BASILICA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi BASILICA dell'anno: 1959 - 1994

BASILICA

P. Gros; H. Brandenburg

Basilica pagana (v. vol. II, p. 2). - Nessun altro elemento della panoplia monumentale delle città romane è stato oggetto, nel corso degli ultimi due decenni, di tanti studi quanto la b. del foro. Sulla base di una rilettura più attenta dei testi - e in particolare del primo capitolo del libro ν del De architectura di Vitruvio - di un'analisi più rigorosa di un certo numero di monumenti noti già da molto tempo e, infine, di un'impressionante serie di nuove scoperte e identificazioni, le ricerche hanno permesso di gettare nuova luce sulle questioni concernenti l'origine dell'edificio, la sua evoluzione tipologica, nonché il significato politico-ideologico della sua organizzazione.

Contrariamente a un'opinione molto diffusa, la b. più antica attestata a Roma non è quella che Catone il censore fece costruire nel 184 a.C. (Β. Porcia), bensì quella di cui si ha menzione nelle commedie di Plauto risalenti alla fine del III secolo. È stato di recente dimostrato che questa prima b. non era altro che l’Atrium regium, edificio situato tra il mercato del pesce e la Via Sacra, la cui fondazione è attribuita dalla tradizione a Numa, secondo re di Roma. Questa costruzione, nella sua fase di età medio-repubblicana, rappresenta l'antenata della B. Aemilia, dalla quale verrà sostituita nel 179 a.C., dopo essere stata distrutta dal grande incendio del 210 a.C. L'equivalenza tra regius e ϐασιλικός stabilisce una continuità funzionale e di certo anche tipologica/tra le due costruzioni: il termine atrium, traduzione del greco αὐλή, designa uno spazio centrale circondato da portici, le cui applicazioni nell'architettura pubblica potevano essere svariate, ma il cui valore di rappresentanza svolgeva un ruolo essenziale. Non è certo un caso se la grande famiglia degli Aemilii è alle origini della sistemazione definitiva all’Atrium regium in basilica: si pretese di farla risalire al re Numa, sulla base di una genealogia leggendaria, ma si sa d'altra parte che M. Emilio Lepido, censore nel 179, era stato incaricato dal Senato della tutela del re d'Egitto Tolemeo V Epifane nel 201-200 a.C. In occasione della sua missione ad Alessandria, egli aveva avuto l'opportunità di valutare l'efficacia delle grandi sale ipostile nelle quali i monarchi ellenistici esibivano il loro potere. Il significato politico di questa prima b. romana, creazione gentilizia per eccellenza e destinata dagli Aemilii a rappresentare il segno tangibile della loro ricchezza e del loro potere, è dunque innegabile; il suo stesso nome ne reca la testimonianza.

Non è stata ritrovata alcuna traccia identificabile di questo prototipo, più volte restaurato e ricostruito fino agli inizi dell'impero. Tuttavia, a causa della sua filiazione diretta dall’Atrium regium, si può pensare che esso presentasse una sala centrale circondata da un deambulatorio con portico. È più difficile precisare se le b. d'epoca repubblicana a Roma fossero già caratterizzate da un elevato a due o più livelli, come quelle attestate a partire dal regno di Augusto. Del resto, rimane tuttora aperta la questione se lo «schema basilicale» di Vitruvio (v, 1) comportasse o meno un lacunare centrale e se il corridoio di deambulazione della sua «b. normale» possedesse un piano elevato, sia nella forma di una terrazza all'aperto, sia nella forma di un secondo portico coperto.

A dire il vero il dibattito si fa sempre più teorico man mano che progrediscono le nostre conoscenze sui centri monumentali d'Italia e delle provincie: le più antiche b. note, quelle di Palestrina, Cosa, Ardea e Pompei, propongono soluzioni molto differenti fra loro di un problema generale, che è quello di assicurare uno spazio riparato. Esito tardo nell'organizzazione dello spazio pubblico, in un primo tempo la b. si sviluppa in Italia come una specie di annesso che va al di fuori dello schema planimetrico o che si situa decisamente al di fuori del foro stesso. A Cosa, p.es., essa non compare che nella sesta fase edilizia, nel II sec. a.C., a discapito della via e delle insulae adiacenti a NE. A Pompei, è stata spesso rilevata la posizione marginale dell'edificio basilicale che, a conclusione di un lungo dibattito, si ammette ora concordemente essere stato coperto. Contrariamente all'opinione basata sui lavori di K. Ohr, H. Lauter ha recentemente messo in rilievo che il portico O del foro, costruito successivamente alla b., non mostrava nessun raccordo con la facciata di questa: la regolarizzazione «ellenistica» dello spazio non contribuì dunque che a isolarla per più lungo tempo. A Luni, le ultime indagini archeologiche hanno riportato alla luce una b. risalente alla prima metà del I sec. a.C., sorta sul fianco orientale del Capitolium, in una posizione nettamente decentrata rispetto all'asse del foro e in un luogo in cui non ne era stata prevista la presenza. Potrebbero essere citati altri esempi - a Paestum, ad Alba Fucente, a Carsoli - dai quali risulta chiaro che l'impianto iniziale dell'area forensis non prevedeva l'integrazione della b., né tanto meno, in molti casi, la sua esistenza. Agli inizi dell'impero, le piante e gli elevati degli edifici basilicali occidentali non obbedivano ancora a norme precise: si possono trovare indicati sotto il nome di b. o di porticus (la confusione che caratterizza a tal proposito testi e iscrizioni è significativa) semplici portici a due navate, che successivamente si trasformeranno in b. complete; da tale punto di vista, gli esempi recentemente studiati ad Ampurias (Spagna), a Conimbriga (Portogallo), a Glanum (Francia) sono ricchi di informazioni. Nelle regioni orientali dell'impero, le b. del foro (più precisamente dell'agorà) presentano generalmente la forma allungata di un ambulacro a tre navate di uguale altezza, senza corridoio di deambulazione periferico (esempi caratteristici a Efeso, Thera e Smirne), rivelandosi dunque debitrici come schema alla stoà; solo le b. della colonia cesariana di Corinto mostrano un aspetto più vicino alle costruzioni occidentali.

Precisamente in una di queste b. corinzie, quella c.d. Iulia, è stato ritrovato uno dei più antichi cicli statuari raffigurante Augusto e i suoi figli adottivi Gaio e Lucio Cesare. Il rinvenimento è da porre in relazione con la descrizione vitruviana della b. costruita a Fano (colonia italica sulla costa adriatica) dallo stesso autore del De architectural essa comportava, come dice Vitruvio, una aedes Augusti, ossia un piccolo santuario dedicato ad Augusto, all'interno di un'esedra quadrangolare, sporgente al centro del lato lungo dell'edificio. Simili impianti sono stati identificati, tra gli altri, a Iuvanum o a Lucus Feroniae. In tutti questi casi è lecito pensare che l'esedra, nella quale troneggiava un'immagine divinizzata del principe, non fosse altro che il tribunale dei magistrati e la curia nella quale si riunivano i decurioni.

Il processo di integrazione organica della b. agli spazî del centro civico conosce una decisiva evoluzione proprio a partire dall'ultimo quarto del I sec. a.C. I dati numerici che, pur non senza riserva, possiamo trarre dalle indicazioni epigrafiche e archeologiche meritano senz'altro di essere presi in considerazione: per le sole epoche augustea e giulio- claudia, oltre quella di Fano, si conoscono in Italia almeno sedici b., disseminate tra Zuglio e Paestum. Se rapportata al periodo precedente, che è quello della municipalizzazione intensiva dei territori centrali e settentrionali, tale cifra è sicuramente elevata. Lo è anche se confrontata al periodo successivo: al II sec. d.C. si possono far risalire solo quattro edifici basilicali e ben poche fondazioni sicure. Per quanto concerne in particolare l'Italia settentrionale (ossia dalla regione VIII alla IX), su un totale di dodici menzioni epigrafiche o di rinvenimenti archeologici - includendo il tribunal di Cividale Camuno (Val Camonica) - otto sono databili con qualche verosimiglianza, e di essi cinque si situano tra la fine del I sec. a.C. e la prima metà del I d.C., se si accetta l'ipotesi di una b. augustea a Brescia anteriore alla rifondazione globale d'epoca flavia.

Tale concentrazione di testimonianze, nonostante le lacune della documentazione, non è priva di significato: la moltiplicazione di tali edifici agli inizi dell'impero corrisponde a un mutamento che non è solo tipologico, ma investe la loro funzione e ridefinisce il loro posto nell'ordinamento dell'area forensis. Numerosi studi recenti hanno insistito sulla relativa frequenza delle b. del tipo di quella di Fano: infatti, le città di Roselle, Lucus Feroniae, Iuvanum, Sepino, Ordona, Gnathia e forse Ardea - se si ammette un rifacimento augusteo della costruzione anteriore - presentano edifici nei quali possono essere identificate esedre quadrangolari, che ci riportano all’aedes Augusti aperta sull'asse della b. vitruviana: in numerosi casi privilegiati è anche possibile rilevare un rapporto tra il tribunal dei magistrati locali e il piccolo santuario dinastico che domina il complesso e pone in qualche modo l'esercizio dell'autonomia municipale sotto il controllo del potere centrale, o più precisamente dell'imperatore. Ma, al di là delle piante e dell'organizzazione interna, quel che pare più significativo è come ormai queste b. si situino nell'ambito dei fora. Da tale punto di vista i siti dell'Italia settentrionale forniscono i dati più emblematici: a Forum Carnicum, Velleia, Augusta Bagiennorum, Brescia, Aquileia, la b., a una o due navate, dotata o meno di deambulatorio periferico intorno a uno spatium medium, assicura la chiusura di uno dei lati minori del foro, fronteggiando così il santuario maggiore della città. A Trieste e a Verona, pur occupando una situazione diversa, la b. resta direttamente legata al complesso forum-capitolium, del quale essa può essere considerata un elemento costitutivo.

