BENCI, Antonio, detto il Pollaiolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BENCI, Antonio, detto il Pollaiolo

Marco Chiarini

Nacque a Firenze da Iacopo di Antonio e da monna Tommasa probabilmente tra il 1431 e il 1432. Il soprannome deriva - secondo una consuetudine fiorentina - dal mestiere del padre, che non era orafo, come talvolta affermato, ma pollivendolo per sua dichiarazione (Mather, 1948).

La data di nascita del B. non è esattamente precisabile - anche se M. Cruttwell (1907, p. 3) ipotizza che fosse il 17 genn. 1432, giomo dei suo santo patrono -, perché non sempre concordi sono sull'età del B. le fonti più attendibili, specialmente le portate al catasto del padre e quelle del B. stesso (Cruttwell, 1907; Mather, 1948). Infatti sulla pietra sepolcrale in S. Pietro in Vincoli è scritto che egli morì di settantadue anni nel 1498, cioè sarebbe nato nel 1426 (e questa tradizione fu ripresa dal Vasari). Tuttavia nel documento più antico concemente il B. - la portata al catasto di Iacopo per il 1433 (Mather, p. 32) - egli viene dichiarato dal padre di un anno e mezzo di età e in quella del 1442 (Mather, p. 33) è detto di dieci anni, spostandosi così l'anno di nascita al 1432, mentre nel 1480 (Gaye, 1839, I, p. 265) il B. stesso si dichiara di quarantanove anni e quindi nato nel 1431 (come risulterebbe anche da portate precedenti).

Antonio era il maggiore di sei fratelli, poiché a lui seguirono Salvestro (che non fu artista come qualcuno suppose: cfr. E. Möller, Salvestro di Jacopo Pollaiuolo dipintore, in Old Master Drawings, X [1935-36], pp. 17 ss.), Giovanni (che ereditò la bottega paterna), Piero, Agnola e Cosa (portata al catasto di Iacopo, 1446, cfr. Mather, p. 33). Dalla portata di Antonio del 1480 si sa che si emancipò dal padre l'11 maggio 1459, a circa ventotto anni: forse aveva già bottega in proprio. Nella stessa occasione egli nomina la prima moglie, Marietta, allora ventinovenne, dalla quale non ebbe figli, mentre dalla seconda, Lucrezia Fantoni, ebbe due figlie, Marietta e Maddalena, che con la madre sono ricordate nel suo testamento (4 nov. 1496; Gualandi, 1844, pp. 39-50; Cruttwell, 1907, pp. 246-255). Dalla portata al catasto di Lucrezia del 1498 (Mather, p. 35), quando era già vedova, e anche da portate precedenti, si sa che il B. aveva numerosi piccoli possedimenti; la sua bottega d'orafo era in via Vacchereccia: nella denunzia del 1480 il B. dichiara di avere con sé, come aiuto e socio, Paolo di Giovanni Sogliani. La fama dell'artista dovette crescere rapidamente e di conseguenza anche i compensi e le possibilità di accumulare un piccolo patrimonio; nel 1489 Lorenzo il Magnifico, in una lettera di raccomandazione scritta a Giovanni Lanfredini, oratore fiorentino a Roma, lo nominava come "... il principale Maestro di questa città e forse per avventura non ce ne fu mai; e questa ècomune opinione di tutti gl'intendenti" (Gayre, p. 341).

Si può affermare con certezza che il B. iniziò la sua attività come orafo - secondo una consuetudine fiorentina, valida anche per i pittori -: ciò verrebbe attestato dalle sue prime opere note e documentate, fra le quali un disegno con il progetto di un turibolo (Firenze, Gab. dei disegni degli Uffizi), firmato "Antonio del pollajuolo horafo" .

Tale è anche la tradizione raccolta e riportata dal Vasari, che fa il B. scolaro di Bartoluccio Ghiberti, padre di Lorenzo, con evidente anacronismo (Bartoluccio morì nel 1422), e poi aiuto dello stesso Lorenzo nelle porte del Battistero: anche questa tradizione risulta tuttavia infondata - come anche la leggenda della quaglia eseguita dal Pollaiolo tra le decorazioni degli stipiti della porta del "paradiso", riportata dall'Anonimo Magliabechiano, "tanto bella e tanto perfetta, che non le manca se non il volo" (Vasari) -, mentre forse il B. poté aiutare il figlio di Lorenzo, Vittore, che portò a termine l'opera paterna tra il 1466 e il 1467. Tuttavia il nome del B. non si riscontra in nessun documento relativo a questa impresa, né nell'elenco degli aiuti del Ghiberti.

Piuttosto l'educazione del B. poté svolgersi presso la bottega di qualche orafo fiorentino come P. Sali (verso questa ipotesi propende decisamente l'Ortolani, 1948) o M. Finiguerra, ricordato dal Vasari nella biografia pollaiolesca.

