DELLA SCALA, Bartolomeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA SCALA, Bartolomeo

Gian Maria Varanini

Secondo signore di Verona, era figlio primogenito di Alberto e di Verde da Salizzole. Nacque al più tardi - ignoriamo la data esatta - durante il settimo decennio del sec. XIII; secondo una delle prime notizie a lui relative in nostro possesso, infatti, il suo matrimonio con Costanza di Corrado d'Antiochia - un nipote dell'imperatore Federico II - fu celebrato il 30 sett. 1291. Tale unione, proseguendo la politica matrimoniale avviata nel 1289 con le nozze tra Costanza Della Scala e Obizzo (I) d'Este, signore di Ferrara, mirava a consolidare il prestigio della famiglia. Quando si sposò, il D. condivideva col padre, già da un anno, l'ufficio di capitano del Popolo a Verona.

Il Salzer, sia pure in modo dubitativo, attribuisce l'avvento del D. al 1289, fondandosi su una notizia fornita dalla non molto attendibile Cronachetta in volgare (in Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, p. 490). Eppure, mentre risulta che nel 1289 il padre Alberto Della Scala rivestiva ancora da solo la carica di capitano del Popolo, nel 1290 il D. gli appare associato nel mandato: cfr. Glistatuti veronesi, pp. 70, 309.

Il D., da allora in poi, venne sempre indicato come collega del padre sino al 1301, anno della di lui morte: capitano "penes eum" o "apud eum" lo dicono talvolta le fonti (la stessa espressione ritorna nel testamento di Alberto Della Scala), quando non menzionano senz'altro i due, padre e figlio, ponendoli sullo stesso piano; ciò che sembra accadere più spesso nelle fonti diplomatiche estere. L'attività politica e militare del D. nel periodo 1290-1301 è difficilmente distinguibile da quella del padre, della cui energica ed accorta azione egli fu comunque efficace esecutore (oltre che corresponsabile: non per nulla le fonti cronistiche riferiscono che l'eliminazione del D., oltre a quella del padre Alberto, era stata l'obiettivo delle congiure antiscaligere del 1294 e del 1299). Ad ogni modo il D. dovette riuscire ad acquisire via via un certo grado di autonomia: nel 1299 ad esempio lo vediamo citato da solo, senza menzione di Alberto Della Scala, in un atto relativo alla posizione giurisdizionale e fiscale della "villa" di S. Bonifacio (L. Simeoni, L'amministrazione del distretto, p. 285).

Nel 1294 il D. fu armato cavaliere, in una delle prime curie scaligere, insieme con il. fratello Cangrande e con altri membri della famiglia e dell'entourage scaligero, come Bailardino Nogarola ed Alberto di Castelbarco. In contrasto col cliché di signore pacifico che il suo triennio di governo gli fece attribuire da parte dei cronisti - il Syllabuspotestatum lo definisce "placidus et amator iustitie et pacis" -, si segnalò in più d'una occasione, in questi anni, anche come uomo di guerra. Nel febbraio 1297, secondo il cronista veronese De Mitocolis (in G.B. Verci, Storia della marca..., VII, p. 154), intervenne nel Trentino per aiutare Guglielmo di Castelbarco a reprimere la rivolta promossa dai nipoti di quest'ultimo, Alberto e Aldrighetto. Pochi anni dopo, peggioratisi i rapporti tra i signori di Verona ed i Bonacolsi signori di Mantova, che nel giugno del 1299 si erano indotti a concludere un trattato d'amicizia col marchese Azzone VIII d'Este, il D. intervenne con un corpo d'esercito veronese in Mantova per appoggiare il colpo di Stato con cui un Bonacolsi, Guido detto Bottesella, il 1º luglio si impadronì del potere, ponendo fine alla signoria dello zio Bardellone. La solidarietà politica fra gli Scaligeri e Guido Bonacolsi venne subito dopo consolidata dalla stipulazione di una lega fra Verona e Mantova, che Alberto e il D. ratificarono il 9 luglio; e fu suggellata dal matrimonio di Costanza Della Scala, vedova di Obizzo (I) d'Este (morto nel 1293), con lo stesso Guido. L'amicizia con Mantova, che per un trentennio sarebbe rimasta uno dei punti chiave della politica scaligera, fu il presupposto necessario della campagna del 1301 nel Trentino, contro i duchi di Carinzia e conti del Tirolo Ottone, Ludovico ed Enrico. Con tale campagna i due alleati si prefiggevano un duplice scopo: bloccare, da un lato, il movimento di espansione verso la pianura avviato da quei duchi-conti, movimento che preoccupava non poco il D.; difendere, dall'altro, gli interessi famigliari del signore di Mantova, al cui zio, Filippo Bonacolsi, che era stato nominato vescovo di Trento il 31 luglio 1289 1 conti del Tirolo impedivano da oltre dieci anni l'ingresso nella legittima sede episcopale e la presa di possesso dei domini e dei beni temporali ad essa pertinenti.