Per comprendere appieno la portata del mutamento in questione, è opportuno leggere il primo capitolo del libro V del De architectura, da considerare non come un catalogo amorfo che offre due immagini di valore equivalente, ma come l'espressione dinamica di una frattura: il primo caso, quello della b. tradizionale, appartiene a un passato ancora recente; l'edificio è presentato come un locus adiunctus e non ancora come un opus coniungendum, come è il caso - p.es. - della curia. La nuova b., quella di Fano, progettata da Vitruvio stesso, contribuisce invece alla definizione dello spazio politico-religioso del foro; l’auctoritas che agli occhi del suo architetto emana da essa non è determinata soltanto dalla prodezza tecnica dell'ordine colossale, ma dal suo nuovo statuto, che le permette di fronteggiare il Tempio di Giove, situato sull'altro lato del foro. Degno di nota è il fatto che la sola esigenza urbanistica, che nel De architectura abbia un'incidenza diretta sull'organizzazione di un monumento, si esprima precisamente per questo edificio; Vitruvio sopprime due colonne del portico interno al fine di assicurare una sorta di corridoio tra l’aedes Augusti e il Templum Iovis.

Se queste b. dell'ultimo quarto del I sec. a.C. o degli inizî della nostra era si integrano così facilmente nell'organizzazione dei fora e sono preferite a tutte le altre costruzioni per fare da contrappunto o da contrappeso all'edificio religioso che simboleggia la dignitas municipale - il Capitolium - è perché, ormai, sia che posseggano meno una curia nella forma di un annesso absidato, esse sono portatrici degli insignia imperii, dei segni sacralizzati del nuovo potere.

Ancora una volta l'esempio di Roma permette di individuare l'origine del processo: la B. Iulia, nella sua ultima versione augustea, rappresenta il primo edificio di questo genere che si apra direttamente sul centro del venerabile Foro repubblicano mediante un portico che costituisce anche una delle sue navate secondarie: non solo essa non è più relegata in secondo piano a causa della presenza di una fila di tabernae, del tipo di quelle che fino alla fine del mondo antico continueranno a occupare lo spazio antistante la B. Aemilia, ma il princeps si sforza di esaltare la sua funzione di edificio gentilizio, conferendole il titolo di Basilica C. et L. Caesaris. Queste due promozioni, di ordine spaziale e dinastico, sono evidentemente connesse e definiscono il modello che sarà seguito in Italia e nelle province.

I cicli statuari ritrovati negli edifici giudiziari di Velleia, di Otricoli e senza dubbio di Bologna, come pure in quelli di Corinto, Sabratha, Thera o Efeso e i gruppi dello stesso genere di cui è stata supposta a ragione la provenienza da una b. del foro, come a Iesi (Aesis), Priverno o Tarragona, dimostrano che la nozione di aedes Augusti può rivestire forme diverse e assurgere addirittura alla dignità di Augusteum, nel quale sono venerati i membri principali della famiglia imperiale, eventualmente, ma non sempre, assimilati alle divinità del pantheon tradizionale. Degno di nota è il fatto che tutti i cicli attualmente identificabili si lasciano situare in un arco di tempo compreso tra la seconda metà del regno di Augusto e il principato di Claudio; risalgono, cioè, esattamente alla fase cronologica in cui, come si diceva, le costruzioni basilicali sembrano essere state più numerose e in cui la formula della loro integrazione nell'area forensis è definitivamente stabilita. Questo non esclude di certo varianti tipologiche sia nella planimetria che negli elevati; le statue imperiali possono essere sia all'interno di un'abside assiale, aperta in corrispondenza dell'entrata principale dell'edificio - è il caso di Otricoli - sia allineate lungo la parete di fondo di una b. a una sola navata senza esedra, come a Velleia; inoltre, i cicli statuari sono attestati anche negli edifici giudiziari che, per via dell'organizzazione precedente del foro, non hanno potuto occupare una posizione dominante, come è dimostrato dall'esempio di Luni, laddove è la vicinanza al Capitolium che assicura alle immagini della b. il prestigio della triade divina.

Divenuta ormai sede e simbolo dell'autonomia municipale, ma anche dell'onnipresenza del potere centrale, la b. subisce rapidamente le ultime modifiche che le permettono di assumere la sua forma «canonica». Si sviluppa un processo di chiusura dell'edificio in se stesso e di monumentalizzazione, del quale si seguono le tappe a partire dalla B. Iulia del Foro Romano alla B. Ulpia del Foro Traiano. Se agli inizi dell'epoca imperiale i portici periferici delle b., o per lo meno quelli che danno direttamente sul piazzale, e le terrazze che essi sostengono sono ancora essenzialmente orientati verso il foro e possono servire a ospitare gli spettatori dei combattimenti dei gladiatori (prima della costruzione dei grandi anfiteatri), a partire dagli inizî del II sec., invece, sia l'archeologia che le fonti scritte dimostrano che i deambulatori delle b. sono occupati, in occasione di grandi processi, da una folla che, dal primo e dal secondo piano, si volge verso la sala centrale per meglio seguire quel che vi succede. Si assiste dunque a una vera e propria conversione dall'esterno verso l'interno, la quale implica profonde modifiche di carattere strutturale e viene a determinare la forma canonica delle grandi b. imperiali.

L'acquisizione di tale forma si pone, in ambito provinciale, tra la fine del I e gli inizî del II sec. d.C.; le sue più prestigiose testimonianze archeologiche si concentrano nella seconda metà del II sec. e gli inizi del III, ossia in epoca antonina e severiana. Ci limiteremo a citare le b. di Augst (Svizzera), di Bavai, di Alesia (Francia), di Treviri (Germania), di Silchester (Gran Bretagna), di Cartagine (Tunisia), di Leptis Magna (Libia). Disposte in genere trasversalmente sul margine del foro, del quale occupano l'intera larghezza, di fronte a un santuario dedicato al culto imperiale o alla triade capitolina, questi imponenti edifici comportano una sala centrale quadrangolare circondata da un colonnato, spesso a due livelli; tale colonnato sostiene un lucernario, la cui struttura è fornita di finestroni che assicurano l'illuminazione al complesso. Absidi semicircolari possono ampliare lo spazio interno: solitamente aperte, come a Leptis Magna, sul lato minore del rettangolo, secondo lo schema della B. Ulpia, sono più raramente situate, come ad Augst, al centro del lato lungo posteriore. Insieme alle sale termali imperiali, queste composizioni costituiscono i più vasti spazi coperti unitari che l'antichità classica ci abbia tramandato. Alcune cifre possono darci l'idea dell'imponenza di quelle più importanti: la B. Ulpia misurava sul suo asse maggiore (abside compresa) circa 170 m di lunghezza per almeno 60 m di larghezza; la b. di età antonina di Byrsa, a Cartagine, scoperta di recente, lunga 85 m e larga 46, occupava una superficie superiore ai 3610 m2: si tratta della più grande unità architettonica romana attualmente nota fuori di Roma. I problemi di copertura posti dalle sale o dalle navate centrali di questi edifici non erano certo trascurabili, se si pensa che alcune di esse richiedevano travi lunghe più di 20 m. I progressi compiuti dagli architetti romani nella costruzione della copertura del tetto a capriate permisero di superare tale difficoltà: le enormi forze di trazione che si esercitavano sulla sommità delle vertiginose impalcature in pietra costituite dai colonnati a ordini sovrapposti (negli edifici più vasti, alti da 25 a 30 m, compreso l'attico) richiedevano una maestria, sia nella progettazione che nella messa in opera, degna di ogni ammirazione.

Similmente ai frigidaria e alle altre grandi sale termali, costruite nella stessa epoca nella maggior parte delle città dell'impero, queste b. del foro, le cui pareti e le cui colonne erano rivestite da marmi greci e asiatici che davano luogo a giochi cromatici estremamente raffinati, rispondono alla volontà di trasporre in ambiente provinciale le grandi creazioni della capitale. L'emulazione municipale, nella più raffinata forma della imitatio Urbis, alimentata dai doni dei notabili e incoraggiata dal potere centrale, vi trova una delle sue espressioni più notevoli.

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(P. Gros)

Basilica Cristiana. - Secondo gli Atti degli Apostoli (2, 46), e per l'apostolo Paolo (Ep. Rom., 16, 3 ss.; Ep. Col., 4, 14), le prime comunità cristiane si riunivano nella casa di un correligionario, per spezzare insieme il pane. La lettura delle sacre scritture, la recita dei salmi, le prediche, l'eucaristia, tutte le attività peculiari delle riunioni e delle pratiche cultuali delle prime comunità, avvenivano in ambienti privati o in edifici messi a disposizione da un membro della comunità stessa.

Questa situazione restò invariata in epoca post-apostolica, in quanto sarebbe stato difficile per la comunità cristiana, che era considerata religio illicita, e quindi priva di un proprio stato giuridico, essere proprietaria di beni immobili. A questo si aggiungeva l'atteggiamento religioso delle comunità protocristiane che, ispirandosi agli ebrei, non riconoscevano la presenza della divinità in un'immagine di culto, o in luoghi consacrati. Non avevano infatti bisogno di un recinto o di un edificio sacro come sacello o casa di Dio. A differenza degli edifici di culto pagani, santificati dalla presenza della divinità, il cui culto si svolgeva all'aperto, il servizio divino dei cristiani avveniva in spazi chiusi, che servivano esclusivamente come luoghi di riunione e che non erano santificati né dal culto né dalla presenza della divinità. E dunque rimase invariato il carattere profano di questi edifici.

