BABELE

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

BABELE

S. Maddalo

Città nella quale, secondo il racconto delle Sacre Scritture (Gn. 11, 1-9) i discendenti di Noè vollero costruire un edificio, la c.d. torre, alto fino a raggiungere il cielo; ma Dio ne impedì la costruzione, disperdendo poi per tutta la terra i suoi edificatori. La torre è stata presa di conseguenza a simbolo di ambizione smisurata: per es. nel mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto (metà del sec. 12°) la narrazione si apre, senza dipendenza dall'ordine del racconto biblico, con la rappresentazione della torre e dell'ascensione di Alessandro Magno al cielo, tema quest'ultimo, cui spesso è attribuito significato di allegoria dell'umana superbia. B. significa inoltre confusione, perché il racconto biblico precisa che Dio sventò il progetto dei costruttori di B. confondendo le loro lingue: "ut non audiat unus quisque vocem proximi sui" (Gn. 11, 7), "quia ibi confusum est labium universae terrae" (Gn. 11, 9). Agostino, nel De civ. Dei, riprende alla lettera questo passo, sostituendo Babel con Confusio: "vocatum est nomen eius Confusio" (PL, XLI, col. 480).

Babele/Babilonia

L'identificazione tra B. e Babilonia ricorre spesso nelle esegesi medievali alle Sacre Scritture: così Agostino nel De civ. Dei afferma esplicitamente che B., cioè Confusio (dall'ebraico batal 'confondere'), è Babilonia, città fondata dal gigante Nembrod (PL, XLI, coll. 482-483); Walafrido Strabone, nella prima metà del sec. 9°, racconta che Nembrod costruì una torre per "ultra naturam penetrare coelum" (PL, CXIII, col. 113). Nel commento di Girolamo a Daniele ripreso da Beato di Liebana (Neuss, 1931, p. 222ss.; Vezin, 1973, p. 71) si narrano la fondazione di Babilonia ("Babilonia a Nemroth gigante fundata est"), lo sviluppo delle sue mura ("cuius latitudo murorum cubita quinquaginta altitudo CC habere traditur. Circuitus eius CCCCLXXX stadiis concluditur"), alcuni momenti della sua storia ("Distructa est a Mediis et Caldeis et reparata est a Semiramide regina") e si accenna alla conquista e alla distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor e al saccheggio del Tempio e dei vasi sacri ("Et vasa Domini a Nabuquodonosor rege de Jherusalem ablata sunt"), vicende che si svolsero nel sec. 6° a. C. e che si conclusero con la deportazione del popolo ebreo a Babilonia.La città storica di Babilonia (gr. Βαβυλών; lat. Babylonia) fu importante centro commerciale dell'Oriente antico, per quasi due millenni la più grande e splendida città dell'Asia, abitata da genti di varia nazionalità e di lingue diverse. Il suo nome, Bāb-ilu, 'porta di Dio', fu tradotto in ebraico Bābel, mentre Babilonia è usato anche per indicare la regione in cui la città sorgeva, nella parte meridionale della valle del Tigri e dell'Eufrate.Babilonia visse due stagioni storiche di grande potenza politica e militare. Della seconda, il c.d. periodo neobabilonese, compreso tra l'occupazione assira e la fine del sec. 6° a.C., quando Babilonia cadde in mano ai Persiani, è pervenuta maggiore quantità di notizie storiche; come pure sono numerose e ben indagate le testimonianze archeologiche relative sia alla struttura della città, ingrandita e abbellita in particolare da Nabucodonosor II (secondo re della stirpe neobabilonese, 604-562 a.C.), sia ai suoi grandiosi monumenti, come l'eEtemenanki, una sorta di torre a pianta quadrata e a più ordini di dimensioni decrescenti verso l'alto, che rappresenta il fondamento storico del passo delle Sacre Scritture, nel quale Babilonia, identificata con B. (Gn. 10, 8-10; 11, 1-9), è assunta a simbolo di smodato desiderio di potenza.La condanna di Babilonia è uno dei temi centrali dell'Apocalisse di Giovanni: la città appare come una donna ("La donna che hai visto simboleggia la città grande, che regna su tutti i re della terra"; Ap. 17, 18), la magna meretrix, che tiene nelle mani il calice della tentazione, diffonde il peccato su tutta la terra (Ap. 17, 4) e si inebria "del sangue dei santi e del sangue dei martiri" (Ap. 17, 6), su di lei Dio riversa la sua ira incendiandola e sprofondandola negli abissi (Ap. 18, 1-24).Il Liber Revelationis, scritto, secondo un'antica tradizione ancor oggi accreditata, dall'evangelista Giovanni (Kühnel, 1987, p. 119) probabilmente durante il regno di Domiziano (Mounce, 1977, pp. 31-36), quando si erano andate inasprendo le persecuzioni contro i cristiani, ha una chiara matrice politico-ideologica. Nella grande prostituta che si nutre del sangue dei