Banca e finanza. Esercizio abusivo dell'attività finanziaria

Libro dell'anno del Diritto 2012

Banca e finanza. Esercizio abusivo dell'attivita finanziaria

Renato Bricchetti

Banca e finanza
Esercizio abusivo dell’attività finanziaria

Negli ultimi anni, e fino a tutto il 2010, si sono susseguiti interventi di riforma della disciplina delle attività finanziarie che hanno interessato anche i profili penali del sistema di tutela, e che pongono nuovi problemi di ricostruzione e interpretazione. Nel presente contributo, dopo una ricostruzione sintetica del quadro normativo pertinente, viene in particolare esaminata la portata delle novità introdotte riguardo all’esercizio abusivo delle attività finanziarie, attraverso la nuova scrittura dell’art. 132 del d.lgs. n. 385/1993, ed attraverso il rinnovato assetto delle norme precettive e organizzative cui si riferisce la sanzione penale.

La ricognizione. Il quadro normativo in materia di abusivismo bancario e finanziario e le recenti modifiche

Nei settori finanziario e bancario l’accesso al mercato è presidiato da norme penali che reprimono l’abusivismo, vale a dire l’esercizio di determinate attività senza preventivo provvedimento autorizzatorio dell’autorità di vigilanza del settore, tenuta a verificare che l’operatore sia in possesso dei requisiti imposti dalla legge a prova della sua affidabilità professionale, patrimoniale e morale. Le disposizioni sono essenzialmente contenute nell’art. 166 del d.lgs. 24.2.1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria e negli artt. 130-132 bis del d.lgs. 1.9.1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Le novità normative si collocano interamente nel settore bancario-finanziario disciplinato dal t.u. banc. Si tratta di interventi attuati negli ultimi anni, ed anche in tempi molto recenti, i cui effetti si stanno ora misurando appieno. Ecco, in proposito, una ricostruzione schematica. Gli artt. 130- 132 t.u. banc. prevedono oggi, come è noto, i reati di esercizio abusivo:

a) dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico1, contravvenzione punita dal 12.1.20062, con l’arresto da un anno a tre anni e con l’ammenda da euro 12.911 a euro 51.645 (art. 130);

b) dell’attività bancaria (raccolta del risparmio ed esercizio del credito), delitto punito, sempre a far tempo dal 12.1.2006, con la reclusione da un anno a otto anni e con la multa da euro 4.130 a euro 10.329 (art. 131);

c) dell’attività di prestazione di servizi di pagamento, delitto punito – a far tempo dal 1.3.2010 - con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da 2.066 euro a 10.329 euro (art. 131 ter)3;

d) di una o più attività finanziarie nei confronti del pubblico previste dall’articolo 106, comma 1, vale a dire «dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma»: delitto punito – secondo la versione dell’art. 132 in vigore dal 19.9.2010 – con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 2.065 ad euro 10.3294. Si tratta di reati «comuni», concepiti per sanzionare la trasgressione di disposizioni amministrative e, di riflesso, costruiti secondo la tecnica del rinvio. Le norme configurano reati di «pericolo astratto» posti a tutela, contro le insidie che potrebbero derivare da operatori esercenti l’attività finanziaria e bancaria non affidabili sotto i profili tecnici, strutturali, patrimoniali, professionali e dell’onorabilità, del regolare ed efficiente funzionamento del mercato, quindi essenzialmente del pubblico degli investitori-risparmiatori e, in ultima analisi, del risparmio come valore di rango costituzionale (art. 47 Cost.)5. L’abusivismo è fatto coincidere in relazione alla contravvenzione di cui all’art. 130, nella violazione dell’art. 11 t.u. banc. che, al secondo comma, vieta la raccolta del risparmio tra il pubblico ai soggetti diversi dalle banche; quanto al delitto di cui all’art. 131 nel mancato conseguimento del titolo abilitativo; in ordine al delitto di cui all’art. 131ter nella carenza dell’autorizzazione della Banca d’Italia di cui all’art. 114 novies (delitto punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da 2.066 euro a 10.329 euro (art. 131ter); rispetto al delitto di cui all’art. 132 nell’assenza dell’autorizzazione della Banca d’Italia di cui all’art. 107 o dell’iscrizione di cui all’art. 111 ovvero dell’art. 112. L’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 130 (esercizio abusivo dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico) richiede l’effettiva raccolta, non la mera sollecitazione del risparmio. È arduo, pertanto, individuarne il momento consumativo che va teoricamente collocato nel tempo e nel luogo in cui la raccolta assuma i tratti dell’attività. L’esercizio abusivo dell’attività bancaria ex art. 131 comporta che la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’erogazione del credito siano svolte in connessione tra loro, vale a dire che la raccolta del risparmio sia avvenuta con l’intento, desumibile dall’esistenza di una qualsiasi organizzazione all’uopo predisposta, di reimpiegare i depositi dei risparmiatori in operazioni di credito6. I delitti anzidetti richiedono la sussistenza del dolo ma, trattandosi di reati di pura creazione legislativa, che recepiscono regole amministrative, essi si risolvono nella mera volizione di una condotta inosservante di dette regole. Alla contravvenzione ex art. 130 dovrebbe applicarsi la disposizione generale di cui al quarto comma dell’art. 42 c.p. («nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa»); ciò nondimeno la colpa non sembra conciliarsi con il richiamo alla nozione di attività, vale a dire alla reiterazione di condotte, quindi al carattere abituale del reato7.