Nell'estate del 1301 un corpo d'esercito integrato, costituito da contingenti veronesi e mantovani, iniziò le operazioni militari contro i conti del Tirolo, operazioni che ebbero come teatro le terre dell'alto Garda e la Valle dell'Adige. Il conflitto, che coinvolse anche i signori di Arco, schieratisi dalla parte del contestato vescovo di Trento e dei suoi alleati, e Guglielmo di Castelbarco, sostenitore dei conti del Tirolo, si risolse, sotto la decisa guida di Filippo Bonacolsi, in favore di Mantova e di Verona. Perdute Riva del Garda e tutta la Val Lagarina sino a Rovereto (luglio), battuti nei successivi combattimenti, i conti del Tirolo e i loro aderenti furono costretti a trattare: la pace fra il Castelbarco, da un lato, i due Comuni della pianura e i signori di Arco, dall'altro, fu giurata il 24 dicembre; il 29 successivo, a Verona, fu conclusa quella con i conti del Tirolo. Le clausole prevedevano la restituzione al vescovo Filippo Bonacolsi di tutti i castelli, i luoghi, le terre, e i diritti loro annessi, appartenenti alla Chiesa tridentina ed usurpati nel corso di quegli anni dagli avversari del presule. In particolare i conti del Tirolo si impegnavano a consegnare la città e il castello di Trento. Da parte loro, i Comuni di Verona e di Mantova promettevano di far abrogare il provvedimento di bando, con cui Alberto Della Scala aveva fatto colpire Guglielmo di Castelbarco; e Filippo Bonacolsi si assumeva il compito di far liberare i conti del Tirolo dalle scomuniche che la Sede apostolica aveva lanciato contro di loro a causa della loro opposizione al Bonacolsi e delle loro usurpazioni nei confronti dei beni ecclesiastici della sede tridentina.

Quando venne conclusa la pace di Verona il D. era, dal 3 sett. 1301, giorno della morte del padre, unico signore di Verona col titolo di capitano del Popolo. Era anche gubernator dei fratelli minori Alboino e Cangrande, giusta le disposizioni del testamento paterno. La successione, che fu ratificata dalle magistrature e dagli organismi comunali, non conobbe intoppi. Del resto il D. aveva già acquistato nella città un ruolo di notevole prestigio: ancora vivo il padre, era stato lui a porre la prima pietra per la ricostruzione in muratura della Domus mercatorum, la sede del massimo organismo economico cittadino.

Riguardo alla amministrazione di Verona, sotto il profilo istituzionale lo spoglio delle Additiones fatte nel triennio di governo del D. al testo degli statuti cittadini ha rivelato il progressivo consolidamento dell'autorità del capitano del Popolo. L'inserimento del nome del capitano nel giuramento prestato dal podestà all'inizio della carica ("un nuovo ed ardito passo sulla via dell'assorbimento definitivo dell'autorità politica nelle mani del capitano", come afferma il Cipolla), e nel sacramentum sequiminis potestatis; l'assoggettamento all'arbitrium del D. della sorveglianza dei castelli, ad esempio, sono alcune tra le significative modifiche che, se vanno ricondotte alla complessiva evoluzione delle istituzioni cittadine già in atto sotto Alberto, mostrano comunque come il D. abbia proseguito con abilità ed efficacia l'opera iniziata dal padre.

