BANSIZZA, Battaglia della

Enciclopedia Italiana (1930)

BANSIZZA, Battaglia della (Bansizza ha sostituito nella toponomastica ufficiale la forma Bainsizza)

Amedeo Tosti

Si suol dare questo nome, nella nomenclatura ormai generalmente adottata per le battaglie svoltesi sulla fronte italiana durante la guerra 1915-18, alla XI battaglia dell'Isonzo (18 agosto-12 settembre 1917), appunto perché il nostro sforzo principale fu esercitato in corrispondenza dell'altipiano della Bansizza o di Santo Spirito, e su di esso le nostre truppe riuscirono maggiormente ad avanzare.

Quest'altipiano, che è come una grande terrazza digradante con fianchi ripidi all'Idria, al vallone di Chiapovano e all'Isonzo, rappresentava in mano agli Austriaci un'ottima pedana per riunire e lanciare truppe al passaggio del fiume e costituiva inoltre il naturale riparo per le comunicazioni austriache tra i due settori difensivi, quello di Tolmino e il Goriziano-Carsico, attraverso il vallone di Chiapovano. Sarebbe stato perciò di somma importanza per noi strappare al nemico quell'importante nodo strategico, perché lo avremmo potuto costringere così a sgomberare l'intera zona goriziana e il Carso di Comeno, se non pure, estendendo il nostro successo sulla sinistra, a lasciare la testa di ponte di Tolmino.

La nuova offensiva fu affidata soprattutto alla 2ª armata (generale Capello), la quale alla vigilia dell'offensiva, era forte di sei corpi d'armata (con 26 divisioni e mezza) così schierati: IV corpo d'armata, dalla conca di Plezzo alla testa di ponte di Tolmino; XXVII, da questa testa di ponte a Ronzina; XXIV, da Ronzina ad Anicova Corada (Anhovo); II da Anhovo alla sella di Dol, tra il M. Santo e il San Gabriele; VI, dalla sella di Dol al bosco di Panovizza; VIII, da Panovizza al Vippacco. Di questi sei corpi d'armata, quattro (il IV, il II, il VI e l'VIII) erano dislocati sulla sinistra dell'Isonzo almeno con la maggior parte delle loro forze, e due (il XXVII e il XXIV) sulla destra, dalla testa di ponte austriaca di Tolmino a quella italiana di Plava. L'VIII corpo, però, costituiva una specie di gruppo autonomo, schierato nella zona dell'anfiteatro goriziano e destinato a collegare le operazioni della 2ª armata con quelle della 3ª. Oltre questi sei corpi d'armata, la 2ª armata aveva una riserva d'un centinaio di battaglioni.

La 3ª armata, alla quale era assegnata una parte anch'essa importante nella battaglia, era schierata su quattro corpi d'armata e cioè, procedendo da N. a S., l'XI, il XXV, il XXIII e il XIII, comprendenti complessivamente 18 divisioni. Sei divisioni e mezza rimanevano a disposizione del Comando Supremo.

Per questo sforzo poderoso sulla fronte Giulia, il nostro Comando supremo aveva riunito quivi circa i tre quarti delle truppe disponibili sull'intiera fronte italiana (più di 600 battaglioni degli 887 disponibili) e circa 2000 bocche da fuoco di tutti i calibri.

Di fronte alle nostre due armate era schierata sempre la 5ª armata austriaca (gen. Boroevic), che dopo l'offensiva del maggio era stata battezzata col nome di Isonzo Armee. Essa era forte, adesso, di tre corpi d'armata, con 13 divisioni, sulla fronte della 2ª armata e di due corpi, con 9 divisioni, su quella della 3ª; qualche altra divisione sopravvenne in rinforzo durante la battaglia.

Questa era stata da noi concepita come un attacco a fondo sull'intera fronte da Tolmino al mare, ma le puntate principali dovevano mirare, per la 2ª armata, alla conquista dell'altipiano di Tarnova attraverso la Bansizza, e per la 3ª a quella dell'altipiano di Comen. Il comando della 2ª armata si proponeva, perciò, con un poderoso attacco al centro della linea di battaglia, di sfondare le difese austro-ungariche tra Podiselo e il M. Santo, così da potervi incuneare un potente nucleo di truppe, costituito dai corpi d'armata XXVII, XXIV e II; il XXVII, quindi, avrebbe dovuto con la sua manovra gravitare principalmente verso nord, determinando la caduta della zona Mrzli-testa di ponte di Tolmino; la manovra, invece, degli altri due corpi avrebbe dovuto tendere a raggiungere il vallone di Chiapovano e ad avvolgere le alture goriziane, aprendo così la strada della selva di Tarnova, la cui perdita poteva essere fonte di conseguenze ancor più gravi per il nemico. In tal modo, infatti, sarebbe stato scardinato il fianco destro delle difese nemiche sull'altipiano Carsico, che la 3ª armata, poi, avrebbe dovuto col suo attacco frontale spezzare e sospingere indietro, verso Trieste, meta suprema di tanti sforzi e di tanti sacrifizî.