La focalizzazione

Veniamo ora alle novità normative cui prima si è accennato, inerendo le medesime ai delitti indicati nel paragrafo precedente.

2.1 L’evoluzione della fattispecie di esercizio abusivo di attività finanziarie (art. 132 t.u. banc.)

La fattispecie di abusiva attività finanziaria di cui all’art. 132 t.u. banc. era stata una prima volta ridisegnata dall’art. 64 del d.lgs. 23.7.1996, n. 415. La norma puniva allora, al comma 1, come delitto, con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni, chiunque esercitasse, nei confronti del pubblico, una o più delle attività finanziarie previste dall’art. 106, co. 1 (vale a dire le attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi) senza essere iscritto nell’elenco previsto dal medesimo articolo. Lo stesso comma contemplava una circostanza aggravante ad effetto speciale (aumento fino al doppio) in caso di fatto commesso adottando modalità operative tipiche delle banche o comunque idonee a trarre in inganno il pubblico circa la legittimazione allo svolgimento dell’attività bancaria (poi soppressa dall’art. 28 del d.lgs. 4.8.1999, n. 342). In via contravvenzionale (arresto da sei mesi a tre anni) era, invece, sanzionato, al comma 2, il soggetto che svolgesse, in via prevalente e non nei confronti del pubblico, una o più di dette attività finanziarie senza essere iscritto nell’apposita sezione dell’elenco generale indicata nell’art. 113. La legge 28.12. 2005, n. 262 (art. 39) aveva poi raddoppiato le pene edittali dei reati anzidetti, seppur «entro i limiti posti per ciascun tipo di pena dal libro I, titolo II, capo II, del codice penale », vale a dire entro i limiti massimi fissati negli articoli 23 – 26 c.p. ed esteso (art. 38) la previsione delittuosa del primo comma dell’art. 132 t.u. banc. anche a chiunque svolgesse l’attività riservata agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107, in assenza dell’iscrizione nel medesimo elenco. La specificazione del contenuto delle anzidette attività riservate era lasciato a fonti di formazione secondaria, segnatamente a due decreti ministeriali del 6.7.19948, dei quali uno specificava appunto detto contenuto ed indicava in quali circostanze tali attività dovessero ritenersi esercitate nei confronti del pubblico, l’altro stabiliva i criteri per la verifica della prevalenza dell’attività finanziaria non rivolta nei confronti del pubblico. La «assunzione di partecipazioni» veniva definita come attività di acquisizione, detenzione e gestione dei diritti, rappresentati o meno da titoli, sul capitale di una impresa. Risultavano in essa ricomprese l’attività di investimento del portafoglio (cd. trading); quella di acquisto, detenzione e amministra234 zione delle partecipazioni (cd. holding); quella di gestione dei servizi di tesoreria all’interno del gruppo; quella di acquisizione delle partecipazioni finalizzata al successivo collocamento presso il pubblico, previ interventi di