Tale ipotesi verrebbe avvalorata con fatti, se si potesse verificare su fonti documentarie l'affermazione avanzata dall'abate Follini (Collezione di opuscoli scientifici e letterari XIX, Firenze 1814; confutata da S. Ciampi, Lettera... sopra l'autore di due candelieri d'argento fatti per l'Opera di Sant'Iacopo..., Pistoia 1814) che il B. collaborasse, tra il 1457 e il 1462, all'esecuzione di due candelieri d'argento dorato con smalti (oggi scomparsi) allogati a Maso Finiguerra e a Piero Sali dall'Opera di S. Iacopo di Pistoia nel 1457 (sulla vicenda v. Milanesi, in Vasari, III, pp. 288 s., n. 4).

Ma la fama del B. doveva esser già cresciuta molto negli anni di apprendistato giovanile, se il 30 apr. 1457 gli venne allogata l'esecuzione della parte inferiore del reliquiario d'argento a forma di croce da porsi sull'altare del S. Giovanni fiorentino (cfr. G. Poggi, 1904, p. 74). La delibera di tale lavoro era stata presa già il 2 febbraio di quell'anno, e con il B. avrebbe collaborato Miliano Dei, mentre la parte superiore veniva affidata a Betto di Francesco Betti (cfr. Milanesi, in Vasari, III, p. 288, n. 3). Nel 1459 si registrarono le spese sostenute e, mentre del Dei non è più ricordo, al B. andò la somma maggiore. Il Vasari rammenta che egli eseguì, per lo stesso altare, anche i candelieri (che i documenti precisano nel numero di due) d'argento e smalti "di braccia tre l'uno": essi furono però eseguiti più tardi, attorno al 1465-70, e oggi sono perduti.

Non per Lorenzo - come afferma il Vasari - ma per Piero de' Medici il B. dipinse tre grandi quadri con le Fatiche d'Ercole, opere celebratissime e rammentate fino al sec. XVI, quando pare che Ridolfo del Ghirlandaio ne traesse copie su commissione di Giovan Battista della Palla: esse sono oggi perdute e ne abbiamo memoria precisa probabilmente solo nelle due minuscole tavolette che ripetono due dei soggetti (Ercole e Anteo, Ercole e l'Idra) delle tavole maggiori, pervenute agli Uffizi direttamente dalle collezioni medicee, ed eseguite parecchi anni dopo.

I tre quadri, che adomavano la sala grande nel palazzo di Lorenzo in via Larga - dove sono citati anche nell'inventario mediceo del 1512, copia di quello steso alla morte di Lorenzo (cfr. E. Müntz, 1888, pp. 62 s.) -, furono probabilmente eseguiti attomo al 1460, secondo la testimonianza dei Pollaiolo stesso, che rammenta - in una lettera inviata il 13 luglio 1494 a Virginio Orsini - come li avesse dipinti, in collaborazione col fratello Piero, circa trentaquattro anni prima (L. Borsari, 1891). Nessuna memoria rimane, oltre le due tavolette suddette agli Uffizi, per ricostruire l'aspetto preciso dei tre quadri - altresì riecheggiati in stampe di poco posteriori (Cristofano Robetta) per gli episodi dell'Idra e di Anteo (ripreso anche nel piccolo bronzo conservato nel Museo Nazionale di Firenze, dallo stesso Pollaiolo) - che rappresentavano Ercole e Anteo, Ercole e il leone Nemeo e Ercole e l'Idra: per quest'ultimo episodio resta un disegno originale del B. nel British Museum di Londra, forse studio preparatorio per la grande tela corrispondente di palazzo Medici. Documentariamente sono queste le prime opere pittoriche del B., e per sua affermazione eseguite assieme a Piero, che gli fu costantemente accanto soprattutto nella realizzazione pittorica dei suoi progetti: è questa stretta collaborazione che indusse il Vasari ad affermare che Antonio si accostò a Piero "per imparare i modi del maneggiare et adoperare i colori" (Vasari, III, p. 290), secondo una tesi che risulta infondata.

Tuttavia è sempre l'attività di orefice quella che soprattutto impegna l'artista, con opere oggi in gran parte scomparse e note solo attraverso i documenti. Il 3 genn. 1461 (Vasari, III, p. 298) l'abate di S. Pancrazio gli alloga, assieme a Bartolomeo di Piero Sali, l'esecuzione di un tabernacolo per contenere il braccio del santo titolare. Il 7 luglio dello stesso anno e il 6 apr. 1462 si rammentano una fibbia d'argento e altre opere di oreficeria vendute a Cino di Filippo Rinuccini (Aiazzi, 1840).

