BARNA

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BARNA (Berna)

Enrico Castelnuovo

Notizie sulla vita e sull'opera di questo pittore senese del sec. XIV sono tramandate dal Ghiberti dall'Anonimo Magliabechiano (o Gaddiano) e dal Vasari. Nessuna delle opere che gli vengono attribuite è firmata o datata, nessun documento può con certezza essere messo in rapporto con la personalità chiamata "Barna" o "Berna" nelle fonti, a meno che non lo si voglia identificare, come fa il Milanesi, con il pittore Barna di Bertino ricordato tra i giurati del Tribunale della mercanzia nel 1340.

Le prime notizie che lo riguardano si trovano nel secondo Commentario di Lorenzo Ghiberti: B. è menzionato tra i maestri senesi che dipinsero a Firenze, di lui sono ricordati gli affreschi di due cappelle nella chiesa fiorentina di S. Agostino (ora S. Spirito), e di questi in particolare un episodio con un giovane che si avvia al patibolo accompagnato da un frate che lo conforta, molte storie del "Testamento Vecchio" a San Gimignano e altre opere a Cortona. Il giudizio sull'Arte di B. è nettamente positivo, egli viene ricordato come "peritissimo...", "dottissimo" nella pittura.

Le notizie del Ghiberti sono riprese parzialmente dall'Anonimo Magliabechiano nel noto manoscritto della Biblioteca Nazionale di Firenze scritto tra il 1537 e il 1542. Qui il nome del pittore senese compare a due riprese, ma con alcune varianti rispetto al testo ghibertiano: innanzitutto appare in due diverse grafie, "Berna" al f. 70 r, "Barna" al foglio 71 v' Poi vengono menzionati degli affreschi che egli avrebbe fatto in una non meglio identificata chiesa di S. Niccolò. Sia la nuova versione del nome "Berna" sia quest'ultima notizia non sono attinte dal testo dei Commentari del Ghiberti che noi conosciamo, ma con grande probabilità da un altro codice a noi ignoto dei medesimi Commentari. Infine nel testo dell'Anonimo gli affreschi che il Ghiberti poneva in S. Agostino a Firenze sono ricordati come esistenti in S. Agostino a Siena.

Della fonte a noi sconosciuta dell'Anonimo Magliabechiano si serve anche il Vasari, che nelle due edizioni (1550 e 1568) delle Vite, ma soprattutto nella seconda, dà una nutrita biografia di Barna. Alcuni punti di questa biografia concordano infatti con le varianti apportate dall'Anonúno al testo ghibertiano: il Vasari afferma che il nome del pittore era "Berna" (diminutivo di Bernardo) e ritorna sulla notizia dell'Anonimo di un'attività di B. in "San Niccolò", precisando che egli decorò ad affresco la cappella di S. Niccolò (non dunque una chiesa dedicata al santo) in S. Agostino (S. Spirito) a Firenze. Egli ripete infine la confusione dell'Anonimo tra le chiese di S. Agostino a Siena e a Firenze e pone a Siena (contrariamente a quanto afferma il Ghiberti) gli affreschi con la scena del giovane portato al supplizio.

Per altri punti il Vasari si rifà invece al testo ghibertiano e per altri ancora innova rispetto ad ambedue le fonti precedenti. Le nuove informazioni concernenti B. che si trovano nel testo vasariano sono: 1) che il pittore lavorò ad Arezzo dove arrivò da Cortona nel 1369 (di questa attività non è traccia nella prima edizione delle Vite); 2) che fu anche pittore di tavole: infatti, tornato a Siena dopo il soggiorno aretino, "fece in legno molte pitture piccole e grandi"; 3) che fu ottimo disegnatore ("disegnò assai comodamente") e "fu il primo a ritrarre bene gli animali": di ciò il Vasari adduce a testimonianza una "carta" raccolta nel suo celebre "libro" "tutta piena di fiere di diverse regioni" (seconda edizione); 4) che "furono le sue opere nel 1381"; 5) che morì ancor giovane per un infortunio, cadendo dal ponte mentre lavorava agli affreschi di San Gimignano; 6) che ebbe allievi Giovanni d'Asciano, il quale portò a fine gli affreschi di San Gimignano, e Luca di Tommè. Inoltre dà un catalogo assai più ampio delle opere del pittore senese che comprende: a Siena in S. Agostino la decorazione di due cappelle (contenente tra l'altro la celebre storia del giovane portato al supplizio); in Cortona, oltre a "molte cose sparse in più luoghi di quella città", affreschi sullevolte sulla e parete di facciata della chiesa di S. Margherita (ma altrove lo stesso Vasari riferisce gli affreschi di S. Margherita ad Ambrogio Lorenzetti); ad Arezzo una Crocifissione in una cappella del palazzo vescovile dipinta per Giuccio di Vanni Tarlati da Pietra Mala, oltre ad affreschi in S. Agostino (Storie di s. Iacopo), nella pieve (Storie della Madonna e del beato Rinieri Paganelli nella cappella Paganelli), in S. Bartolomeo (Storie dell'Antico Testamento e Adorazione dei Magi), nella chiesa dello Spirito Santo (Storie di s. Giovanni Evangelista). Tornato quindi a Siena, si sarebbe recato di qui a Firenze dove avrebbe dipinto in S. Agostino (S. Spirito) in una cappella dei Capponi dedicata a S. Niccolò Storie di s. Iacopo analoghe a quelle da lui dipinte in S. Agostino ad Arezzo, che furono poi distrutte nell'incendio che devastò la chiesa. Infine nella collegiata di San Gimignano avrebbe dipinto Storie del Nuovo Testamento (nella prima edizione invece veniva ripetuta l'Asserzione ghibertiana che si trattava di storie del Vecchio Testamento).

