BALSAMO, Giuseppe, alias Alessandro Cagliostro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BALSAMO, Giuseppe, alias Alessandro Cagliostro

Carlo Francovich

Nacque a Palermo il 2 giugno 1743 dal mercante Pietro Balsamo e da Felicita Bracconieri, entrambi di modeste condizioni economiche, anche se nobili di famiglia come alcuni autori affermano (Haven, Maruzzi). Sembra comunque accertato che di nobile famiglia fosse la madre, imparentata con i Cagliostro, da cui in seguito il B. avrebbe derivato il nome che lo rese famoso.

Morto il padre pochi giorni dopo la sua nascita, fu affidato alle cure di uno zio materno, che se ne sbarazzò appena possibile, sistemandolo nel seminario di S. Rocco a Palermo, e inviandolo poi (1756) come novizio presso il convento dei Fatebenefratelli di Caltagirone, ove fu affidato alla custodia del fratello speziale, dal quale probabilmente apprese alcune nozioni di chimica e di medicina.

Nel 1768 il B. si trova a Roma, dove sposa una bellissima fanciulla, Lorenza Feliciani, figlia di un fonditore, che abitava nel vicolo delle Cripte. Peraltro dal 1756 al 1768 non si hanno notizie documentate del Balsamo.

Le uniche fonti d'informazione in proposito sono il Compendio della vita e delle gesta di G. B., redatto nel 1791 da monsignor Giuseppe Barberi, fiscale generale del Santo Uffizio, ma che nel processo contro il conte di Cagliostro ebbe il delicato compito di fungere da segretario della Congregazione giudicante. Quanto egli afferma è in parte suffragato dai manoscritti, residuati gesuitici del Santo Uffizio, riguardanti il processo e conservati presso la Biblioteca Nazionale di Roma. Il Compendio, però,anche se scritto con la obbiettiva serietà di un magistrato, fu redatto come giustificazione di fronte all'opinione pubblica europea del processo e della grave sentenza pronunziata. Dall'altra parte abbiamo le molteplici e mirabolanti dichiarazioni del conte di Cagliostro e, soprattutto, l'autodifesa al famoso processo della collana della regina. All'una o all'altra di queste fonti si appoggiano i detrattori del Balsamo o gli apologeti del Cagliostro.

Secondo il Compendio il B., abbandonato il convento, dove ne aveva combinate d'ogni colore, si recò a Palermo, esercitandosi in vari delitti d'empietà, partecipando a risse, falsificando biglietti di teatro e testamenti, commettendo furti e truffe. Tra queste sarebbe famosa quella commessa a danno di un certo Marano gioielliere, vittima del B. per la sua credulità nelle arti magiche. Dopo questa truffa egli dovette lasciare Palermo e - secondo quanto afferma il Compendio - "girò varie parti del mondo".

Secondo quanto invece sostenne il conte di Cagliostro al processo della collana nel 1786, egli sarebbe nato da genitori a lui sconosciuti e in una località ignota; avrebbe trascorso l'infanzia alla Mecca; quindi, sotto la guida di un certo Altotas, sapientissimo botanico e fisico, avrebbe percorso l'Egitto apprendendo le verità segrete possedute da quei sacerdoti. A Malta poi avrebbe aiutato nelle sue ricerche alchimistiche il gran maestro dell'Ordine, Pinto d'Alfonseca, trasferendosi in seguito a Napoli e, dopo un ulteriore soggiorno in Sicilia, a Roma.

Secondo il Compendio,anche dopo il matrimonio il B. si dedicò alle solite falsificazioni, tanto da correre il rischio d'essere arrestato e forse anche d'essere condannato a morte. Pertanto fuggì con un complice, il sedicente conte Agliata, e la moglie in un cordiale ménage à trois. I due coniugi, rimasti soli a Bergamo, avrebbero raggiunto Barcellona, Madrid, e infine Lisbona, vivendo di truffe e di falsi, cui ora si sarebbero aggiunte le arti seduttrici di Lorenza, incoraggiata dal marito a una lucrosa prostituzione.

Nell'estate del 1771 la coppia si reca a Londra, dove - dopo esser ricorso alle solite mistificazioni - il B. viene a sua volta truffato da un conterraneo e finisce in prigione per debiti. Fu costretto per vivere a lavorare come decoratore, ma sembra che tale arte fosse da lui esercitata con poco successo. Alla fine dell'anno successivo la coppia si reca a Parigi, dove Lorenza abbandona il marito per un certo avvocato Duplessis e finisce nel gennaio 1773 a Santa Pelagia, la prigione delle donne di malaffare. Poi i due si riconciliano e, dopo un viaggio per il Belgio e la Germania, fanno ritorno a Palermo e a Napoli (1775), ove li raggiunge un fratello di Lorenza, che si accompagna per un certo tempo alla coppia nelle successive peregrinazioni.

