BEELZEBUB

Enciclopedia Italiana (1930)

BEELZEBUB (ebraico Ba‛al zĕbūb; Settanta Βάαλ μυῖαν)

Giuseppe Ricciotti

Nome d'un idolo venerato nella città filistea di Accaron, al quale si rivolse Ochozia re di Israele in occasione d'una sua malattia: II [IV] Re, I, 2-16. Il nome significa secondo la lettera Baal delle mosche (v. baal), ma a che cosa alluda non è chiaro. Secondo alcuni sarebbe il baal della città di Zebub, e ciò rientrerebbe nella regola ordinaria della designazione dei varî baal: ma che realmente esistesse una città di tal nome non è punto provato.

Altri ha pensato a un baal, al quale sarebbero state consacrate le mosche: ma, a considerare l'oggetto consacrato, l'ipotesi sembra poco verosimile. È piuttosto da pensare, con molti recenti studiosi, che si tratti di un baal il quale allontanava e difendeva dalle mosche, specialmente durante i sacrifici, preservando le carni delle vittime, all'incirca come il greco Ζεὺς 'Απόμυιος (Pausan., V, 14,2) o il romano Deus Myagron (Solin. Polyhist., c. 1; cfr. anche Plinio, Nat. Hist., X, 75).

Nel Nuovo Testamento si trova la forma Βεελζεβούλ (Βεεζεβούλ; Vulgata Beelzebub, [-ul]), che è usata dai Farisei per designare il prmcipe dei demoni (Matteo, XII, 24, 27; X, 25; Marco, III, 22; Luca, XI, 15, 18, 19). Questa forma supporrebbe un ebraico Baal zĕbūl col senso di Baal della dimora, forse alludendo alla dimora divina dell'idolo, oppure al mondo sotterraneo, dimora del principe dei demonî: tale applicazione può anche essere stata opera dei Farisei. Altri però, richiamandosi ad una radice semitica ZBL che si ritrova in arabo, zibl "letamaio", e in siriaco, zeblā "sterco", suppongono lo stesso significato all'ebraico zĕbūl che fa parte di questo nome, e traducono il tutto con Baal dello sterco: e difatti anche nella terminologia talmudica il verbo zābal ha lo stesso significato sudicio, e perciò viene applicato per disprezzo ai sacrifici offerti agl'idoli. Si tratterebbe quindi di un cambiamento intenzionale, non raro nel giudaismo (v. moloc). Vi è infine chi più semplicemente stima che il nome in questione sia lo stesso che Beelzebub col semplice cambiamento del b finale in l: di questo cambiamento si avrebbe un esempio analogo nel vocabolo Belial (v.) trasformato in Beliar. V. anche demonologia.

Bibl.: T. K. Cheyne, in Encyclopaedia Biblica, Londra 1899, col. 514 seg.; W. Baudissin, in Realencycl. f. prot. Theologie und Kirche, II, pp. 514-516, Lipsia 1897; G. A. Barton, in Encycl. of Rel. and Ethics, II, pp. 298-299, Edimburgo 1909.

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