consulenza e assistenza tecnica, di riorganizzazione aziendale e di sviluppo produttivo (c.d. merchant banking). L’attività di concessione di finanziamenti era senza dubbio la più significativa nella logica delle finanziarie illegali. Vi rientravano l’erogazione effettiva della sovvenzione, la messa a disposizione di somme di denaro, gli impegni ad assumere o a garantire l’obbligazione di un terzo (cd. crediti di firma), a prescindere dalle tipologie contrattuali di volta in volta adottate dalle parti. A titolo esemplificativo l’art. 2 del decreto ministeriale indicava alcune tipologie operative, richiamando le figure del leasing e del factoring. Nell’àmbito della concessione di finanziamenti erano, poi, ricomprese le operazioni di cd. credito al consumo. Venivano anche specificate tipologie di finanziamento, quali il credito ipotecario e il prestito su pegno. Significativa era, inoltre, l’inclusione del «rilascio di fideiussioni, avalli, aperture di credito documentarie, girate nonché impegni a concedere credito». Quanto all’attività di prestazione di servizi di pagamento il decreto ne specificava le modalità operative: incasso e trasferimento di fondi; trasmissione o esecuzione di ordini di pagamento; compensazione di debiti e crediti; emissione e gestione di carte di credito, di debito o di altri mezzi di pagamento. Particolare importanza rivestiva, poi, la precisazione che non dovevano ritenersi integrare la prestazione di servizi di pagamento le attività di recupero crediti, di trasporto e consegna di valori, nonché di emissione e gestione, da parte di un fornitore di beni e servizi, di carte prepagate utilizzabili solo presso l’emittente. L’attività di intermediazione in cambi era definita dall’art. 3 del decreto come l’attività di negoziazione di una valuta, compresa la lira, con un’altra, a pronti o a termine. Nella nozione rientrava pertanto qualunque forma di compravendita di moneta legale, nazionale o estera, e di titoli rappresentativi della moneta medesima. La giurisprudenza era giunta, con riguardo alla fattispecie delittuosa, ad affermare trattarsi di «un reato di pericolo, eventualmente abituale e che è commesso sia da chiunque, all’interno di una struttura di carattere professionale, realizzi una o più delle attività previste dall’art. 106 t.u. banc. senza essere iscritto nell’elenco previsto dal medesimo articolo, sia da chiunque compia le predette operazioni protratte nel tempo, collegate da un nesso di abitualità, pur senza essere esponente di un’organizzazione professionalmente strutturata; ipotesi, quest’ultima, in cui il reato abituale deve considerarsi strutturato in una condotta unica della quale la ripetizione di una o più delle attività previste dall’art. 106 t.u. banc. costituisce requisito essenziale»9.

2.2 La nuova disciplina dell’abusiva attività finanziaria (art. 132 t.u. banc.) e dell’abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento (art. 131 ter t.u. banc.)