Poco dopo, a Marsiglia, il B. appare per la prima volta - a quanto risulta - nella veste di taumaturgo e di conoscitore di verità occulte apprese dai sacerdoti egizi. Promette, dietro lauto compenso in denaro, a uno spasimante, ormai in là con gli anni, di ridargli il vigore giovanile mediante l'attuazione prolungata di certi riti magici; ma non realizzandosi il miracolo, è costretto a fuggire in Spagna. Si reca successivamente a Venezia, ad Alicante e infine a Cadice (1776), dove pare che il cognato lo abbandonasse, non senza averlo a sua volta defraudato.

In quello stesso anno, il B. - che fino a quel tempo aveva fatto uso di vari nomi e titoli millantati: conte di Fenix, conte Harat, marchese Pellegrini, marchese D'Anna, marchese Balsam, principe di Santa Croce - ritorna a Londra per la seconda volta e adotta il nome di conte Alessandro di Cagliostro, ufficiale al servizio del re di Prussia. Nello stesso tempo la moglie aveva cambiato il nome di Lorenza in quello più celestiale di Serafina.

A partire dal secondo soggiorno londinese (1776-77) la vicenda del B., divenuto Cagliostro, può seguirsi su una documentazione ufficiale, sulla memorialistica dei contemporanei e non sulla narrazione desunta da libelli diffamatori o comunque scritti da avversari e denigratori. Tale soggiorno non fu soltanto caratterizzato da un ennesimo arresto e processo per truffa, ma anche dall'ammissione di Cagliostro e di Lorenza nella loggia massonica "La Speranza", una delle meno note, che raccoglieva soprattutto elementi stranieri e borghesi. Da questo momento l'attività dell'avventuriero siciliano comincia a svolgersi in seno alla massoneria, che gli conferisce un nuovo prestigio, indicandogli nuove vie e nuove conoscenze per meglio affermarsi nella società del sec. XVIII.

Giovò soprattutto al Cagliostro l'affermarsi in Europa di particolari gruppi latomistici a sfondo prevalentemente mistico. Accanto all'ormai tradizionale massoneria inglese, che affermava le idee di tolleranza religiosa e di libertà intellettuale, si era sviluppata in Francia prima, e in Germania poi, una massoneria degli "alti gradi", erede e detentrice, secondo quanto affermava, dei segreti degli antichi cavalieri templari. I Rosacroce indagavano i segreti alchimistici; i massoni mistici, sulla traccia di Swedenborg, cercavano mediante la teurgia di stabilire un contatto con gli spiriti celesti e dell'oltretomba. Esisteva infine anche una massoneria anarchica e atea - gli Illuminati di Baviera - che mirava a trasformare in una formulazione egualitaria le aspirazioni politiche e il fermento intellettuale del secolo.

Questo mondo di rapporti segreti, avvolto di mistero e immerso talvolta nelle pratiche occultistiche, che, già prima del Cagliostro, aveva favorito le sorti di più d'un avventuriero e ciarlatano (basti pensare al Conte di Saint Germain!) costitui un'ottiina base per la sua successiva attività. Fondandosi, come sembra, su un vecchio manoscritto inglese da lui scovato presso un libraio di Londra, costituì una nuova setta massonica: la massoneria di "rito egiziano", di carattere mistico, che prometteva agli adepti, dopo una serie di iniziazioni e di pratiche rituali, la rigenerazione del corpo e dell'anima. Potevano farne parte gli uomini e le donne che fossero già iscritti alla massoneria ordinaria. Ne era a capo lo stesso Cagliostro col titolo di "gran Cofto", mentre le sedute cui erano ammesse le donne avevano come presidentessa la bella Serafina, che per l'occasione assumeva il titolo di "regina di Saba".

Ebbe inizio così per il Cagliostro una serie di successi morali e materiali, variamente interpretati dai biografi; certo è che tra il 1777 e il 1780, nel suo viaggio attraverso l'Europa centrale e settentrionale, che lo portò dall'Aia a Berlino, dalla Curlandia a Pietroburgo e in Polonia, egli ebbe modo di mietere una serie di successi: a Pietroburgo sembra che facesse credere di avere risuscitato un bambino morto. Tali successi non solo coincisero con un tono di vita lussuosissimo, ma gli procurarono anche l'intima amicizia di nobili e di scienziati, tanto da essere accolto trionfalmente alla corte di Varsavia dallo stesso sovrano (maggio 1780).