Il tempio, il santuario di Dio, è secondo l'apostolo Paolo, la comunità stessa (I Ep. Cor., 3, 16; 2 Ep. Cor., 6, 14; Ep. Eph., 2, 21 s.). La casa di Dio, secondo gli Atti degli Apostoli (7, 44-50), non può essere un edificio costruito da mano umana. Questa radicale spiritualizzazione delle manifestazioni cultuali che, in contrasto con l'ambiente contemporaneo, non accettava né il sacrificio cruento, né l'edificio reso sacro dalla presenza divina, viene confermata anche dai Padri della Chiesa dei primi tre secoli. Per questo le comunità protocristiane non davano ai loro luoghi di culto una forma architettonica peculiare o un aspetto monumentale; e dunque non esisteva per tali comunità un'architettura sacra. Tant'è vero che nel III sec. d.C. Minucio Felice poteva affermare: delubra et aras non habemus (Octav., 32, 1; cfr. Arnob., Nat., VI, I). Tuttavia nel III sec. una serie di notizie dimostra come questa concezione non rappresentasse altro che un'esigenza ideale, non più corrispondente alla realtà: le comunità, che diventavano sempre più grandi e numerose, non avrebbero più potuto accontentarsi, per le loro riunioni, degli spazi messi a disposizione nelle case private. Apprendiamo infatti da Eusebio (Hist. Eccl., VII, 13) che ambienti cultuali e chiese furono restituiti ai cristiani da Gallieno, dopo le persecuzioni avvenute sotto il suo predecessore Decio, nel 260, mentre ne furono eretti altri durante il lungo periodo di pace successivo.

Questi edifici vennero distrutti durante l'ultima grande persecuzione del 303, sotto Diocleziano e i suoi coreggenti. Quando Eusebio ne esalta la magnificenza e l'imponenza, dobbiamo dedurre che si tratta evidentemente di edifici di culto indipendenti e, talvolta, eretti appositamente (Hist. Eccl., X, 2, 1). Ciò è confermato da Porfirio che, nella sua opera Adversus Christianos del 268, afferma che i cristiani si riunivano in preghiera in grandi edifici che costruivano imitando i templi, sebbene potessero pregare nelle loro stesse dimore, in quanto, secondo la loro concezione, Dio aveva il potere di ascoltarli dovunque (frg. 76, 93 Harnack).

Ma anche altre testimonianze contemporanee parlano di edifici di culto cristiani altrettanto grandiosi. Secondo Lattanzio (Mort, per sec., 12, 3), Diocleziano dal suo palazzo a Nicomedia poteva vedere la chiesa cristiana della città. Poiché tale costruzione lo disturbava con la sua imponenza e magnificenza, nel 303 egli fece distruggere dalle fondamenta questo «editissimum fanum».

Quindi sullo scorcio del IV sec., l'edificio di culto cristiano, indipendente, talora sontuoso, inteso come sacro (fanum, santuario), era ormai una struttura chiaramente definita. A questa situazione corrispondono anche le specifiche denominazioni, tramandate già dall'inizio del III sec., come domus Dei, ecclesia, dominica domus, dominicum, ecc., οίκος Θεου, ἐκκλησία, κυριακόν, ecc. che si riferiscono, senza possibilità di dubbio, a questo tipo di edifici (cfr. p.es. Tert., adv. Val., 2, 3; id., Idol., 7, I; id., Uxor., 2, 8; Hippol., In Dan. comm., I, 20 e altri). Non sappiamo comunque come realmente essi fossero, poiché non se ne è conservato nessuno.

Tra le costruzioni che sono state inglobate dai Tituli romani di età postcostantiniana, nessuna può essere con sicurezza identificata come luogo di culto cristiano precostantiniano, anche se la fondazione di numerosi di questi Tituli viene dalla tradizione attribuita a età precostantiniana. Soltanto a Dura-Europos è stato scoperto un modesto edificio di culto cristiano, databile con sicurezza nel secondo quarto del III secolo. È stato riconosciuto come tale, trattandosi di una casa adattata al culto della comunità, soltanto sulla base delle pitture e di una nicchia con baldacchino rinvenute in uno degli ambienti. Anche le Constitutionen Apostolicae della fine del IV sec., in cui confluì materiale più antico e che contengono prescrizioni riguardanti l'edilizia cultuale, dicono unicamente, a proposito dell'edificio ecclesiastico, che esso deve estendersi in lunghezza e rivolgersi a oriente, con due vani aggiunti (pastophòria) per gli arredi cultuali: il tutto doveva sembrare una nave (II, 57, 3). Su questo edificio di età precostantiniana, in pratica, oltre queste notizie, non abbiamo altre informazioni. E neppure sappiamo se in questo periodo tale struttura fosse caratterizzata in maniera particolare, come tipo architettonico completamente nuovo e, conseguentemente, se esistesse il modello di un'architettura specifica dell'edificio di culto, come lo vediamo dall'età costantiniana nella b. cristiana.

Origine della basilica cristiana. - Eusebio, vescovo di Cesarea in Palestina e amico dell'imperatore Costantino, cita in uno dei suoi scritti, la biografia di Costantino, una lettera dell'imperatore a lui diretta, da cui si ricava che l'imperatore stesso si era preoccupato personalmente, dopo il riconoscimento ufficiale della chiesa cristiana come comunità religiosa, di far ingrandire le chiese divenute troppo piccole, di restaurare quelle abbandonate nel corso degli anni e di erigerne delle nuove, dove necessario (Const., 1, 46). Senza dubbio, con questo sostegno statale offerto dall'imperatore all'edilizia ecclesiastica, si determinò una circolazione veloce e immediata delle nuove idee, come si può dedurre dalla descrizione di Eusebio della cattedrale di Tiro come b. a tre navate, consacrata nel 316/17. Già altre comunità religiose orientali nell'impero romano avevano utilizzato il tipo edilizio della b. per gli edifici di culto al fine di differenziarsi dai culti tradizionali del mondo greco-romano (p.es. Tempio di Serapide a Mileto; a Roma la b. nota dalle iscrizioni come Hilariana: una grande b. a pilastri, a cinque navate, della Magna Mater). Ovviamente il tipo di aula a più navate sostenute da pilastri o colonne, realizzato nell'architettura romana in diverse varianti e dimensioni, che prese il nome di b. e che non era destinato ad alcuna precisa funzione, se non quella di luogo di riunione, si prestava come modello. Questo tipo edilizio traeva origine dall'architettura delle città ellenistiche, dove le grandi piazze erano circondate da portici che avevano la funzione di dilatare adeguatamente l'agorà con spazi coperti (p.es. la stoà di Attalo e quella di Eumene nell'agorà di Atene). Tali portici, a una o a due navate, a uno, o anche a due piani, che si aprivano sulla piazza per tutta la sua lunghezza, si chiamavano «basilikè stoà», sia per analogia con il portico così denominato, sede dell'arconte basilèus nell'agorà di Atene, sia perchè il tipo architettonico derivava dai grandi portici fondati dai re ellenistici. Epigraficamente la denominazione è accertata per l'età imperiale per un'aula a due navate, chiusa su tutti i lati, a Thera e per la stoà a tre navate, molto estesa in lunghezza, di età augustea, nel foro romano di Efeso, che presenta già una navata centrale rialzata. Nella versione latina dell'iscrizione, quest'aula viene definita, significativamente, soltanto «basilica». In latino dunque, l'aggettivo è divenuto un sostantivo che evidentemente definiva un'aula con sostegni (pilastri o colonne), con il compito di assolvere le molteplici funzioni di una piazza pubblica o foro. Ugualmente variabili e corrispondenti alle esigenze locali sono le b. che in Oriente anche in età imperiale presentavano ancora il tipo dell'aula a colonne, estesa in lunghezza, relativamente stretta, che fiancheggiava la piazza del mercato, anche se, come a Efeso, l'aula era già suddivisa in più navate. Tale struttura è presente in edifici di età imperiale a Smirne, Efeso e Aspendos. In Occidente, dove la b. fin dal II sec. a.C. costituisce un tipo di edificio pubblico ben definito, essa rappresentava, fin dal tardo ellenismo, un tipo edilizio compiuto per ciò che concerneva la sua definizione spaziale. Per accrescere la capienza dell'aula, quale spazio destinato alle riunioni e alla sosta, e renderla più idonea alle molteplici funzioni pubbliche, si disposero i portici in modo da creare un'aula oblunga con ambulacro interno su tutti i lati. Tuttavia non esisteva un tipo edilizio stabilito, tant'è vero che questi edifici pubblici rappresentativi mostrano una significativa varietà di forme sia nella pianta che nell'alzato, in relazione alla loro funzione di spazi di sosta e di riunione. Anche in questo tipo edilizio, i cui elementi si aprono l'uno nell'altro, esistono latenti tendenze a una articolazione più marcata della struttura spaziale e del suo orientamento. Queste tendenze risaltano chiaramente nella b. tardorepubblicana di Pompei, prospiciente il foro con uno dei lati corti, e da questo anche accessibile. Addossato all'altro lato breve, in fondo all'aula colonnata a tre navate, chiusa su tutti e quattro i lati, sorgeva il tribunal. Questo edificio orientato in senso longitudinale, le cui navate laterali circondano, come di consueto, anche sui lati brevi la navata centrale più larga, rappresentava peraltro un'eccezione rispetto alle numerose b. tardo-repubblicane e imperiali a noi note: esso costituisce una ben precisa variante formale in relazione a esigenze topografiche locali, che permette di riconoscere la concezione per così dire aperta, e le possibilità insite in questo tipo edilizio.

Tendenze analoghe, anche se diversamente articolate, sono riscontrabili nella B. Ulpia nel Foro Traiano.