Come si è accennato, la disposizione incriminatrice in materia di attività finanziaria abusiva è stata profondamente modificata dal d.lgs. 13.8.2010, n. 141, in vigore dal 19.9.2010. Il nuovo testo dell’art. 132 recita: «chiunque svolge nei confronti del pubblico una o più attività finanziarie previste dall’articolo 106, co. 1, in assenza dell’autorizzazione di cui all’articolo 107 o dell’iscrizione di cui all’articolo 111 ovvero dell’articolo 112, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 2.065 ad euro 10.329». Colpisce, al primo impatto, il ritorno alle originarie e meno severe pene detentive e la scomparsa dell’ipotesi contravvenzionale. Ad una più meditata analisi ci si avvede, peraltro, che le modificazioni sono assai più consistenti. Va premesso che è stato riformulato l’art. 106 t.u. banc., con previsione di un unico albo al quale saranno iscritti tutti i soggetti (intermediari finanziari autorizzati, vale a dire soggetti, i quali - pur operando sul mercato dei capitali - si propongono di prestare attività non riservate in via esclusiva ad altri intermediari abilitati - banche, SGR, SIM, ecc.10) che intendano esercitare nei confronti del pubblico l’attività di concessione di finanziamenti. Ciò detto, si constata anzitutto una limitazione della riserva alle sole attività di concessione di finanziamenti. La novella, infatti, ha compreso la sola «concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma» tra le attività finanziarie la cui prestazione è riservata agli intermediari finanziari. Il precedente testo dell’art. 106 ricomprendeva – come si è visto - tra le attività soggette a riserva ed esercitabili soltanto da intermediari qualificati e riconosciuti come tali per effetto dell’inclusione nell’apposito elenco generale degli intermediari finanziari ex art. 106 tenuto dalla Banca d’Italia, anche la prestazione dei servizi di pagamento, l’intermediazione in cambi e l’attività di assunzione di partecipazioni. È necessario in proposito segnalare che ora l’esercizio abusivo dell’attività di prestazione dei servizi di pagamento ha – già se ne è fatto cenno – una propria autonoma disciplina nell’art. 131 ter t.u. banc., introdotto dal d.lgs. 27.1.2010, n. 11, in vigore dal 1° marzo 2010; l’attività di intermediazione in cambi potrebbe – ma la questione è complessa e l’affermazione discutibile – essere qualificata come servizio di investimento con conseguente rilevanza penale ex art. 166 t.u.f.11; l’attività di assunzione di partecipazioni non costituisce, invece, più attività riservata12. Le attività di concessione di finanziamenti, le uniche oggi oggetto della riserva in esame e dunque le sole sanzionate ex art. 132, saranno definite, ai sensi dell’art. 106, co. 3, t.u. banc. dal Ministero dell’economia e delle finanze sentita la Banca d’Italia. Nelle more dell’emanazione può farsi riferimento alle indicazioni fornite dal decreto 17.2.2009, n. 29 del Ministero dell’economia e delle finanze, ove si precisa (art. 3) che «tale tipologia di attività deve intendersi nella sua accezione più ampia di attività di concessione di credito, comprendente tra l’altro (a fini meramente esemplificativi) la concessione di finanziamenti connessi con operazioni di: locazione finanziaria; acquisto di crediti; credito al consumo; credito ipotecario; prestito su pegno; rilascio di fideiussioni, avallo, apertura di credito documentaria, accettazione e girata, impegno a concedere credito; e rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma». Come si è visto, la nuova lettera dell’art. 106 prevede che la concessione di finanziamenti sia soggetta a riserva soltanto se prestata nei confronti del pubblico. Ciò ha determinato il superamento della previgente disciplina di cui all’art. 113 t.u. banc. (ora abrogato, con conseguente venir meno della menzionata fattispecie contravvenzionale), che regolava l’esercizio in via prevalente, non nei confronti del pubblico, delle attività indicate nell’art. 106. La novella non indica infatti in quali situazioni l’attività riservata debba considerarsi esercitata nei confronti del pubblico e anche in tal caso la definizione è demandata al Ministero dell’economia e delle finanze sentita la Banca d’Italia. Nel frattempo potrà farsi riferimento al già citato decreto n. 29/2009 il quale prevede che dette attività si considerano esercitate nei confronti del pubblico «qualora siano svolte nei confronti di terzi con carattere di professionalità»13. La stessa giurisprudenza ha affermato (e il principio può ritenersi ancora attuale) che, ai fini della configurabilità del reato in esame, che richiede tra l’altro che l’attività sia «professionalmente organizzata con modalità e strumenti tali da prevedere e consentire la concessione sistematica di mutui e finanziamenti in favore di un numero potenzialmente vasto di soggetti», non deve intendersi per «pubblico» una collettività indifferenziata di persone interessate all’attività finanziaria per scopi che possono essere i più diversi, ben potendosi invece qualificare come «pubblico» anche quello costituito da una limitata cerchia di soggetti operanti in un determinato settore, indipendentemente dalle finalità per le quali tali soggetti chiedono ed ottengono le prestazioni finanziarie14.