martiri e cavalca una bestia a sette teste e dieci corna (le sette teste significano i sette monti) è simboleggiata Roma, la Roma pagana e imperiale: "Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna; e sono anche sette re" (Ap. 17, 9).Il parallelismo tra Roma e Babilonia, suggerito da 1 Pt. 5, 13-14, e dai suoi esegeti (Tertulliano, Vittorino di Pettau), ritorna nelle opere dei primi Padri della Chiesa, per es. in Pelagio, che paragona l'Urbe Babyloniae suis sceleribus (Epistula de Castitate, 17; PL, I, col. 1500), e in Agostino, che mette in relazione Babilonia, i cui fondatori discendono dal fratricida Caino, con Roma, novella Babilonia, la cui fondazione è legata pure a un fratricidio (De civ. Dei, 18, 22; Maier, 1955, pp. 37, 177ss.; Reeves, Hirsch Reich, 1972, p. 185).Nelle testimonianze figurative è frequente la sovrapposizione dei due soggetti iconografici, la città di Babilonia e la torre di Babele. Nel perduto mappamondo di Ebstorf (seconda metà del sec. 13°; Miller, 1895-1898, IV), che probabilmente illustrava gli Otia Imperialia, scritti da Gervasio di Tilbury nei primi decenni del Duecento, Babilonia è raffigurata come una torre a più ordini di dimensioni decrescenti verso l'alto; nel mappamondo di Hereford (tardo sec. 13°; Miller, 1895-1898, IV) Babilonia, posta al centro della Mesopotamia sulle rive dell'Eufrate, presenta un circuito murario con un'alta torre ed è individuata dalla scritta turris Babel. Nell'Hortus deliciarum di Herrada di Hohenbourg (The Hortus Deliciarum, 1979, I, p. 129, n. 96; II, tav. 44) a c. 65r, nella raffigurazione della visione di Zaccaria (Zc. 3, 8-10), la città è resa con una doppia torre popolata da rettili e insetti, mentre un cartiglio riporta l'interpretazione, già proposta da Agostino per B., di Babilonia come Confusio. Nei mosaici duecenteschi della basilica di S. Marco a Venezia (Demus, 1984; I mosaici di San Marco, 1986) la città di Babilonia - una cinta muraria in cui si apre una porta e che racchiude al suo interno edifici con tetti a spiovente e alte torri - fa da sfondo alla scena della costruzione della torre di B., mentre nel personaggio che dirige i lavori si può riconoscere Nembrod, il suo mitico fondatore. L'inserimento di Babilonia e B. in uno stesso contesto iconografico si ritrova, infine, in alcune figurazioni tardomedievali. La città di Babilonia, individuata da una didascalia in maiuscole gotiche, è rappresentata in una miniatura di un codice databile alla metà del sec. 15°, contenente la traduzione francese del De civ. Dei di Agostino (Parigi, BN, fr. 27; de Laborde, 1909, II, pp. 359-363: 361; III, tav. XXXVId), dove a c. 122r il gigante Nembrod assiste alla costruzione della torre. Anche nell'affresco con la costruzione della torre di B., realizzato intorno al 1470 nel Camposanto di Pisa, Benozzo di Lese propone una Babilonia del tutto immaginaria e fortemente emblematica, in cui ai monumenti della Roma antica (il Pantheon, la meta Romuli, la colonna Traiana) si affiancano alcuni edifici della Firenze quattrocentesca (palazzo Medici e il campanile della Badia).Il Commento di Gioacchino da Fiore ai capp. XVII e XVIII dell'Apocalisse ripropone l'identificazione tra Babilonia e Roma, la città degli imperatori pagani, che hanno perseguitato i primi cristiani come i re babilonesi avevano fatto con il popolo ebreo (Manselli, 1955, p. 100ss.; Reeves, Hirsch Reich, 1972, pp. 187-188; Di Gioia, 1980, p. 93), ma anche degli imperatori svevi e dei papi corrotti (Reeves, Hirsch Reich, 1972, p. 184ss.); nel Liber Figurarum tale parallelismo viene espresso con le figure affrontate di Roma e Babilon, cui corrisponde il binomio Iherusalem-Ecclesia (Tondelli, Reeves, Hirsch Reich, 19532, I, p. 78ss.; II, tavv. XVI-XVII). Nei manoscritti contenenti la versione francese del De civ. Dei di Agostino (de Laborde, 1909), che, realizzata durante il regno di Carlo V, riflette l'ideologia teocratica della dinastia dei Valois, è espressa figurativamente l'analogia tra Roma e Babilonia: per es. sono raffigurate su registri sovrapposti Babilonia, la città di Belus primus rex Assiriorum, e Roma, fondata da Romolo (Parigi, BN, fr. 9, c. 132v; seconda metà del sec. 15°); oppure Roma è raffigurata, al pari di Babilonia, come civitas diaboli (Nantes, Bibl. Mun., 18, c. 41r; Mâcon, Bibl. Mun., 1, c. 33r, entrambi del sec. 15°).L'iconografia di Babilonia, come quella dell'Apocalisse, cui è strettamente legata, venne formulata presumibilmente nei secc. 4°-5°, quando furono redatte le esegesi di Ticonio e di Girolamo, che