"Alla compagnia di Sant'Angelo in Arezzo fece da un lato un Crucifisso, e dall'altro, in sul drappo a olio, un San Michele che combatte col serpe" (Vasari, p. 295): secondo un'identificazione generalmente accettata, si tratta del S. Michele del Museo Bardini di Firenze, certo eseguito su disegno di Antonio ma probabilmente per mano di Piero. Ricordato anch'esso dal Vasari (pp. 291 s.), il dipinto già in Orsanmichele "in un pilastro" con l'Arcangelo Raffaele che reca per mano Tobia (Torino, Galleria Sabauda) è opera di collaborazione con Piero da datarsi attorno al 1465. In quest'anno (A. Cocchi, 1901) ricomincia l'attività dell'artista per l'Opera del duomo, con l'esecuzione (M. Cruttwell, 1907, p. 59; il Sabatini, p. 95, li dice eseguiti nel 1470) di due candelieri, già rammentati, per l'altare di S. Giovanni, mentre nell'anno seguente è molto probabile (Sabatini) che il B. cominci a dare la serie dei cartoni per l'esecuzione dei bellissimi ricami per paramenti, oggi nel Museo dell'Opera del duomo fiorentino. Il nome del Pollaiolo compare solo il 9 ag. 1469 per il primo pagamento - effettuato dall'arte della Mercanzia - per il disegno delle ventinove o trenta scene (ma oggi ne rimangono solo ventisette) raffiguranti le Storie di s. Giovanni Battista che dovevano decorare un parato completo di piviale, pianeta e due tonacelle di broccato (l'ultimo pagamento è del 1480; le spese vennero registrate nel 1487); ma il B. quasi certamente dovette cominciare molto prima a darne la traccia grafica, dato che la delibera per l'esecuzione risale al 5 ag. 1466 (Poggi, pp. 75-78). Il 17 luglio 1466 (Colnaghi, 1928, p. 217) presta giuramento alla corporazione della Seta quale "aurifex aurario". Tra il 1466 e il 1470 è ricordato come attivo in opere di restauro e di esecuzione propria per il duomo di Volterra (Sanpaolesi, 1951): il primo ottobre 1466, infatti, riceveva un compenso per il restauro della testa della Vergine Maria dell'ariento, mentre tra il 21 nov. 1467 e il 28 febbr. 1470 il suo nome ricorre in pagamenti per un reliquiario d'argento sotto forma di busto di S. Ottaviano, già nel duomo di Volterra, e che si è creduto di identificare in altro, assai più arcaico di stile (cfr. Sanpaolesi, 1951; Pope-Hennessy, 1958, p. 316).

Alla collaborazione tra i due fratelli, attestata dal Vasari, spetta la decorazione di parte della cappella dedicata al cardinale di Portogallo (Iacopo di Lusitania, morto a Firenze il 27 ag. 1459) in S. Miniato al Monte, per la quale Antonio e Piero fecero la tavola dell'altare, con i SS. Vincenzo, Iacopo e Eustachio, oggi agli Uffizi, e i due Angeli reggicortina dipinti a fresco sull'arco che domina l'altare (i pagamenti vanno dal 27 settembre al 7 nov. 1466, ma i lavori furono probabilmente eseguiti nel 1467; per un dettagliato resoconto cfr. Hartt-Corti-Kennedy, 1964). Il 18 genn. 1467 (cfr. C. Guasti, 1857) il Pollaiolo fa parte con i maggiori artisti del momento, Verrocchio e Luca della Robbia, della commissione per l'esecuzione della palla da collocare a coronamento della lanterna della cupola di S. Maria dei Fiore.

Sempre preminente l'attività d'orafo del B., che il 13 gennaio e il 2 febbr. 1469 (G. De Nicola, 1918) viene pagato per aver fornito l'armatura da torneo e i finimenti per la gualdrappa del cavallo, tutti d'argento sbalzato, dorato e con smalti, a Benedetto Salutati in occasione della giostra per il fidanzamento di Lorenzo de' Medici con Ciarice Orsini: nella stessa occasione anche Verrocchio e Botticelli avevano prestato la loro opera. E' stato supposto che in quell'anno cada un suo probabile viaggio a Roma, in occasione di una visita fatta a Filippo Lippi in Spoleto (Sabatini, p. 69).

Nel 1472 il B. è citato per la prima volta nel Libro dei debitori e creditori della Compagnia di S. Luca come "orafo e dipintore" (I. Del Badia, 1905). Nello stesso anno (24 luglio) lavora a un elmetto d'argento, perduto, che il 18 giugno (cfr. Milanesi, in Vasari, p. 298) la Signoria fiorentina aveva deliberato di donare al conte d'Urbino vincitore di Volterra (Gaye, pp. 570 s.). Per la stessa Signoria l'inventario dei tesoro rammenta l'esecuzione di "un bacino grande d'argento" (ibid., p. 571), anch'esso scomparso. Stessa sorte ebbe una croce d'argento per la chiesa del Carmine, commissionata da Tommasa Soderini (Milanesi, in Vasari, p. 298) e pagata forse - se ad essa si riferisce il documento - il 30 ag. 1473.