La parte più difficile dell'azione della 2ª armata consisteva, senza dubbio, nel gittamento dei ponti (ne erano predisposti 14) in cospetto del nemico e nel passaggio dell'Isonzo di viva forza. Si trattava di superare ostacoli gravissimi, rappresentati sia dalla natura del terreno, poiché l'Isonzo in quel tratto del suo corso è incassato in ristretto alveo, con sponde alte e spesso a picco, sia dall'andamento e dalla consistenza delle difese nemiche sulla sinistra del fiume. Per il gittamento dei ponti furono scelte le località di Javor, Doblari (Doblar) e Ronzina per il XXVII corpo, quelle di Loga, Aiba, Canale e Anicova Corada per il XXIV.

L'opera ardua e complessa fu eseguita nella notte dal 18 al 19 agosto. Già fin dal mattino s'era levato su tutta la fronte della 2ª armata il coro possente delle artiglierie; a sera una fila lunga d'incendî segnava le retrovie nemiche: villaggi, foreste, accampamenti ardevano come roghi. Discesa appena la notte, s'iniziò il forzamento del fiume, vivamente contrastato dall'avversario, tanto che, nonostante i rilevanti sacrifizî di vite, non si poté costruire che una metà dei passaggi prestabiliti. Il mancato gittamento dei ponti ebbe una ripercussione notevole specialmente sull'azione del XXVII corpo d'armata (gen. Vanzo) il quale, non avendo potuto passare il fiume a Javor, fu costretto a far afluire le sue truppe al solo ponte di Doblari ritardando così e intralciando i movimenti e deviando buona parte delle colonne dalle loro direttrici d'attacco.

Il II corpo d'armata (gen. Badoglio) intanto e il XXIV (generale Caviglia) lanciavano le truppe all'attacco della prima linea nemica, travolgendola; solo la 60ª divisione del XXIV corpo era ferma davanti a Canale, di cui il nemico aveva fatto un vero fortilizio, irto di mitragliatrici. Ma il mattino del 20, con una poderosa azione di artiglieria, anche quest'ostacolo fu infranto e si poté procedere sulla seconda linea M. Osoiniza (Ossoinca)-M. Uolchi (Oscedrih). Il XXVII corpo, invece, benché fosse riuscito ad intensificare il passaggio delle sue truppe, incontrava molta difficoltà per la tenace resistenza avversaria sul torrente Auzzana (Avscek) e alla testata della valle Sirocaniva (Siroka Nijva).

Nella giornata del 21, mentre sulla sinistra il XXVII corpo riusciva a passare l'Auzzana e ad impadronirsi di Auzza e la sua azione veniva rinvigorita da un altro corpo d'armata, il XIV (gen. Sagramoso) inseritosi tra il XXVII e il XXIV, questo procedeva vittoriosamente sui suoi obiettivi, espugnando successivamente l'Osoiniza, il Kuk e l'Uolchi. Quest'ultimo, però venne riperduto.

Il II corpo, che aveva superato un'aspra resistenza nella zona M. Santo-Vodice-Ielenico (Jelenik), puntava risolutamente contro questa ultima posizione, che cadeva la sera del 21.

Procedeva quindi, rapida e decisa, la nostra avanzata, e il giorno 23 gli ultimi capisaldi della difesa austriaca, l'Uolchi sulla sinistra e il M. Cavallo (Kobilek) sulla destra, si abbattevano sotto la furia dei nostri assalti; l'intera conca di Verco (Vhr) e quella di Bate (ora Battaglia della Bansizza) erano in nostra mano. Dalla sera precedente il tricolore sventolava anche sulla vetta del M. Santo.

Il giorno 23 stesso, il comando austriaco, cui la mancata riuscita delle operazioni sulla nostra sinistra aveva consentito di riservare tutte le cure e le riserve al saldamento della falla verificatasi, ordinava la ritirata sulla linea marginale Col di Canale (altipiano di Kal)-Madoni-Zagoriè-San Gabriele, che copriva l'arteria di Chiapovano e su di essa febbrilmente si rafforzava. Le nostre truppe, mosse subito all'inseguimento, trovavano ovunque le traccie dell'immane battaglia e della precipitosa ritirata avversaria e raccoglievano un bottino enorme di cannoni, armi, materiali di ogni genere. Centotrentacinque cannoni, 29 bombarde, circa 200 mitragliatrici e oltre 19 mila prigionieri, dei quali 540 ufficiali, costituivano i trofei delle vittoriose giornate.

