Autovalore

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2008)

autovalore

Luca Tomassini

Tanto in algebra quanto in analisi, si è frequentemente condotti a definire e a calcolare delle funzioni (inverso, potenze, esponenziali ecc.) di un endomorfismo A:VV di uno spazio vettoriale V sul campo dei numeri complessi ℂ. A questo fine, è utile determinare le rette di V stabili per A e si è così condotti alla nozione di autovalore e autovettore. Più precisamente, si dice che un elemento non nullo x di V è un autovettore di A se esiste un elemento λ di ℂ tale che Ax=λx. Notiamo che qualunque multiplo di x (ovvero la retta da esso generata) è allora un autovettore con il medesimo autovalore. La precedente equazione può scriversi anche nella forma (AλI)x=0, dove I indica l’endomorfismo identità, e il problema dell’esistenza di un autovalore e dei corrispondenti autovettori può essere riformulato come segue: esiste un λ tale che l’endomorfismo (AλI) ha nucleo non vuoto (il nucleo di un endomorfismo A su V, indicato con Ker(A), è l’insieme dei vettori tali che Ax=0). Talvolta più autovettori (linearmente indipendenti) corrispondono al medesimo autovalore λ e il sottospazio da essi generato è detto allora autospazio associato a λ. L’insieme degli autovalori di A si chiama spettro discreto di A ed è spesso indicato con il simbolo sp(A). Il numero

r(A)=sup ∣λ

λ∈sp(Α)

è detto raggio spettrale di A ed è il raggio del più piccolo cerchio con centro nell’origine del piano complesso contenente sp(A). Persino quando lo spazio vettoriale V è di dimensione finita, può accadere che esso non sia decomponibile come somma diretta di rette stabili per un certo A o equivalentemente ovvero che non esista una base di V costituita di autovettori di A. In caso contrario, l’endomorfismo A è detto diagonalizzabile e la matrice che lo rappresenta in questa base è diagonale. La generalizzazione di questi concetti al caso di spazi vettoriali a dimensione infinita (in particolare a spazi di Hilbert) costituisce l’oggetto della teoria spettrale, sviluppatasi dalla fine del XIX sec., e ha costituito una costante fonte di ispirazione nel contesto più ampio dell’analisi funzionale. In questo caso è necessario riformulare la definizione di spettro di un operatore A come l’insieme dei λ in K tali che (AλI) non possiede un inverso. Appaiono allora nuovi e interessanti fenomeni: sp(A) continua a essere un sottoinsieme compatto di ℂ, ma non necessariamente a ogni suo elemento corrisponde un autovettore.

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