BARBERINI

Enciclopedia Italiana (1930)

BARBERINI

Rosario RUSSO
Giuseppe GABRIELI

. Famiglia oriunda del senese, forse di Barberino di Val d'Elsa, donde si trasferì a Firenze, dove i B. esercitarono magistrature ed ebbero mansioni di governo. Antonio, nel 1530, prese parte alla difesa della repubblica. "Uomo di non volgare condizione, amatore della patria e prudente", durante il pontificato di Paolo III si trasferì a Roma, dove chiamò Francesco, figlio di Carlo, suo nipote. Ma vi finì tragicamente la vita, perché il senatore Averardo Serristori, ambasciatore del granduca a Roma, per ordine del card. Ferdinando lo fece uccidere in via Giulia. I parenti ne ereditarono l'odio contro i Medici. A Roma, Francesco si mise in vista nella corte. Protonotario apostolico del numero dei partecipanti e referendario dell'una e dell'altra Segnatura, "con parsimonia fiorentina" accumulò grandi ricchezze. Nello stesso tempo, un fratello suo, Raffaello, viaggiando, si spingeva fino in Russia, in Danimarca, in Svezia, ottenendo franchigie e salvacondotti per sé e per la sua gente. Divenuto poi cavaliere di Santo Stefano, militò fra la nobiltà italiana nell'esercito di Fiandra. Stimato nell'arte delle fortificazioni, abile diplomatico, ebbe dal duca d'Alba una missione in Inghilterra, per disporre quella regina ad un accordo con Madrid. Ma le speranze dei B. erano in Francesco. Ben presto, infatti, egli chiamò a Roma anche don Carlo, procurandogli la carica di tesoriere generale della Marca, e dedicò cure speciali all'educazione di suo nipote Maffeo, nel quale scorgeva attitudini a dare splendore alla Casa. Lo avviò alla prelatura e, morendo, gli lasciò tutte le sostanze. Diventato cardinale, Maffeo attirò su di sé e sulla sua casa gli occhi di tutta la nobiltà romana. Amico di letterati, artisti e poeti (Ciampoli, Chiabrera), arricchì la biblioteca di opere letterarie e scientifiche e di manoscritti. Finalmente diventò papa (Urbano VIII, v.). Crebbero le ambizioni della famiglia in Roma e nello Stato della Chiesa.

Un nipote del papa, Francesco, figlio di don Carlo, a 27 anni ebbe la porpora, la carica di legato di Avignone e del Contado Venassino e, poco dopo, la carica di prefetto della Segnatura di giustizia. Cupo, melanconico, collerico, appassionato, dato agli studî e alla raccolta di monete antiche, era poco adatto a coprire la carica di segretario di stato, e le altre che gli furono affidate: governo di Tivoli e di Fermo, protettoria dei regni d'Aragona, Portogallo, Scozia, Inghilterra, e di moltissimi luoghi pii. Nessun successo nelle sue missioni diplomatiche. Tuttavia Francesi e Spagnoli si disputavano la protezione di questo, come degli altri B., la cui potenza diventava sempre più formidabile.

Diverso dagli altri fratelli, Antonio. Creato cardinale nel 1624, dopo trent'anni di vita claustrale, fu fondatore di numerose opere pie. Volle sulla sua tomba questo epitaffio "Hic iacet pulvis, cinis et nihil". I suoi parenti, invece, pensavano con minore spirito ascetico. Cercavano un grande matrimonio per don Taddeo che a 24 anni, era luogotenente generale di S. Chiesa e attirava gli sguardi delle corti. Il papa non inclinava ad imparentarsi dentro Roma; ma, alla fine, acconsentì al matrimonio di don Taddeo con donna Anna Colonna. Da questo momento l'orgoglio dei B. non conobbe più limiti. Morì anche il duca di Urbino che con la sua longevità inceppava lo sviluppo della loro potenza! E subito a don Taddeo fu conferita la prefettura. A rendere più solida la posizione della casa, il papa elevò alla porpora il suo ventenne nipote Antonio (v.). Cariche e benefici venivano concentrati nelle mani dei B. Il cardinale Francesco, governatore di Poggio Mirteto e delle altre terre e castelli già separati dai monasteri di Farfa e di S. Salvatore, ottiene dal papa la soppressione della secolare abbazia di S. Salvatore; e questa, "che aveva retto all'impeto dei barbari, ora non poté reggere all'urto dei Barberini che avidamente agognavano alle sue spoglie". Per Antonio, il papa riunisce tre commende vacanti dell'ordine di Malta in un priorato, che assegna al nipote Antonio, sollevando l'indignazione dei cavalieri che a mano armata assalirono in chiesa il Gran Maestro. Ma trionfò la volontà dei B. Con i possessi immobiliari, crebbe anche il contante. Si facevano ammontare a 105 milioni di scudi le ricchezze accumulate dai B., cifra esagerata. Certo, però, parve ai contemporanei che il pontificato di Urbano non avrebbe lasciato "alcuna memoria rilevata alla posterità, toltone le ricchezze nella casa Barberina".