Pur non concordando con gli apologeti del Cagliostro, è tuttavia probabile che egli avesse nozioni di arte medica e farmaceutica. Ciò risulta dalle sue ricette nonché dai due farmachi più famosi, che, oltre al misterioso "elixir di lunga vita", somministrato solo in casi eccezionali, consistevano nel "vino egiziano", un eccitante afrodisiaco, e nelle "polveri rinfrescanti", un decotto di erbe mediche. È inoltre probabile che la sua forza di suggestione fosse rafforzata dalla conoscenza di alcuni elementi del magnetismo animale (di cui proprio in quegli anni Mesmer faceva i primi esperimenti fra l'enorme meraviglia e costernazione del pubblico) e forse da doti innate di ipnotizzatore. Del resto, la forza di suggestione emanata dalla personalità del Cagliostro fu più o meno generalmente riconosciuta anche da coloro che erano meno disposti a lasciarsi truffare. Basti ricordare la descrizione della sua persona fisica lasciataci dal letterato roveretano Clementino Vannetti, che narrò la vicenda del Cagliostro nella cittadina natale con spirito critico, non privo di un delicato umorismo: "Aveva una fisionomia assai piacevole; di statura mezzana, aveva la testa grossa, molta pinguedine. Ad onta della sua grassezza, camminava, volteggiava con agilità. Aveva un bel colorito, i capelli neri, gli occhi profondi e splendenti. Quando parlava con la sua voce simpatica, levando gli occhi al cielo e gestendo con vivacità, era simile a chi è invaso dal divino afflato". E la baronessa d'Oberkirch nei suoi Mémoires: "Non era assolutamente bello, ma giammai s'era offerta alla mia osservazione una fisionomia più notevole: egli aveva soprattutto uno sguardo d'una profondità quasi soprannaturale. Non saprei rendere l'espressione dei suoi occhi; era nello stesso tempo del fuoco e del gelo; attirava e respingeva; faceva paura e ispirava una curiosità invincibile".

Il Cagliostro sapeva rafforzare il suo fascino personale lasciando che intorno a lui si formasse un alone di leggende e di mistero, facendo credere ad esempio - come il conte di Saint-Germain - di essere vissuto in epoche remotissime; a chi gli chiedeva notizie un po' meno vaghe sulla sua origine e sulla sua persona, rispondeva laconicamente: "ego sum, qui sum!". Al suo amico ed ammiratore Lavater, filosofo e mistico, che gli domandò un giorno su che cosa si fondasse la sua arte medica, rispose con uguale laconicità: "in verbis, in herbis, in lapidibus".

Del resto, qualunque fosse l'entità delle sue nozioni scientifiche, quando nel gennaio del 1781 giunse a Strasburgo, egli operò alcune guarigioni autentiche, curando gratuitamente i numerosi ammalati che affollavano la sua anticamera. In tal modo si accaparrò non soltanto la stima e l'amicizia del già ricordato Lavater o quella del banchiere svizzero Sarrasin, ma godette dell'incondizionata ammirazione e devozione del cardinale e principe di Rohan, grande elemosiniere del re di Francia.

Ma a Strasburgo, come altrove, divenne presto l'oggetto degli attacchi da parte dei medici laureati o patentati e forse fu questo il motivo che lo indusse a lasciare la città. Così i due coniugi, dopo aver peregrinato attraverso la Svizzera, giunsero a Napoli. Soggiornarono per un anno a Bordeaux e quindi sostarono a Lione.

Specialmente in questa città, che era in quel tempo il centro europeo più importante della massoneria mistica, soprattutto per l'opera svolta dagli "Elus Cohens", dal martinismo e da altri regimi occultistici, il Cagliostro trovò un terreno fertile per organizzare la massoneria egiziana. Dopo aver conquistato la città con le sue arti di medico ed i suoi poteri di chiaroveggente, istallò la "madre loggia" del rito egiziano, col titolo "La Sagesse triomphante", in una sede splendida e con l'adesione delle più importanti personalità cittadine. Ma anche da Lione improvvisamente si allontanò per recarsi a Parigi, dove giunse il 30 genn. 1785.