Queste, però, purtroppo, non ebbero l'esito, che almeno in un primo momento era stato lecito sperare; esse si risolsero, in fondo, in un semplice successo tattico, senza dare quello strategico per il quale erano state combattute. Dal 25 agosto la battaglia si può dire si sia frammentata in azioni particolari, le quali, più che altro, possono ritenersi episodî di assestamento della fronte raggiunta. Ormai la battaglia era virtualmente finita e durava invece la lotta contro l'asperità del terreno e le difficoltà dei rifornimenti; la penetrazione per circa undici chilometri nel territorio oltre Isonzo ci aveva di troppo allontanati dalle nostre basi e l'assoluta mancanza di strade che, valicato il fiume, adducessero sull'altipiano, povero di acque e di riserve, rendeva molto difficile la vita delle truppe.

Il 29 agosto, il Comando supremo dava ordine di sospendere l'offensiva e di tentare soltanto uno sforzo estremo contro il blocco delle organizzazioni difensive a N. e a E. di Gorizia, ritenendo che l'espugnazione di esse avrebbe potuto favorire le ultime operazioni della 3ª armata.

Questa aveva iniziato anch'essa il giorno 19 l'atto aggressivo dopo un intenso e prolungato bombardamento, cui avevano preso parte dal mare anche batterie natanti della regia marina e monitori italiani e inglesi. Subito, però, dalle linee austriache si era manifestata una volontà di resistenza ancora più decisa e tenace che nelle offensive precedenti. Con l'usato valore le truppe della 3ª armata si erano slanciate in avanti, ma qualche vantaggio conseguito dall'VIII corpo d'armata (gen. Ricci Armani), dall'XI (gen. Petitti di Roreto) e dal XXV (gen. Ravazza) nella zona Faiti-Castagnavizza non si era potuto mantenere. Solo sulla destra, verso il mare, il XXIII corpo (gen. Diaz) e il XIII (gen. Sailer) erano riusciti a fare qualche progresso, il primo in direzione di Versici e di Selo e il secondo verso San Giovanni, oltre le paludi di Locavaz.

Né si riuscì, nei giorni successivi, ad aver ragione della resistenza avversaria; aspre lotte sostennero le truppe della 57ª e 58ª divisione per mantenersi nella zona al di là del Faiti, sulle quote 464 e 378, le cui trincee passarono di mano in mano più volte ed alfine rimasero in possesso degli Austriaci. A destra, invece, il XXIII corpo riuscì ad oltrepassare Versici, Corite e Selo e si spinse nel vallone di Brestovica, occupando e rafforzando la quota 50; il XIII, espugnata la quota 40, piccola altura subito al di là della palude (che presa già e riperduta dalla 34ª divisione, cedette di nuovo ai fanti della 45ª), si spinse fino alla quota 110, alla vicina galleria ferroviaria e alle rovine di San Giovanni, catturando oltre un migliaio di prigionieri e quattro cannoni.

Era tuttavia evidente che non si sarebbe ormai potuto conseguire quel successo uniforme e decisivo su tutta la fronte che solo poteva aprire la via di Trieste. Perciò, il giorno 23, il Comando supremo sospendeva l'azione sul Carso. Modesti erano stati i risultati territoriali di essa, ma il logorio del nemico più grave che nelle battaglie precedenti: erano caduti, infatti, nelle nostre mani oltre undicimila prigionieri e dei sessantamila e più uomini perduti dagli Austriaci dall'inizio dell'undicesima battaglia dell'Isonzo alla fine di agosto, più della metà fu perduta sul Carso.

Con senso di viva preoccupazione, inoltre, il nemico considerava i progressi della nostra ala destra verso il Hermada, scolta avanzata di Trieste. Tanto che a un nostro tentativo di sopprimere un saliente che le linee austriache facevano verso le nostre nel vallone di Erestovica, il nemico reagiva, all'alba del 4 settembre, con un violentissimo contrattacco su tutta la fronte del XXIII e del XIII corpo d'armata. Le truppe del primo, dopo aver momentaneamente ceduto terreno, contrattaccarono alla loro volta e ricacciarono l'avversario; quelle del XIII, invece, furono costrette ad abbandonare quasi tutto il terreno sì duramente conquistato. Si sospinsero ancora avanti nel pomeriggio fino alla linea della ferrovia ma, rinnovatosi più deciso l'urto nemico nei giorni 5 e 6, fu giocoforza ai nostri tornare nelle linee di partenza, nel piano del Lisert.