Il "molto contante" permetteva ulteriori acquisti immobiliari e di feudi: Anticoli Corrado, Palestrina e il castello di Corcolle, che la famiglia ritiene tuttora; nel 1634, Lugnano, ora Labico; lo stesso anno, don Taddeo acquistò Valmontone e Pimpinara. Crebbe anche il fasto. Il palazzo alle Quattro Fontane, per il quale il card. Francesco profuse "vanamente gran somma d'oro", era un vero edificio regale con i quadri, le statue, l'oro e l'argento lavorato, i gioielli avuti in dono; conteneva persino un teatro, che ebbe parte principale nella vita musicale romana del tempo. Meravigliosi gli arazzi, per i quali il cardinale Francesco ebbe una vera passione. Grandi cure e mezzi furono anche dedicati alla biblioteca, arricchita di sempre nuovi libri e manoscritti, sì da renderla una delle più insigni d'Europa.

Tanto fasto e tanta potenza preoccupavano i principi italiani. Venne infatti la guerra di Castro; e allora gli stati della penisola si coalizzarono non contro la Chiesa ma contro la prepotenza dei B., i quali dalla guerra, in cui fecero sperpero del denaro della Camera, uscirono scossi e umiliati. Il papa fu accusato di aver troppo favorito i nipoti; e i teologi da lui convocati riconobbero che i nipoti s'eran fatti molti nemici per la loro potenza. La situazione dei B. pareva minata. Non ignari di ciò, morto lo zio, sostennero nel conclave l'elezione del card. Pamphily. E speravano averlo amico. Ma la nobiltà romana, che era stata umiliata e tenuta lontana dalla corte, il partito spagnolo e tutti coloro che avevano subito il dispotismo d'una famiglia, si sollevarono contro i B., accusati apertamente di peculato e di violazione delle legge. I B. furono invitati a rendere i conti dell'amministrazione della Camera. Allora il card. Antonio fuggì; fuggirono poi il card. Francesco e don Taddeo, in Francia. Esasperatissima era l'opinione pubblica; Innocenzo X non pareva disposto al perdono. Ma i B. avevano l'appoggio dell'onnipotente Mazzarino, non dimentico dei favori di Urbano VIII. La causa dei B. divenne causa della monarchia di Francia, la quale minacciò guerra e scisma. Una flotta si presentò lungo le coste della Toscana e dello Stato pontificio, per distaccare il granduca dagli Spagnoli e costringere il papa ad accettare le proposte del governo francese. Si ebbe anche un attacco contro Orbetello. Il papa, consigliato da donna Olimpia, ritenne opportuno intendersi coi B., e allora questi convinsero la corte di Francia che Innocenzo X era legittimo papa. L'accordo basato sulla restituzione dei beni confiscati ai B. e sull'impegno da parte loro di "vivere pacificamente con tutti" fu suggellato dal matrimonio di Maffeo figlio di don Taddeo, con Olimpia Giustiniani, nipote di Innocenzo X, e dalla porpora concessa al figlio di don Taddeo, il ventitreenne Carlo. Dileguatasi la tempesta, i B. cercarono di imparentarsi con i principi d'Italia. Una figlia di don Taddeo, donna Lucrezia, andò sposa al duca di Moderia, Francesco II. Anche la Repubblica veneta ne desiderò l'amicizia. Nel 1662, in ricompensa d'una grande somma di denaro somministrata dai B. alla Repubblica nella guerra di Candia, don Taddeo, già grande di Spagna e decorato del Toson d'oro, fu inscritto con tutta la famiglia nella nobiltà veneta. A questa apparteneva Cornelia Zeno, nipote di Alessandro VIII, che andò sposa a Urbano, nipote di don Taddeo. La figlia di terzo letto Cornelia, rimasta erede della casa, sposò, non ancora dodicenne, nel 1728, Giulio Cesare Colonna, duca di Bassanello, secondogenito del principe di Carbagnano. Da essi nacquero il principe don Urbano e il duca di Montelibretti, don Carlo, poi principe di Palestrina. Il primo continuò la propria famiglia, il cui ramo si estinse, nel 1893, con donna Maria Barberini-Colonna, principessa di Palestrina, che ha trasmesso nomi e titoli della sua Casa al marito Liugi marchese Sacchetti. Oggi della casa rimane il ramo cadetto dei Colonna di Sciarra, o Barberini-Colonna, rappresentato da don Maffeo, principe di Carbagnano e duca di Montelibretti.

