BASSORILIEVO

Enciclopedia Italiana (1930)

BASSORILIEVO (fr. basrelief; sp. bajorrelieve; ted. Basrelief; ingl. bas-relief)

Eva TEA
Carlo ALBIZZATI E. Tea

Termine accolto dalla Crusca e oggidì usato per indicare così il mezzo rilievo come il basso rilievo e il rilievo schiacciato, caratterizzati da riduzioni dei piani plastici.

Riportiamo, per maggiore chiarezza, la definizione che di ciascun genere dà il Vasari.

Mezzorilievo: "A similitudine di una pittura, dimostra prima l'intero delle figure principali, o mezze tonde, o più, come sono; e le seconde occupate dalle prime, e le terze dalle seconde; in quella stessa maniera che appariscono le persone vive, quando elle sono ragunate e ristrette insieme. In questa specie di mezzo rilievo, per la diminuzione dell'occhio, si fanno l'ultime figure di quello basso; come alcune teste, bassissime; e così i casamenti ed i paesi, che sono l'ultima cosa".

Bassorilievi: "Sono di manco rilievo assai che il mezzo, e si dimostrano almeno per la metà di quelli che noi chiamiamo mezzorilievi; e in questi si può con ragione fare il piano, i basamenti, le prospettive, le scale ed i paesi".

Bassi e stiacciati rilievi: "Non hanno altro in sé che il disegno delle figure, con ammaccato e stiacciato rilievo". La triplice distinzione è mantenuta dal Baldinucci, che però identifica il mezzorilievo col rilievo intero (v. altorilievo).

Le norme del rilievo razionale, cercate dagli artisti della Rinascenza, vennero definite scientificamente solo nel sec. XIX da Standigl e Brücke. Il piano di base del bassorilievo è sempre inclinato. Se è di 90°; gli oggetti hanno dimensioni reali; se è nullo, non vi è rilievo, ma disegno. Nell'intervallo sono comprese tutte le gradazioni di profondità, fra l'alto e il basso rilievo. Un piano supposto lontano non deve mai avanzare sopra un piano più prossimo. Per determinare il risalto d'un punto si conduce per esso un piano parallelo al piano del quadro: la sua intersecazione col suolo perpendicolare al quadro dà la linea di base corrispondente al punto in questione; si determina l'immagine di questa linea sull'immagine a rilievo del suolo, vi si eleva un piano parallelo al piano del quadro e si ha così il limite del risalto del punto considerato (Brücke). Lo stesso autore ha espresso algebricamente la regola per ridurre in rilievo una statua a tutto tondo. È il problema inverso della prospettiva, ossia la restituzione dell'oggetto alle sue vere dimensioni. I contorni del bassorilievo sono infatti più o meno salienti a seconda della distanza: dei due cavalli d'una biga quello anteriore ha risalto vigoroso; l'altro è delimitato da piani declivi. Questo secondo modo di contornare è comune agli stiacciati, alle monete e medaglie di rilievo bassissimo, alle decorazioni architettoniche. La difficoltà di rappresentare un forte sbalzo tra i piani si risolve aumentando la distanza. Giova concentrare l'azione sulle figure anteriori, disposte secondo piani di base vicini, limitandosi a graffire i particolari del fondo. Sebbene ogni piano esteso appaia concavo, nella prospettiva di rilievo si conviene per solito di lasciare inalterate le rette e i piani.

Queste norme del rilievo razionale vanno soggette in pratica a infinite variazioni. L'artista affonda o rialza i piani, li inclina o li taglia, secondo gli effetti di ottenere. I Greci riuscirono a compenetrare armoniosamente figure giustapposte e poggianti sulla stessa linea di base. Nell'arco d'Aragona molte figure si affollano su vari piani, in uno spazio reale di pochi centimetri.

Il bassorilievo nell'arte antica. - Nelle civiltà dell'Oriente mediterraneo cominciò, tanto in Mesopotamia quanto in Egitto, prima del terzo millennio a. C., e la tecnica non fece progressi essenziali fino al sec. V, ossia nella fase occidentale della plastica greca.