Il giorno stesso che si sferrava sull'Altopiano Carsico il contrattacco austriaco, la 2ª armata, dopo un bombardamento di inaudita intensità, per il quale erano state concentrate nel breve tratto tra il San Gabriele e il San Marco oltre 700 bocche da fuoco di medio e grosso calibro, iniziava l'attacco dell'arco di alture che recinge Gorizia. L'11ª divisione del VI corpo dava quindi la scalata alle pendici sconvolte del San Gabriele, riuscendo a raggiungere la linea di cresta tra quota 552 e quota 646 e catturando circa 200 prigionieri. Poco più tardi, però, un contrattacco avversario obbligava i nostri a ritirarsi un centinaio di metri al di sotto della vetta. Nei giorni successivi fino al 10, il San Gabriele fu teatro di una lotta incessante e sanguinosissima; come in una voragine ardente interi reggimenti vi furono consunti da una parte e dall'altra. Vista l'inanità degli attacchi di fanteria, il nostro Comando supremo pensò di poter vincere la resistenza dei difensori del San Gabriele, isolandoli con un bombardamento nutrito e senza tregua di tutto il territorio circostante, ma anche da questo tentativo si dovette desistere dopo qualche giorno, sia per l'enorme consumo di munizioni, sia perché i poderosi lavori di caverne e galleria eseguiti dal nemico gli perrmettevano di resistere senza molto danno alla nostra valanga di fuoco. All'alba del giorno 11, poi, tutte le nostre posizioni dalla Sella di Dol a Santa Caterina venivano violentemente bombardate dall'avversario, e quindi diversi scaglioni di fanteria austriaca attaccavano tra il Col Grande (Veliki Hrb) e il San Gabriele. Dopo un primo indietreggiamento, i nostri riuscivano a ristabilire la situazione. Il giorno seguente, il contrattacco avversario si estese anche sul San Gabriele. Dopo lungo ed aspro combattimento, la nostra linea tra la sommità del Veliki e la quota 552 poté essere mantenuta, ma sulla rimanente fronte si dovettero riguadagnare le trincee di partenza.

Sull'altipiano della Bansizza, intanto, erano continuate le azioni locali, per migliorare e consolidare la nostra situazione sulle linee avanzate; azioni che culminarono, il 15 settembre, in un brillante attacco della brigata Sassari, che condusse alla conquista delle alture di quota 895 e quota 862 sull'orlo dell'altipiano, e il giorno 29 dello stesso mese nella conquista del Na-Kobil, dovuta alle truppe della 44ª divisione, valorosamente guidate dal generale Achille Papa (medaglia d'oro) il quale qualche giorno dopo cadeva colpito a morte sulle posizioni conquistate.

La più vasta e imponente battaglia sin'allora combattuta sulla nostra fronte si chiudeva con un bilancio che può così riassumersi: risultati scarsi sull'Altipiano Carsico, nulli sull'anfiteatro goriziano, tatticamente importanti ma non strategicamente decisivi sull'altipiano della Bansizza; i due cardini infatti della difesa avversaria, la testa di ponte di Tolmino e il San Gabriele, rimanevano in mano dell'avversario, e sul Carso, mentre la linea di Castagnavizza non aveva potuto essere intaccata, il Hermada seguitava ad incombere minacciosamente su tutto il nostro schieramento.

Il nostro esercito, tuttavia, aveva compiuto brillantemente una delle più ardue azioni tattiche di tutta la guerra europea, il passaggio, cioè, di un fiume di fronte a un nemico schierato e vigile e l'espugnazione simultanea di forti posizioni montane per una profondità di oltre dieci chilometri. Per la prima volta, inoltre, sulla nostra fronte si erano viste grandi unità combattere manovrando, e tutto il sistema nemico era stato potentemente squassato e minacciato, così da destare non lievi preoccupazioni nel campo avversario.

Il generale Ludendorff, infatti, dové scrivere che "l'undicesima battaglia dell'Isonzo era stata ricca di successi per l'esercito italiano, le armate imperiali avevano bravamente resistito, ma le loro perdite erano state così rilevanti, il loro spirito così scosso che le autorità militari e politiche dell'Austria-Ungheria erano convinte che le truppe dell'imperatore non avrebbero potuto continuare la lotta e sostenere un dodicesimo urto con l'Italia".

In questa preoccupazione delle autorità austro-ungariche, evidentemente estesasi nel campo dell'alleata Germania, è da ricercare la genesi dell'offensiva austro-tedesca contro di noi, che, decisa subito dopo la sospensione della lotta sulla Bansizza, fu poi sferrata alla fine dell'ottobre. (V. caporetto).

Bibl.: E. Caviglia, La battaglia della B., Milano 1930.

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