Quale importanza il Cagliostro avesse assunto nel mondo della massoneria mistica ed alchimistica lo si vide in quei giorni, allorché fu invitato a partecipare al convegno dei "Philalèthes": una setta massonica che fin dal 1784 aveva cercato di organizzare un convegno allo scopo di riunire tutti i seguaci delle ricerche esoteriche, e nel contempo di risolvere l'arduo problema delle origini e dei fini della Libera Muratoria. A tale scopo era stato inviato un lungo questionario ai maggiorenti massonici, ma s'intende come le aspettative più fervide si indirizzassero verso la persona del Cagliostro, il quale tuttavia pretese atti così umilianti di incondizionata sottomissione al suo "rito egiziano", che, nonostante ogni buona volontà da parte dei "Philalèthes", l'invito non poté avere seguito. Tale atteggiamento finì per screditarlo anche di fronte a quei massoni che fino a quel momento avevano avuto un'incondizionata fiducia in lui. Nondimeno nell'agosto dei 1785, in uno scenario solenne, tra una folla di nobili, di dame, di pubblicisti, di ecclesiastici e di militari, tra cui non mancava l'amico e protettore cardinale di Rohan, si celebrava la fondazione della loggia egiziana "Isis", cui erano ammessi tanto gli uomini che le donne: le assemblee di queste ultime avevano come gran maestra l'ancora giovane e bella Serafina, che godette in quel tempo di una popolarità immensa, pari forse a quella del marito.

Ma proprio mentre, al colmo della gloria, il Cagliostro si dedicava con successo all'attività medica ed esoterica, fu, a sua insaputa, coinvolto nel più celebre processo dell'epoca, nell'"affaire du collier de la reine", entrando così di colpo in una delle maggiori vicende scandalistiche del tempo.

La storia è nota. Il cardinale di Rohan, famoso per vita galante e prodigalità, fu raggirato da un'avventuriera, la signora de La Motte, allora in rapporto di amicizia con la regina Maria Antonietta. Essa fece credere al cardinale, innamorato non corrisposto dalla regina, che questa avrebbe gradito le sue attenzioni, se egli avesse garantito presso i gioiellieri della corte il pagamento dì una magnifica collana di diamanti, che la regina avrebbe successivamente pagato a scadenze fisse. Il cardinale ritirò la collana e la consegnò alla de La Motte, che naturalmente la rivendette ad altri. L'inganno fu scoperto quando i gioiellieri non videro giungere le rate del pagamento e il cardinale non si vide ammesso ai favori della regina. La de La Motte, arrestata assieme al cardinale, riversò la colpa di tutta la faccenda sull'innocente Cagliostro, cui in tutta la storia si poteva solo imputare d'aver dato al cardinale l'unico consiglio sensato, allorché si scoprì l'imbroglio: confessare tutto al sovrano ed evitare in tal modo lo scandalo pubblico.

Quando il Cagliostro e sua moglie furono rinchiusi nella Bastiglia, l'ingiustizia palese indignò l'opinione pubblica e lo scandalo assunse una caratterizzazione politica: esso servì agli avversari del potere assoluto per screditare la monarchia e rivelò sin da allora l'antipatia dei Francesi per la regina austriaca.

Nel solenne processo che si tenne davanti al Parlamento di Parigi, durante il quale il Cagliostro ebbe modo di pronunciare la sua difesa, coronata da un entusiastico applauso dei presenti, si poté constatare l'innocenza sua e la buona fede del cardinale. Entrambi furono assolti (Serafina era già stata liberata in precedenza). Una folla imponente accompagnò allora il Cagliostro dalla Bastiglia fino a casa. La sua fama e la sua popolarità non avevano mai raggiunto punte così clamorose.

Se tuttavia il Parlamento proclamò la innocenza del Cagliostro, il potere esecutivo nella persona del de Breteuil, ministro della real casa, decretò l'esilio al "Gran Cofto", che riparò in Inghilterra. Di qui scrisse la famosa Lettera al popolo francese,ove accusava il barone de Breteuil di averlo perseguitato e di continuare a perseguitarlo, pronunciava una requisitoria spietata contro i sistemi giudiziari francesi e concludeva infine con una profezia, annunciando la caduta della Bastiglia, la convocazione degli Stati generali, l'abolizione delle lettres de cachet e l'avvento al trono di un re saggio (probabile allusione al duca di Chartres, il futuro Filippo Egalité, gran maestro della massoneria francese).

Queste asserzioni contribuirono a schierare il Cagliostro nel campo della politica militante, mentre il governo francese, costretto a difendersi, provvedeva ad opporgli un libellista abilissimo e famoso in quel tempo, Théveneau de Morande. Questi, con l'aiuto della polizia e dei diplomatici francesi, riuscì a stabilire l'identità fra Giuseppe Balsamo" Alessandro Cagliostro, fra Serafina e Lorenza Feliciani, ricostruendo fra l'altro le vicende dei due precedenti soggiorni londinesi.