rispecchiano le contemporanee tensioni verso una riconciliazione tra Chiesa e Impero. I due esegeti rilessero il testo apocalittico l'uno in chiave allegorica, l'altro in chiave escatologica, abbandonando la polemica antiromana (Christe, 1979, pp. 109-134; Kühnel, 1987, pp. 120-121); essi rappresentano in tal modo i capostipiti di due filoni di commenti latini al testo giovanneo.Il ricordo di Babilonia e della sua grandezza rimase vivo nel Medioevo e alla città venne assegnato un ruolo figurativo di rilievo in mappae mundi e planisferi, al pari delle altre capitali del mondo antico, Troia, Gerusalemme o Roma; analogamente a rappresentarla è scelto un ideogramma estremamente schematico e semplificato: un circuito murario in un manoscritto della metà del sec. 12° contenente il De situ di Girolamo (Londra, BL, Add. Ms 10049; Miller, 1895-1898, II, tav. 11); oppure una cerchia di mura con sei torri - che è riproposta anche per la raffigurazione di Roma - a c. 58v di un codice miscellaneo databile tra il sec. 11° e il 12° (Londra, BL, Cott. Tib. B. V; Miller, 1895-1898, II, tav. 10). Tuttavia fu soprattutto il mito della corruzione di Babilonia e del suo tragico destino a suggestionare l'immaginario medievale, godendo a lungo di grande fortuna iconografica soprattutto in relazione alla ricca tradizione manoscritta dei commenti al testo giovanneo. Risalgono all'età carolingia i primi cicli illustrati dell'Apocalisse, ma dovevano esistere testimonianze figurative precedenti (Neuss, 1931, p. 264; Kitzinger, 1975; Klein, 1979), poiché Beda, nella prima metà del sec. 8°, racconta di immagini dipinte Apocalypsis beati Joannis, portate a Roma "ad ornandam ecclesiam sancti Petri apostoli" (Vita sanctorum abbatum monasterii in Wiramutha et Girvum; PL, XCIV, coll. 717-718; Goldschmidt, 1947, p. 33). Sono databili al primo quarto del sec. 9° due tra le più antiche figurazioni note di Babilonia, contenute nell'Apocalisse di Treviri (Stadtbibl., 31), opera realizzata nello scriptorium di Tours o in un'area sotto la sua influenza diretta ed esemplata su un codice italiano del sec. 6° (Klein, 1976, p. 104). Di queste miniature, una rappresenta Babilonia come la magna meretrix di Ap. 17, 4, con le sembianze di una donna riccamente abbigliata che cavalca un drago a forma di serpente alato con sette teste e dieci corna (Ap. 18, 31), immagine che nell'exemplar tardoantico traeva probabilmente ispirazione dal motivo iconografico della dea Cibele a cavallo di un leone, ricorrente sulle monete imperiali, o della dea Iside sul cane Sothis. L'altra miniatura, a c. 57r, sintetizza invece, in un'unica rappresentazione di estrema aderenza al testo, vari momenti del racconto relativo a Babilonia: la maledizione di Dio, con la mano che sporge dall'empireo, l'incendio della città (Ap. 18, 8), l'angelo che scaglia in mare una pietra, grande come una macina di mulino, e inabissa Babilonia ("e più non riapparirà", Ap. 18, 21), infine anche la presenza di marinai che dalle loro barche assistono all'incendio della città (Ap. 18, 17).La grande prostituta conserva pressoché inalterati per secoli i tratti iconografici che ne connotano l'immagine a partire dagli esempi più antichi: l'abbigliamento sontuoso, in alcuni casi contraddistinto da attributi regali, adorno d'oro e di pietre preziose, il calice o la coppa tenuta alta nella mano destra, il dragone a sette teste, talvolta reso con corpo maculato e zampe di felino. Con tale caratterizzazione, infatti, Babilonia è raffigurata nei manoscritti carolingi contenenti l'Apocalisse dei secc. 9°-10° (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 1132, c. 24r; Valenciennes, Bibl. Mun., 99, c. 31r; Cambrai, Bibl. Mun., 386; Vezin, 1973, p. 62ss.); in codici contenenti i Commentari all'Apocalisse di Beato di Liebana, tanto in uno dei primi in ordine cronologico, dove Babilonia ha il capo coperto da un cappello troncoconico di foggia particolare (Gerona, Mus. de la Catedral, Arch. y Bibl., 1, del 975), quanto in quelli più tardi: per es., Torino, Bibl. Naz., lat. 93, c. 152r, del sec. 11°-12°; Manchester, John Rylands Lib., 8, c. 175r della seconda metà del sec. 12°; Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2290, c. 142r, del 13° secolo. In quest'ultimo Babilonia indossa mantello regale e corona e cavalca una bestia scarlatta (Neuss, 1931, pp. 201-202; Vezin, 1973, fig. 17). Simile iconografia compare nel ciclo apocalittico dipinto nel battistero di Padova da Giusto de' Menabuoi (Bettini, 1944; 1960; Vezin, 1973, p. 110), dove il dragone ha pelle maculata e zampe da felino e le sette teste coperte da altrettante tiare.In alcuni casi l'artista, pur ispirandosi a un prototipo, lo modifica e ne offre una versione originale: nella c.d. Apocalisse di Bamberga (Staatsbibl., Bibl. 140), realizzata a Reichenau nel sec. 10° e che pure deriva dall'Apocalisse di Treviri, la bestia a sette teste non appare stante ma accovacciata e la personificazione di Babilonia tiene tra le mani una sorta di corno al posto del calice (van der Meer, 1978, fig. 69). In due esempi molto noti, l'Apocalisse di Cambridge (Trinity College, R. 16. 