BEATRICE d'Este, duchessa di Milano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BEATRICE d'Este, duchessa di Milano

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Figlia secondogenita di Ercole I d'Este e di Eleonora d'Aragona, nacque il 28 o il 29 giugno dell'anno 1475; per la sua nascita, dicono le cronache, "... non si fece allegreza, perché voleva [Ercole d'Este] ch'el fusse maschio" (Diario ferrarese, ad a. 1475, p. 90). Ben poco è noto della sua prima infanzia e dell'educazione ricevuta. Rimasta a Napoli fino all'età di dieci anni, allorché lo scoppio della congiura dei baroni consigliò alla madre Eleonora il suo richiamo in patria (B. tornò a Ferrara nell'agosto 1485), si può pensare che fosse avviata agli studi letterari, come già la sorella Isabella che ebbe a precettore Battista Guarino, figlio del grande umanista veronese, e si abituasse perciò all'atmosfera della corte estense, aperta ad artisti e letterati.

È certo però che l'esser B. legata per vincoli di parentela a due delle maggiori famiglie dell'Italia quattrocentesca, gli Estensi di Ferrara e gli Aragonesi di Napoli, e la particolare situazione politica del momento, fecero sì che verso di lei, quand'era appena di cinque anni, si dirigesse l'attenzione del duca di Bari Ludovico il Moro, allorché, divenuto ormai di fatto padrone del ducato di Milano, dovette scegliere una consorte.

Nella primavera-estate del 1480 infatti, su istigazione della madre Bona, secondo quanto scrive l'ambasciatore mantovano Zaccaria Saggio, il Moro, per mezzo di Gabriele Tassino, favorito di Bona, iniziò e portò a termine felicemente (giugno 1480) trattative matrimoniali con la corte estense, chiedendo e ottenendo la mano di B.: aveva dovuto rinunciare alla primogenita Isabella, già promessa a Gianfranco Gonzaga, con la quale tuttavia rimase in termini di grande stima ed amicizia, come la fitta corrispondenza testimonia.

Si rinsaldarono con questo fidanzamento non solo i legami di parentela tra gli Sforza e gli Estensi, già esistenti per la promessa di matrimonio effettuata, fin dal maggio 1477, tra Anna Sforza, sorclla di Gian Galeazzo e Alfonso d'Este fratello di B., ma anche quelli tra gli Sforza e gli Aragonesi: B. infatti, figlia d'una Aragonese, Eleonora, da tre anni ormai era ospite dell'avo matemo, il re Ferdinando di Napoli, a cui fu richiesto l'assenso per la progettata unione. È possibile perciò che la conclusione dell'accordo matrimoniale tra B. e il Moro sia da porsi in relazione alla politica filonapoletana che il duca di Bari andava conducendo, politica che si era già concretata in una lega (marzo 1480) e che, di fronte aRa minaccia di Roma e Venezia collegatesi (16 apr. 1480) doveva sfociare in una nuova lega (25 luglio 1480). Conferma di questa ipotesi èil fatto che contemporaneamente, su probabile suggestione del Moro, si rinnovò il contratto nuziale, steso la prima volta in Napoli il 26 sett. 1472, tra il duca di Milano, Gian Galeazzo Sforza, e Isabella d'Aragona, nipote del re Ferdinando.

Poche, per non dire inesistenti, le tracce di contatti diretti tra B. e Ludovico prima del matrimonio: sembra tuttavia certo che il busto di B. quindicenne, che oggi si può ammirare al Louvre, sia stato fatto da Gian Cristoforo Romano su precisa conunissione dei Moro, che a questo scopo avrebbe inviato l'artista a Ferrara. Il 13 apr. 1489 l'ambasciatore estense a Milano, Trotti, suggerì ad Ercole I di sollecitare le nozze: c'era buona probabilità che il ducato fosse ereditato dal Moro se questi avesse avuto figli, , visto che il titolare legittimo Gian Galeazzo, sposatosi nel febbraio del 1489, pareva non dovesse aver discendenza; il 10 maggio 1489 il Trotti stesso sottoscriveva il contratto nuziale.Il matrimonio si celebrò agli inizi del 1491 con cerimonie fastose. B., accompagnata dalla madre, dal fratello Alfonso, dalla sorella marchesa di Mantova, con cui rimase sempre molto unita, giunse il 14 gennaio a Pavia, ove fu ricevuta da Ludovico: qui il 17 fu celebrato, nella cappella del castello, il matrimonio (cfr. Dina, Isabella d'Aragona..., pp. 318 ss.; altri studiosi, cfr. Luzio-Renier, Delle relazioni d'Isabella d'Este..., spostano di qualche giorno la cronologìa). Da notare l'assenza del duca Gian Galeazzo e della duchessa Isabella, rimasti a Milano, assenza motivata ufficialmente dalla necessità di attendere ai preparativi per accogliere i novelli Sposi; il 22 gennaio avvenne l'ingresso a Milano, dopo che nella chiesa di S. Eustorgio, fuori della città, era avvenuto l'incontro tra le due donne della corte sforzesca, cugine tra loro, B. ed Isabella, e i loro seguiti.

