Avicenna

Dizionario di filosofia (2009)

Avicenna


Nome con il quale è noto in Occidente il filosofo e medico musulmano di stirpe iranica Abū ‛Alī Ibn Sīnā (Afshana, presso Buchārā, 980 - Hamadhān 1037 ca.)

Le opere

La sua produzione filosofica (composta per la gran parte in arabo) si può suddividere in summae che – divise in genere (ma non sempre) in quattro parti (logica, fisica, matematica e metafisica)– comprendono tutte le scienze dell’epoca, e trattati di breve estensione su singoli argomenti. Del primo tipo si possono ricordare: il Kitāb al-Shifā’ («Il libro della guarigione», dove è sottinteso «dell’anima dall’errore»), di cui nel Medioevo furono tradotte in latino diverse parti (tra le quali la Philosophia prima sive scientia divina, il De anima, e parti della logica e della fisica); il Kitāb an-Nagiāh («Il libro della salvezza») e, in lingua persiana, il Danesh-Nāmeh («Libro della scienza»). La Ḥikma Mashriqiyya («Filosofia orientale»), giunta solo in minima parte, ha costituito il centro di un’importante questione storiografica. Alcuni testi sembrano proporla come la vera filosofia di Avicenna. La critica è però ormai propensa a rifiutare l’idea di una cesura nel pensiero avicenniano e a ricusare la tesi di una sua dimensione esoterica. La differenza nelle opere di A. sembra più formale che sostanziale. Su argomenti speciali verte una quantità di scritti minori, alcuni dal lin-guaggio fortemente simbolico e dedicati a questioni gnoseologiche e psicologiche (come i racconti di Ḥayy ibn Yaqẓān e di Salamān e Absāl). Si hanno di A. anche alcune quartine in persiano. Ancora in arabo è invece il suo capolavoro medico, il Kitāb al-Qānūn fī -ṭ-ṭibb (Canone della medicina) rivolto a ordinare sistematicamente le dottrine mediche di Ippocrate e Galeno nonché quelle biologiche di Aristotele. Esso ebbe grande diffusione in Occi-dente, prima nella versione latina di Gerardo da Cremona (12° sec.), poi migliorata da Andrea Alpa-go (post. 1527) e fu stampato nel testo arabo per la prima volta a Roma nel 1593.

Rinnovamento dell’aristotelismo e ispirazione neoplatonica

Nella sua dottrina filosofica A. intese rinnovare l’aristotelismo, accogliendo per altro le diverse istanze del neoplatonismo già vive nella filosofia a lui precedente; costante è poi il confronto con le dottrine della teologia musulmana, che fu profondamente influenzata dal suo pensiero. Nel sistema di A. il mondo è coeterno a Dio, essere eterno, necessario e unico, da cui emana un primo essere intelligente (ex uno non fit nisi unum) e quindi, per mediazione di questo, l’intero mondo celeste (composto di intelligenze, anime e corpi), e infine la materia e le forme che la forgiano nell’uno o altro essere del mondo sublunare. Nell’azione divina è quindi essenziale il ruolo mediatore delle sostanze celesti. Poiché infatti alla perfezione di Dio ripugna la molteplicità, è per mezzo di esseri intermedi, chiamati anche «datori delle forme», emananti in ordine degradante dal principio, che vengono assi-curati il passaggio dall’uno al molteplice, la cosmo-logia e l’informazione della materia sublunare: l’intelligenza prima, che procede dall’unità assoluta di Dio, dà quindi luogo a una seconda intelligenza così da avere poi l’intelligenza, l’anima e il corpo del cielo, secondo un processo triadico che si reitera identico fino all’intelligenza della sfera lunare, l’intelletto agente. La cosmogonia emanatistica di A. rielabora quella già riconoscibile in al-Fārābī, ma se ne distacca soprattutto per il ruolo attribuito alle anime celesti. L’intelletto agente, dator formarum per eccellenza (wāhib al-ṣuwar), è la causa immediata delle trasformazioni che avvengono nel mondo sublunare, garantendo a un tempo l’irradiarsi delle forme sostanziali nella materia e l’attualizzazione dell’intelletto umano con le forme intelligibili. Nel processo di informazione e determinazione un ruolo è attribuito però anche alla preparazione della materia e al processo astrattivo dell’intelletto uma-no. Se l’anima umana – sostanza spirituale e individuale – intende per l’azione che su di essa svolge l’intelletto agente universale e unico, che imprime in essa gli intelligibili, l’intendere resta un’attività individuale, in quanto l’intelletto possibile è più o meno «preparato» a ricevere l’illuminazione dell’in-telletto agente; al vertice del processo cono-scitivo – per una più intima congiunzione dell’intel-letto umano con il dator formarum (chiamato anche «datore dell’in-telletto»: wāhib al-’aql) e poi più su con le altre intelligenze celesti – si pongono l’estasi e la profezia. Di particolare interesse è la soluzione escatologica: se la vera perfezione e felicità dell’anima consistono nella dimensione intellettuale, anche l’anima incapace di perfezionarsi può raggiungere una propria felicità, immaginativa, e garantita nell’aldilà dall’azione dei corpi celesti. A. ebbe un’influenza notevole sul pensiero del Medioevo latino che nelle sue opere poté rintracciare un’angelo-logia, una psicologia coerente con l’idea dell’immor-talità dell’anima e un’originale riflessione metafisica in cui assumono rilievo particolare la definizione del soggetto della metafisica, la teoria sulla causalità, la distinzione di essenza ed esistenza, la dottrina dell’indifferenza quantitativa dell’essenza (equinitas est equinitas tantum) e l’elaborazione metafisica dei concetti modali di necessità e possibilità (il mondo è in sé possibile e necessario per altro, in sé neces-sario è solo Dio). La psicologia e la gnoseologia avicenniane furono anche il terreno per una conci-liazione con l’agostinismo con cui il pensiero di A. condivideva l’ispirazione neoplatonica.

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