2, del secondo quarto del sec. 13°; The Trinity College Apocalypse, 1909, c. 20v; James, 1909) e gli arazzi di Angers (Château, Mus. des Tapisseries, Gal. de l'Apocalypse), commissionati da Luigi I d'Angiò ed eseguiti da Nicolas Bataille a partire dal 1373 ca. su disegni di Hennequin de Bruges, all'iconografia tradizionale della "donna seduta sopra una bestia scarlatta" è affiancata l'immagine della "grande prostituta che siede presso le grandi acque" (Ap. 17, 1-3), una donna che, seduta tra le onde marine, è intenta a specchiarsi.Ancora più complessa e più varia dal punto di vista iconografico è l'illustrazione degli altri brani del testo apocalittico relativi a Babilonia. Nei manoscritti di epoca carolingia (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 1132; Valenciennes, Bibl. Mun., 99) i temi iconografici dell'annuncio della fine di Babilonia, della sua rovina e scomparsa nelle profondità marine sono estremamente sintetizzati, quasi soltanto suggeriti, nella raffigurazione di un angelo che scende dall'empireo e del mare reso come una sorta di altura color verde, attraversata dai segni schematici delle onde. Nell'Apocalisse di Bamberga (Staats-bibl., Bibl. 140), che rappresenta uno degli ultimi esemplari della famiglia carolingia, la rovina di Babilonia è resa con un segno iconografico 'invertito', cioè con la città integra ma capovolta (Wölfflin, 1918, p. 30; Heckscher, 1937-1938), forse con riferimento a Is. 13, 19 ("sarà come Sodoma e Gomorra"), e la stessa scelta ricorre in un codice degli inizi del sec. 12° (Oxford, Bodl. Lib., 352; Klein, 1979, p. 137ss.). Immediatamente al di sotto di questa scena, in entrambi i manoscritti compaiono rappresentati in un'unica illustrazione l'angelo con un'enorme pietra rotonda, il mare con le barche e i marinai che assistono alla rovina mentre il popolo abbandona la città. Nella già citata Apocalisse di Treviri la maledizione divina, la rovina di Babilonia, la fuga del popolo e il compianto sono commentati figurativamente in varie miniature alle cc. 52r, 56r, 57r, 58r, 60r (Kühnel, 1987, p. 125ss.). La raffigurazione del popolo che fugge da Babilonia - resa con una cinta muraria turrita - è presente anche a c. 34r di un codice dei secc. 9°-10° derivato dal manoscritto di Treviri (Cambrai, Bibl. Mun., 386).Pari ricchezza iconografica caratterizza i codici illustrati contenenti i Commentari all'Apocalisse di Beato di Liebana, tutti prodotti in Spagna tra il sec. 9° e il 13°, che derivano da un archetipo della fine dell'8° secolo.Alcuni degli esponenti di questa tradizione, dal più antico, datato 894 (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 644), ai più tardi (Manchester, John Rylands Lib., 8; Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2290, sec. 13°), contengono, oltre alle immagini relative alla rovina di Babilonia, alla fuga del popolo e al pianto di re e mercanti - gli uni e gli altri corrotti dai vizi della città (Ap. 18, 9-11) -, anche un'immagine che illustra il Commento di Girolamo a Daniele. Babilonia vi è rappresentata con tratti stilistici che richiamano in quasi tutti gli esemplari l'architettura araba e con colori sempre molto vivaci e intensi: la città, quasi serrata da due serpenti intrecciati, ha alte mura, una porta, torri, bifore o trifore e ampie arcate a ferro di cavallo che ospitano i vasi sacri saccheggiati da Nabucodonosor al Tempio di Gerusalemme e i sarcofagi dei tre ebrei (individuati dalle scritte Ananie, Azarie e Misael). Le tre arche fanno riferimento al sacrificio dei tre fanciulli che rifiutano di adorare il sovrano babilonese - "condita vero sunt corpora sanctorum Ananie Azarie et Misaeli", recita Beato riprendendo il testo di Girolamo (Neuss, 1931, p. 223) - e dei quali peraltro esiste una rappresentazione del sec. 4° nel cimitero dei Ss. Marco e Marcelliano a Roma (Wilpert, 1903, p. 333, fig. 123; De Bruyne, 1950, pp. 211-214). Il manoscritto di Burgo de Osma (Catedral, Bibl., 1, fine sec. 11°; Rojo, 1931, pp. 146-150; Heckscher, 1937-1938; Nordström, 1976, fig. 18), nonostante non contenga il Commento a Daniele, mostra di ispirarsi, nell'illustrazione di Ap. 18, 1-20, all'iconografia che di solito ne accompagna la tradizione nei codici di Beato: a c. 147r le spire di due serpenti racchiudono un'immagine che raffigura Babilonia (tre arcate recanti iscrizioni con i nomi dei tre fanciulli ebrei) e insieme la sua rovina con le arcate che crollano trascinando nella caduta figure maschili e femminili, la cui disperazione è espressa con una gestualità fortemente caricata; immediatamente al di sotto, al lamento dei naviganti, che sulla sinistra assistono da una barca al crollo, si accompagna sulla destra il lamento di coloro che sono riusciti a sfuggirvi. Anche nei manoscritti di Beato, così come nei codici carolingi dell'Apocalisse, il tema figurativo della rovina di Babilonia e quello della fuga dalla città e del pianto di re e mercanti corrotti sono espressi in qualche caso con una sola immagine - come nel Beato di Saint-Sever (Parigi, BN, lat. 8878, c. 195r; Mâle, 1922), miniato in Guascogna su un prototipo spagnolo - ma, più spesso (Neuss, 1931, pp. 204-205), con due immagini separate, anche se tracciate sempre su pagine affrontate, per es. alle cc. 215v-216r del codice di Gerona, alle cc. 181v-182r del manoscritto di Manchester (Los Beatos, 1985, p. 78) - dove all'incendio di Babilonia assistono re, con corona e scettro astile, e mercanti dal capo scoperto o coperto da un cappello frigio, mentre in alto una scritta visualizza sinteticamente il testo: "vel reges, vel mercatores Babyloniam plangunt" - o alle cc. 202v-203r del già citato manoscritto di New York. Il corredo iconografico di molti di questi manoscritti, come per es. del codice di Beato di Saint-Sever (c. 197v), comprende la raffigurazione di un angelo che scaglia un'enorme pietra sulla città, inabissandola.La Babilonia del manoscritto parigino, raffigurata come un blocco compatto di mura e torri, sembra influenzare le sculture romaniche di Saint-Pierre a Moissac (Mâle, 1922, p. 4), dove nei capitelli del chiostro, realizzato intorno al 1100, la raffigurazione di Babilonia - Babylonia magna recita un'iscrizione - appare affrontata a quella della Gerusalemme celeste, individuata dalla scritta Ih(e)r(usa)l(e)m; qualche decennio più tardi nei capitelli di Saint-Pierre a Chauvigny sono presenti invece i temi iconografici di Ap. 17, 4 e 18, 2-6.Il tema della rovina di Babilonia è reso con tratti iconografici affatto originali nell'Hortus deliciarum di Herrada di Hohenbourg, che pure non appare immune dall'influenza iconografica dei codici di Beato: a c. 258v la meretrice Babilonia viene sospinta tra le fiamme dell'inferno da due angeli armati di grandi forconi, sotto lo sguardo sconsolato di quegli stessi personaggi (re, mercanti, monaci, donne) che, scelti a simboleggiare diverse forme di corruzione, le fanno ala festosi sul recto dello stesso foglio.Un'altra tradizione iconografica - quella dell'Apocalisse scritta e commentata in francese (The Trinity College Apocalypse, 1909; Prigent, 1959, p. 39), tradizione sviluppatasi tra il sec. 13° e il 14° in Inghilterra, nella Francia nordorientale e in Boemia (Delisle, Mayer, 1901; Freyhan, 1955) - in un primo gruppo di manoscritti collega nello stesso contesto figurativo il tema della rovina di Babilonia a quello dell'abbandono della città e del lamento di re e mercanti: così a c. 20v dell'Apocalisse di Cambridge (Trinity College, R. 16. 2, secondo quarto del sec. 13°), monumento chiave nella storia dell'Apocalisse illustrata, che sembra avere l'archetipo in un manoscritto di New York (Pierp. Morgan Lib., M. 524, fine del sec. 12°-inizi del 13°) e ispirarsi anche a quelli di Beato. Nell'Apocalisse di Cambridge, Babilonia è ricetto di diavoli e di bestie immonde ("ma vi si stabiliranno gli animali del deserto [...], gli struzzi, [...] i satiri"; Is. 13, 21), tra le quali si nota la presenza dell'ibis, che allude alla immoralità e corruzione della città. In un secondo gruppo di codici la scena della caduta e della fuga del popolo di Dio appare separata da quella del lamento, anche se le due immagini sono realizzate sempre in posizione affrontata (Parigi, BN, lat. 10474, cc. 37v-38r; Londra, BL, Add. Ms 17333, cc. 36v-37r, del sec. 14°).In Italia, nei secc. 13° e 14°, Babilonia è tra i protagonisti dei cicli apocalittici di Cimabue ad Assisi e di Giusto de' Menabuoi a Padova. Negli affreschi del battistero padovano è