Da un confronto delle fonti è possibile ricavare come maggiormente plausibili quei dati che si ritrovano più spesso e cioè: I) Bama (o Berna) fu pittore senese; II) lavorò in S. Agostino (poi S. Spirito) a Firenze ove le sue opere furono distrutte da un incendio; III) fu probabilmente attivo anche a Cortona, sebbene non necessariamente in S. Margherita; IV) lavorò infine nella coRegiata di San Gimignano. L'indicazione del Ghiberti che qui avesse eseguito storie del Vecchio Testamento deve essere frutto di una confusione perché le storie altotestamentarie della collegiata di San Gimignano furono firmate nel 1367 da Bartolo di Fredi; valida risulta piuttosto l'Attribuzione a B. fatta dal Vasari delle storie neotestamentarie nello stesso edificio; anzi su questo ciclo, in gran parte sopravvissuto (solo le ultime storie sono ridotte a frammenti), che va dalla Annunciazione alla Pentecoste, si basa la moderna ricostruzione dell'opera e della figura del Bama. L'altra opera citata dal Vasari e sopravvissuta, la Crocifissione per Giuccio di Vanni Tarlati nel palazzo vescovile ad Arezzo, è stata troppo ridipinta e presenta caratteri diversi e assai meno elevati di quelli riscontrabili nelle splendide storie della collegiata di San Gimignano per poterla attribuire allo stesso artista.

Quanto a queste ultime, la notizia vasariana che esse venissero compiute, dopo la tragica morte di B., dal discepolo Giovanni d'Asciano ha fatto sì che a partire dal Della Valle, che già ne tentava una distinzione nelle sue Lettere Sanesi, si sia tentato di riconoscere in questo ciclo la presenza di due (o più) diverse personalità. In particolare C. Brandi (1928), S. Lane Faison jr. e j. Pope Hennessy hanno proposto una spartizione, attribuendo a Giovanni d'Asciano affres chi come l'Agonia nell'orto del Getsemani, la Resurrezione di Lazzaro, l'entrata di Cristo in Gerusalemme, la Resurrezione, la Pentecoste, spartizione che lascia però dubbi data l'impronta stilisticamente omogenea dell'intero ciclo, interrotta semmai da qualche scadere qualitativo che lascia supporre l'intervento di collaboratori ridotti al puro rango di esecutori, mai da un mutamento di intenzioni e di fantasia. Il ciclo infatti si presenta come un insieme unitario dove si esprime una grandissima personalità artistica che, se mostra da un lato di derivare da Simone Martini, svela dall'Altro personalissime, arcaistiche inclinazioni verso una patetica, grandiosa severità. I caratteri stilistici di questo ciclo non permettono assolutamente di accettare la data di morte del 1381 proposta dal Vasari ("furono le sue opere nel 1381"); è stato anzi proposto dal Berenson che essa fosse frutto di uno sbaglio di stampa e che andasse letta 1351: in effetti la datazione non sembra poter superare il quinto decennio del secolo.

Gli affreschi di San Gimignano vennero pesantemente ridipinti tra il 1744 e il 1745 da Bartolomeo Lupinari; gran parte delle ridipinture furono però asportate da Domenico Fiscali in un restauro condotto tra il 1887 e il 1891 sotto la direzione di G. B. Cavalcaselle. Danneggiati durante la seconda guerra mondiale, vennero nuovamente restaurati nel 1946-47 sotto la direzione di Enzo Carli.

Il problema critico posto da B. è, come si vede, assai intricato, trattandosi di un pittore di cui non resta altra testimonianza salvo un ciclo di affreschi, verosimilmente l'ultima sua opera, cui occorre rifarsi per poter far luce sulla sua formazione e per poter costituire su basi attribuzionistiche un gruppo di dipinti che ad esso si riattacchino per motivi stilistici. La ricerca intorno a un corpus di opere di B. si èinserita in quella sceverazione condotta all'intemo della cerchia martiniana negli ultimi decenni che ha prodotto risultati sottili ma talora un poco capziosi. Attualmente si può distinguere un gruppo di dipinti che spetta sicuramente all'autore delle storie neotestamentarie della collegiata di San Gimignano, e un altro per cui sussistono maggiori incertezze, collocandosi al limite tra il B. più riconoscibile e alcuni anonimi martiniani come il grande "Maestro della Madonna di Palazzo Venezia", il cosiddetto (Weigelt) "Maestro della Madonna Straus" e il "Maestro del trionfo di San Tommaso". Al primo gruppo appartengono la Madonna in trono del Museo di Asciano, il S. Giovanni Battista di Altenburg' il S. Andrea del Museo Nazionale di Pisa, i Ss. Pietro e Paolo della collezione Chiaramonte Bordonaro di Palerino, il Cristo portacroce della collezione Frick di New York' la Madonna fra i ss. Paolo e Giovanni Battista dipinta ad affresco nella chiesa di S. Pietro a San Gimignano. Maggiori problemi pongono invece altre attribuzioni, come quella del dittico del Museo Home, dello Sposalizio di s. Caterina del Museum of Fine Arts di Boston, della tavoletta con la Deposizione e la Crocifissione dello Ashmolean Museum di Oxford, del Cristo di Douai, originariamente al centro di un polittico di cui facevano parte due tavole con santi monaci ora al Museo di Altenburg' ecc., sia per l'estrema difficoltà dell'indagine tra le opere della cerchia di Simone Martini dove la minima variazione di qualità e di accento possono significare una diversa paternità, sia perché il punto di partenza per la conoscenza di B. poggia soltanto sul ciclo di San Gimignano e su questa base la ricostruzione ipotetica di un percorso stilistico e la conseguente seriazione cronologica delle opere sono operazioni, seppur possibili, eccezionalmente complesse.

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