I più antichi esemplari egiziani risalgono agli albori del periodo dinastico: le cosiddette palette da belletto (fig. 1, a). Tranne una certa scorrettezza di proporzioni, tecnica e prospettiva sono già definitive; durarono come formule generali per decine di secoli e, nell'arte tradizionale del paese, ancora sotto gl'imperatori romani. Figure quasi piatte, con modellazione poco profonda dei particolari, intorno alle quali è abbassato il fondo. Nella stele del re serpente (fig. 1, b), il falco ha già il sintetismo di forma della scultura egizia classica, mentre la duplice porta mostra che la finitura ha raggiunto una vera perfezione. I pannelli di legno della tomba di Hesire (fig. 1, c; IV dinastia) presentano raffinatezza di stile nel nudo e nelle chiome, ma sempre nelle stesse formule. Le grandi composizioni policrome su calcare avvicinano sempre più il rilievo alla pittura, e ci presentano sovrapposizioni parziali di corpi, con illusionismo ingenuo che già si riscontra in qualche particolare delle palette, e meglio si vede in un fregio dipinto della III dinastia, da Medum, al Museo del Cairo. Una variazione tecnica notevole, iniziata nell'antico impero, è il rilievo abbassato, ossia con le figure scolpite entro cavità scavate nel fondo. Le due tecniche furono mischiate nel nuovo impero (fig. 1, d), e si trovò anche un termine medio, artisticamente efficacissimo, contornando con un rigido solco le figure, e staccandole vigorosamente dal piano con una linea d'ombra (fig. 1, e). Dei valori plastici realizzati sotto la XVIII dinastia è buon documento un modello da studio (fig. 1, f), degno di stare a paro con i migliori prodotti ellenici. Nelle arti minori si ha qualche variazione secondaria, come il fondo traforato di rilievi in avorio (fig. 1, g; antico impero) e in legno. L'ornato ebbe un suo sviluppo peculiare per l'applicazione a superfici curve.

In Asia la serie comincia, per quanto conosciamo, dal rilievo del re sumerico Ur-Nina: esso ricorda la costruzione d'un tempio, e il re vi appare recando sul capo la canestra dei muratori. L'arte è più rozza che nei primi rilievi egizî, ma v'è una forte analogia di tecnica, nata spontaneamente. La stele di vittoria del re Eannatum, di poco posteriore, è grossolana di lavoro: nei fregi sovrapposti si vede il tentativo di rappresentare i molteplici piani d'una schiera. La stele susiana del re Narām-sin, verso il 2500 a. C. (v. babilonia), rappresenta invece un alto progresso, e palesa già le due caratteristiche essenziali del rilievo asiatico, in contrasto con quello egizio: maggior plasticità delle figure e collegamento con il fondo paesistico, espresso prospetticamente. Gli scavi di Ur in Caldea hanno dato ultimamente qualche magnifico esemplare di rilievo in metallo sbalzato che reca una nota nuova nell'arte mesopotamica più antica: la datazione proposta dagli scopritori (ca. 3000 a. C.) è però da discutere. Una produzione minore si svolge contemporaneamente nell'intaglio dei sigilli a cilindro in pietra.

Ma il rilievo asiatico giunse al suo apogeo nel II millennio presso gli Hittiti. Il nume solare di Boǧazköy, circa del 1300 a. C. (fig. 2, a), ha carattere poderosamente statuario, e un vero capolavoro è il rilievo rupestre di Yazïlïkaya, fig. 2, b, circa dello stesso tempo: la rapida marcia è espressa con senso moderno.

L'Assiria prese dagli Hittiti molti elementi della sua arte; dal sec. IX al VII, usò nel rilievo un tipo intermedio, con debole sporgenza, ma trattando vigorosamente i particolari, nei quali superò quanto s'era fatto fino allora (fig. 2, c, e v. babilonia). La preoccupazione del complesso paesistico nocque talora alla composizione. Degli Assiri conosciamo abbastanza anche il rilievo a sbalzo, per le lamine bronzee delle porte di Balawat.

La tradizione assira si chiuse nella Persia Achemenide (v. tavola), ove però si risente l'influsso greco. Nei rilievi dell'età sāsānidica vi sono ancora le tracce dell'antica tradizione orientale; ma v'è tuttavia uno sforzo affatto nuovo di dare alla composizione un carattere monumentale che a quella manca.