La polemica, dibattuta sulle gazzette, tra il Théveneau e il Cagliostro durò a lungo con fasi alterne, sostenuta da quest'ultimo non senza abilità e non senza successo fino a quando non si risolse a partire da Londra, dove lasciò momentaneamente la moglie, per cercare un rifugio più tranquillo in Svizzera, presso gli amici Lavater e Sarrasin. Durante la sua assenza, Théveneau, profittando delle incertezze di Serafina, che forse avvertiva il prossimo declino del marito, riuscì a strapparle alcune dichiarazioni compromettenti e a farle chiedere lo scioglimento del vincolo coniugale. Il Cagliostro però giunse in tempo per richiamare la moglie presso di sé convincendola a ritrattare, davanti a un notaio di Bienne, le precedenti affermazioni.

Ricominciano quindi le sue peregrinazioni: Aix in Savoia, Torino, Genova, Rovereto, Trento, sempre alternando la attività di medico con quella di organizzatore di logge massoniche. Il soggiorno a Rovereto ispirò a Clementino Vannetti quel curioso libretto, scritto nel latino della vulgata,intitolato Liber memorialis de Caleostro quum esset Roboreti, parodia dei Vangeli e perciò detto anche il "Vangelo di Cagliostro", che a molti contemporanei parve opera sconveniente e profanatrice.

A Trento, dove giunse nell'autunno del 1788, entrò subito nelle grazie del principe vescovo Pietro Vigilio Thun, non si sa se sorprendendo la buona fede del prelato, o in virtù di un contatto massonico come taluno suppone. Certo è che, dopo aver svolto con risultati non eccessivamente brillanti l'arte taumaturgica a Trento, egli iniziò le pratiche per un ritorno a Roma, spinto probabilmente a ciò dalla moglie, desiderosa di rivedere i propri familiari. Il vescovo di Trento operò in modo da facilitare tale ritorno, raccomandandolo alle autorità ecclesiastiche e chiedendo per lui un salvacondotto che fu concesso con una formula piuttosto prudente.

Fu così che nel maggio del 1789, mentre in Francia stava per scoppiare la grande rivoluzione e tutta l'Europa avvertiva il vacillare delle vecchie strutture statali, il Cagliostro giunse a Roma, scaduto alquanto nella sua fama di taumaturgo, e guardato con sospetto dalle autorità di polizia, che vedevano in lui un attivo esponente della massoneria e un pericoloso agitatore politico.

In un periodo che vedeva la riscossa dei ceti conservatori contro il razionalismo illuministico e le sue conseguenze nel campo culturale e politico (in Baviera nel 1786 si era solennemente condannata la setta degli "illuminati" di Weishaupt), il Cagliostro, che aveva profetizzato la caduta della Bastiglia, colpendo gli abusi della monarchia per diritto divino, non poteva non creare preoccupazione e sospetti. A Roma la massoneria, nonostante le condanne di Clemente XII (1738) e di Benedetto XIV (1751), operava da tempo, reclutando i suoi adepti soprattutto nelle numerose colonie di stranieri. Quando vi giunse il Cagliostro era particolarmente attiva la loggia degli "Amici Sinceri", che aveva sede nella casa del pittore francese Agostino Belle. Cagliostro, non potendo esercitare liberamente l'arte del medico ed essendo d'altra parte scaduta la sua fama di taumaturgo, cercò di trovare una fonte di guadagno nei travagli massonici, tentando di entrare in contatto con i liberi muratori di Roma. Ma sembra che costoro non ne volessero sapere, considerandolo, sì, con grande curiosità, ma nello stesso tempo anche con molta diffidenza, quasi fosse un volgare truffatore. Nondimeno egli riuscì ad attirare dalla sua alcune personalità di rilievo, come il cardinale di Bernis ambasciatore di Francia, la principessa Lambertini, nipote di Benedetto XIV, e il di Loras, balì dell'Ordine di Malta.

Egli tentò d'insediare anche a Roma una loggia del "rito egiziano", e a tal fine organizzò una riunione, proprio a Villa Malta, il 16 sett. 1789, cui intervennero numerosi esponenti del clero e della nobiltà romana.

Nella riunione, presenziata dall'ambasciatore di Francia, il Cagliostro espose i principi della massoneria egiziana, ricorse alle arti di chiaroveggente preannunciando la distruzione della Bastiglia, che dei resto era già avvenuta, e la marcia delle donne su Versailles, che doveva ancora avere luogo, se deve prestarsi fede alla data citata. Ma nonostante queste e altre imprese mirabolanti, riferite dall'abate Benedetti, che partecipò alla seduta, egli non riscosse gran numero di adesioni fra i presenti. Solo due furono i massoni che aderirono al "rito egiziano": il marchese Vivaldi, che al momento degli arresti riuscirà a mettersi in salvo, e un curioso tipo di frate cappuccino, il padre Francesco Giuseppe da San Maurizio, al secolo Giacinto Antonio Roulier, cittadino svizzero, che al momento dell'arresto fu trovato in possesso di opere politiche compromettenti.