presente sia il tema iconografico della grande prostituta a cavallo del drago a sette teste sia quello della distruzione di Babilonia; nel transetto meridionale della basilica superiore di Assisi nella Caduta di Babilonia, affrescata negli anni del pontificato di Niccolò III Orsini (Belting, 1977, pp. 63-68; Christe, 1980-1981, p. 160), la città, circondata da alte mura, è raffigurata al momento del crollo, che coinvolge demoni e animali immondi tra cui ancora l'ibis, gli uni e gli altri scelti a simbolo della sua corruzione. Dal ciclo assisiate deriva, sia pure indirettamente e a distanza di alcuni decenni, l'iconografia di una tavola raffigurante l'Apocalisse (Stoccarda, Staatsgal.) realizzata in ambiente napoletano nel decennio 1330-1340: Babilonia va in rovina davanti agli occhi di s. Giovanni, seduto sull'isola di Patmos, al quale un angelo addita la scena, mentre un altro angelo scende dal cielo portando una enorme macina di mulino. Con la città precipitano le sue mura turrite (dal circuito circolare), i suoi monumenti, la grande prostituta rappresentata con in mano il calice colmo del sangue dei martiri cristiani, mentre all'esterno alcuni personaggi assistono alla rovina e altri la piangono e dalle crepe fuoriescono animali impuri e bestie feroci.Immagini di Babilonia, oltre che dell'apparato iconografico dei commenti all'Apocalisse giovannea, fanno parte anche del corredo illustrativo di altri generi letterari, in particolare dei manoscritti contenenti il De civ. Dei di Agostino e delle bibles moralisées, la cui grande diffusione in Francia nei secc. 13°-14° si deve soprattutto a Luigi il Santo (Parigi, BN, lat. 11560, c. 110r, dove una serie di medaglioni commenta figurativamente il passo di Is. 13, 19, relativo alla rovina di Babilonia e all'abbandono da parte dei suoi abitanti; de Laborde, 1911-1927, II, tav. 334). Babilonia compare inoltre nei salteri, come nel Salterio di s. Elisabetta, prodotto in area francotedesca nel primo quarto del sec. 13° (Cividale, Mus. Archeologico Naz., CXXXVII; Santangelo, 1936, pp. 149-155; La miniatura in Friuli, 1972, pp. 66-75), e nel c.d. salterio serbo (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Ham. 4, secc. 14-15°; Strzygowski, 1906, tav. XL), dove, a c. 170v, nell'illustrazione di Sal. 136, Babilonia è resa come una città cinta da mura turrite, accanto alla quale gli ebrei piangono, ricordando Gerusalemme.

Torre di Babele

Nel più ampio contesto dell'identificazione tra B. e Babilonia, la specifica iconografia della torre appare come uno dei temi più spesso raffigurati nei cicli iconografici, fino dall'età tardoantica: il primo esempio noto è contenuto nel c.d. Genesi Cotton (Londra, BL, Cott. Otho B. VI), databile al 5°-6° secolo. Nel codice, giunto in condizioni di estrema frammentarietà, sono raffigurate la costruzione della torre (c. 14r), la discesa di Dio (c. 14v) e la dispersione degli abitanti (c. 15r); di quest'ultima immagine, quasi illeggibile, rimane il ricordo in una incisione (Weitzmann, 1952-1953, p. 97), la quale, insieme ai frammenti delle altre due carte, permette di verificare la continuità attraverso i secoli della tradizione iconografica inaugurata dal Genesi Cotton. Tale tradizione sopravvisse in particolare in aree di cultura o di influenza bizantina, per es. nei mosaici dell'atrio di S. Marco a Venezia (1220-1230) o nel Genesi Caedmon (sec. 10°-11°; Oxford, Bodl. Lib., Junius 11). In quest'ultimo manoscritto l'edificazione della torre e la dispersione dei discendenti di Noè sono sintetizzate in una sola illustrazione: dalla torre già costruita si sporge un uomo con un'ascia in mano, che rappresenta probabilmente un'interpretazione della scena, di meno chiara lettura, raffigurata a c. 5r del Genesi Cotton, dove un personaggio si affaccia gesticolando dalla torre (Henderson, 1962, p. 181); una raffigurazione analoga ritorna anche in un capitello del duomo di Monreale (1180-1190; Minkowski, 1960, p. 11, fig. 5).In S. Marco l'episodio biblico è illustrato da due immagini, una relativa alla costruzione della torre, l'altra alla discesa di Dio e alla dispersione. Gli elementi che differenziano i mosaici veneziani dal prototipo tardoantico - lo sviluppo verticale della torre in entrambe le scene e la maggiore animazione nella prima - li apparentano nel contempo a un manoscritto di provenienza anglosassone, il c.d. Esateuco di Alfrico (Londra, BL, Cott. Claud. B. IV). All'interno di questa tradizione si inseriscono gli avori del duomo di Salerno (1050-1080; Goldschmidt, Weitzmann, 