Nella civiltà egea, il rilievo in pietra si presenta a Micene con un capolavoro singolare: i leoni che sovrastano la porta maggiore della città. Il loro carattere è affine a quello dei pezzi ittiti più perfetti: in confronto son puerili le stele del sepolcreto (v. micene). L'ornato mostra finitezza ed eleganza, come nel soffitto di una tomba d'Orcomeno (fig. 3, a). La più ricca e importante produzione è quella delle arti minori: valgano come saggi la tazza sbalzata in oro di Vafiò, la capra selvatica in maiolica di Cnosso (fig. 3, b), e i vasi di steatite di Haghia Triada (fig. 3, c).

Per la serie ellenica gli esempî più antichi sono del sec. VII, a Creta: già grandiosi per la robusta impostazione delle masse. Un progresso notevole di lavoro si riscontra nelle metope peloponnesiache dello stesso indirizzo stilistico, trovate a Delfi (fig. 4, a), databili verso il principio del sec. VI: qui abbiamo già due piani di figure, e sottosquadri trapanati, che staccano dal fondo qualche parte di quelle anteriori. In confronto sono rozze e provinciali talune metope di Selinunte (fig. 4, b), mentre quelle del tempio C hanno più sapiente gradazione di volumi (v. altorilievo).

Nel periodo più antico dell'arte ionica le masse sono tondeggianti, i particolari pochissimi nella modellazione, e affidati invece al pennello sulla pietra, al bulino nel bronzo: esempî chiarissimi le lamine sbalzate della biga di Norcia (fig. 4, c) e il fregio del tempio di Assos. Verso il 550 la base istoriata del vecchio tempio d'Artemide a Efeso mostra già il nuovo stile, specialmente perfezionato nello studio dei drappeggi. Intorno al 525 gli scultori delle Cicladi portano al massimo il rendimento plastico del rilievo, traendo dal marmo tre piani di figure nei fregi dei tesori delfici delle città di Cnido e di Sifno (v. delfi) In essi aggiunsero accessorî metallici; singolare è il modellato appiattito delle figure più sporgenti.

In Atene l'opera più antica che conosciamo presenta una tecnica elementare, affine a quella egizia: il frontone con Eracle pugnante contro l'idra (fig. 4, d); le figure sporgono appena 3 cm. La virtuosità stilistica giunge al massimo in due basi di statue funebri (particolare della più fine: fig. 4, e), che hanno specialmente rapporto con opere pittoriche (v. ceramica).

Nella 1ª metà del sec. V, mentre lo stile si scioglie dalla rigidezza e dalle formule ornamentali dell'arcaismo, progredisce, specialmente in dipendenza della pittura, la prospettiva: il trono Ludovisi, non ancora scevro da errori prospettici, è opera di scuola ionica che rappresenta il massimo risultato raggiunto dall'arte verso il 470. Paralleli occidentali le metope del tempio di Era a Selinunte: le figure femminili hanno il viso, il collo, le mani e i piedi di marmo bianco, inseriti nel calcare policromato. La fase stilistica successiva è compiuta nelle metope del tempio di Zeus a Olimpia (v. altorilievo) verso il 460, o poco dopo, con anatomia e prospettiva perfette. In Atene si lavorò pochi anni più tardi la grande lastra, policromata e con aggiunte in metallo, affermazione definitiva dell'arte attica che diede, forse dieci anni dopo, il fregio del Partenone (v. acropoli). Fidia, che dominava nei lavori dell'Acropoli, eseguì rilievi a sbalzo in oro: ci resta una copia di quelli che ornavano lo scudo della statua colossale di Atena. Temi plastici più complessi, con maggiori sporgenze e sottosquadri che danno effetti più forti di chiaroscuro, prevalgono nei fregi della seconda metà del sec. V in Atene e fuori (fig. 7,a). In questo periodo abbiamo l'unico esempio di figure lavorate a parte in marmo e attaccate su fondo di calcare, nel fregio dell'Eretteo (v. acropoli). Specialmente interessante la veduta d'una citta in un fregio del tempietto funebre di Xanto nella Licia (fig. 5), come sviluppo plastico di una prospettiva d'architetture: lavoro di scuola ionica.