Dato il fallimento della riunione e anche per i frequenti dissensi con la moglie, che sembrava presa da improvvisi scrupoli religiosi, il Cagliostro pensò a un ritorno a Parigi, donde giungevano notizie sempre più drammatiche sulla sconfitta di quel milieu che lo aveva perseguitato. Scrisse pertanto un memoriale diretto all'Assemblea nazionale francese, con il quale, dopo aver ricordato le passate persecuzioni, chiedeva di rientrare in Francia, mettendosi a completa disposizione del nuovo governo. Ma la petizione non ebbe risposta.

Frattanto Lorenza minacciava di accusare nuovamente il marito di fronte a un tribunale, consigliata in questo dai parenti con i quali aveva ristabilito rapporti frequenti. Il frate cappuccino, innalzato dal Cagliostro alla carica di segretario, avrebbe dovuto sorvegliarla, ma, divenutone l'amante, non riuscì a impedire che ella fornisse a un sacerdote in sede di confessione importanti elementi di accusa contro il marito confermati del resto dagli altri membri della famiglia Feliciani e dai coimputati desiderosi di scagionarsi.

È chiaro che l'accusa di Lorenza offrì soltanto pretesto per procedere al Santo Uffizio che già da tempo, preoccupato degli avvenimenti internazionali, sorvegliava l'attività del Cagliostro e dei massoni residenti a Roma. L'arresto e il processo del Cagliostro dovevano essere, secondo gli intendimenti romani, il processo contro le mene politiche e antireligiose della massoneria. Il Sant'Uffizio redasse un particolareggiato rapporto sulla sua attività a Pio VI, che, udito il parere di alcuni cardinali inquisitori generali, ordinò il 27 dic. 1789 l'arresto del Cagliostro, della moglie Lorenza, del cappuccino e una perquisizione in casa del pittore Belle.

Il Cagliostro fu rinchiuso in Castel S. Angelo sotto severa custodia e con un eccezionale apparato di sicurezza; il cappuccino fu tradotto alle carceri di Ara Coeli; mentre Lorenza fu rinchiusa nel convento di S. Apollonia in Trastevere. Fu subito dato inizio all'istruttoria. Il collegio giudicante venne costituito da personaggi di chiara fama e dotato dei più ampi poteri d'inchiesta. La presidenza fu affidata al cardinale Zelada, segretario di Stato; fra i giudici il cardinale Antonelli, prefetto di Propaganda; segretario della commissione era monsignor Giuseppe Barberi, il fiscale generale di Stato.

L'istruttoria andò per le lunghe e il primo interrogatorio processuale si ebbe l'8 maggio 1790. Anche il collegio di difesa fu costituito da due prelati, dall'ordinario avvocato dei rei presso il tribunale della S. Inquisizione e dall'avvocato dei poveri. Se onesta ed abile fu la difesa degli avvocati, - il comportamento del Cagliostro durante il processo si dimostrò piuttosto contraddittorio, rivelando il declino della tanto decantata astuzia e intelligenza attribuita al "Gran Cofto".

Era infatti chiaro che il S. Uffizio tendeva a inquadrare la sua figura nell'ambito dell'attività massonica: purtroppo, egli facilitò tale impresa, confermando addirittura di essere stato un emissario degli "Illuminati". Questo non sembra corrispondere a verità: basta pensare alla diffidenza con cui gli Illuminati, legati a una precisa azione politica, guardarono sempre ai sogni alchimistici di Cagliostro. Anzi nel carteggio di Friedrich Münter, il teologo luterano che nel 1786 era venuto in Italia, soggiornando a lungo a Roma per organizzare le logge illuminate, si trova una lettera del 26 genn. 1790 diretta all'amico cardinale Stefano Borgia, nella quale egli afferma espressamente: "se si crede a Roma che Cagliostro sia un libero muratore o riconosciuto tale dalle logge legittime, si fa uno sbaglio. Egli è riconosciuto dappertutto tale, quale è, cioè un impostore periculoso...". E inoltre: "... mi rincresce che la S. Sede abbia voluto fare inquisizione contro i liberi muratori stessi". Concludeva scongiurando il cardinale in nome della "santa memoria di Benedetto XIV, di fare quel che potrà affinché non restino infelici uomini, che non hanno commesso verun delitto e che sono buoni cittadini e debbono essere li nemici di ogni impostura...".

