BA'AL

Enciclopedia dell' Arte Antica (1958)

BA‛AL ("signore, padrone")

G. Garbini

Nome con cui i Fenici designavano una divinità maschile venerata in Siria col nome di Hadad (v.). B. era il dio della tempesta e dell'uragano, dei monti e della pioggia; il carattere naturalistico di divinità fecondatrice della terra ne rivela l'origine pre-fenicia, non semitica, cosa del resto convalidata dal fatto che la stessa divinità si ritrova, sotto altri nomi, ma con gli stessi attributi, anche presso gli Hittiti e gli Hurriti.

Esiste una duplice serie di monumenti: un gruppo di statuette bronzee e alcune stele di pietra, trovate nella Fenicia vera e propria e nelle regioni circostanti, che raffigurano una divinità presentandola costantemente nello stesso atteggiamento, cosa che rende preferibile una trattazione unitaria di tali monumenti anche se in qualcuno di essi la divinità raffigurata poteva non identificarsi del tutto con Ba‛al. Tutte queste opere presentano una figura maschile, piuttosto giovanile e imberbe, in movimento, vestita di un corto perizoma alla maniera dei Siriani e dei Cretesi del II millennio a. C.; sul capo ha un berretto a punta la cui origine è da ricercare in Egitto, in quanto B. fu dai Fenici assimilato al dio egiziano Seth; sul berretto vi sono due corna rivolte in avanti, come in alcune raffigurazioni mesopotamiche. Tutti questi elementi dimostrano l'origine composita della civiltà, e quindi dell'arte, fenicia, elementi che tuttavia furono fusi, nel II millennio, in una sintesi che seppe creare opere originali. Il dio tiene nella mano destra, sollevata in alto, una mazza, mentre nella sinistra ha una lancia. La prima raffigurazione di questo tipo è data da una statuetta di bronzo proveniente da Ugarit, risalente al XIV sec. a. C.; varî materiali, di cui alcuni pregiati, le davano un aspetto policromo: le parti di bronzo erano rivestite di foglie d'oro, il copricapo era fatto d'una specie di steatite verdastra e le corna erano d'elettro; copricapo e braccio sinistro erano riportati. In altre statuette, provenienti dall'antica Laodicea e da Boǧazköy, si ritrova la medesima tecnica: ma le parti di riporto, braccia e calotta cranica, sono mancanti. Queste opere si discostano alquanto dalle altre del medesimo tipo: la maggiore cura nella resa dei particolari (che si rivela specialmente nel trattamento del tessuto del perizoma) e i tratti del viso alquanto grossolani denotano un interesse realistico sconosciuto alle opere consimili; anche la presenza di calzature è un tratto distintivo rispetto alle altre figure, che hanno, di regola, i piedi nudi; tutti questi elementi rivelano chiaramente l'appartenenza di queste opere piuttosto all'arte hittita che a quella fenicia. Dal porto di Ugarit (Minet el-Beida) proviene un'altra statuetta affine alla prima: medesima fattura in bronzo, medesimo rivestimento in oro e in argento (testa e copricapo); nel braccio destro sollevato si nota un grosso anello all'altezza del gomito; la figura è più slanciata, in confronto a quella di Ugarit, ma anche più stilizzata. Contemporanea a queste è una statuetta trovata a Megiddo, con le identiche caratteristiche, mentre di fattura più rozza e primitiva sono due statuette, una (ora al Louvre) proveniente da Tortosa, l'antica Antaradus, e un'altra più tarda (XII-XI sec. a. C.) da Megiddo; quest'ultima è probabilmente una goffa imitazione locale. Delle stele in cui è raffigurato B., la più antica (XIV-XIII sec. a. C.) proviene da Ugarit (ora al Louvre); le particolarità che la figura rappresentata offre rispetto al tipo comune sono dovute forse a influssi stranieri, hittiti e hurriti. Il dio ha lunghi riccioli che gli scendono sulle spalle e sul petto, ed una lunga barba la cui visione di profilo rappresenta una innovazione rispetto all'arte mesopotamica; nella destra sollevata brandisce una mazza, mentre nella sinistra tiene una lancia con la punta rivolta a terra; la parte superiore della lancia si ramifica a guisa di ramoscello: alcuni hanno ravvisato in ciò una raffigurazione del fulmine, altri, forse più giustamente, un albero, simbolo della vegetazione; è difficile dare una soluzione esatta al problema, in quanto i due simboli caratterizzano diversi aspetti della divinità. Accanto al dio si vede una figura umana di dimensioni molto ridotte, vestita di una lunga tunica, forse il re di Ugarit che ha dedicato la stele. Di alcuni secoli posteriore è un'altra stele trovata ad Amrit, l'anticà Marathus (Collezione de Clercq): il dio sta in piedi sopra un leone e con la harpè (l'arma sacra a forma di roncola) sta uccidendo un altro piccolo leone ch'egli ha afferrato per le zampe posteriori. L'abbigliamento della figura, vestita di una lunga tunica aderente sotto il perizoma, e i simboli divini raffigurati nella parte superiore della stele, rivelano la varietà degli influssi che caratterizzano l'arte fenicia del I millennio a. C., anteriormente all'ellenizzazione.

Bibl.: R. Dussaud, Les religions des Hittites et des Hourrites, des Phéniciens et des Syriens, Parigi 1945, p. 362 ss.; C. F. A. Schaeffer, Ugaritica II, Parigi 1949, pp. 121-130; G. Contenau, La civilisation phénicienne2, Parigi 1949, pp. 79 ss. e 172 ss.; R. Dussaud, L'art phénicien du IIe millénaire, Parigi 1949, p. 62 ss.; A. S. Kapelrud, B. in the Ras Shamra Texts, Copenaghen 1952.