine elettriche - sportelli di visita e per il carico e scarico di materie solide, ecc.

A seconda del bisogno possono esistere dispositivi speciali per il movimento dei coperchi, che spesso vengono fissati a cerniera nelle autoclavi orizzontali, oppure vengono sollevati a mezzo di arganello in quelle verticali.

Alcune autoclavi sono provviste di agitatori messi in moto dall'esterno oppure di congegni speciali per mettere le autoclavi stesse in movimento di rotazione; esistono pure autoclavi portatili montate su carrelli che si adattano a servizî di disinfezione.

Molto interessanti per i tecnici sono la regolazione della temperatura e della pressione nell'interno delle autoclavi, per mantenerle entro i limiti richiesti dalle varie operazioni, come pure l'uniformità della temperatura nell'interno e l'economia di esercizio. Il riscaldamento per immersione in un bagno assicura di solito la maggiore costanza della temperatura; quando il riscaldamento è fatto con fornelli, bisogna agire sul fuoco.

Se s'impiega come mezzo di riscaldamento il vapore d'acqua, la temperatura è legata univocamente alla pressione - dovendosi evitare sempre l'impiego di vapore surriscaldato - e in tal caso si regola la pressione strozzando più o meno con manovra a mano il rubinetto d'immissione del vapore. In modo più preciso agiscono gli apparecchi automatici, che regolano l'afflusso del vapore e lo scarico dell'acqua condensata basandosi sulla temperatura; questi apparecchi, dei quali esistono tipi perfettissimi, sono spesso provvisti di dispositivi registratori scriventi che permettono di controllare l'andamento delle operazioni.

A rendere uniforme la temperatura provvedono gli agitatori quando le sostanze sono liquide o pastose; se invece nell'autoclave s'introducono oggetti che verranno riscaldati a vapore per contatto diretto, l'uniformità della temperatura o meglio della trasmissione di calore ai varî oggetti è ostacolata dall'acqua di condensa e da quantità anche piccole di aria o altri gas, che eventualmente si sviluppano durante l'operazione, e si distribuiscono in modo disuniforme sulle superficie. Per evitare questi inconvenienti non esistono ancora mezzi sicuri.

L'economia di funzionamento richiede che venga ridotto al minimo il calore che l'autoclave diffonde verso l'esterno e pertanto si cura il rivestimento di ogni parte con materiale isolante. Se poi l'apparecchio viene impiegato per riscaldare oggetti disposti nell'interno si farà in modo da utilizzare al massimo lo spazio disponibile, riducendo così le dimensioni dell'autoclave e in conseguenza i relativi disperdimenti delle pareti.

Le autoclavi possono presentare, come le caldaie a vapore, pericolo di scoppio e pertanto i rr. decreti 9 luglio 1926, n. 1331, e 12 maggio 1927, n. 284, dispongono che, qualora la capacità sia superiore a litri 25 e la pressione oltrepassi quella atmosferica, siano soggette alla sorveglianza dell'Associazione nazionale per il controllo della combustione e alle particolari norme costruttive e di esercizio sancite dai decreti citati. L'obbligo principale consiste nel denunciare entro dieci giorni dall'inizio di costruzione o di riparazione ogni apparecchio; anche la messa in esercizio e le avarie che si verificassero nel corso di esso debbono essere tempestivamente segnalate, sotto pena di gravi sanzioni.

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