Una maestria singolare raggiunsero gli artisti di questo periodo nel rilievo delle monete, già mirabilmente formulato nel periodo arcaico, per la consistenza delle sporgenze, modellate in guisa da resistere al logorio (fig. 6).

L'arte del sec. IV non recò veri progressi di tecnica: l'opera maggiore, il mausoleo d'Alicarnasso, verso il 360 a. C., non muta che il carattere stilistico. Una nuova maniera di lavorare troviamo soltanto ai tempi d'Alessandro: il sarcofago di Sidone presenta una quantità di elementi staccati dal fondo, come non se n'erano prima veduti; nella scena della battaglia v'è una nuova maniera, tutta pittorica, di sovrapporre le figure colmando quasi completamente il fondo (fig. 7, b). L'ellenismo, aggiunse sfondi architettonici e paesistici e creò il rilievo a quadretto mitologico e di genere (fig. 7, c), avvicinandone più che mai il carattere a quello del dipinto su tavola: l'impressionismo di certi elementi vegetali arieggia gli effetti delle pennellate. Concepita in altra guisa è l'opera maggiore dell'epoca, il fregio del grande altare di Pergamo (v. altorilievo).

Nelle arti minori ebbero singolare fioritura il cammeo (v.) e lo sbalzo (v. argento).

Una derivazione secondaria ebbe il rilievo ellenistico nelle Indie (v. india: Arte).

Gli Etruschi nel periodo più antico (fino verso il 600 a. C.), avevano seguito le arti d'oriente come nella stele di Saletto Bentivoglio (Bologna) che ripete quasi testualmente un rilievo ittita (fig. 8, a). Tuttavia v'è qualche lavoro di quel periodo che palesa già una certa originalità e una notevole efficacia artistica, come le donne piangenti di una tomba cortonese (fig. 8, b). Poi il rilievo seguì le orme dei Greci, giungendo però talora a vera eccellenza, specialmente nelle arti applicate, come appare dal lampadario in bronzo di Cortona.

La civiltà romana si valse di artisti greci, dopo di quelli etruschi, per lungo tempo. La base di Domizio Enobarbo o il fregio dell'Ara Pacis non portano, ad esempio, una nuova maniera di scolpire in rilievo. Gli sfumati delicatissimi degli stucchi augustei (fig. 8, c) sono pure da attribuirsi a tradizione ellenistica. Le scene di trionfo dell'arco di Tito portarono nell'arte un accento nuovo per la creazione pittorica. Il rilievo storico ebbe in Roma, data la funzione prevalentemente politica della grande arte, una fioritura paragonabile a quella che aveva avuta nelle vecchie monarchie orientali, e si svolse con senso pittorico in composizioni, come i fregi delle colonne coclidi di Traiano e di Marco Aurelio, di varietà e di ricchezza non prima vedute. Ma la tecnica più genuinamente romana nacque dal prevalere del trapano sullo scalpello, e introdusse nella scultura un cromatismo nuovo. Dapprima soprattutto negli ornati, come nell'ara del sec. I (fig. 8, d), al Museo del Louvre, poi, avanzando nel tempo, specialmente nelle figure. Una delle opere più compiute, in questo senso, è la base dioclezianea del Foro romano dove tutto l'effetto è sostenuto dalle incisioni che isolano le figure dal fondo, disegnano i drappeggi e persino il nudo. Lo stesso gioco d'ombre dà valore ai rilievi originali dell'arco di Costantino e continua sui sarcofagi con figurazioni cristiane fino al termine dell'evo antico. Gli ornati architettonici seguono questo indirizzo, raggiungendo nel sec. V una plastica in bianco e nero, come in alcuni capitelli della Chiesa di S. Maria Antiqua.

Una singolare produzione egizia è quella dei rilievi in porfido, databile nel sec. IV; notiamo le figure d'imperatori lavorate su fusti di colonne (v. illustrazioni alla v. armi), e il sarcofaghi della figlia di Costantino, grossolano e senza sottosquadri.