2.3 L’esercizio abusivo del cd. «microcredito»

Altra significativa modifica della disposizione in esame consiste nella inedita introduzione di una disciplina del microcredito, con sottoposizione dei soggetti operanti in detto settore ad un regime «attenuato» di vigilanza. Come si è visto, infatti, il testo novellato dell’art. 132 sanziona penalmente anche l’esercizio di attività finanziarie esercitate da soggetti non inseriti nell’elenco previsto dal comma 1 dell’art. 111 t.u. banc. Tale elenco è tenuto da un organismo di diritto privato, istituito in forma di associazione e vigilato da Banca d’Italia. L’iscrizione è subordinata a determinati requisiti organizzativi, di oggetto sociale e qualitativi e sarà sostitutiva dell’iscrizione nell’Albo degli intermediari finanziari tenuto dalla Banca d’Italia, previsto dall’art. 106, co. 1. Con tale previsione il legislatore ha inteso perseguire l’obiettivo di favorire lo sviluppo di soggetti che «presentano un indubbio rilievo sociale e che posseggono tendenzialmente una scarsa rilevanza sistemica»15. L’intervento normativo dà risalto alla distinzione tra microcredito con finalità di impresa (co. 1), in altre parole «per l’avvio o l’esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa» e microcredito con finalità esclusivamente sociali (co. 3), vale a dire «a favore di persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale» ed allo scopo di «consentire l’inclusione sociale e finanziaria del beneficiario». Nel primo caso, il finanziamento – di importo non superiore a euro 25.000, non assistito da garanzie reali e accompagnato da servizi di assistenza e monitoraggio – è concesso a persone fisiche, società di persone e società cooperative; nel secondo caso, il finanziamento – di importo non superiore a euro 10.000, non assistito da garanzie reali e accompagnato da servizi di bilancio familiare – è concesso a favore di persone fisiche a «condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato». La nuova formulazione dell’art. 111, co. 4, attribuisce rilievo autonomo alle attività di credito svolte dagli enti no profit rispetto alla sfera di azione propria degli operatori che agiscono a scopo di lucro. Tale previsione riconosce infatti ai soggetti giuridici senza fini di lucro, in possesso delle caratteristiche individuate dalle disposizioni attuative che saranno emanate dal Ministero dell’economia ai sensi dell’art. 111, co. 5, la possibilità di concedere sia microcrediti con finalità di impresa, sia con finalità esclusivamente sociali.

2.4 L’abusiva attività dei confidi

Da ultimo, va ricordato come l’art. 132 sanzioni anche «altri soggetti operanti nell’attività di concessione di finanziamenti» (così la rubrica dell’art. 112 dello stesso t.u. banc.), e cioè l’attività dei confidi che agiscano senza essere iscritti in un apposito elenco. Detto elenco è tenuto da un Organismo appositamente istituito (art. 112 bis), con personalità giuridica di diritto privato ed ordinato in forma di associazione, con auto236 nomia organizzativa, statutaria e finanziaria. I relativi componenti sono nominati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta della Banca d’Italia. L’art. 112 t.u. banc. distingue i confidi (consorzi con attività esterna, società cooperative, società consortili per azioni, a responsabilità limitata o cooperative) che svolgono esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi (intendendosi per tale attività «l’utilizzazione di risorse provenienti in tutto o in parte dalle imprese consorziate o socie per la prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario»), iscritti nell’elenco di cui sopra si è detto, e i confidi che esercitano in via prevalente l’attività di garanzia collettiva dei fidi, iscritti nell’Albo previsto dall’art. 106. La nuova normativa prevede in sostanza l’istituzione di un nuovo elenco dei confidi anche di secondo grado, che esercitano in via esclusiva l’attività di garanzia collettiva dei fidi. I confidi iscritti nell’Albo potranno svolgere nei confronti delle imprese consorziate o socie ulteriori attività e in via residuale concedere altre forme di finanziamento.

Note

1 Ai sensi del co. 1 dell’art. 11 t.u. banc. è «raccolta del risparmio» l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma. I commi 2 bis e 2 ter precisano che non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico né la ricezione di fondi connessa all’emissione di moneta elettronica, né la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione di servizi di pagamento.