Arme: tre api in campo d'oro.

Bibl.: A. Nicoletti, Della vita di papa Urbano VIII, ms., Bibl. Vaticana, Barb. lat. 7430; Lettere originali di Raffaello Barberini scritte da Anversa e da altri luoghi ove viaggiando trovavasi negli anni 1564-1565, ms., ibid., Barb. lat. 5369; Discorso scritto da un anonimo poco dopo la morte di Urbano VIII per eccitare Innocenzo X a procedere contro i Barberini, ms., ibid., Barb. lat. 5648; Discorso sopra il conclave futuro di papa Urbano VIII, ms., ibid., Barb. lat. 4673; Scrittura contro i B. ricoveratisi alla protezione di Francia, ms., ibid., Barb. lat., 5649; Circa il rendimento de' conti che Innocenzo X voleva si facesse dai signori B., ms., ibid., Barb. lat. 5323; Discorso concernente li motivi della partenza da Roma del cardinale Antonio, ms., ibid., Barb. lat. 5257; La mal consigliata fuga del card. Antonio, ms., ibid., Barb. lat. 5393; Manifesto dato dal Gran cancelliere di Parigi a nome del re e della regina al nunzio acciò lo presentasse ad Innocenzo X in favore di Casa B. l'anno 1646, ms., ibid., barb. lat. 5259; Arazzi Barberini, ms., ibid., Barb. lat. 4373; G. Brusoni, Della historia d'Italia, Torino 1680; Relazione degli ambasciatori veneti (ed. Barozzi e Berchet), s. 3ª, Italia: Relazioni di Roma, Venezia 1877-1878, I-II; T. Amayden, La storia delle famiglie romane con note ed aggiunte di C. A. Bertini, Roma 1910, I, ad v.; P. Negri, Due mesi a Roma nel 1627, in Archivio della R. Soc. Romana di Storia patria, XXXIV (1911); J. Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul Monte Leterano, in Archivio cit., XXXVII (1914); G. Tomassetti, Della campagna romana, in Archivio cit., XXVIII (1905), XXIX (1906), XXXIX (1916); L. von Pastor, Geschichte der Päpste, XIII, Friburgo 1929.

La Biblioteca Barberiniana.

La Biblioteca Barberiniana è senza dubbio la più ricca, per copia e pregio del materiale librario, specialmente manoscritto, fra quelle che si formarono in Roma nel sec. XVII. Collocata allora in apposita sala del grandioso palazzo Barberini (che Ger. Teti descrive e magnifica, già nel 1642, nelle sue Aedes Barberinianae ad Quirinalem, pp. 19-23; e G. Naudé decanta nei suoi distici: innumeris dives bibliotheca libris), vi rimase proprietà della nobile famiglia sino al 1902: quando fu da Leone XIII acquistata a un prezzo di favore e trasportata con la sontuosa scaffalatura originale in un salone della Biblioteca vaticana; donde è stata recentemente tratta e, per la parte degli stampati, incorporata, non fusa, con gli altri fondi librarî nel gigantesco braccio nuovo della Vaticana.

Calcolata dal Moroni, con esagerazione parziale, a 100 mila volumi a stampa e 10 mila mss., essa in realtà risulta oggi di 31.671 stampati e 10.652 codici, oltre un piccolo fondo di archivio non tomizzato. Considerando che in questi ultimi due secoli poco o nulla vi si aggiunse, se pur qualcosa non se ne sottrasse, di tale consistenza a un dipresso si può ritenere la lasciasse il fondatore e costitutore di essa, il cardinale Francesco Barberini (1597-1679).