La policromia fu molto in uso presso gli Egizî, in Assiria e in Persia, usata nei rilievi fittili maiolicati, fu generale nell'arte greca. Applicata specialmente alle figure nel periodo primitivo, quando si usavano di preferenza calcari grossolani e terracotta, diminuì con il prevalere del marmo saccaroide: allora si tinsero con maggiore intensità i fondi. I colori erano pochi e convenzionali, dominati dal rosso cupo e dall'azzurro. Nella scultura fittile etrusca perdurò la vecchia maniera di dipinger le figure. In Roma prevalse il cromatismo plastico.

Per le arti minori in particolare, v. anche avorio.

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Il bassorilievo nell'arte medievale e moderna. - Affatto empirico è il tipo di bassorilievo che l'arte cristiana derivò dalla classica, applicandolo generalmente ai fianchi o alle cimase dei sarcofagi. Non mancano esempî di rilievi misti anche nelle fronti, con parti in tutto tondo e mezzi rilievi e rilievi stiacciati. Azzurro, oro e punti di trapano accrescono l'effetto pittorico. Un gruppo di sarcofagi romani, che i cataloghi indicano come non finiti, rappresenta forse l'estrema esperienza impressionistica della scultura antica. Le figure sono lasciate di bozza, sopra il fondo tormentato a gradina. Un carattere impressionistico hanno pure fra il sec. IV e il VI alcune opere a sbalzo, le lucerne fittili, molti avorî, in cui il rilievo si completa col graffito.

Nell'età bizantina il rilievo assume i caratteri di frontalità proprî dell'arte orientale. Accanto ai rilievi dei sarcofagi di Ravenna, ispirati ai musaici, meritano menzione gli stucchi del Battistero ortodosso, che, coloriti un tempo, formavano quasi una pittura rilevata. Lo stiacciato e il traforo trionfano nei capitelli, nelle transenne e in genere in tutta la decorazione architettonica. Le porte di S. Sabina in Roma, del sec. VI, presentano un raro esempio di bassorilievo in legno.

Notevole, in un gruppo d'avorî del sec. VI, la sopravvivenza di una squisita disciplina di piani alla maniera greca (dittico dei Simmaci al Victoria and Albert Museum di Londra).

Smarrita nell'età barbarica la tradizione del tecnicismo classico, la scultura in pietra si limitò al rilievo piatto, o all'intaglio, d'origine orientale. Il bassorilievo impressionistico si continua nell'altare di Volvinio a Sant'Ambrogio di Milano, mirabile opera a sbalzo in argento dorato del sec. IX. Negli avorî è specialmente notevole la produzione dell'età carolingia, dal forte ed incisivo risalto (v. avorio).

Il bassorilievo figurato in pietra ritorna con l'architettura romanica, di cui è elemento caratteristico. I maggiori problemi prospettici vengono riaffrontati secondo una nuova visione pittorica dal grande Wiligelmo. Rude espressionista, noncurante di grazia, egli compenetra i piani plastici come in una medaglia, sopra il fondo liscio, appena scompartito da rade colonnine. Più decorativo e architettonico è l'Antelami, forse sotto l'influsso della plastica francese. Le influenze provenzali giungono sino a Monreale, dove ricompaiono le colonne caelatae. Incisione e intagli caratterizzano la plastica abruzzese, di gusto tra il bizantino e il saraceno. Nella scultura dei Vassalletti romani continuano gli effetti impressionistici del trapano, già usati nei sarcolagi protocristiani. Chiaro e liscio è il fondo nei bassorilievi di Bonanno e nel paliotto di Salerno, di indubbia influenza bizantina. In genere, nel rilievo romanico gli oggetti sono tutti subordinati a un solo piano-limite anteriore. Le scene sono rade, simmetriche, ritmiche; le figure poggiano allineate sul suolo, declive lievemente, della profondità di pochi centimetri, o sopra un girale, una fronda, una sagoma. Non mancano esempî di figure sciolte nello spazio, senza piano di posa. I piedi scorciati piegano quasi tutti da una parte e talora sporgono dalla cornice. L'artista romanico evita di anteporre una forma ad un'altra; ma se vi è indotto da necessità scenica, compenetra abilmente i piani, senza aumentare gli aggetti. Di rado ricorre alla convenzione di sovrapporre i piani posteriori; espediente comune agli scultori romani e ai gotici. Il punto di vista è quasi sempre alto, e varia per le diverse parti di uno stesso pannello. La concorrenza delle linee è talora invertita. Il fondo può essere graffito, intarsiato, dorato o a musaico.