Ma il passo decisivo verso l'edificio orientato longitudinalmente, dopo possibili precedenti come la b. del Foro di Augst (Augusta Raurica), fu compiuto al più tardi con la costruzione della b. del Foro Severiano di Leptis Magna. Questo edificio aveva chiaramente come modello la B. Ulpia a Roma, ma sviluppò lo schema sia della pianta sia dell'alzato secondo le tendenze architettoniche contemporanee. Anche questa b., che del resto è significativamente chiusa all'esterno, ha il lato lungo verso il foro, in modo da essere accessibile attraverso tre stretti passaggi sull'asse trasversale del foro stesso. L'ulteriore evoluzione verso la definizione dello spazio, evidente nella chiusura verso l'esterno, si rivela anche nel fatto che i singoli elementi spaziali vengono distinti l'uno dall'altro in modo più netto e più rigidamente differenziato. Evidentemente le navate laterali passano in secondo piano rispetto alla larga navata centrale, poiché gli ambulacri e le colonne non sono più collocate sui lati brevi, intorno a essa. Le grandi absidi, poste su entrambi i lati brevi, costituiscono palesemente il punto trainante dello spazio, sul quale si concentra lo sguardo dell'osservatore e si sviluppa la direzione dell'aula. La sala deve apparire al visitatore come un'aula estesa in lunghezza, anche se bipolare. Un edificio più piccolo e modesto, databile nella prima metà del III sec., mostra attuate in modo più chiaro, pur nei limiti delle sue possibilità, le tendenze presenti negli edifici nominati: l'accesso alla b. di Tipasa in Algeria, che è chiusa su tutti i lati, avviene attraverso una scala sul lato breve meridionale. In contrapposizione a questo ingresso, sull'altra estremità dell'edificio a tre navate ed esteso in lunghezza, c'era un'abside fiancheggiata da due ambienti laterali. L'orientamento dell'edificio è stato qui concepito in funzione dell'abside che domina la navata centrale; soltanto la navata laterale che corre anche sul lato breve d'ingresso, richiama ancora l'aula circondata da colonne, tipica della b. pagana. Anche nella pianta la b. di Tipasa aveva caratteristiche analoghe a quelle della b. cristiana: presentava infatti, come fanno supporre le proporzioni dell'edificio, al di sopra della navata centrale un corpo sopraelevato, fornito di finestre, che non era di norma previsto per la b. civile. La pianta e l'alzato della b. di Tipasa risultano inusuali per una b. civile, anche nel III sec.; ma questo edificio, dalla forma così puntualmente simile a quella delle b. cristiane, può dimostrare quanto fosse viva nell'architettura contemporanea la tendenza all'edificio orientato, e come d'altra parte la struttura fondamentale della b. pagana, quale edificio di sosta e di riunione, fosse aperta a molteplici possibilità di varianti nella forma sia della pianta, sia dell'alzato, in relazione alle locali esigenze topografiche e alle necessità che si presentavano. Dovrebbe essere ormai chiaro che nel tipo della b. pagana di età imperiale erano già insiti gli elementi essenziali e la struttura spaziale della b. cristiana. La b. paleocristiana, quale si presenta in modo esemplare nella chiesa del Laterano e nella descrizione di Eusebio della b. di Tiro, si deve quindi collegare con il tipo edilizio della b. romana civile, da cui ha tratto anche il nome. La sua forma si basa sulle numerose varianti del tipo dell'aula a colonne, che trovarono il loro fondamento nell'architettura romana come risposta alle esigenze della società.

Un esempio di adattamento di un tipo edilizio a una funzione nuova o più ampia ci è offerto dalla monumentale costruzione a volta della B. di Massenzio nel Foro Romano. Si presero le mosse dallo spazio centrale attraversato dagli assi incrociati delle grandi terme imperiali, e lo si adattò alla b. del Foro. Gli architetti, che su incarico dell'imperatore idearono la B. del Laterano, non si ispirarono però a questa grandiosa creazione dell'architettura e della tecnica ingegneristica contemporanee, ma si attennero a un tipo edilizio relativamente antico e strutturato in modo semplice. La creazione della b. cristiana non fu determinata da considerazioni di tipo ideologico o ideale, come si è solitamente postulato stabilendo una relazione tra il falso significato attribuito al termine basilica e la sala del trono. Per la sua formazione e il suo collegamento al tipo dell'aula colonnata, usuale nell'architettura romana, furono essenziali, piuttosto, motivi pratici e funzionali.

La b. cristiana di età costantiniana. - La B. del Laterano è il primo edificio ecclesiastico ufficiale della cristianità. Fondata dall'imperatore Costantino quasi come ex voto per la vittoria ottenuta nel segno di Cristo nella battaglia sul ponte Milvio, la Basilica Lateranensis, come viene definita nelle fonti del IV sec. (p.es. Hier., Epist., 77, 4) era la chiesa della comunità cristiana di Roma e del vescovo di Roma. La chiesa, orientata da E verso O, consisteva in un'aula a cinque navate, suddivise da colonne, lunga c.a 100 m e larga 55. La navata centrale, lunga 90 m, larga 27, alta 18, si concludeva a O con un'abside. Le pareti laterali della navata centrale, che posavano su un colonnato con architrave, avevano una grande finestra sopra ciascun intercolumnio. Due navate laterali, relativamente basse (alte 15 e 9 m), all'incirca della stessa larghezza, suddivise da arcate a colonne, fiancheggiavano la navata centrale su entrambi i lati. Solo le navate laterali esterne erano illuminate da finestre. Un unico tetto a spiovente e l'illuminazione più scarsa delle navate laterali ponevano chiaramente queste ultime in secondo piano rispetto a quella centrale, che si ergeva alta e ben illuminata. Anche nell'abside si trovavano finestre, mentre nulla è dato sapere a proposito dell'aspetto della facciata, a parte i tre portali che si aprivano sulla navata centrale. Le navate laterali interne correvano verso O, lungo la navata centrale, fino all'inizio dell'abside, mentre le navate laterali esterne, più corte, si concludevano con cappelle, sporgenti rispetto al filo esterno della chiesa. I due vani venivano a indicare attraverso la traccia di un asse trasversale, il limite del presbiterio nella navata centrale, davanti all'abside.

Le pareti erano costituite da muri in opera cementizia con paramento di laterizi, di spessore relativamente sottile, ma sufficienti a sostenere l'armatura del tetto di legno che ricopriva le navate. Non si sa se l'armatura del tetto, in corrispondenza della navata centrale, avesse un rivestimento a cassettoni di legno. Tetti a cassettoni e capriate aperte convivono spesso nell'architettura contemporanea, e anche nelle descrizioni letterarie non si possono facilmente distinguere. L'esterno dell'edificio era privo di decorazione, mentre l'interno era riccamente ornato: un pavimento di preziose lastre di marmo policromo nella navata centrale, un rivestimento parietale a lastre policrome (incrostazione marmorea) sui muri, e una decorazione a mosaico, forse priva di figure, nel catino absidale.

La chiesa del Laterano ci appare dunque come un grande edificio, semplice nell'architettura, piuttosto sontuoso per le dimensioni e la decorazione, che si poneva in concorrenza con i grandi edifici pubblici della capitale.

Le già ricordate caratteristiche sottolineano l'importanza della navata centrale, vero fulcro del culto; la sua parte mediana delimitava lo spazio liturgico vero e proprio, mediante un percorso transennato (solea) per le processioni del clero e mediante il presbiterio molto avanzato rispetto all'abside; mentre la comunità dei fedeli doveva assistere alle funzioni sacre dalle navate laterali.

La b., come edificio a pianta orientata, a più navate, ebbe un'immediata diffusione nei centri urbani dell'impero. Eusebio descrive la cattedrale inaugurata a Tiro dal vescovo Paolino nel 316-17, quindi poco dopo la b. costantiniana di Roma, come edificio a tre navate, orientato a occidente (Hist. Eccl., X, 4 e ss.).

La navata centrale era illuminata da numerose finestre e coperta da una capriata mentre le navate laterali erano più basse e più buie. Anche la chiesa vescovile di Asnam (Orleansville, Algeria), costruita intorno al 324, riproduce lo schema basilicale: l'edificio presenta, anche se con misure sensibilmente ridotte, ancora cinque navate e un'abside inserita nel muro esterno. Un'altra variante dell'edificio basilicale offre la cattedrale di Treviri, anch'essa di età costantiniana, costituita da due grandi aule a tre navate, lunghe m 73 e larghe m 30-38, collocate una accanto all'altra, suddivise da due file di pilastri in una navata centrale più larga e in due navate laterali più strette. A oriente queste aule finivano ad angolo retto, e lì avevano all'interno un presbiterio.

A Roma in età costantiniana esisteva accanto alla B. del Laterano anche un'altra variante dell'edificio basilicale: le b. cimiteriali erette da Costantino e dai membri della sua famiglia fuori le mura della città, sopra i cimiteri cristiani, in onore dei martiri. Si tratta di quattro edifici: S. Sebastiano, Ss. Pietro e Marcellino, S. Agnese, S. Lorenzo, cui si può aggiungere la b. di Tor de' Schiavi. Tutte queste chiese sorgono su terreni di proprietà imperiale e, a quanto pare, per lo più in collegamento con il mausoleo di un membro della famiglia imperiale. Si tratta di aule basilicali a tre navate, di 70-100 m di lunghezza, con pilastri o colonne a sostegno delle pareti della navata centrale. A O le navate laterali terminano a semicerchio per formare un deambulatorio intorno alla navata centrale.

La forma delle b. con deambulatorio, che non sembra avere avuto repliche al di fuori di Roma, dipende dalla funzione di questi edifici come «memoriali», destinati, cioè, sia alla celebrazione dell'eucaristia, sia al culto dei martiri e dei defunti (in primo luogo quelli della famiglia imperiale) e al loro seppellimento.

Un'altra variante dell'edificio basilicale di età costantiniana è costituito dalla B. di S. Pietro, eretta da Costantino negli anni venti del IV sec. sulla collina del Vaticano, sopra la tomba dell'apostolo Pietro. Questo edificio monumentale, che superava all'incirca di un terzo la B. del Laterano, aveva una lunghezza di ben 123 m. Come la B. Lateranense presentava cinque navate, delle quali quella centrale limitata da un colonnato architravato, quelle laterali da colonnati ad arcate. Le pareti della navata centrale erano interrotte da sedici finestre non in asse con gli intercolunni. A O, l'edificio si concludeva in maniera diversa dalla B. del Laterano: tra l'abside e l'aula a più navate si ergeva un corpo trasversale, collocato in modo visibile anche dall'esterno. Questa navata trasversale, ben illuminata da numerose finestre, rappresentava, in certo qual modo, un sacrario monumentale sulla tomba di S. Pietro. Collocata davanti alla corda dell'abside, era questa la meta di pellegrinaggi che, in una scenografia architettonica piena di effetto, dall'ingresso dell'atrio che precedeva come vestibolo il santuario, conduceva al corpo trasversale dietro l'arco trionfale dove la tomba era accessibile all'omaggio dei fedeli.

La funzione della b. come edificio di culto cristiano riceve dunque qui, dall'esigenza del culto dei martiri, una peculiare accentuazione monumentale, che avrebbe in seguito trovato un'ampia diffusione grazie alla forte influenza di questo centro di pellegrinaggi.