Secondo la testimonianza del Vasari (pp. 292 s.), nel 1475 fu finita una delle più importanti opere pittoriche del B., sempre aiutato da Piero: il Martirio di s. Sebastiano (oggi nella National Gallery di Londra). La grande tavola fu dipinta per la cappella dei Pucci nell'Oratorio di S. Sebastiano presso la SS. Annunziata. Nello stesso anno fu forse eseguita anche la figura, oggi perduta, del Battista "alla porta della Catena" (Vasari, p. 293) in Palazzo Vecchio; cui è stato supposto (Sabatini, p. 89) si riferiscano alcuni disegni agli Uffizi (357 r-v, 399).

Nel 1475-80 cadrebbe l'esecuzione di una cintura d'argento con incrostazioni d'oro - in collaborazione con Piero - per il vescovo di Pistoia, Niccolò Pandolfini (C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci, 1932, p. 15). Tra il 1476 circa e il 1483 il B. eseguì una croce-reliquiario d'argento dorato e smalti per il monastero di S. Gaggio presso Firenze - ne rimangono i documenti di pagamento (cfr. Steingräber, 1955) - della quale si conservano solo alcune parti inserite ìn un Crocifisso del sec. XVI (Firenze, Museo Naz.).

Nel 1477 il B. viene pagato per una croce d'argento fatta per fra' Michele Cambini del convento di S. Croce, scomparsa (lo Hartt, 1962, suppone che essa possa identificarsi con altra vista dal Cinelli, 1677, nella chiesa di Badia, ma il Sabatini, p. 95, ne spostò invece l'attribuzione ad Antonio di Salvi, scolaro del Pollaiolo). Lo stesso anno 1477 (Poggi, p. 69) il B. sottoponeva agli operai del duomo tre modelli fatti insieme col Verrocchio per una delle testate dell'altare argenteo del Battistero. Il 13 genn. 1478 (ibid., p. 71) riceveva la commissione per l'esecuzione del pannello con la Nascita del Battista, che gli veniva pagato nel 1480 (Firenze, Mus. dell'Opera del duomo). Un pagamento è del 26 apr. 1483 (ibid., p. 72) per "rassettare e fare le storie che feciono nell'altare di S. Giovanni".

Sempre per il S. Giovanni eseguiva nel 1478 un reliquiario per il dito del santo e una coperta d'argento di un Epistolario, (Milanesi, in Vasari, p. 298). Mentre del reliquiario non si sa più nulla (ma per un'eventuale identificazione di esso, cfr. F. Rossi, 1961), la coperta venne fusa nel Cinquecento da Paolo Sogliani per farne due candelabri.

All'incirca in questo momento cadrebbe l'esecuzione del gruppetto bronzeo di Ercole e Anteo (Firenze, Mus. Naz.), ricordato negl'inventari medicei del 1492 come negli appartamenti di Giuliano e forse eseguito per lui (Müntz, 1888, p. 85).

Il 17 febbr. 1480 (Pecori, 1853) il B. è a San Gimignano con Antonio di Salvi per la stima di un reliquiario eseguito da Iacopo da Pisa.

Da questo momento la documentazione è più scarsa, e difficile risulta stabilire con esattezza l'inizio dell'attività del B. a Roma - ai sepolcri di Sisto IV e di Innocenzo VIII - sempre alternata con frequenti ritorni in patria. Il Vasari, infatti, dice che fu Innocenzo VIII a invitare il Pollaiolo a Roma; ma è stato giustamente supposto (Ettlinger, 1951 pp. 243 ss.; Pope-Hennessy, 1958, p. 317) che egli avesse ricevuto l'incarico nel 1484 dal cardinale Giuliano Della Rovere, nipote di Sisto IV. Tale supposizione si fonderebbe sulla testimonianza del contemporaneo Raffaele Maffei da Volterra, che scrisse che il B. lavorò alla tomba per un decennio (cfr. Müntz, 18823 p. 86, n. 3). Tuttavia è del 1485 (19 novembre) il pagamento per una tavola eseguita con Piero (o dal solo Piero?) per la cappella del Corpus Domini nel duomo di Pistoia (C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci. 1932, p. 16) e del novembre 1489 (Gaye, p. 341) la lettera già menzionata di Lorenzo il Magnifico a Giovanni Lanfredini, da taluno ritenuta quale raccomandazione del B. all'attenzione della corte romana, ma piuttosto da vedere in rapporto alla commissione del monumento equestre a Francesco Sforza (v. oltre).