Nella scultura dell'Oriente cristiano sul principio del Medioevo, e in particolare nell'arte copta (v.), fu assai precoce l'intaglio piatto e a traforo, mentre in alcuni centri, non tutti ancora bene determinati, persistevano i concetti del rilievo ellenistico (cattedra di Massimiano; porte di S. Sabina), i quali, per continuata sopravvivenza, o per deliberato ritorno, furono quasi perenni nell'arte bizantina (v.), nelle diverse varietà, dai rilievi impressionistici del cofanetto argenteo della cattedrale di Anagni a quelli di modellazione precisa e insieme pittorica dei tanti avorî di cui è un saggio il trittico di Harbaville al Louvre. E all'arte bizantina, per quei concetti, sono da collegare i rilievi delle arti nell'arcone maggiore della facciata di S. Marco a Venezia.

Nello stile gotico il bassorilievo sopravvive accanto al mezzo e all'altorilievo, acquistando in semplicità e naturalezza. Dalla Francia l'arte nuova si estese per tutto l'Occidente. In Italia creò capolavori, come i pannelli della fonte Perugina, attribuiti a Giovanni Pisano, i bassorilievi della facciata della cattedrale orvietana di Lorenzo Maitani, o quelli delle arti meccaniche e liberali nel campanile di S. Maria del Fiore. La compenetrazione dei piani è in questi rilievi più morbida e illusionistica che nel romanico. Si nota haggiore correttezza nell'andamento delle linee prospettiche. Appaiono i primi tentativi di scorcio pittorico. Gli spunti di paesaggio si fanno infatti più realistici. Il fondo è talora lasciato ruvido, quasi a rendere impressionistici effetti aerei: ma nei bassorilievi del primo ordine nel campanile di S. Maria del Fiore la sua scabrosità doveva servire all'innesto di marmi colorati o di maioliche come in quelli del secondo ordine. Lo stiacciato trova sin d'ora larga applicazione nelle lastre delle tombe terragne, negli smalti a rilievo, nelle opere a sbalzo.