Questo sguardo generale sull'architettura ecclesiastica di età costantiniana dimostra quanto variabile sia il tipo di b. cristiana di quest'epoca e come la forma della b. debba aver subito variazioni, in conformità alle esigenze del culto, della funzione, delle condizioni ambientali, delle necessità rappresentative.

La b. cristiana in età postcostantiniana. B. a tre e più navate. - Dopo le monumentali b. imperiali a cinque navate, si impone ovunque come tipo canonico per la chiesa comunitaria, l'aula basilicale a tre navate, di cui quella centrale si conclude con un'abside. È il tipo rappresentato secondo Eusebio già dalla chiesa vescovile di Tiro e che si ritrova anche in S. Marco, la più antica chiesa parrocchiale di Roma, eretta intorno al 336. Per edifici rappresentativi, veniva preferito comunque il tipo basilicale a cinque navate. La B. di S. Paolo a Roma, alla fine del IV sec., riproduceva la forma della B. di S. Pietro, con l'aula a cinque navate e il corpo avanzato trasversale, che la qualificava come creazione imperiale. Si adeguano a questo concetto rappresentativo della b. imperiale, con l'uso di cinque navate, anche le fondazioni costantiniane del S. Sepolcro di Gerusalemme e la B. della Natività di Betlemme, nonché la chiesa vescovile della residenza imperiale di Milano, eretta verso la metà del IV secolo. La già nominata chiesa vescovile di Asnam (Orleansville, Algeria) è influenzata dal medesimo modello, modificato e ridotto in relazione alle necessità di una comunità più piccola e meno esigente. Lo stesso concetto si ritrova nella b. di Epidauro, in Grecia, e nelle cattedrali di Ravenna e di Salamina di Cipro sorte ancora nel IV o all'inizio del V secolo. Cinque (p.es. le b. di Dermes a Cartagine, VI sec.), sette (p.es. la B. Maiorum a Cartagine, VI sec.), otto (la b. di Tipasa, intorno al 450) e perfino nove navate presentano alcune chiese nordafricane, sebbene quella a nove navate di Damus el-Karita (Cartagine), del VI sec., costituisca un'eccezione.

Queste chiese, pur essendo rare quelle a sette o a nove navate, sono la prova della variabilità e della flessibilità del semplice schema sia della pianta, sia dell'alzato della b. che poteva adattarsi alle esigenze locali, alle varie funzioni, alle richieste delle comunità, alle aspirazioni del committente.

Β. con matroneo. - Anche la b. cristiana, come avviene frequentemente per la b. pagana, poteva essere fornita di un matroneo. Il motivo potrebbe essere duplice: da un lato si poteva in tal modo creare spazio per un maggior numero di fedeli, e contemporaneamente si otteneva un effetto architettonico maggiore. Il primo esempio è probabilmente la B. del S. Sepolcro a Gerusalemme. Un matroneo si trova anche in un'altra antica meta di pellegrinaggi, la grande b. di Tebessa in Algeria, a cavallo tra il IV e il V sec., e nella chiesa cimiteriale dei Ss. Nereo e Achilleo nelle catacombe di Domitilla a Roma, della fine del IV secolo. Matronei si trovano anche in chiese vescovili e comunitarie (a S. Sofia di Costanzo II, a Costantinopoli, del 360 c.a, e nella b. di Treviri, ricostruita da Graziano intorno al 380). Il tipo della b. con matronei è diffuso soprattutto nel V sec., per lo più in Nordafrica (b. di Abu Mena, dell'inizio del VI sec.; Ğemila, inizio V sec.; Thelepte, V sec.; Tigzirt, V sec.), Costantinopoli (chiesa di S. Giovanni di Studio della metà del V sec.) e in ambiente greco-egeo (S. Demetrio a Salonicco del tardo V sec.; Acheiropòietos a Salonicco del terzo quarto del V sec.; b. del Lechàion a Corinto, del terzo quarto del V sec.) e microasiatico, in Siria e nei Balcani (chiesa vescovile di Stobi, della metà del V sec.). Qui il matroneo è anche, frequentemente, riservato alle donne o ai catecumeni durante la liturgia, ma anche agli esercizi spirituali privati. Esempi tardi sono le b. con matroneo di S. Agnese e di S. Lorenzo a Roma erette sulle tombe dei santi tra la fine del VI e l'inizio del VII sec., per offrire spazio sufficiente alle masse di pellegrini. Analogamente, in questi edifici, così come già era avvenuto nella chiesa del S. Sepolcro di Gerusalemme e nelle b. orientali con matroneo del V sec., potevano variare le proporzioni: in contrapposizione alla navata centrale più estesa in larghezza, e di maggiore altezza, l'aula viene ridotta in lunghezza, in modo tale da ottenere una pianta quasi quadrata (chiesa di S. Giovanni di Studio a Costantinopoli); in tal modo poteva verificarsi che la navata centrale fosse priva del corpo rialzato, come nella chiesa del S. Sepolcro, nella chiesa di San Giovanni di Studio a Costantinopoli e nella Acheiropòietos di Salonicco, e che le navate fossero collegate da un unico tetto a due spioventi. Le b. a matroneo nordafricane, così come le chiese romane di S. Lorenzo e di S. Agnese, presentano invece il corpo rialzato. Il matroneo, già precedentemente utilizzato in edifici a pianta centrale (Ottagono ad Antiochia, di età costantiniana; S. Lorenzo a Milano, fine IV sec.), in Oriente a causa della tendenza all'organizzazione spaziale centralizzante e verticale dell'edilizia ecclesiastica successiva, troverà impiego anche nelle b. a «crociera» e a «cupola» (vedi sotto).

B. con navata trasversale. - Nella più antica b. con navata trasversale, quella di S. Pietro, il transetto diventava un sacello monumentale sopra la tomba di S. Pietro e aveva una funzione nella liturgia del culto del martire e nella visita alla sua tomba. Tuttavia il transetto è presente anche nelle chiese vescovili e in quelle comunitarie già dal IV secolo. La B. di S. Tecla, chiesa vescovile di Milano della metà del IV sec., ha un transetto, che peraltro non sporge oltre l'aula basilicale e nel quale prosegue la suddivisione dell'aula principale in cinque navate. Probabilmente la navata trasversale, all'esterno, non si distingueva tanto dal corpo longitudinale come nella B. di S. Pietro. Diventa qui più evidente quella tendenza verso una forma architettonica più sviluppata dell'area presbiteriale e della sua separazione dal corpo lungo dell'edificio, che già era ottenuta nella B. del Laterano tramite l'inserimento, nella zona del presbiterio, di due corpi a forma di cappella, aggiunti alle navate esterne. Per di più, una navata trasversale offriva spazio per un maggior numero di chierici e per una liturgia che si svolgesse in maniera solenne.

Il transetto in seguito si è sviluppato con questa funzione in tutto il bacino del Mediterraneo. Soprattutto l'idea della singolarità e della preminenza di uno spazio centrale, significativo da un punto di vista liturgico, definisce sempre di più la funzione e l'aspetto formale del transetto, che è molto variabile a seconda delle regioni e della cronologia. Così si incontra un transetto suddiviso con un numero di navate corrispondente a quello dell'aula principale, come nella chiesa vescovile di Milano (chiesa sepolcrale di Abu Mena, Egitto, del terzo quarto del IV sec.; b. a cinque navate di Epidauro, intorno al 400; b. dell'Ilisso, Atene prima metà del V sec.; Nicopoli, b. B, intorno al 500, con suddivisione dello spazio solo nella navata centrale, mentre i colonnati delle navate laterali finiscono sul transetto; b. vescovile di Korykos, ultimo terzo del V sec.; b. di Kràneion, Corinto, VI-VII sec.). I transetti potevano anche sporgere oltre il filo dell'aula principale (S. Pietro in Vincoli, Roma, metà del V sec.; b. del Lechàion di Corinto, seconda metà del V sec.; b. A di Nicopoli, secondo quarto del VI sec.; absidi semicircolari sporgenti sul transetto, nella b. di Dodona del VI sec. e in quella di Panormo a Creta). Talvolta si attua una delimitazione dello spazio cultuale centrale tramite un grande arco che attraversa l'intera larghezza del transetto, in modo tale da ottenere una crociera (Nicopoli, b. A; Korykos, b. extra muros, del V sec.; Apollonia, chiesa orientale, del V sec.). Già precedentemente vi sono esempi in cui i pilastri della crociera vengono rafforzati nel punto di intersezione del transetto e della navata centrale, cosa che fa pensare a una sopraelevazione di questo spazio centrale (b. dell'Ilisso, Atene, prima metà del V sec.; b. del Lechàion di Corinto, terzo quarto del V sec.). La tendenza centralizzante che si manifesta in questa soluzione si rafforza ulteriormente in quegli edifici in cui la crociera e la navata trasversale vengono a trovarsi a metà della lunghezza dell'aula principale, come nella B. Maiorum di Cartagine, a sette navate, con le navate laterali intercomunicanti, e la già nominata b. a nove navate di Damus el-Karita, anch'essa con navata trasversale e crociera. Entrambi gli edifici sono memoriali e non sono databili prima della fine del V secolo. La crociera sicuramente sporgeva al di sopra dei tetti delle navate, probabilmente con una copertura a volta (cupola con struttura di tubi fittili). Un altro tipo di b. con transetto, anch'esso con diverse varianti, è la b. con transetto a più navate (con navate che girano intorno ai lati corti: at-Taghba, fine del V sec.; Perge, intorno al 500; con navate che girano intorno su tutti i lati: Salonicco, B. di S. Demetrio, dell'ultimo terzo del V sec.; Abu Mena, Β. di S. Mena del VI sec.; Hermopolis, b. del VI sec.).

