BEAUHARNAIS, Eugenio de, viceré d'Italia

Enciclopedia Italiana (1930)

BEAUHARNAIS, Eugenio de, viceré d'Italia

Alessandro Giulini

Nato a Parigi il 3 settembre 1781 dal visconte Alessandro e da Giuseppina Tascher de la Pagerie, morto a Monaco di Baviera il 21 febbraio 1824. Figlio di un soldato fu egli pure avviato alla carriera delle armi, che gli fu agevole in seguito alle nuove nozze della madre con Napoleone Bonaparte, da lui seguito (1798) in Egitto in qualità di aiutante di campo. Partecipò da valoroso alla battaglia di Marengo come caposquadrone. Colonnello dei cacciatori della guardia (1804), quando fu assunta dal Bonaparte la corona del regno d'Italia il Beauharnais ebbe la nomina a viceré con decreto del 7 giugno 1805, ad arcicancelliere di stato dell'Impero francese e più tardi anche a duca di Venezia.

Napoleone lo volle parificare completamente ai membri della sua famiglia, lo adottò e gli diede in moglie Augusta Amalia, figlia di Massimiliano re di Baviera (14 gennaio 1806). Entrò in Milano, con la sposa, il 16 febbraio 1806; e lo stesso giorno Napoleone emanava un decreto (il cosiddetto IV statuto costituzionale del Regno), col quale lo nominava suo successore, nel caso che l'imperatore non avesse avuto eredi maschi. Era giovane, bello e circondato da un'aureola da romanzo per la morte tragica del padre; ma, privo di cognizioni amministrative e politiche, aveva bisogno d'avere al fianco qualcuno che lo guidasse nei primi passi. Gli fu dato quale consigliere il Méjan, che, vano, amante del lusso, dedito ai piaceri e infatuato dei Francesi, contribuì ad alienare dal novello viceré gli animi degl'Italiani. Taluno asserì inconsideratamente che Francesco Melzi si fosse ritirato nell'ombra, deluso nelle sue aspirazioni e covando segreti rancori verso il B. per essere questi, sebbene con altro titolo, a lui subentrato nel governo. Il duca di Lodi aiutò invece il novello principe con i consigli assennati e le lettere fra loro scambiate stanno ad attestarne il reciproco affetto. La viceregina era circondata dalla più viva simpatia per le sue virtù e per la serena bellezza. Nessun credito meritano le voci correnti sulle esuberanze di temperamento di Eugenio, almeno quanto ai favoleggiati corteggiamenti di lui a Teresa Confalonieri Casati. A Milano s'era formata una corte degna della capitale del regno italico. Eugenio aveva amato circondarsi della vecchia nobiltà e della nuova che aveva assunto i nuovi titoli per benemerenze di guerra o per meriti acquistati ne' pubblici uffici; con le gerarchie militari ed ecclesiastiche essa doveva essere, secondo le viste di Napoleone, il sostegno del trono. La villa di Monza fu ampliata e decorata, così da formare gradito soggiorno della coppia vicereale, che vi accoglieva i più insigni rappresentanti delle arti e delle scienze. Durante il governo di Eugenio, Milano attraversò un periodo di splendore: vi convennero gl'ingegni più eletti, s'attuarono le più ardite iniziative, l'edilizia e le arti belle vi fiorirono. Gli umori verso il viceré mutarono però verso il 1810; contro Eugenio si acuì un'avversione prodotta dalle guerre continue e dai mali che ne erano inevitabile conseguenza. Nel 1809 scoppiò la guerra tra la Francia e l'Austria: l'arciduca Giovanni si avanzò con forze preponderanti, incitando gl'Italiani a insorgere contro i Francesi. A fronteggiarlo, alla testa dell'esercito franco-italiano sulla frontiera verso la Carinzia, Napoleone inviava il principe Eugenio, il quale, con forze inferiori, s-arrestò nell'estesa pianura di Sacile ed ivi sulla Livenza fu battuto e costretto a ritirarsi sulla linea dell'Adige verso Verona. Ma le notizie delle vittorie napoleoniche in Germania costrinsero l'arciduca Giovanni a correre in difesa di Vienna. Eugenio sconfiggeva al Piave gli Austriaci, raggiungeva l'esercito imperiale a Vienna e il 14 di giugno batteva nuovamente l'arciduca a Raab, fatto d'arme che fu preludio della vittoria di Wagram.