Il sepolcro bronzeo di Sisto IV era compiuto nel 1493 e veniva firmato dall'artista: "Opus Antoni Polaioli / Florentini Arg. Auro. / Pict. Aere Clari / An. Do. MCCCCLXXXXIII".

In questi anni, intanto, il Pollaiolo seguitava a inviare lavori a Firenze e a pensare ad altre imprese grandiose: al monumento a Francesco Sforza - mai eseguito -, come ci attestano due celebri disegni (Monaco, Graphische Sanuffiungen; New York, coll. Lehman) eseguiti tra il 1480 e il 1489, e che forse sono gli stessi del Libro del Vasari, che li rammenta nella biografia da lui dedicata al Pollaiolo (p. 287; cfr. S. Meller, 1934). Nel 1491 (L. Del Moro, 1888) il B. mandava a Firenze un modello per la facciata di S. Maria del Fiore, primo ricordo di una non ancora precisata attività architettonica dell'artista, attestataci soltanto dai documenti.

Infatti, mentre dal 1492 attende al sepolcro di Innocenzo VIII - sempre coadiuvato dal fratello Piero -, viene apprestando progetti architettonici, tra i quali un modello per la cupola della sacrestia di S. Spirito (C. Botto, 1932), presentato agli operai di quella fabbrica il 20 maggio 1495: l'esecuzione del progetto ebbe però un esito negativo, perché la cupola, terminata il 5 sett. 1497, rovinò il 10 nov. dello stesso anno (L. Landucci, ed. 1883). Ancora di un'attività d'architetto del B. parlano i documenti a proposito della costruzione di S. Maria dell'Umiltà di Pistoia (1495), dove è tuttavia difficile stabilire quale parte vi abbia avuto l'artista (Sanpaolesi, 1939). Del tutto infondata, poi, risulta la notizia vasariana (p. 296) secondo la quale avrebbe disegnato il palazzo dei Belvedere a Roma.

Del 13 luglio 1494 è la già ricordata lettera da Roma a Virginio Orsini (Borsari, 1891) nella quale il B. proponeva di fargli un ritratto e un monumento equestre senza però riuscire a realizzare il suo desiderio. Dalla stessa lettera si sa che il B. partiva il giorno dopo per la Toscana recando con sé "dua figgure di bronzo", non identificate.

I lavori per i due sepolcri papali (al secondo attese firio all'anno della morte) certo dovettero tenerlo molto impegnato, assieme a Piero, se del periodo romano non rimangono altre opere sicuramente documentate.

Il 4 nov. 1496 il B. faceva testamento: da esso risulta che Piero era morente. Il B. stesso moriva a Roma due anni dopo, nel febbraio 1498, come si desume da una lettera della Signoria fiorentina a Giovanni Bonsi del 13 febbraio di quell'anno (Gaye, p. 340), probabilmente il 4 febbraio (Milanesi, in Vasari, p. 299 nota). Fu sepolto per sua volontà accanto al fratello in S. Pietro in Vincoli, come ancora oggi testimonia la pietra tombale che si trova a sinistra dell'ingresso principale.

Alle opere già citate se ne possono aggiungere altre, non documentate, sia sulla base della biografia vasariana, sia per caratteri stilistici. Le indicazioni dello storico sono però spesso generiche: alcune paci in S. Giovanni, "bellissime"; smalti "in altre chiese di Fiorenza e di Roma, e altri luoghi d'Italia" (Vasari, pp. 288 s.); ritratti di Poggio Bracciolini e di Giannozzo Manetti (p. 272); un S. Cristoforo "fuor della porta" a S. Miniato fra le Torri (P., 293); un bassorilievo di metallo con una "battaglia di nudi" inviata in Spagna, "della quale n'è una impronta di gesso in Firenze appresso tutti gli artefici" ; alcune medaglie (pp. 297 s.). E Richa (1764) rammenta che un S. Sebastiano supposto dei B. era nella chiesa di S. lacopo sopr'Arno a Firenze.

La personalità complessa del Pollaiolo, se consente in taluni casi di discernere con precisione nella produzione che va sotto il suo nome le opere di altra mano, rende difficile la separazione tra la parte avuta da lui e quella avuta da Piero, che in genere subisce l'ascendente del più grande fratello, seguendone fedelmente il dettato e l'ispirazione. È su questo punto che la critica, con alterne vicende, ha insistito di più, cercando di delineare con nettezza i confini di una personalità il cui genio, tuttavia, doveva toccare non solo il collaboratore più diretto, ma anche una sfera assai più larga di artisti attivi nella Firenze del secondo Quattrocento. Particolarmente difficile risulta tale distinzione nelle opere pittoriche dove, per costante tradizione, Piero è accanto al fratello, intervenendo in modo più o meno diretto, spesso conducendo l'esecuzione materiale sulla traccia delle idee di Antonio.