1930-1934, II, fig. 96; Minkowski, 1960, p. 11, tav. I), i mosaici della Cappella Palatina a Palermo (1135-1145), del duomo di Monreale (1182 ca.; Demus, 1950, tavv. 32b, 102; Henderson, 1962, p. 181; Kitzinger, 1966, p. 131ss.) e l'immagine dipinta nella chiesa di S. Maria di Anglona, a Tursi (Basilicata).La tipologia della torre dei mosaici veneziani - elevata in altezza, costruita con una semplice sequenza di conci regolari - e la presenza di numerose figure di operai impegnati nei lavori, con scale e arnesi accuratamente descritti, caratterizzano la scena della costruzione fino a tutto il sec. 13°, nella tradizione illustrata non solo della Bibbia, ma anche dei salteri (per es. Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 835) e delle bibles moralisées (per es. Oxford, Bodl. Lib., 270b; de Laborde, 1911-1927, I, tav. 11), così come nella tradizione iconografica delle cronache tardomedievali (fra le altre la tedesca Weltchronik di Rudolf von Ems), dello Speculum humanae salvationis e del De civ. Dei di s. Agostino.Successivamente la scena assunse carattere più complesso: in primo luogo per quanto concerne la tipologia architettonica della torre, quadrangolare, con più aperture (Rudolf von Ems, Weltchronik; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Germ. 11, c. 15r; sec. 14°), poligonale, a più ordini decrescenti verso l'alto (Bibbia Hamilton, di artista napoletano della metà del sec. 14°, Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab., 78. E. 3, c. 42r; Firenze, S. Maria Novella, cappella Strozzi, Nardo di Cione, affreschi, sec. 14°), spiraliforme, soprattutto in codici prodotti in Francia tra Duecento e Trecento (per es. De civ. Dei, Parigi, BN, fr. 23, c. 119v; de Laborde, 1909, I, pp. 277-281; II, tav. XVIII), provvista di contrafforti (Bruxelles, Bibl. Royale, 9295, c.122r); in secondo luogo per quanto attiene all'organizzazione del cantiere edilizio ove viene costruita la torre, che fino alla seconda metà del sec. 13° - epoca cui si data un codice contenente l'Histoire Universelle, ipoteticamente attribuito a uno scriptorium di Acri (Digione, Bibl. Mun., 562; Buchtal, 1957, p. 148, tav. 84c) - non mostra la presenza di mezzi meccanici. Solo nei secc. 14° e 15° la macchina diviene protagonista dell'immagine, raffigurata in forma vuoi semplice, per es. nella Weltchronik di Rudolf von Ems (Fulda, Hessische Landesbibl., Aa. 88; sec. 14°), vuoi più complessa, soprattutto in area tedesca, come nel manoscritto della Cronik Christ Herre (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 769), dove nel cantiere della torre, a c. 28v, si trova anche l'immagine di un artista impegnato a realizzare una vetrata gotica (Egbert, 1967, p. 91), o nella Bibbia di Venceslao (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 275, c. 10v), e, infine, in un codice del 1365 (Donaueschingen, Fürstliche Fürstenbergische Hofbibl., 79, c. 11r), dove un'enorme carrucola è collocata all'interno del muro perimetrale della torre appena iniziata (Jerchel, 1933).Seguendo il racconto biblico, secondo il quale la costruzione della torre di B. viene interrotta in seguito all'intervento divino e i suoi fondatori sono dispersi in universas terras, nella seconda scena raffigurata nei mosaici di S. Marco i discendenti di Adamo, divisi in quattro gruppi, si allontanano, lasciando la torre incompiuta. In conformità a un'altra tradizione, di origine tardoantica, rappresentata in due ottateuchi (Roma, BAV, gr. 747, c. 33v; gr. 746, c. 61v), rispettivamente dei secc. 11° e 12° ma esemplati su prototipi dei secc. 6° e 7° (Minkowski, 1960, p. 11), e ripresa in un altro ottateuco del sec. 11° (Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., 8, c. 65v; Uspensky, 1907, p. 43, tav. XIV), la torre di B. viene distrutta da Dio, simboleggiato dalla mano sporgente dall'empireo. Tale tradizione, cui si riallaccia la Historia Scholastica di Pietro Comestore (James, 1927, p. 21), sembra possa aver suggestionato, più o meno direttamente, il miniatore di un manoscritto della Genesi del sec. 14° (Londra, BL, Egert. 1894, c. 6r), il quale, con modi molto originali, rappresenta la torre mentre rovina al suolo per opera delle schiere angeliche che, sporgendosi dalle nuvole, soffiano con forza verso di essa. I due riquadri di destra, raffiguranti la confusione delle lingue e la discendenza di Noè, potrebbero invece riprendere i gruppi sovrapposti del mosaico di S. Marco; da quest'ultimo il manoscritto inglese deriva probabilmente anche lo slancio in altezza della torre campanaria (c. 5v).Il tema della distruzione della torre (c. 6r) e soprattutto la presenza di una figura gigantesca che assiste ai lavori di costruzione (c. 5v) permettono di connettere la scena del codice Egert. 