Becco

Enciclopedia Dantesca (1970)

becco

Federigo Tollemache

Nel significato di " capro " ricorre una volta nel Convivio (I VI 6 Quelli che conosce alcuna cosa in genere, non conosce quella perfettamente: sì come, se conosce da lungi uno animale non sa se s'è cane o lupo o becco), e tre volte nell'Inferno. Va rilevato che il b. era nel Medioevo estremamente comune, come si vede dai termini ‛ beccaio ' (Pg XX 52) e ‛ beccheria ', diventati poi sinonimi di ‛ macellaio ', ‛ macelleria ' (cfr. il francese boucher e boucherie, da bouc).

In If XXXII 50 li occhi lor, ch'eran Aria pur dentro molli, / gocciar su per le labbra, e 'l gelo strinse / le lagrime tra essi e riserrolli /... ond'ei come due becchi / cozzaro insieme, l'immagine con cui il poeta descrive il cozzo rabbioso dei due fratelli Napoleone e Alessandro degli Alberti pare sia tolta da Virgilio (Geor. n 526 " inter se adversis luctantur cornibus haedi ").

Altrove l'interpretazione è controversa. In If XV 72 La tua fortuna tanto onor ti serba, / che l'una parte e l'altra avranno fame / di te; ma lungi fia dal becco l'erba, si dubita se b. valga " capro " o " rostro ". Forse D. ripete un antico proverbio (cfr. Cino da Pistoia Su per la costa 30 " omai ha ben di lungi al becco l'erba "): ciò giustificherebbe sia il silenzio di Iacopo Alighieri, sia il commento assai vago del Boccaccio, di Benvenuto, del Landino, del Vellutello e di altri antichi, i quali forse non intuivano neanche l'ambiguità. Caduto poi in disuso il proverbio, i commentatori si trovarono a disagio nel fornire una spiegazione al termine b.; scrive il Cornoldi nel suo commento (1887): " Alcuni non sanno interpretare questo verso, perché prendono il becco per lo rostro degli uccelli; e gli uccelli comunemente non mangiano l'erba. Qui Dante forse parla di capro, e adopera questa similitudine per fare onta a' fiorentini ". Bene, a nostro avviso, l'Ottimo: " Il becco è animale dannoso, ispido, fetido ecc. Aspramente parla l'Autore contra li suoi Fiorentini ". I moderni intendono per lo più " capro ", ma cfr. Tommaseo: " Qui pare intenda rostro se poi parla del nidìo "; e così anche Del Lungo e Torraca.

In If XVII 73 Vegna 'l cavalier sovrano, / che recherà la tasca con tre becchi!, mentre tutti i commentatori antichi sono concordi nel ravvisare nel cavalier sovrano il fiorentino Gianni Buiamonte, vi è disaccordo nella descrizione del suo stemma. Ciò si deve, secondo il Barbi, alla libertà con cui gli antichi facevano deduzioni dal testo di D. quando mancavano le notizie certe. I fiorentini Iacopo e Pietro Alighieri, l'Ottimo e l'Anonimo danno tutti come stemma dei Buiamonte tre capri neri in campo giallo. E con loro stanno Guido da Pisa e Benvenuto. Invece, per il Bambaglioli e il Lana, da cui dipendono il Buti e altri, lo stemma recava tre teste di nibbio gialle in campo azzurro. La questione è stata studiata anche da eruditi recenti, ma senza esito positivo, dato che non esistono raccolte veramente autentiche di stemmi. La prudenza, perciò, suggerisce di accettare le affermazioni dei fiorentini, certamente più in grado di conoscere i fatti.

Bibl. - M. Barbi, " Vegna il cavalier sovrano... ", in " Studi d. " X (1925) 55-74.

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