Evidentemente il Cagliostro, più che in una difesa logica e persuasiva, fidava negli atti di sottomissione alla Chiesa e nelle molteplici prove di ravvedimento date durante la sua carcerazione in Castel S. Angelo, confessando, rinnegando i propri errori e facendo varie pratiche di devozione e di penitenza. Ma tutto questo gli giovò ben poco.

Il 7 apr. 1791 fu pronunziata la sentenza, con la quale si affermava il B. "detto conte di Cagliostro essere caduto in tutte le pene (morte esemplare) minacciate dai Sacri Canoni e dalle leggi, tanto civili che municipali, contro eretici formali, contro maghi e contro Liberi Muratori". La pena gli fu commutata dal papa in carcere perpetuo, senza speranza di grazia. Il padre Francesco Giuseppe da San Maurizio fucondannatoadieci annidi carcere. Lorenza fu assolta dal tribunale, ma venne rinchiusa per misura disciplinare nel convento di S. Apollonia in Trastevere. Il 4 maggio successivo, in piazza della Minerva a Roma, fra il solito tripudiare della folla, vennero bruciati gli strumenti massonici e i libri sequestrati al Cagliostro.

Si avvicinava la sua tragica fine. Rinchiuso il 21 apr. 1791 nel forte di San Leo, oggi in provincia di Pesaro, in un locale senz'aria e senza luce, dove le più semplici norme igieniche erano volutamente ignorate, sotto una sorveglianza continua e ossessionante, egli cominciò lentamente a dare segni di follia. Da questo momento cominciarono le bastonature quasi periodiche, che finirono per fargli perdere completamente la ragione. Mentre lo percuotevano, i suoi urli angosciati e deliranti erano uditi fino nel paese sottostante. Di tutti questi particolari il governatore di San Leo informava con rapporti periodici il cardinale legato di Urbino, che inoltrava le informazioni alla segreteria di Stato a Roma, dove la sorte del Cagliostro veniva seguita con interesse non privo di una certa trepidanza. Ma il 26 ag. 1795, pochi mesi prima che arrivassero a San Leo le truppe liberatrici francesi, egli morì, pare, in seguito a un colpo apoplettico. "Secundum duritiem mentis et impoenitens cor, nullo dato poenitentiae signo, illamentatus moritur", dice l'atto di morte. Fu quindi sepolto in terra sconsacrata e il suo corpo nonfupiù ritrovato.

Tale fu il destino dell'avventuriero siciliano, che, dotato d'intelligenza non comune, s'impose all'attenzione di tutta l'Europa sfruttando mirabilmente l'ansia del secolo verso tutto ciò che rasentasse il mistero. Poiché non va dimenticato che l'epoca dei "lumi" e del movimento razionalista alimentava nel fondo una corrente irrazionale e vagamente spiritualista che trovò uno sfogo non solo nel profetismo teosofico, ma si rivelò nella passione per le scienze occulte, per lo spiritismo incipiente, per l'alchimia, per l'astrologia, per la teurgia, accompagnata dalla degenerazione mondana della volgarizzazione scientifica.

Tra il 1777 e il 1786 gli ammiratori del Cagliostro intrecciarono, da un capo all'altro dell'Europa, una fitta corrispondenza con espressioni di devozione incondizionata, come risulta dalle lettere di Lavater a Sarrasin, da quelle del guardasigilli Mirosmesnil o del conte di Lamberg, del cardinale di Rohan e del duca di Curlandia. Ma il successo del Cagliostro non si limitò alle classi dirigenti; la folla, abbagliata dalla sua opulenza misteriosa e più ancora dalla fama delle sue cure praticate gratuitamente ai poveri, lo applaudì, sostò alle porte del suo alloggio gridando al miracolo. Durante il famoso processo del collier, egli riuscì a interpretare le inquietudini del secolo, rispecchiando in sé il generale scetticismo verso la tradizione e la ansiosa attesa di un futuro migliore e diverso. gembra quasi che egli fosse inconsciamente preso dalle nuove idee, dal senso generale di rivolta, al quale forse lo avevano portato i disagi sofferti nel passato, nonché il ricordo delle sopraffazioni subite, degli abusi esercitati dai potenti e da autorità incontrollate. Comunque, egli era mosso non da una ragione politica, ma da un impulso istintivo e finì per essere coinvolto in un giuoco più grande di lui. L'inserirsi della massoneria negli avvenimenti che portarono alla grande rivoluzione, servì a conferirgli una personalità politica che certamente non ebbe e che amaramente dovette scontare. La vita avventurosa e contraddittoria, la morte tragica e dolorosa, contribuirono a creare nei posteri un mito che sopravvisse nella letteratura romantica e nella successiva polemica anticlericale.