La consuetudine mecenatesca e collezionista del tempo, la nota bibliofilia e vasta dottrina del potente splendido porporato, la sua attività molteplice, diplomatica e di governo, in Italia e all'estero, i grandi mezzi finanziarî e morali a sua disposizione gli diedero impulso e agio a raccogliere da ogni parte la doviziosa mole di opere stampate e manoscritte, con molti acquisti accortamente fatti mediante l'aiuto dei suoi primi bibliotecarî o piuttosto consiglieri in materia, l'Allacci e il Holstein, di abili ricercatori e provveditori quali uno Strozzi di Firenze, con molti doni di libri e codici a lui mandati dagl'innumerevoli corrispondenti (per es. gli Arcudi di Soleto nel Salento), con non poche requisizioni - potremmo dir così - compiute per suo ordine in ben fornite librerie monastiche e abbazie (come quella di Grottaferrata) da lui direttamente o indirettamente dipendenti.

Non è questo il luogo di riassumere la cronistoria interna della composizione di questa Biblioteca. L'ordinamento, che in origine era per grandi linee sistematico o per materie, oggi non sussiste più, e non avrebbe ragione di essere. La catalogazione attuale dei libri e dei mss. barberiniani è in corso d'esecuzione o in preparazione sia nel corpo generale del nuovo schedario vaticano per autore e per soggetti, sia nella serie corrente dei Bibliothecae Apost. Vaticanae Codices manu scripti recensiti.

Ciò che a tutt'oggi è pubblicamente noto, perché dato alle stampe nell'elencazione dei libri e mss. della biblioteca (dopo quanto ne scrissero in riassunto il Mabillon, il Blume, il Hammer, ecc.) sono: 1. i due volumi (il terzo non fu stampato) in fol. dell'Index Bibliothecae qua F. Barberinus magnificentissimas suae Familiae ad Quirinalem aedes magnificentiores reddidit. Tomi tres libros typis editos complectentes, Romae 1681 dovuto, si dice, all'Olstenio o piuttosto al Moroni; 2. una Liste sommaire des mss. grecs de la B. B., di Seymour de Ricci, nella Revue des Bibliothèques, XVII (1907), pp. 81-128, preceduta dal Catalogus codicum hagiographicorum Bibl. Barb. del Delehaye, in Analecta Bollandiana, XIX (1900), pp. 81-118. Ma tutto il corpo dei volumi a stampa e dei codici di questa insigne biblioteca è stato preliminarmente ed egregiamente inventariato e catalogato (i codici per autore e materie) in una serie di inventarî e di indici per cura dei due ultimi bibliotecarî della Barberiniana, Sante e Alessandro Pieralisi, benemerito precipuamente il primo, nei seguenti volumi che si conservano manoscritti nella sala di consultazione e in quella di studio della Biblioteca vaticana: 10 volumi in folio di Index per gli stampati, in ord. alf. d'autori; 44 voll. in 80 per i mss. latini e occidentali, numerati a 6558 (sono i nn. 110-153 degl'Indici e Cataloghi Vatic.); 5 voll. in 80 per i 593 mss. greci (nn. 154-158) e i 154 mss. orientali (nel vol. 158); 15 voll. in 80 per i carteggi privati e diplomatici (159-173); 36 voll. in 40 d'inventario, cioè: 34 per i mss. latini, ecc. (341-375), 2 per i greci ed orientali (376-377), 1 (378) di concordanza tra le segnature originali (in numero romano più num. arabo) e quelle vaticane (in num. arabo progressivo). In grazia di siffatto poderoso lavoro di sistemazione bibliografica, il vasto e denso fondo barberiniano della Biblioteca Vaticana è di facile consultazione ed esplorazione.

Bibl.: Oltre quella citata più sopra, v. Ottino e Fumagalli, Biblioteca Bibliographica Italica, Roma 1889-1895; W. Röseler, Die Barberina, Berlino 1890; Garthausen, Sammlung. u. Catalogen griech. Handschr., Lipsia 1903; la nota bibliografica preposta alla menzionata Liste sommaire del de Ricci.

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