Gl'Italiani avevano sempre confidato che Napoleone cedesse la corona ferrea al figliastro e che il nuovo regno diventasse indipendente. Ma il divorzio fra l'imperatore e la sterile Giuseppina tolse loro ogni illusione. Il B., come al solito, si piegò docile al volere del padre adottivo, che, decisa la spedizione in Russia, pose Eugenio a capo dell'esercito italiano. Il B. mostrò il valore e l'esperienza d'un vecchio condottiero, specialmente durante l'infausta ritirata, quando assunse il comando delle reliquie della Grande Armata. Tornato a Milano, prese a riorganizzare l'esercito per difendere il regno contro il temuto assalto dell'Austria, e, scoppiate le ostilità, gli fu dall'imperatore affidata la difesa della fronte, praticamente insostenibile, tra Cattaro e Bolzano. Suo suocero, il re di Baviera, s'era alleato all'Austria; nell'ottobre del 1813 gli Austriaci invadevano il territorio veneto ed Eugenio, ritiratosi al Piave, ripiegava poi sull'Adige, mentre Murat andava accostandosi agli alleati. Il viceré, non potendo difendere Verona, l'abbandonava per fortificare la linea del Mincio fra Mantova e Peschiera. Murat intanto gettava la maschera e col suo esercito assaliva l'avanguardia italiana al Po. Il suocero gli andava facendo lusinghiere proposte per staccarlo da Napoleone; ma egli, con nobile fierezza, rispondeva di essere sicuro che il re di Baviera "preferirebbe sempre un genero borghese, ma onest'uomo, a un re traditore".

Da parte sua il Melzi, che aspirava a staccare il regno d'Italia dall'Impero e a salvare così il paese, ve lo incitava e, vedendo adunarsi sulla capitale i nembi forieri della procella provocata dal diffuso malcontento, invitava il viceré a inviare truppe da Mantova e a tornare egli stesso a Milano, dove i partigiani dell'Austria, o meglio i fautori d'un regno indipendente con un principe straniero, conducevano una campagna spietata contro il B., non mostrando nessuna indulgenza per qualche suo trascorso, mentre un altro partito, quello degli italici puri, con una vaga aspirazione all'indipendenza, voleva conservare il regno d'Italia con alla testa un principe qualunque, che non fosse però il B. Dall'accordo di queste due correnti nacque la sommossa milanese del 20 aprile, che culminò con l'eccidio del ministro Prina. Il re di Baviera intanto, sicuro della caduta di Napoleone, tentava ogni mezzo per salvare il genero dal disastro generale: così gli faceva proporre dal maresciallo Bellegarde un armistizio, in forza del quale, sospese le ostilità in attesa che una deputazione si recasse presso le potenze coalizzate ad esprimere le aspirazioni dell'elemento militare italiano, le truppe francesi venivano rimandate in Francia e le piazzeforti del Lombardo-Veneto erano consegnate all'Austria. I negoziati per l'armistizio di Schiarino Rizzino potevano avere grande influenza sui destini d'Italia, poiché in quel momento le potenze alleate propendevano per Eugenio. Ma questi lasciò trascorrere il momento propizio: la nuova dell'abdicazione di Napoleone, per la quale egli si vedeva automaticamente spogliato dell'autorità vicereale, lo decise a rimettere i suoi poteri nelle mani di un governo provvisorio. Al giungere della notizia della rivolta milanese il B., lasciando che i generali Fontanelli e Bertoletti si recassero a Parigi come rappresentanti e interpreti dei voti dell'esercito italiano, vide per sé tramontata definitivamente ogni speranza di cingere la corona italica e il 27 aprile, dopo aver affidato al prefetto scettro e corona, che aveva avuto in consegna dal ministro del Tesoro, partì diretto a Monaco. Nei Cento giorni, pur sempre rimanendo idealmente fedele a Napoleone, non si mosse da Vienna e più tardi, durante le feste del congresso brulicante di sovrani e di principi, il B. veniva riguardato ancora come aspirante a un serto reale. Le illusioni presto però si dileguarono: egli otteneva solamente il titolo di duca di Leuchtenberg e di principe di Eichstätt, piccolo territorio posto negli stati di suo suocero, mentre l'imperatore di Russia, che lo proteggeva con calore, gli otteneva il principato di Pontecorvo, ampliato con altre terre pontificie, che Eugenio tuttavia rifiutò. A Monaco, ove fissò la sua residenza, visse estraneo alla politica; si diede al culto delle belle arti e raccolse una pregiata galleria nel suo palazzo. Dei numerosi figli suoi, Massimiliano prese in moglie una figliola di Nicolò I, imperatore delle Russie e fu aggregato alla famiglia imperiale col titolo di principe Romanovskij.

La figura di Eugenio B., inquinata nella tradizione da giudizî di contemporanei invidiosi e malevoli, balza genuina dai carteggi col padre adottivo, col Melzi e con la consorte, e appare quella d'un principe valoroso e cavalleresco, che ben meritò questo elogio di Napoleone: "Durante la campagna di Mosca tutti abbiamo commesso dei falli. Non vi è che Eugenio, il quale ne è immune".

Bibl.: A. Zanoli, Milizia cisalpina italiana, Milano 1847; De Laugier, Gli italiani in Russia, Italia (Firenze) 1827; Mémoires et correspondance politique et militaire du prince Eugène, ed. da A. du Casse, voll. 10, Parigi 1858-1860; F. Cusani, Storia di Milano, Milano 1861-84, VI-VII; F. Melzi d'Eril, Memorie, documenti e lettere inedite di Napoleone I e Beauharnais raccolte da Giovanni Melzi d'Eril, Milano 1865; M. H. Weil, Le Prince Eugène et Murat, Parigi 1901-1902; F. Lemmi, La restaurazione austriaca a Milano nel 1814, Bologna 1902; F. Masson, Napoléon et sa famille, voll. 13, Parigi 1897-1907.

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