Questo mito - che affascinò gli scrittori del secolo scorso, e basti per tutti citare Volfango Goethe e Alessandro Dumas - in realtà era già nato mentre egli era ancora in vita. Tanto che appena si sparse la notizia della sua morte si diffuse la leggenda che fosse evaso dal carcere e che continuasse ad aggirarsi per il mondo in una ennesima incarnazione. La scomparsa del suo cadavere avvalorò probabilmente tale favola.

Del resto, anche del frate cappuccino e della moglie non si ebbero più notizie. Può essere che i susseguenti avvenimenti politici, l'arrivo dei Francesi a Roma, li abbiano restituiti alla vita civile, ma nulla sappiamo di loro. Anche le loro tombe, come quella dei Caglìostro, sono rimaste sconosciute.

Fonti e Bibl.: Le fonti documentarie più importanti sono quelle raccolte in occasione del processo romano (1790-91). Dato che tali documenti non sono accessibili, la fonte archivistica più importante rimane per ora la Raccolta di scritture legali riguardanti il processo di G. B. detto Alessandro conte di Cagliostro e di P. Francesco Giuseppe da S. Maurizio Cappuccino, innanzi al Tribunale del S. Uffizio di Roma, nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, fondo Vittorio Emanuele,ms. 245, I-XXXV. Circa - il processo per l'affaire du collier e il soggiorno nella prigione della Bastiglia (1785-86), i documenti si trovano a Parigi (Archives Nationales, X B 1417, F 4445B-4450B, Y 11514; Archives du Ministère des Affaires Etrangères, France 1786. Mémoires et Documents, I, 400; Biblìothèque Nazionale, mss., Nouvelles acquisitions francaises 22899; Bibliothèque de l'Arsenal, Papìers de la Bastille, 12457, 12517). Altri documenti manoscritti, riguardanti l'itinerario del B., si possono consultare a Genova (Biblioteca civica Berio) e a Trento (Biblioteca comunale). Per la detenzione del B. nella fortezza di San Leo e intorno alla sua morte si hanno docc. a Pesaro (Biblioteca Oliveriana, Carteggio sulla persona di G. B. denominato il conte di Cagliostro, relegato nella fortezza di S. Leo per ordine della Santità di Nostro Signore Pio VI, 2 voll., nn. 8718-8719; Carteggio sulla persona di G. B. denominato il conte Cagliostro, relegato nella fortezza di S. Leo ed ivi morto in agosto 1795, n. 8721). Vastissima è la bibliografia sul B., dato che libri e articoli nei quali si parlava di lui cominciarono a uscire mentre egli era ancora vivo. Rimandiamo per una più ampia informazione ai repertori bibliografici di alcune opere essenziali. Per gli opuscoli del sec. XVIII, per gli articoli e i libri apparsi in epoca successiva in lingua straniera, cfr. M. Haven, Le maître ínconnu, Paris 1912. Per i rapporti tra il B. e la massoneria, cfr. P. Maruzzi, Ilvangelo di C. il Gran Cofto, traduzione letterale del testo latino preceduto da uno studio storico-critico e da una bibliografla, Todi 1914. Per una bibliografia complessiva, esauriente soprattutto per le opere italiane, cfr. E. Petraccone, Cagliostro nella storia e nella leggenda, nuova ediz., a cura di B. Brunelli, Milano 1936. Oltre alle tre opere suddette, hanno un'importanza fondamentale negli studi cagliostreschi: Compendio della vita e delle gesta di G. B. denominato il Conte Cagliostro che si è estratto dal processo di lui formato in Roma l'anno 1790, ecc., Roma 1791 (opera di mons. G. Barberi, segretario della Congregazione giudicante nel processo romano); H. d'Alméras, Les romans de l'histoire: Cagliostro, la Franc-Maçonnerie et l'occultisme au XVIII siècle, Paris 1904; W. R. H. Trowbridge, Cagliostro, the splendour and misery of a master of magie, London 1912; B. Cassinelli, Cagliostro dinnanzi al Sant'Uffizio (1789-91), Roma 1930; C. Photiadès Les vies du Comte de Cagliostro,Paris 1935, (l'opera più completa sull'avventuriero siciliano); B. Pincherle, Specifici e ricette del conte di Cagliostro, in La medicina internazionale, dicembre 1933 e gennaio 1934; Cagliostro, in Il giardino d'Esculapio, luglio 1943; N. Matteini, Il conte di Cagliostro: prigionia e morte nella fortezza di San Leo, Bologna 1960.

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