Β. a croce. - Se l'aula principale si estende nella zona presbiteriale oltre il corpo trasversale, si ha la b. a croce. Il tipo probabilmente è già realizzato nella chiesa costantiniana degli Apostoli a Costantinopoli. Da allora si è diffuso soprattutto per chiese memoriali importanti (Sichern - chiesa sulla fonte di Giacobbe? - del IV sec.; Efeso, chiesa di S. Giovanni, metà del V sec.; con l'aula centrale che si estende solo di un intercolunnio circa: Gerasa, chiesa dei profeti, apostoli e martiri del 465; Salona, b. a croce del 490-540; con braccio orientale prolungato e centro ottagonale: Qal'at Sim'ān, Siria, 476-90 c.a.). Anche queste b. a croce avevano una crociera sopraelevata, come quelle con crociera indipendente già note. Questa crociera sopraelevata, che anche all'esterno dell'edificio sottolineava il centro cultuale o il sito da venerare, faceva comprendere come l'architettura della chiesa costituisse un insieme di parti, gerarchicamente organizzate e disposte. Appare chiaro che la b. cristiana, sulla base di un'originaria duttilità spaziale semplice e variabile, si è sempre più evoluta fino a diventare un tipo edilizio strutturato in modo complesso, che supera i presupposti dell'architettura antica nelle soluzioni spaziali e nell'organizzazione del corpo edilizio.

B. a cupola. - In Asia Minore, in ambiente cilicio- isaurico, tra gli edifici della fine del V sec. è noto un certo numero di chiese, che costituiscono un nuovo tipo basilicale: di fronte alla zona del coro, spesso resa più profonda con un'abside, viene isolato, mediante l'inserimento di pilastri nello schema basilicale a tre navate, uno spazio centrale che domina la navata, sopraelevato e spesso ricoperto da una cupola. La tendenza centralizzante, percepibile nell'accentuazione della crociera nella b. con navata trasversale, nella b. con crociera centrale, e ancor più nella b. a croce, trova in quest'ultimo tipo di edificio una manifestazione particolare. L'estensione in lunghezza dello spazio basilicale viene ritmizzata e spostata a favore dello sviluppo in altezza della struttura architettonica (Alahan Monastir, chiesa orientale, dopo il 462, intorno al 500?; Dağ Pazarı, chiesa A, fine del V sec.; Meryemlik, b. a cupola, ultimo terzo del V sec.; Costantinopoli, S. Irene, intorno al 532; Efeso, chiesa di Maria, VI sec.). Questo tipo di edificio si ritrova, collegato con una navata trasversale senza suddivisioni, nella b. Β di Filippi del VI secolo. Tale sistema viene usato anche nella b. a croce, forse per la prima volta nel rinnovamento giustinianeo della B. degli Apostoli di Costantinopoli e nelle sue imitazioni, a partire dalla ricostruzione giustinianea della chiesa di S. Giovanni a Efeso. La diminuita importanza dello schema basilicale allungato, che le chiese già nominate rivelano mediante una ritmizzazione dell'edificio ottenuta con l'accentuazione di un centro e con una copertura a vòlta sopraelevata, si manifesta anche nella b. a crociera e in quella a cupola. Questa evoluzione verso un edificio sempre più complesso e ieraticamente articolato, con elementi architettonici e spaziali distinti, reciprocamente sovrapposti o subordinati, trova il suo apice nella chiesa giustinianea di S. Sofia a Costantinopoli, che congiunge in sé la tradizione della b. a matroneo e quella dell'edificio a pianta centrale, che si era andato sviluppando fin dal IV sec., in maniera sempre più differenziata e articolata, forse nell'ambito dell'architettura imperiale. È così che questo nuovo tipo edilizio, che si era formato sulla base della b., sotto l'influenza di concetti architettonici originariamente indipendenti, si distacca nettamente dai presupposti concettuali dell'architettura tardo-antica.

B. in complessi compositi. - Già in età costantiniana erano state erette a Roma, per iniziativa imperiale e dedicate al ricordo di martiri, chiese che sorgevano sulle strade consolari fuori della città, sui cimiteri cristiani. Queste b., ovviamente condizionate dalle esigenze del culto dei martiri e dei defunti (anzitutto quelli della casa imperiale), erano ad ambulacro ed erano soprattutto collegate con mausolei imperiali. Infatti, già nella B. Apostolorum (S. Sebastiano) sulla Via Appia, sul fianco meridionale, un grande mausoleo era collegato alla chiesa per mezzo di una struttura ad arcate. Un altro grande mausoleo rotondo, che servì come tomba della figlia di Costantino, era annesso all'atrio della B. di S. Agnese sulla Via Nomentana.

L'impianto di questo tipo più significativo fu però la B. Ad duas lauros sulla Via Labicana, sorta sulla Catacomba dei Ss. Pietro e Marcellino, che collegava a E la b. ad ambulacro con un grande mausoleo rotondo, unito alla chiesa con un vestibolo, organizzato come un transetto. Con l'unificazione assiale tra mausoleo e b., in tal caso fedele ai principi tradizionali dell'architettura romana, grazie ai quali il mausoleo imperiale, originariamente destinato a tomba di Costantino stesso, veniva a costituire il polo opposto dell'abside, si era trovata una convincente soluzione per questo complesso impianto edilizio. L'adattamento degli elementi architettonici, necessari alle singole funzioni, a un tutto organico nettamente articolato, è qui perfettamente aderente al significato del culto. Una soluzione analoga troviamo nella chiesa della Natività a Betlemme. Qui però il fulcro dell'impianto è un ottagono, eretto al di sopra della grotta della natività, al posto dell'abside, e aggiunto all'aula basilicale con un elemento trasversale a mo' di transetto. In modo più complesso e dispendioso è stata attuata la sistemazione della chiesa del S. Sepolcro. Alla b. con matroneo e con abside a O è annesso un cortile circondato da portici a colonne, che racchiude, quale luogo sacro, la roccia del Golgota. Sull'asse della b. è annesso al cortile occidentale un edificio centrale con ambulacro e matronei. Questo edificio articolato, che sia nella pianta sia nell'alzato rappresenta un tipo sviluppatosi nell'architettura imperiale, costituiva l'imponente cornice architettonica della tomba di Cristo.

In queste strutture sono collegati insieme diversi elementi architettonici, in una relazione assiale crescente, che parte dalla b. e culmina nella rotonda sepolcrale. Il sacello sopra la tomba del martire, un atrio e la b. con zona presbiteriale a forma di triconco sono disposti sullo stesso asse anche nel Santuario di S. Felice a Ci- mitile (400 c.a), presso Napoli.

Una disposizione assiale in un complesso edilizio articolato con battistero, chiesa sepolcrale sopra la tomba di S. Mena e grande b. con transetto a E, presenta anche il santuario del V sec. di Abu Mena in Egitto.

Nel VI sec. la chiesa sepolcrale fu qui trasformata in una sontuosa chiesa a tre conche absidali e la B. di S. Mena in una b. a transetto con ambulacro. Il modello è ancora da ricercare nell'ambito dell'architettura imperiale di Costantinopoli. Un progetto ragionato del complesso di edifici presenta anche il grande santuario di Tebessa in Algeria all'incirca del 400. Però qui il memoriale, un trìkonchos, è stato aggiunto alla grande b., a S, a un livello più basso. Al VI sec. appartiene già il complesso della b. di Damus el-Karita, che presumibilmente era al tempo stesso memoriale e meta di pellegrinaggi: trìkonchos come memoria, grande vestibolo semicircolare e b. a nove navate con transetto e crociera si estendono qui su un asse da O a E. A E del complesso sono annessi altri edifici di grandi dimensioni. Un'altra soluzione offre il santuario di Qal'at Sim'ān in Siria, del tardo V secolo. Qui il corpo ottagonale centrale con funzione di memoriale è collegato con quattro bracci basilicali a croce, in modo da far risultare un complesso intermedio tra la b. a croce e il complesso composito.

Questa breve panoramica mostra chiaramente che non esiste un tipo fisso per questi impianti, memoriali e santuari. Sembra preferito, soprattutto per gli edifici più rappresentativi e quelli donati o promossi dall'imperatore, l'ordinamento assiale, grazie al quale il memoriale poteva essere collegato alla b. direttamente o mediante un vestibolo.

B. con absidi contrapposte. - Soprattutto in Nordafrica, ma anche in Spagna, sono diffuse le b. che posseggono una controabside, spesso innestata nella struttura in una seconda fase (p.es. Nordafrica: Thelepte, b. 3; Asnam, b. 324, V sec. (?); Skhira, IV sec.; Haydra, b. I, VI sec.; Haydra, B. di S. Candido, V-VI sec.; Spagna: casa Herrera, intorno al 500; S. Pedro de Alcántara, intorno al 500). Accanto alla controabside talvolta si trova in Africa, nonché in Spagna, un secondo santuario all'altra estremità della navata, che non sporge all'esterno dell'edificio. Le ragioni dell'esistenza di questa controabside o controsantuario sono di natura diversa. La maggior parte di tali absidi sono servite per il culto dei martiri, come dimostrano iscrizioni e reliquie. Ma esistono anche absidi costruite per la sepoltura di personaggi eminenti e privilegiati (vescovi) (p.es. Orleansville; Tipasa; Sabratha). Infine, in alcuni casi è stato attuato anche un nuovo orientamento di tutta la chiesa; l'abside in questi casi è sempre più tarda (VI sec.: Sbeitla; Haydra; Skhira; Cirene). Le controabsidi e i santuari erano dotati di altari e, in Nordafrica, anche di pulpiti. Un passaggio recintato nella navata centrale poteva collegare i due santuari. Con la controabside è venuto a modificarsi l'impianto tipico della b. cristiana: con la seconda abside, o il secondo santuario, l'edificio assume una bipolarità, analoga a quella che avevano avuto una serie di basiliche profane a più navate di età imperiale.