2 Data di entrata in vigore della l. 28.12.2005, n. 262, il cui art. 39 ha raddoppiato le pene previste in precedenza.

3 Articolo inserito dall’art. 35, co. 11, del d.lgs. 27.1.2010, n. 11.

4 Articolo così sostituito dall’art. 8, co. 2, del d.lgs. 13.8.2010, n. 141.

5 Castaldo, Accesso all’attività bancaria e strategie penalistiche di controllo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 76.

6 Manna, L’abusivismo bancario e finanziario nel sistema penale, in Banca borsa, 1996, 374, che precisa che la norma si applica alle cd. «banche di fatto».

7 Pelissero, Reati ed illeciti amministrativi bancari, in Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, I, I reati e gli illeciti amministrativi, societari e bancari. I reati di lavoro e previdenza. La responsabilità degli enti, a cura di Grosso, Milano, 2007, 683.

8 Pubblicati nella G.U. del 22.7.1994, n. 70. A proposito dei decreti in questione si veda Criscuolo, L’esercizio abusivo di attività finanziaria: profili giuridici e strumenti di contrasto, in Cass. pen., 1996, 1334.

9 Cass., sez. V, 12.11.2009, n. 7986, in CED Cass. n. 246148. Indicazioni parzialmente diverse, ma compatibili, si leggono in altre pronunce: Cass., sez. II, 10.6.2009, n. 29500, secondo cui il reato è integrato anche in caso di «erogazione di un solo finanziamento in violazione dell’obbligo di iscrizione negli elenchi di cui agli artt. 106 e 113 dello stesso d.lgs., non essendo richiesta una stabile organizzazione né una specifica professionalità». Nello stesso senso Cass., sez. II, 14.12.2001, n. 1628; Cass., sez. VI, 15.12.1995, n. 5009, in Riv. pen., 1996, 450.

10 Goffredo-Berneri, La revisione della disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, Società, 2010, 1491.

11 L’art. 166 t.u.f. prevede alcune figure di reato (punite, a far tempo dal 12.1.2006, con la reclusione da uno a otto anni e la multa da euro 4.130 a euro 10.329), segnatamente i delitti di esercizio abusivo di servizi o attività di investimento (co. 1, lett. a), dell’attività di gestione collettiva del risparmio (co. 1, lett. a), dell’offerta in Italia di quote o azioni di OICR (co. 1, lett. b), dell’offerta fuori sede, promozione o collocamento mediante tecniche di comunicazione a distanza di strumenti finanziari o servizi o attività di investimento (co. 1, lett. c), dell’attività di promotore finanziario (co. 2).

12 In tal senso Goffredo-Berneri, La revisione, cit.

13 L’art. 9 del decreto afferma che non configurano operatività nei confronti del pubblico: a) le attività svolte esclusivamente nei confronti del gruppo di appartenenza, ad esclusione dell’acquisto di crediti da intermediari finanziari del medesimo gruppo; b) l’attività di acquisto di crediti vantati da terzi nei confronti di società del medesimo gruppo; c) l’attività di rilascio di garanzie, qualora: sia il garantito, sia il beneficiario della garanzia facciano parte del medesimo gruppo dell’intermediario finanziario; ovvero qualora il garantito faccia parte del medesimo gruppo del garante ed il beneficiario sia una banca o un intermediario finanziario iscritto nell’Elenco speciale di cui all’art.107 t.u. banc.

14 V. Cass., sez. VI, 19.2.1999, in Riv. pen., 1999, 556 (nella specie si era ritenuto sussistere il reato nella condotta degli imputati che, in modo professionale e con abitualità, erogavano prestiti in contanti, per rilevanti importi complessivi giornalieri, ai frequentatori di una casa da gioco). Nello stesso senso v. Cass., sez. II, 14.12.2001, n. 1628, cit.; Cass., sez. II, 10.6.2009, n. 29500, cit.; Cass., sez. V, 16.9.2009, n. 2404, in CED Cass. n. 245832.

15 Così la relazione illustrativa allo schema di decreto.

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