1894 al passo biblico della fondazione di Babilonia (Gn. 10, 8-10); il personaggio è identificato da una scritta con Nembrod, mitico fondatore della città.Sul filo di questa stessa tradizione sembra potersi collocare l'Hortus deliciarum di Herrada di Hohenbourg, sorta di compilazione enciclopedica realizzata nella seconda metà del sec. 12°: nell'illustrazione dei capitoli di Zc. 3-5, infatti, Babilonia è rappresentata con due torri e identificata dalla scritta Babilon turris superbie (cc. 64v-65r; The Hortus Deliciarum, 1979, II, tav. 44).La figura di Nembrod peraltro ritorna, senza alcun riferimento testuale a Babilonia, in numerose altre immagini della torre di B.: nel gigante che collabora alla sua costruzione nell'affresco dell'abbazia di Saint-Savin-sur-Gartempe, databile tra il sec. 11° e il 12°; nella figura con arco e faretra che assiste ai lavori di edificazione nel De civ. Dei del monastero di Pforta (Bibl. der Königl. Landesschule, lat. A. 10, c. 3r; de Laborde, 1909, I, pp. 219-225; II, tav. III); nella figura vestita all'orientale che dirige il cantiere nella Chronicle della Coll. Gillet di Lyons (sec. 14°); nel soldato di proporzioni sovrumane del codice Germ. 4 (c. 25r) della Bayer. Staatsbibl. di Monaco e del già citato manoscritto del De civ. Dei di Parigi.Nella tradizione iconografica della Genesi la raffigurazione della torre di B. segue in alcuni casi quella della costruzione dell'arca o l'immagine del diluvio o, talvolta, un episodio della vita di Noè (spesso l'ebbrezza), come testimoniano per es. l'affresco di Giusto de' Menabuoi nel battistero di Padova (Bettini, 1944, fig. 76), la Bibbia trecentesca di Rovigo (Accad. dei Concordi, 212, c. 6v; Bibbia istoriata padovana, 1962) e le pagine d'incipit di due bibles moralisées (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Vind. 2554, c. 3v; Oxford, Bodl. Lib., 270b, c. 11r e v; de Laborde, 1911-1927, I, tav. 11), entrambe della metà del Duecento. Con la stessa successione iconografica, anche se inserito in una diversa realtà testuale, il tema della costruzione della torre di B. è rappresentato nell'Hortus deliciarum di Herrada di Hohenbourg dove, come nei citati avori di Salerno, alla raffigurazione dell'arca e del ritorno della colomba con il ramoscello d'olivo segue, nella stessa c. 27v, la costruzione della torre (The Hortus Deliciarum, 1979, II, p. 101). L'immagine, che si può mettere in rapporto con i mosaici di Palermo e di Monreale per la tipologia della struttura architettonica e per il gruppo di figure che lavorano intorno a essa, presenta un'iscrizione che attribuisce la volontà della costruzione a settantadue giganti, poi dispersi per il mondo (Gillen, 1931, pp. 50, 101); il testo a c. 30r, cui l'immagine si riferisce, attinge al Sermo Matthei apostoli ad Canducem eunuchum de turri Babel, tratto dall'Historia apostolica, opera apocrifa risalente alla fine del sec. 6° (Stegmüller, 1940-1961, I, pp. 164-165). Nel Sermo, alla smodata ambizione del genere umano, cui si deve l'edificazione della torre di B. e di conseguenza la confusione delle lingue, viene contrapposta la costruzione di un altro edificio, realizzato non con le pietre ma con le virtù di Cristo: la Chiesa. Cristo fa discendere sugli apostoli lo Spirito Santo e, in tal modo, dà loro la capacità di diffondere il messaggio evangelico nella lingua di tutte le genti. Tale tradizione testuale, che collega il Vecchio al Nuovo Testamento in una visione densa di significati allegorici e che nell'Hortus deliciarum non è esplicitata figurativamente, influenza contesti iconografici diversi. In particolare, oltre che in un salterio di produzione italiana, realizzato tra il sec. 12° e il 13° (Monaco, Bayer, Staatsbibl., Clm 835), la costruzione della torre di B. è associata alla rappresentazione della Pentecoste nei manoscritti contenenti lo Speculum humanae salvationis, testo tardomedievale nel quale l'incarnazione e la passione di Cristo sono prefigurate in episodi del Vecchio Testamento (per es. Parigi, BN, lat. 9584; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 146, entrambi del sec. 14°), sia per analogia, come nell'Annunciazione prefigurata nell'apparizione di Dio a Mosè, sia per contrapposizione, come nel caso della Pentecoste.

Bibl.:

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