Tuttavia un certo numero di opere sono oggi riconosciute quasi concordemente come di Antonio, mentre per un altro gruppo appare convincente l'intervento di Piero. Un altro raggruppamento, solitamente riferito all'uno o all'altro, è ancora in discussione, quando non sia addirittura rifiutato a entrambi. Tra le opere ritenute di Antonio ma non documentate e variamente datate dalla critica sono: la Comunione di s. Maria Egiziaca (pieve di S. Maria, Staggia); il busto in terracotta di Giovinetto con armatura (Firenze, Mus. Naz.), nel quale si è voluto riconoscere Giuliano de' Medici; David (Berlino-Dahlem, Staatl. Museen); Apollo e Dafne (Londra, Nat. Gall.); Ercole con la clava, bronzetto (Berlino-Dahlem, Staatl. Museen); scudo con Milone di Crotone (Parigi, Louvre); Ercole, Nesso e Dejanira (New Haven, Yale Univ., coll. Jarves). Tra le opere per cui si ritiene che l'esecuzione spetti a Piero su idee di Antonio: Ritratto di Galeazzo Maria Sforza, Firenze, Uffizi), rammentato come di Piero in un inventario mediceo del 1492 (cfr. U. Rossi, 1890); Putti aggiunti alla "lupa capitolina" (Roma, Pal. dei Conservatori); Annunciazione (Berlino-Dahlem, Staatl. Museen); cartone per il paliotto ricamato di Sisto IV (Assisi, Tesoro di S. Francesco).

Tra le opere discusse e più recentemente rigettate dalla critica: una serie di ritratti femminili, di cui gli esemplari più famosi sono a Milano (Museo Poldi Pezzoli) e Berlino-Dahlem (Staatl. Museen); gli affreschi con Danza di nudi nella villa della Gallina a Torre dei Gallo (Arcetri); un Busto d'uomo in marmo (Firenze, Mus. Naz.), forse derivato da un modello del Pollaiolo (PopeHennessy, 1958); una figura ad affresco di S. Girolamo, già in S. Domenico di Pistoia, talvolta riferita anche a Piero.

Un certo numero di bronzetti, variamente attribuiti ad Antonio per generiche affinità stilistiche, non appaiono riferibili con certezza all'artista.