Allo sviluppo del bassorilievo contribuiscono nel Rinascimento il progresso della prospettiva pittorica; l'imitazione dell'antico, massime da cammei e da medaglie; l'architettura di superficie, che non comporta forti chiaroscuri nei rilievi decorativi. Tre tendenze si manifestano sin dagl'inizî: la plastica, la prospettica, l'impressionistica. Nel suo libro De Statua, il Gaurico dà norme per il rilievo plastico, desunte dall'osservazione degli antichi: "Gli oggetti davanti mostrano allo spettatore più che la loro metà e devono essere rappresentati bene distinti nel primo piano; quelli che tengono il secondo luogo, siano più appiattiti, secondo i loro rapporti di distanza dal fondo. E ancora più stiacciati si facciano i terzi, la cui superficie sporgerà appena. Poiché tale è la legge degli occhi: ciò che sta dinnanzi, rileva più fortemente, le cose lontane sembrano piatte". Alla prima tendenza appartiene Iacopo della Quercia, che mantiene al posto d'onore la figura umana, con parchi elementi paesistici. Donatello vi si conforma nella cantoria di S. Maria del Fiore e nel pulpito di Prato. Esaltando i contorni, tormentando i profili, deformando liberamente i modellati, egli imprime alla danza dei putti un'irrequietezza inimitabile. A meglio accentuare il movimento adotta nel fondo il graffito e il musaico aureo. La seconda tendenza considera il rilievo come un "quadro" (Vasari), soggetto alle norme della prospettiva matematica. La regula legitima fornita agli scultori dal Gaurico e dal Lomazzo, poco differisce da quella che ai pittori aveva dato l'Alberti e che il Ghiberti attua negli sfondi delle seconde Porte del Battistero. Il Lomazzo, dopo avere insegnato la regola delle diagonali, per la gradazione delle figure nel piano inclinato, soggiunge: "Avvertisci che nel bassorilievo le membra non vogliono scortare, ma attaccarsi ai panni" (e questa avvertenza ebbe ancora nei suoi rilievi il Buonarroti). Nei rilievi affollati, il Gaurico raccomanda il punto di vista alto, quale si vede usato quasi sempre dai Toscani. Sciolti da cornici prospettiche, assolutamente impressionistici sono alcuni rilievi di Donatello, dove la profondità dell'aria e la leggerezza dei vapori sono resi con un virtuosismo che varca i limiti consueti della scoltura (Consegna delle chiavi: Londra, South Kensington Museum). Nei rilievi dei miracoli del Santo a Padova, Donatello ha combinato il rilievo pittorico col plastico. Le figure si affollano in una specie di proscenio, sciolte dal quadro prospettico, rese con somma libertà di pieni, di vuoti, di intersecazioni. La regola legittima è applicata solo alle architetture di fondo, incise a graffito, con tocchi d'oro. Le porte del Paradiso del Ghiberti sintetizzano tutte le ricerche del Rinascimento in fatto di bassorilievo. Il punto di vista è sempre alto. Figurine innumerevoli stanno sparse innanzi e dentro la scena sino a perdita d'occhio. Le anteriori sono rilevate come statue; le postreme, appena graffite. Perfetta è la fusione della prospettiva matematica con l'aerea. Tutti i pannelli sono accuratamente ripassati a cesello, a graffito, ad oro. Anche più notevole è la cassa di San Zanobi, dove le linee sfuggenti, fornite dall'architettura, sono rinforzate da duplice schieramento di figure. Al Ghiberti si accosta Benedetto da Majano, nel pulpito di S. Croce. Da Donatello derivano Desiderio, Mino da Fiesole, Francesco di Giorgio Martini e il giovane Michelangelo. Agostino di Duccio sviluppa tutte le possibilità dello stiacciato. Luca della Robbia continua la tradizione dei Pisani, dall'alto al mezzo e basso rilievo. Fuori di Toscana il rilievo pittorico fiorisce specialmente in Lombardia, dove si applica con maggior rigore la regula legitima. Le figure stanno scaglionate a diversi gradi sul piano fortemente inclinato, staccando per forti sottosquadri le une dalle altre. I panneggi sono sfaccettati come cristalli, i contorni taglienti e nervosi. Mentre i Toscani portano il rilievo pittorico dalle Romagne a Napoli, i Lombardi lo diffondono nel Veneto, a Genova, in Sicilia. Dal Veneto lo derivano gl'intagliatori bavaresi, che lo rendono anche più netto e crudo nelle figure, trascurando i particolari d'ambiente. Mentre gli scultori italiani portano in Francia il nuovo stile, alcuni Fiamminghi vengono ad imparare in Italia. Così il rilievo pittorico toscano conquista l'arte europea, gettando l'estrema sfida al gotico ormai baroccheggiante. Bassorilievo e stiacciato sono nella Rinascita praticati largamente nelle arti del metallo: monete, medaglie, placchette. Il Pisanello dà alle sue medaglie un soave riposo di piani. Il bassorilievo pittorico non s'adatta alla tecnica dell'osso e dell'avorio, che viene perciò abbandonata. Appropriatissimo è invece lo stucco, il quale si accoppia alla pittura nelle grottesche di imitazione classica. Il plasticismo del maturo Rinascimento non esclude il bassorilievo, che si continua ad usare negli zoccoli, nelle transenne e nelle decorazioni parietali, e anche nelle oreficerie e nelle ceramiche. Il contrasto, già comparso nel Ghiberti, fra parti tonde e stiacciate, si accentua nel Cellini e nel Giambologna e scuola. Interessanti bassorilievi nei modi del primo Rinascimento adornano i piedestalli delle statue farnesiane del Mochi a Piacenza. Compita l'assimilazione degli elementi italiani, la Rinascenza francese crea col Goujon, col Sarrazin, col Bouchardon uti tipo di rilievo assai elegante, da cui il rococò deriva la sua plastica ornamentale.