Nella politica estera del D. è complessivamente individuabile - pur attraverso le scarse e non sempre chiare notizie cronistiche e documentarie a noi note - un atteggiamento spesso prudente e cauto; ma non sempre nella linea tenuta in precedenza da Alberto. Quando nella primavera del 1302 i Della Torre tornarono dal Friuli in Lombardia, pronti allo scontro con Matteo Visconti per il dominio di Milano, non solo poterono passare per Verona, ma ricevettero anche dal D., secondo gli Annales Mediolanenses (dove però, per un lapsus, si parla di "Alberto della Scala"), un qualche concreto aiuto, e il Ferreti, nella sua sia pure cronologicamente confusa ricostruzione di quegli avvenimenti, osserva tuttavia opportunamente che la soluzione di continuità nei rapporti sin'allora amichevoli tra i Della Scala e i Visconti "fere omnibus stuporem induxit". Sembrò rafforzare il nuovo corso impresso alla politica "milanese" di Verona dal D. la lega che quest'ultimo strinse nel settembre del 1302 con Alberto Scotti, il potente signore di Piacenza ed uno dei maggiori alleati dei Della Torre, colui che aveva sconfitto e fatto prigioniero Matteo Visconti e consentito agli stessi Della Torre di rientrare in Milano. Invece nel 1303 il D. tornò all'amicizia che aveva tradizionalmente caratterizzato per l'addietro i rapporti fra i Della Scala ed i Visconti: il soggiorno veronese dell'esule Matteo, iniziatosi peraltro forse dopo la morte del D., è prova del rinnovato collegamento tra le due famiglie.

Durante il breve periodo di governo del D. i rapporti fra Verona e Venezia non dovettero essere buoni. Il D., infatti, non rinnovò nel 1302 il trattato di amicizia con quella Repubblica, che era proprio allora scaduto e che - a quanto pare - non fu rinnovato nemmeno negli anni successivi, sino al 1306. In tale quadro politico di tensione e di ostilità deve essere interpretato il secondo matrimonio del D., il quale, rimasto vedovo di Costanza di Antiochia morta in epoca a noi ignota, sposò nell'aprile del 1303 una gentildonna appartenente a cospicua famiglia padovana, Agnese di Vitaliano Del Dente. Naturale conseguenza della politica di ostilità nei confronti della Repubblica di S. Marco avviata dal D. fu l'atteggiamento assunto nel 1304, rispetto al conflitto allora scoppiato tra Padova e Venezia, da Alboino Della Scala, fratello e successore del D. nella signoria di Verona.

Il D. morì a Verona il 7 o l'8 marzo 1304.

Questa è la data fornita dalla maggior parte delle fonti e generalmente accolta dalla storiografia. Tuttavia essa è stata messa in dubbio dal Simeoni, sulla base di una notizia fornita da una fonte veneziana, che anticipa di un mese la morte del D. e porrebbe dunque un sia pur breve intervallo fra quest'ultima e la presa di potere di Alboino Della Scala (cfr. L. Simeoni, Gli statuti delle arti..., p. XLI, n. 1).

Dalla prima moglie, Costanza di Antiochia, il D. ebbe un solo figlio, Francesco, detto Chichino (non più infante già nel 1298: Verci, VII, p. 34), che fu con lo zio Cangrande in Pisa nel 1315 alle trattative per la lega con Uguccione Della Faggiuola. Da Gemma de Spinobexo, donna appartenente ad una modesta famiglia veronese, ebbe un figlio illegittimo, Bailardino, morto nel 1352.

Tutti i cronisti a lui contemporanei danno in genere una valutazione positiva del governo del D., che essi descrivono come principe pacifico, giusto e religioso. Di tale giudizio lusinghiero si fece portavoce anche Dante, nel canto XVII del Paradiso, con elogio dovuto forse al riverbero della gloria di Cangrande e ad una rivalutazione a posteriori del suo primo soggiorno veronese. Tra i dolori e le amarezze dell'esilio - profetizza infatti al poeta fiorentino l'avo Cacciaguida - "lo primo tuo refugio, il primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo / che 'n su la scala porta il santo uccello, / ch'in te avrà sì benigno riguardo, / che del dare e del chieder, tra voi due, / fia primo quel che, tra gli altri, è più tardo" (Paradiso, XVII, vv. 70-75). Che il "gran Lombardo", cui va il merito di aver saputo usare allo sbandito vate dell'idea imperiale "sì benigno riguardo" da fornirgli protezione sicura e dimora ospitale prima che egli la chiedesse, sia il D., è concorde affermazione di tutti gli antichi commentatori di Dante, ed opinione prevalente della critica moderna.

Vitaliano Del Dente, il ricchissimo padovano padre della seconda moglie del D., è pure ricordato da Dante, il quale nel canto XVII dell'Inferno vaticina - per bocca di un dannato appartenente alla famiglia degli Scrovegni - che gli è già stato preparato un posto tra gli usurai nel terzo girone del VII cerchio (vv. 66-69).

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