B. doppia. - Tra gli impianti compositi si debbono annoverare anche le b. doppie, che si trovano già in età costantiniana. Si tratta di due b. poste una accanto all'altra, come la b. di Aquileia, eretta tra il 313 e il 319, e l'impianto, anch'esso di età costantiniana, di Treviri, con due grandi b., parallelamente collocate e strettamente collegate tra loro. B. doppie si trovano anche in altre parti dell'impero; in Istria come a Nesactium e a Pola; in Nordafrica, come a Ğemila (Cuicul, Algeria, inizio V sec.); forse a Costantinopoli, fin dall'epoca della dinastia costantiniana (S. Irene e S. Sofia), e con ordinamento assiale, come a Milano (IV sec.) e collegate da un vestibolo a colonne, come la chiesa vescovile di Gerasa (IV sec.) e un memoriale dedicato a S. Teodoro del tardo V secolo. La ragione di un tale raggruppamento non è completamente chiarita; ovviamente non sarà stata la stessa per tutti gli esempi noti. Si deve tenere conto del fatto che questi edifici talora sono stati pianificati come b. doppie all'origine, talora la seconda b. è stata aggiunta successivamente. Forse la chiesa maggiore era sede della liturgia festiva e solenne, quella minore degli uffici liturgici quotidiani oppure una delle chiese doveva servire per l'eucaristia e l'altra era destinata agli uffici liturgici della lettura delle scritture sacre e di preghiere. In altri casi, forse una chiesa per catecumeni era collegata con una chiesa comunitaria (mancano, comunque, le testimonianze per questa interpretazione), oppure una chiesa memoriale con la chiesa vescovile o comunitaria. Poteva esistere accanto al nuovo edificio anche un'antica chiesa vescovile, come è accaduto ad Antiochia in età costantiniana (cfr. Euseb., Const., 3, 50).

Gli elementi architettonici. - La b. cristiana, che ha rappresentato il tipo prevalente di edificio di culto cristiano, nell'età tardoantica, in tutto il bacino del Mediterraneo e tale restò a Roma e in Occidente fino a tutto l'Alto Medioevo, era molto semplice sia nella pianta, sia nell'alzato: un'aula sostenuta da pilastri o colonne, ricoperta da capriate di legno. Le pareti in proporzione erano relativamente sottili. La tecnica edilizia seguiva in ogni regione dell'impero le regole tradizionali. A Roma i muri erano in opera laterizia o in opera mista di blocchetti di tufo alternati con più file di mattoni. Mentre nell'Italia settentrionale era comune l'opera laterizia, in Istria, Dalmazia e Grecia si usavano opera cementizia con una cortina di mattoni e opera quadrata con ricorsi di mattoni; la prima tecnica prevalse, con variazioni, a Costantinopoli dal IV al VI secolo. L'opera quadrata si incontra invece in Asia Minore, Siria e Palestina, così come in Egitto e parte del Nordafrica; accanto a essa, come in Spagna, si usava semplicemente pietrame. L'esterno dell'edificio era per lo più liscio e non decorato. Solo occasionalmente si trova una decorazione (mosaico) sulla facciata occidentale, come nella chiesa vescovile di Parenzo (Porec), Istria, del VI sec. e nella chiesa della Natività a Betlemme. Maggiore rilievo era attribuito all'esterno in Asia Minore, Siria, Palestina ed Egitto, dunque negli stessi ambienti in cui prevaleva l'opera quadrata, talvolta con aggiunte di portici timpanati retti da colonne sui fianchi delle chiese, torri e portici sulle facciate, cornici ornamentali, elementi colonnati ed edicole anche sui lati lunghi e nella zona absidale.

Le navate erano coperte da capriate di legno: un tetto a due spioventi sulla navata centrale, un tetto a uno spiovente su quelle laterali. Come rivestimento erano usate prevalentemente tegole di terracotta, ma anche di piombo e di bronzo negli edifici più importanti. Doveva nettamente prevalere la capriata aperta, come generalmente era frequente ancora nel Medioevo. Però negli edifici più lussuosi e in quelli di fondazione imperiale, un soffitto a cassettoni, come nell'architettura romana, doveva rivestire la capriata, come fanno ritenere le fonti contemporanee (Euseb., Hist. Eccl., X, 4, 43; id., Const., 3, 32-36 e 4, 58; Paul. Nol., Epist., 32; Prud., Perist., XI, 219 s.). In Siria gli edifici in opera quadrata potevano anche essere coperti con lastre di pietra, come la b., peraltro civile, di Tafha (III sec.) e le navate laterali della b. cristiana di Qalb Lawza (intorno al 500). Con la diffusione delle b. a «crociera» e a «cupola» che si incontrano a Costantinopoli e in Asia Minore dalla fine del V sec., si fa frequente l'uso, risalente all'età imperiale, della vòlta di mattoni disposti radialmente. Talora sono fornite di vòlta anche la navata centrale e le navate laterali, per assorbire la spinta della cupola incentrata sulla crociera. Analogamente, a Costantinopoli e in Asia Minore viene ora impiegata l'opera quadrata, da sola o con la laterizia, già nota in età imperiale in Asia Minore occidentale e sulla costa egea, e basata sulla più antica tradizione romana.

I sostegni dell'aula costituivano un elemento costruttivo importante e significativo soprattutto per l'impressione spaziale, nell'aula longitudinale e orientata, dovuta al loro gioco prospettico. Dal IV sec. fino all'Alto Medioevo furono impiegati in prevalenza allineamenti di colonne molto ravvicinati che potevano sostenere un architrave sotto l'alta parete della navata centrale, o un matroneo o una galleria (Roma, S. Pietro; B. del Laterano; S. Lorenzo, IV sec.; S. Maria Maggiore, V sec.; Gerusalemme, B. del Santo Sepolcro; Betlemme, chiesa della Natività, età costantiniana e giustinianea; Costantinopoli, B. di S. Giovanni di Studio, metà del V sec.). L'arcata a colonne, usata in età imperiale in grandi edifici di rappresentanza per la prima volta sotto i Severi, appare palesemente di importanza secondaria nelle navate laterali delle B. del Laterano e di S. Pietro a Roma. In un grande edificio questo elemento struttivo si incontra per la prima volta alla fine del IV sec. nella navata principale della B. di S. Paolo a Roma eretta dagli imperatori Teodosio, Arcadio e Onorio. Costituisce quasi una regola nei Tituli eretti a Roma a partire dallo scorcio del V secolo. Il collegamento organico del colonnato ad arcate con la parete superiore della navata permetteva di evitare costosi architravi di marmo, e di usare inoltre intercolunni più larghi.

Per il collegamento tra il capitello e l'arco sovrastante si sviluppò da precedenti del IV sec. (Roma, S. Costanza, metà del IV sec.) il pulvino (Ravenna, S. Giovanni Evangelista, secondo quarto del V sec.) e poi, come nuova forma di capitello che non segue la tradizione classica, il capitello ionico a pulvino (Costantinopoli, B. di S. Giovanni di Studio, metà del V sec.). In seguito il vero e proprio capitello a pulvino, una creazione del VI sec., caratterizza, in forme diverse, i capitelli di Costantinopoli e dell'Oriente. Per i fusti delle colonne, i capitelli e le basi, fu usato soprattutto materiale di reimpiego, anche in edifici imponenti come la B. di S. Pietro a Roma, o in edifici eretti dalla famiglia imperiale come S. Giovanni Evangelista a Ravenna del 430. Al contrario, i capitelli per la grande B. di S. Paolo della fine del IV sec. furono prodotti appositamente: capitelli in stile corinzio tradizionale nella navata centrale, capitelli a foglie lisce, corinzi e compositi, nelle navate laterali. Erano dotati di capitelli a foglie lisce di produzione romana anche i Tituli di Roma, dello scorcio del V sec. (S. Sisto Vecchio, S. Clemente, Ss. Giovanni e Paolo). Ventidue monumentali capitelli ionici di produzione locale sostengono l'alto muro del tamburo di S. Stefano Rotondo a Roma (V sec.). Una serie omogenea di capitelli di reimpiego (II sec.) fu utilizzata peraltro anche a S. Sabina a Roma intorno al 430.

Con la fine di una produzione peculiare di scultura architettonica a Roma nel corso del V sec., da allora fino a tutto il Medioevo, verrà utilizzato solo materiale di reimpiego. Dal V sec. la produzione di scultura architettonica, a parte alcune officine locali nel Nordafrica, è concentrata essenzialmente in Grecia (Thasos, Peloponneso), Costantinopoli e dintorni, Asia Minore e Siria. La Grecia e in maggior misura le officine di Costantinopoli e dintorni, nel tardo V sec. e soprattutto nel VI, invadono il mercato del Mediterraneo (Nordafrica, Egitto, Ravenna, Italia meridionale) attraverso l'esportazione non solo di capitelli scolpiti ma anche di pezzi architettonici, come lastre per balaustre, altari e amboni (cfr. il relitto di Marzamemi II, a S di Siracusa). Doppie colonne come sostegni si incontrano p.es. nel Mausoleo di Costanza a Roma (metà del IV sec.), nel battistero di Nocera (VI sec.) e in basiliche nordafricane (p.es. la B. Maiorum a Cartagine). Invece delle colonne si trova anche nella b. paleocristiana, il pilastro sotto la parete ad arcate. Anche questo appartiene alla più antica tradizione dell'architettura romana. L'ambiente termale del II sec. a S. Pudenziana aveva arcate a pilastri. Le più antiche b. cristiane a pilastri sono le b. con deambulatorio di età costantiniana a Roma (a eccezione della B. di S. Lorenzo che aveva un colonnato con architrave). Qui la preferenza dell'arcata a pilastri, altrimenti rara, potrebbe essere stata determinata da ragioni tecniche e dall'ambulacro che correva intorno all'abside. Era una b. a pilastri anche la chiesa cimiteriale di S. Sinforosa sulla Via Tiburtina, nel suburbio di Roma, del V-VI secolo. La b. a pilastri era più diffusa in Nordafrica (Hippo Regius, chiesa vescovile della seconda metà del IV sec.; Benian, b. intorno al 430; Tolemaide, Libia, b. della metà del V sec.). Una forma inconsueta presenta la grande b. di Tebessa (Algeria) databile intorno al 400, con la combinazione di pilastri e di colonne. Le b. a pilastri erano numerose in Siria, dove prevalevano le costruzioni in pietra (Cyrrhus, b. della seconda metà del V sec.; Qalb Lawza, b. del VI sec. c.a; Anderin, diverse b. del V sec.). Significativo per queste b. siriane è il fatto che le arcate, proporzionatamente alle possibilità tecniche dell'arcata a pilastri, siano molto larghe, cosa che permette un'impressione spaziale diversa dalle b. a colonne, grazie a un ritmo più serrato e a una più ridotta delimitazione della navata centrale rispetto alle navate laterali. Mostra di derivare da questo modello anche un esempio, raro in Occidente per questo periodo, di b. a pilastri come S. Michele in Africisco a Ravenna, della metà del VI secolo. Le b. a pilastri cruciformi di Siria costituiscono una variante. Qui lo spazio interno della navata centrale risulta ancora più nettamente suddiviso, rispetto alle b. a larghe arcate, in singoli compartimenti (p.es. Rhesapha, b. A, dopo il 500; Ruwayha, chiesa di Bizzo del VI sec.). Prevale qui chiaramente un senso spaziale simile a quello che si ha, nello stesso periodo, nelle b. a «crociera» e a «cupola» di Costantinopoli e dell'Asia Minore. Anche qui viene abbandonato il ritmo omogeneo dello spazio della b. a colonne, per mezzo dell'inserimento, tra le colonne, dei pilastri che sostengono la cupola e le vòlte, e che conferiscono allo spazio un ritmo che tende alla centralizzazione.