Il teatro del Rinascimento fece largo uso del bassorilievo nelle scene in solido. Plastica illusionista di molto interesse ci offrono ancora i palchi del teatro Olimpico a Vicenza e del teatro Farnesiano a Parma.

I gruppi statuarî del Bernini non vanno esenti da riduzioni prospettiche, di effetto scenografico (cfr. in Francia, Robert Le Lorrain). Alla scenografia si richiamano anche le finte architetture o bassorilievi architettonici, di cui il Bramante diede un primo esempio in San Satiro a Milano, e che il Bernini sviluppò mirabilmente nella Scala d'oro. Il bassorilievo e lo stiacciato di tipo classico tornano in onore nella seconda metà del '700, con l'arte del Canova, che molta ispirazione trasse dalle stele greche.

Non è però da escludere l'influsso della plastica francese di Girardon e Pigalle.

A sua volta il Canova fu imitato dallo scultore David d'Anger Il bassorilievo pittorico fu condannato dal Reynolds e in genere dai critici del neo-classicismo, come contrario ai caratteri fondamentali della scultura. Per lo svolgimento del rilievo durante il sec. XIX, dalla scuola romantica all'impressionistica, v. altorilievo.

Il Hildebrand ha esteso alla statuaria la teoria del rilievo, fondandosi sull'osservazione delle opere di Michelangelo. Adolfo Wildt tratta il mezzorilievo con espressivo tormento di piani, dando prova d'una sensibilità speciale nei chiaroscuri e nei vuoti. Nelle scuole d'avanguardia lo stiacciato, il graffito e perfino l'incavo tornano ad essere in onore sotto l'influenza delle arti orientali; è invece quasi completamente abbandonato il rilievo pittorico

Mentre nell'India predomina l'altorilievo, Cina e Giappone preferiscono il bassorilievo e lo stiacciato, come possiamo vedere nelle rare stele antiche e negli oggetti industriali moderni. (V. Tavole LXXXVII a XCVI).

Bibl.: Oltre alle opere speciali e generali sulla scultura, nelle quali si parla di rilievo, si potranno consultare utilmente le seguenti opere, le quali toccano del rilievo nei riguardi tecnici ed estetici.

Opere sulla tecnica del rilievo: P. Gauricus, De Sculptura, Lipsia 1886; G. Vasari, Proemio alle Vite, ed. Milanesi, I, Firenze 1878; G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura, scultura e architettura, II, Roma 1844, p. 158; D. Barbaro, La practica della perspettiva, IV: Le maniere delle scene, Venezia 1569; A. Bosse, Traité des pratiques géometrales et perspective pour en faciliter l'usage aux artistes, Parma 1758; A. Breysig, Essai sur la perspective des reliefs, 1782; M. C. T. Anger, Analitische Darstellung der Bas-relief-Perspective, Danzica 1834; Poudra, Traité de Perspective-Relief, 1862; E. Brücke, Principes scientifiques des Beaux Arts, ed. francese, Parigi 1878; G. Ratto, La visione binoculare applicata alla prospettiva lineare con alcuni cenni della sua applicazione al bassorilievo, Genova 1886; A. Noelli, La prospettiva per gli scultori, Milano 1917.

Opere sulla estetica del rilievo: J. Reynolds, Discourses delivered to the students of the Royal Academy, Tenth Discourse, ed. Frey, Londra 1905, p. 265 segg.; Encyclopédie méthodique par une société de gens de lettres, de savants et d'artistes, Parigi 1791 (Beaux Arts, II, p. 378, s. v. Scultpure, redatta da Falconet); Emeric-David, Ricerche sull'arte della statuaria considerata presso gli antichi e i moderni (1801), trad. U. Medici, II, Firenze 1857, p. 198; Quatremère de Quincy-Mainardi, Dizionario storico di architettura, Mantova 1844, s. v.; A. Hildebrand, Das Problem der Form i. d. bildenden Kunst, Strasburgo 1893; L. Venturi, Pretesti di critica, Milano 1929, p. 96 segg.

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