La fama del B. sembra non aver mai subito declino: nata lui vivente e in relativamente giovane età, si mantenne vivissima, anche se gran parte delle sue opere, per varie vicende, andarono perdute: e non furono davvero le meno impegnate e importanti, anzi, al contrario, tra le più famose e ammirate. La testimonianza del credito da lui goduto è affidata perciò soprattutto alle parole e ai ricordi dei contemporanei e dei posteri, che ne rammentarono l'opera sia di pittore-disegnatore, sia quella di orefice. Le commissioni fitte, che culminarono con la chiamata a Roma per l'esecuzione di ben due tombe di papi, accertano l'altezza in cui era tenuta la sua abilità di artefice anche "in grande" alla prova con compiti tanto impegnativi. Le sue pitture, copiate fin nel '500 pieno, dovettero far testo ancora quando era pur fresco il ricordo dei cartone michelangiolesco per la battaglia di Cascina e del grande affresco murale di Leonardo in Palazzo Vecchio, senza la lezione del B. incomprensibili. È infatti verso la parte più "energetica" dell'arte pollaiolesca che guardarono gli artisti a lui contemporanei e più giovani, ispirandosi immediatamente (come il Botticelli) a quella viva fonte di energia scattante che è il segno pollaiolesco, sia esso espresso in pittura, nel disegno, nell'incisione. Un interesse comprensibile nella Firenze della seconda metà del '400, aperta ormai al problema pressante dei movimento e della linea intesa non più a sondare profondità prospettiche, ma a evocare un moto perpetuo, avvolgente, soprattutto nella figura umana, presa a modulo supremo di ricerche sottili di anatomia, di sintesi plastico-spaziali. In tale direzione la lezione del B. ebbe valore costante, di apertura determinante, sia in pittura, sia in scultura. Si comprende come, trascurata quasi la parte sua di orafo, venisse esaltato il ricordo di opere memorabili, per noi vive solo nei disegni, o nelle incisioni di contemporanei o nelle repliche che poté darne (come nel caso delle Fatiche di Ercole) il B. stesso. E per le ultime, nelle due tavolette superstiti degli Uffizi, si avverte chiaro l'interesse fondamentale del B. - e in questo caso divulgato, come soggetto, nel disegno e nel bronzo - per la figura umana colta nel suo slancio massimo di potenza in espansione, attraverso la resa dello sforzo fisico, dei moto contenuto, potenziale, tutto sintetizzato nel gioco sottile, sapiente, della linea. Questo è l'aspetto più appariscente, avvertito già dai contemporanei che lo ammiravano quale conquista recente: basti ricordare il cartone "cum quibusdam nudis Poleyoli" rammentato già dal 1474 nello studio padovano dello Squarcione (V. Lazzarini, Documenti relativi alla pittura padovana del sec. XV, in Arch. veneto, XV[1908], p. 72), o le parole che gli dedica il Cellini nell'introduzione ai suoi Trattati (cfr. B. Cellini, I trattati dell'oreficeria e della scultura, a cura di C. Milanesi, Firenze 1857, p. 7): "...e fu si gran disegnatore, che non tanto che tutti gli orefici si servivano dei sua bellissirmì disegni, i quali erano di tanta eccellenzia, che ancora molti scultori e pittori, io dico dei migliori di quelle arti, si servirno dei sua disegni, e con quegli ei si feciono grandissimo onore. Questo uomo fece poche altre cose, ma solo disegnò mirabilmente, et a quel gran disegnare sempre attese". Se è evidente l'esagerazione dell'affermazione celliniana per cui il B. quasi non fece altro, tuttavia la frase dà la misura dell'importanza che ebbe nell'arte sua il disegno: disegno per sé, come ci attesta la famosissima stampa con la Battaglia dei nudi (1460-62), quasi scuola accademica di nudo innanzi il tempo, esempio per tanti artisti che certo ne possedettero almeno un esemplare nel loro studio. L'impegno del B. in quel "gran disegnare" è dunque fondamentale per intenderne ancor oggi la portata nell'ambito artistico fiorentino dell'umanesimo quattrocentesco: la divulgazione meccanica della sua opera ne accrebbe enormemente l'importanza. Ma questo, che è il più evidente aspetto del B. e sul quale si è più fermata l'attenzione, non ne è il solo: se ad esso aggiungeremo una spiritualità ascetica, memore del misticismo trecentesco - e si veda come non a caso risponda anche in altri, nel Botticelli, ad esempio, questa inclinazione, affermata forse per primo dal B. -, come è stato riconosciuto dalla critica più recente, ci renderemo conto della complessità di motivi che anima l'opera del Pollaiolo: da una rudezza plastica di derivazione castagnesca e donatelliana (vedi soprattutto i ricami per S. Giovanni, come ha indicato l'Ettlinger, 1963), all'esaltazione della linea pura, instabile, ondulante o spezzata, a definire una forma spesso spoglia (si veda la S. Maria Egiziaca di Staggia, o gli angeli reggicortina di S. Miniato), che è tale anche nelle opere di oreficeria o di smalto (base del candelabro di S. Giovanni); motivo che non può non evocare il mondo gotico, nel quale Antonio doveva trovare più che un'idea - e non solo nella sua attività di orafo, ancora entro tutta una tradizione di gusto, ma anche negli altri campi di attività -, che collimasse con la sua concezione dell'arte "rinata". Né pare giusto evocare l'esperienza del "gusto del paesaggio fiammingo" (A. Chastel, L'art italien, I, Paris 1956, p. 215) per certi sfondi non minutamente descritti, ma perscrutati con ben altra capacità introspettiva (vedi le due tavolette degli Uffizi), per ampliare la sintesi dei motivi che nell'opera di Antonio sembrano chiudere le esperienze di tutto un mezzo secolo, per orientarle verso il nuovo.