Arredi sacri e decorazione degli interni. - Gli arredi sacri variarono a seconda dei luoghi e dei tempi. Il santuario (presbiterio, bèma, hieratèrion, thysiastèrion), poteva, come dimostra la B. del Laterano, estendersi molto nella navata centrale. L'altare sorgeva davanti all'abside, oppure era avanzato nel primo terzo o sino alla metà della navata, come, forse, nella B. di S. Pietro e nella B. Apostolorum (S. Sebastiano) a Roma. In Nordafrica (p.es. Tebessa, intorno al 400, Cartagine-Dermeš, VI sec.), questa posizione dell'altare è stata accertata grazie a rinvenimenti archeologici. In origine, ancora nel IV sec. l'altare era ligneo, a partire dal V sec. di pietra. L'altare, circondato da transenne verso le navate, poteva essere talvolta coperto da un baldacchino. Nella parte orientale dell'impero, quest'area era talvolta arredata anche con leggii o pulpiti (pyrgos, ambo), che non si incontrano invece in Occidente prima del VI secolo. Un podio recintato al centro della navata mediana fornito di pulpito e seggi è peculiare delle chiese siriane del Belus nel VI secolo. Spesso un lungo passaggio recintato correva dall'altare al centro della navata (B. del Laterano; Tebessa, intorno al 400) e serviva per l'ingresso dei chierici. Un passaggio analogo poteva collegare, soprattutto nella parte orientale dell'impero, l'altare con l'ambone, che era molto avanzato nella navata (Lechàion di Corinto V-VI sec.; Costantinopoli, chiesa di S. Sofia, VI sec.). Nelle b. ad absidi contrapposte nordafricane e spagnole, un passaggio recintato collegava, attraverso la navata centrale, i due santuari situati alle estremità della navata (p.es. Junca, Casa Herrera). Il passaggio recintato (solea), situato nella navata centrale, che si incontra nei diversi ambiti geografici dal IV al VI sec., aveva dunque funzioni liturgiche diverse.

Nell'abside, rialzata rispetto alla navata centrale, c'erano i banchi dei sacerdoti, semicircolari, di pietra, al centro dei quali spiccava il trono lapideo del vescovo, testimoniato dalle fonti già in edifici ecclesiastici del III sec. (Euseb., Hist. Eccl, VII, 30, 9). Giacché la navata centrale era dominata dall'altare e dalla solea o dal bèma, la comunità partecipava alla celebrazione del sacrificio dalle navate laterali. Da questo dipendeva evidentemente anche la posizione delle transenne, ancora visibili in alcune b., che separavano la navata centrale da quelle laterali (S. Paolo a Roma; b. di Tebessa). I singoli gruppi della comunità partecipavano al servizio divino in posti ben definiti delle navate: gli honoratiores e le autorità, nei pressi dell'altare; uomini e donne partecipavano divisi sul lato destro e sul lato sinistro, oppure, come era frequente in Oriente, nella navata e nel matroneo, divisi anche secondo l'età; le vedove e le fanciulle consacrate avevano un posto riservato, i catecumeni stavano in posizione arretrata o, in Oriente, anche sulle gallerie delle navate, nei pressi dell'ingresso, perché potessero lasciare la chiesa dopo l'omelia (cfr. Const. Apostol., 2, 57; Chrysost., Homil. LXXIV in Matth.). Questi posti potevano essere separati da transenne, come testimonia Giovanni Crisostomo già per il IV secolo. Anche la spartizione della decorazione del pavimento (mosaici) poteva indicare la posizione dei posti dei singoli gruppi (statio). Ma sia la tradizione, sia i ritrovamenti archeologici dimostrano come in tale disposizione dei posti vi fosse una grande flessibilità.

Mentre l'esterno risulta privo di decorazione soprattutto nella parte occidentale dell'impero, all'interno le b. presentavano una decorazione ricca. Per quanto riguarda le colonne, basi e capitelli erano generalmente in marmi pregiati, talora anche policromi. Se erano di reimpiego, venivano collocati a coppie e i pezzi di maggior pregio più vicini al sacrario. Il pavimento, negli edifici più ricchi, era in lastre di marmo policromo, soprattutto nella navata centrale, mentre le navate laterali avevano pavimenti a mosaico. In edifici meno fastosi i pavimenti erano tutti a mosaico, per lo più a motivi geometrici, più raramente, nel IV sec. e di nuovo a partire dalla fine del V, a motivi figurati. In genere il pavimento non ha un motivo decorativo unitario, ma singoli riquadri a mosaico variamente decorati. Alcuni di questi riquadri potevano essere stati donati da membri della comunità o da chierici che tramandavano il ricordo di tale dono con un'iscrizione sul pavimento. Le pareti potevano essere variamente decorate con incrostazione marmorea (opus sectile) sulla parte bassa, fino al livello dei capitelli, e talvolta anche sulle arcate, disposta in modo da formare disegni complicati, nei quali qualche volta si possono individuare motivi figurati. Lo stesso effetto era a volte ottenuto con la decorazione ad affresco imitando l'opus sectile. Gli intradossi delle arcate e delle volte potevano essere rivestiti con lastre di marmo o con stucchi. L'arco e la calotta dell'abside erano decorati a mosaico, e con mosaici o ad affresco potevano essere ornate anche le pareti della navata centrale sopra le arcate. Nella navata centrale della chiesa di S. Maria Maggiore a Roma, piccoli riquadri a mosaico con scene bibliche sono inseriti nella decorazione a stucco, costituita da un'architettura a pilastri che suddivide la parte superiore delle pareti. Una suddivisione plastica delle pareti della navata centrale si incontra anche nell'architettura in pietra di Siria e Nordafrica (Tebessa). Affreschi in ordine ciclico con scene bibliche sono testimoniati già dal IV sec. (Nil., Epist., 66) ma si sono conservati a partire dal V sec. fino al Medioevo (S. Paolo e S. Pietro a Roma). Un esempio del VI sec. è offerto dalle scene del Nuovo Testamento realizzate a mosaico nella parte alta delle pareti della navata mediana di S. Apollinare Nuovo a Ravenna.

Ambienti annessi ed edifici adiacenti. - Come gli antichi santuari, anche la b. cristiana poteva essere fornita di un atrium circondato da un portico a colonne. Serviva ad accogliere i fedeli che entravano e a separare l'edificio di culto dalla vita cittadina; ma vi trovavano posto anche quei fedeli che la chiesa non poteva contenere, come ci è testimoniato per la chiesa di S. Pietro a Roma dalla fine del IV sec. (Paul. Noi., Epist., 13, 11-13). L'atrio di questa chiesa, insieme a quello della b. di Tiro descritto da Eusebio, è il più antico a noi noto (Euseb., Const., 4, 59). Al centro sorgeva una fontana (cantharus), che serviva a rinfrescarsi e lavarsi. L'ingresso all'atrio poteva essere particolarmente evidenziato (pròpylon; cfr. Eusebio, loc. cit.). Talvolta l'atrio assumeva la forma più ricca di un porticato semicircolare (Lechàion di Corinto, fine del V sec.; Cartagine, b. di Damus el-Karita).

Anche l'intera aerea della chiesa poteva essere circondata da un muro (perìbolos, ambitus), come quello della b. di Tiro descritto da Eusebio, e come si è conservato in certe b. della Siria (Euseb., Const., 4, 59; Cod. Theod., IX, 45).

Spesso davanti all'ingresso vi era anche un portico (nartex). Adiacente a esso o anche all'estremità delle navate laterali, su entrambi i lati dell'abside, potevano esserci ambienti laterali che servivano ai preparativi del culto e della liturgia, nonché come luogo per depositare gli arredi liturgici e le offerte dei fedeli. I nomi di pròthesis e di diakònikon, usati oggi dagli studiosi per quei vani, sono del tutto arbitrari. Alle b. erano frequentemente annessi battisteri con ambienti adiacenti, soprattutto sui fianchi della chiesa, ma anche in connessione con il vestibolo (Timgad; Parenzo), con il pronao (Ğemila) o con l'abside (Henšīr Deheb, Siagu). Altri edifici connessi sono i cubicula (cappelle) menzionati da Paolino da Nola (intorno al 400) nella b. di Felice a Cimitile, che servivano sia per le sepolture sia come ambienti per pregare. Ma dalle fonti vengono citati anche bagni, case per i poveri, monasteri, abitazioni per il clero (episcopio), o chiostri e ospizî, soprattutto per i santuari. Un bell'esempio di un tale complesso molto articolato è offerto dal settore cristiano di Ğemila (Algeria) del primo quarto del V sec., nonché dai santuari per pellegrinaggi di San Felice a Cimitile (Nola), del 400 c.a, e di Abu Mena (Egitto), Tebessa (Algeria), S. Pietro a Roma a partire dal V sec., Qal'at Sim'ān (Siria) (cfr. anche sopra).

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(H. Brandenburg)