Seguì quindi un periodo di festeggiamenti; è da ricordare, tra gli altri, il torneo durato tre giorni, dal 26 al 28 gennaio, per il quale Leonardo disegnò alcuni costumi: fu durante questi festeggiamenti che, a detta del Corio (cfr. Dina, Isabella d'Aragona..., pp. 320 s.), sarebbero sorti i primi urti tra la duchessa di Milano e la duchessa di Bari, quest'ultima fatta oggetto di particolari omaggi e presto considerata prima nella corte; anche, i cattivi rapporti tra le due cugine dovevano contribuire a trasformare le relazioni tra Milano e Napoli da uno stato di "accordo Pieno di diffidenza", come è stato, scritto, ad, uno stato di piena diffidenza ed infine di aperta ostilità.

La fitta corrispondenza che B. tenne con Ludovico e con la sorella Isabella costituisce una preziosa testimonianza della sua personalità, dei suoi interessi, dei suoi modi di vita nei pochi anni, solo sei, nei quali fu al fianco del Moro, impegnato nel tentativo d'imporre la propria supremazia in Italia. Di carattere curioso ed osservatore, ma più delle esteriorità, amò il lusso ed il bello, uniformandosi al gusto allora diffuso nei ceti aristocratici; condusse vita dedita a viaggi: Pavia, Vigevano, Abbiategrasso, Galliate, Novara, Mortara, Groppello sono le località ove amò più soggiornare. Gli studiosi negano perciò a B. qualsiasi interesse più profondo che non fosse quello della moda - nel 1492 si faceva descrivere dal segretario dell'ambasciatore milanese, inviato alla corte di Carlo VIII, i costumi della regina di Francia, Anna di Bretagna - degli svaghi o dei viaggi. Tuttavia la corte milanese accolse sempre generosamente, anche negli anni in cui ella visse, artisti e letterati: Leonardo e Bramante, il Merola e il Calcondila, Gaspare Visconti ed il Bellincioni sono solo alcuni dei nomi che celebrarono in Ludovico il novello mecenate in un clima culturale cui non poté rimanere estranea Beatrice. Interessanti perciò, anche se non disinteressati, possono essere i giudizi che di lei diedero letterati contemporanei: il suo segretario Calmeta nella biografia di Serafino Aquilano dice che "era di tanto perspicace ingegno, affabilità, grazia... che a qual se voglia donna antica se poteva equiparare "e soprattutto a B. attribuisce il merito di aver reso la corte ducale "de omini in qual se voglia virtù ed esercizio copiosa, e sopra tutto de musici e poeti", e di avere premiato ed esaltato questi "... In modo che la vulgare poesia e arte oratoria, dal Petrarca e Boccaccio in qua quasi adulterata, prima da Lorenzo Medici... poi mediante la emulazione di questa e altre singularissime donne di nostra etade, su la pristina dignitate essere ritornata se comprende"; Baldassare Castiglione ne Il Cortegiano fa dire a Giuliano de' Medici: "Pesami ancora che tutti non abbiate conosciuta la duchessa Beatrice di Milano... per non aver mai più a maravi-, gliarvi di ingegno di donna" (I. III, c. XXXVI). Sullo stesso tono il Giovio. Di certo non trascurò le arti. Quello stesso Gian Cristoforo Romano che le aveva fatto, giovinetta, il busto ora al Louvre, è al suo seguito in un viaggio che B. fece a Genova nel maggio del 1491. Inoltre numerosi sono i ritratti che la rappresentano: tra i più noti, una miniatura, attribuita ad Antonio da Monza, in un documento del 28 genn. 1494 (Londra, British Museum, Add. MS. 21413), e la cosidetta pala sforzesca (Brera, n. 310), ove B. compare con Ludovico e i figli Massimiliano e Francesco, di cui la critica non ne ha ancora identificato l'autore; sappiamo d'un ritratto, di cui è ignoto l'autore, da lei spedito alla duchessa di Ferrara. L'arte del ricamo trovò grande sviluppo a Milano per merito di B., che chiamò alla corte lombarda un rinomato ricamatore spagnolo, jorba o Jorba, dalla corte ferrarese.