Fonti e Bibl.: Per la bibl. sino al 1944 v. A. Sabatini, A. e Piero del Pollaiolo, Firenze 1944. Vedi in part.: [Anonimo Fiorentino], Il codice magliabechiano, cl. XVII, 17…, [ca. 154], a cura di C. Frey, Berlin 1892, pp. 65, 81, 103, 126; G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 285-300; F. Bocchi-G. Cinelli, Le bellezze della città di Firenze, Firenze 1677, p. 387; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, X, Firenze 1764, p. 355; G. Gaye, Carteggio inedito di artisti..., 1, Firenze 1839, pp. 265, 340 s., 570 s.; G. Aiazzi, Ricordi storici di Cino di Filippo Rinuccini, Firenze 1840, p. 251; M. Gualandi, Memorie... riguardanti le belle arti, s. 5, Bologna 1844, pp. 39-50; L. Pecori, Storia della Terra di S. Gimignano, Firenze 1853, p. 637; C. Guasti, La cupola di S. Maria del Fiore, Firenze 1857, pp. 111-113; E. Müntz, Les arts à la cour des Papes..., III, Paris 1882, pp. 86 s.; L. Landucci, Diario fiorentino, a cura di I. Del Badia, Firenze 1883, p. 3; L. Del Moro, La facciata di S. Maria del Fiore..., Firenze 1888, pp. 20 ss.; E. Müntz, Les collections des Médicis au XVe siècle, Paris 1888, pp. 62 ss.; U. Rossi, Due dipinti di Piero Pollaiolo, in Arch. stor. d. arte, III (1890), p. 166; L. Borsari, Nozze Orsini-Varo. Una lettera di A. del Pollaiolo a Virginio Orsini, Roma 1891; A. Cocchi, Degli antichi reliquiari di S. Maria del Fiore e di S. Giovanni, Firenze 1901, p. 45; G. Poggi, Catal. del Museo dell'opera del Duomo, Firenze 1904, pp. 69, 71, 72, 74-78; I. Del Badia, Appunti d'archivio, in Riv. d'arte, III (1905), p. 123; M. Cruttwell, Quattro Portate del catasto..., in L'Arte, VIII (1905), pp. 381-385; Id., A. Pollaiuolo, London 1907; G. De Nicola, Opere Perdute del Pollaiolo, in Rass. d'arte, XVIII (1918), p. 210; D. E. Colnaghi, A dictionary of Florentine painters, London 1928, pp. 217 s.; C. Botto, L'edificazione della chiesa di S. Spirito..., in Riv. d'arte, XIV (1932), p. 30; C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci, The unfinished monument by Andrea del Verrocchio to the cardinal Nicolò Forteguerri at Pistoia, Northampton, Mass., 1932, pp. 15 s.; S. Melier, I progetti di A. Pollaiolo Por la statua equestre di Francesco Sforza, in Petrovics elek Emlékkönyv (Hommage à Alexis Petrovics), Budapest 1934, pp. 204 s. (nella trad. ital.); P. Sanpaolesi, V. Vitoni..., in Palladio, III (1939), pp. 256, 257, 269, docc. 18-20, 22; S. Ortolani, Il Pollaiuolo, Milano 1948; R. G. Mather, Documents mostly relating to florentine painters and sculptors of the XV century, in The art Bulletin, XXX (1948), pp. 32-35; K. Clark, Landscape into art, London 1949, pp. 21-23, 25. 29; P. Sanpaolesi, Due sculture quattrocentesche inedite, in Belle arti, 1951, pp. 71-80; L. D. Ettlinger, Pollaiuolo's Tomb of Pope Sixtus IV, in Yournal of the Warburg and Courtauld Institutes, XVI (1953), pp. 239-214; J. G. Phillips, Early Florentine Designers and Engravers, Cambridge, Mass., 1955, passim; E. Steingräber, Studien zur Florentiner Goldschmiedekunst. I a). Eine unbekannte Arbeit des A. del Pollaiuolo für das Kloster S. Gaggio bei Florenz, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Instituts in Florenz, VII, 2 (1955), pp. 87-92; M. Levi D'Ancona, Un'opera giovanile del Pollaiolo già ascritta ad Andrea del Castagno, in Riv. d'arte, s. 3, XXXI (1956), pp. 73-91; J. Pope-Hennessy, Italian Renaissance Sculpture, London 1958, pp. 316-318; U. Baldini-L. Berti, Catalogo della II mostra di affreschi staccati, Firenze 1958, pp. 7 s.; B. Berenson, I disegni dei pittori fiorentini, Milano 1961, I. pp. 47-62; II, pp. 443-454; M. Davies, National Gallery Catalogues. The Earlier Italian Schools, London 1961, pp. 442-447; F. Rossi, Di un reliquiario quattrocentesco nel Duomo di Firenze, in Arte antica e moderna, 1961, nn. 13-16, pp. 112 s.; G. Corti-F. Hartt, New Documents, in The art Bulletin, XLIV (1962), pp. 160, 167; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Florentine School, London 1963, pp. 178 s.; I. Pope-Hennessy, Italian bronzo statuettes, I, in The Burlington Magazine, CV (1963), pp. 14-17; P. Dal Poggetto, Arte in Valdelsa... (catal.), Firenze 1963, pp. 52 s.; L. Ettlinger, in Encicl. univ. dell'arte, X, Venezia-Roma 1963, coll. 733-737 (sub voce Pollaiolo Antonio e Piero); A. H. Mayer, Artists as anatomists, in The Metropolitan museum of art Bulletin, XXII (1963-64), pp. 201-210; F. Hartt-G. Corti-C. Kennedy, The chapel of the Cardinal of Portugal (1434-1459) at San Miniato in Florence, Philadelphia 1964, pp. 59, 103-108, 160; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, pp. 210-214 (sub voce Pollaiuolo Antonio); Encicl. Ital., XXVII, pp. 694-697 (sub voce Pollaiolo Antonio e Piero).

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