È vero che B. non si interessò di politica: tuttavia non fu da essa del tutto appartata se il Calmeta poteva scrivere: "... e ne le cose de lo Stato, sopra il sesso e l'età..., [B.] espediva le occurrenze... con... destrezza..." (cfr. C. Grayson, in Vincenzo Calmeta, Prose e lettere, p. XXXII); se alcune lettere dell'ambasciatore Trotti al suo signore Ercole d'Este del gennaio-febbraio 1492 rendono noto un progetto maturato dal Moro, ma poi mai effettuato, di fare di B. la sola e principale governatrice dello Stato; se Ludovico il Moro a lei si confidava, tanto che B. poteva dire nel 1492 all'oratore fiorentino che prima di un anno il Moro sarebbe duca ed essa duchessa di Milano (lettere di G. Trotti ad Ercole I d'Este, 23 gennaio, 2, 3, 7, 9 febbr. 1492, cfr. Negri, p. 24); se infine nella primavera del 1493 il Moro pensò di porre proprio B. la "più chiara cosa che aveva" - a fianco dei suoi ambasciatori incaricati di concludere più stretti accordi con Venezia, non solo perché si congratulasse con la Signoria per la lega da poco conclusa (lettere del Moro al Vimercati, 4 maggio 1493, e al vescovo di Como, a Luca Tottavilla, a Pietro Landriano e G. A. Talenti, 10 maggio 1493; cfr. F. Catalano, Il ducato di Milano..., p. 406), ma anche perché, in segreto e da sola, sondasse la Signoria stessa sulle proposte di collaborazione che Carlo VIII re di Francia andava facendo al Moro circa la progettata spedizione italiana (cfr. G. Soranzo, Una missione segreta a Venezia di Beatrice d'Este..., in Rendiconti dell'Ist. lomb...., classe di lettere e scienze morali e storiche, 94, 2 [1960] pp. 467-478). Tale ambasceria rimase a Venezia dal 26 maggio al 2 giugno.

È la stessa B. che in tre lettere, rispettivamente del 27 e 30 maggio, e del 2 giugno, indirizzate al Moro, ci dà notizie della sua permanenza nella città ducale, ove aveva ricevuto magnifica accoglienza: esse sono ricche di notazioni riguardanti quanto ammirò nelle botteghg, alla fiera dell'Ascensione, per le strade di Venezia. Viene fuori da questi testi lo spirito vivace ed osservatore di B. sui costumi le mode locali; il suo piacere di essere notata ed ammirata; ma, pure, là dove narra dei festeggiamenti ufficiali, si nota lo sforzo di far risaltare tutti quegli elementi che potevano chiarire al Moro l'animo dei Veneziani: cosi riferisce d'uno spettacolo in cui venne simboleggiata la lega tra Venezia, Milano e Roma; d'un banchetto in cui vennero portate figure in zucchero colorato e dorato, rappresentanti il papa, il doge, il duca di Milano con le sue armi e quelle di Ludovico, poi S. Marco, la Vipera ed il Diamante; una raffigurazione del papa circondato da dieci personaggi, i cardinali che egli avrebbe dovuto eleggere nel concistoro che tutti prevedevano; informa che il doge parlava di Ludovico come dell'autore della pace e della tranquillità in Italia.

Divenuta anche ufficialmente duchessa di Milano dopo che, morto Gian Galeazzo (22 ott. 1494), il Moro ricevette l'investitura del ducato (26 marzo 1495) dall'imperatore Massimiliano, B. fu sempre a fianco del marito nei suoi vari spostamenti di carattere politico. B. però non doveva vivere ancora a lungo: il 3 genn. 1497 il Moro annunciava la morte di parto della duchessa, appena ventiduenne, al cognato marchese di Mantova, con parole di vivo dolore; e di questo dolore si trova testimonianza ancora nell'Ariosto: "Beatrice bea, vivendo il suo consorte E lo lascia infelice alla sua morte" (Orlando Furioso, XLII, 91).

Grande fu il compianto nelle due città che avevano conosciuta B. rispettivamente fanciulla e donna: "Per la morte de la qualle (Beatrice) il duca di Ferrara molto se atristie, et cusì tuto il populo suo de Ferrara" (Diario Ferrarese).

Il rito funebre fu celebrato solennemente a S. Maria delle Grazie dal cardinal legato coadiuvato da due vescovi, alla presenza di tutti gli ambasciatori che erano allora in Milano. Ludovico il Moro espresse subito il desiderio di essere sepolto accanto a B.; all'uopo ordinò a Cristoforo Solari un mausoleo che, collocato nella cappella maggiore di S. Maria delle Grazie, intorno al 1497-1499, doveva essere smembrato già prima della metà del secolo successivo: nel 1564 le lastre tombali di Lodovico il Moro e di B. furono acquistate dalla certosa di Pavia; solo alla fine del XIX secolo furono ricomposte l'una accanto all'altra, nella stessa certosa, ove tuttora si trovano. Il Calmeta per la morte di B. compose un poema in terza rima, I Triumphi, d'ispirazione petrarchesca, nel cui prologo scriveva: "Per la quale morte ogni cosa andò in ruina e precipizio, e di lieto paradiso in tenebroso inferno la corte se converse" (cfr. C. Grayson, in Vincenzo Cahneta, Prose e lettere..., pp. XXXII-XXXIII).

B. lasciò due figli: Ercole, nato il 25 genn. 1493, il cui nome fu mutato in quello di Massimiliano, in onore dell'imperatore che aveva concesso al Moro l'investitura del ducato, e Francesco, nato il 6 febbr. 1495

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