DEI, Benedetto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DEI, Benedetto

Roberto Barducci

Nacque a Firenze il 4 marzo 1418 da Domenico di Deo e Taddea di Miliano Salvini in una famiglia tradizionalmente dedita all'arte orafa (per gli altri membri della famiglia che si dedicarono a tale arte, cfr. la voce dedicata alla famiglia Dei in questo volume del Dizionario biografico degli Italiani).

Il padre, orafo, era già entrato nell'apparato politico fiorentino come ambasciatore alla corte di Napoli; lo zio Giovanni raggiunse la più alta carica del governo, il gonfalonierato di Giustizia. Alla morte del padre, avvenuta nel 1430, la famiglia sembrò tendere allo sfaldamento economico, cui si aggiunse la morte di alcuni fratelli, finché verso i venti anni il D. costituì un nucleo familiare con la madre ed il fratello gemello Miliano, restando in possesso soltanto di una quinta parte del palazzo paterno.Le fonti documentarie tacciono sull'adolescenza del D., ma si può presumere che seguisse il consueto iter culturale di un giovane avviato alla mercatura, tanto che, nel 1440, si iscrisse all'arte della seta nello stesso ramo del padre e dei fratelli Miliano e Bernardo; due anni più tardi inoltre, lo troviamo iscritto all'arte della lana, nonché a bottega di un non meglio identificato Piero di Domenico lanaiolo, con la paga annua di 20 fiorini, certamente fra le più basse tra quelle vigenti. Comunque se le voci fiscali non illuminano se non il normale apprendistato di un giovane fiorentino del tempo, l'interpretazione di certi passi della sua Cronaca chiariscono le potenziali importanti relazioni che il giovane D. aveva intrattenuto in quegli anni. Già dedito ai viaggi che lo renderanno famoso, egli racconta di essere stato a Roma quando la città fu presa da Niccolò Fortebraccio (1433-34), ospite nel banco ed in casa di Cosimo de' Medici. Ancora si recò al banco mediceo quando visitò Venezia intorno agli anni 1440, e forse trentenne ripeté la stessa esperienza a Milano ("Sono istato a Milano l'anno che Franciescho Isforza lo prese cholla spada in mano, e tornai cho' Medici..."). Purtroppo non viene specificato il motivo di queste missioni o l'eventuale mente organizzativa, ma il prestigioso cognome dei Medici ricorrerà spesso nella vita del D., fino a sfociare nel rapporto con Lorenzo il Magnifico. Non è chiaro se "l'essere stato a campo" in varie campagne militari sia indizio di un'attività bellica svolta dal giovane D.; in ogni caso egli si appropriò di utili esperienze anche nell'amministrazione della guerra. Nella Cronaca ricorrono spesso lunghi elenchi di condottieri amici e nemici e del loro seguito, che fanno intravvedere, seppure smorzati dallo stile laconicamente essenziale, espressioni ed aggettivi tipici dell'ammirazione di un esperto.

In sostanza, alla soglia dei trent'anni il D. aveva praticato attività diverse, viaggiato e soprattutto allacciato relazioni adatte ad affacciarsi alla vita pubblica. Se nel frattempo avesse fatto anche l'informatore politico, come precedenti biografie a tinte romantiche avevano ipotizzato da un passo della Cronaca, oggi non ci interessa molto. Piuttosto è importante sottolineare la solitudine del personaggio, l'assenza di legami coniugali legittimi e di strategie matrimoniali, che pure nel '400 la Comunità fiorentina favoriva (vedi l'istituzione del Monte delle doti), ed il dichiarato distacco dai fratelli all'età di dodici anni: tra questi il gemello Miliano (v. in questo volume s.v. Dei).

Gli anni seguenti al 1450 furono densi di incarichi per il D., anche se mai ascese ai vertici politici cittadini. Nel 1451 e 1452 ricoprì il ruolo di festaiolo di S. Giovanni, partecipando ad una magistratura che organizzava le molteplici attività in vigore durante le feste fiorentine, e coordinava il lavoro di numerosi artigiani ("Fassi la gran festa del palio di San G[i]ovanni e idifici...", Cron., c. 38v). Di tutt'altra natura i compiti assegnatigli nello stesso anno 1452, allo scoppiare della guerra che coinvolse al solito le maggiori potenze del tempo, i Fiorentini, i Veneziani, il ducato di Milano ed il Regno di Napoli: fu nominato commissario alla Castellina ed a Rencine per organizzare la controffensiva e respingere il re Alfonso d'Aragona ed i Senesi alleati che avevano invaso il territorio fiorentino.

Vigorosa fu allora l'azione del D. in questo frangente, davanti allo schieramento delle grandi forze nemiche che egli descrive accuratamente, tantoche i Dieci di balia lodarono il suo comportamento, nell'annunciargli la fine delle ostilità sancita con la pace di Lodi nel 1454. Da questo incarico emersero anche notevoli capacità diplomatiche da parte del commissario, che seppe trattare abilmente con i signori neutrali in modo da non alterare gli equilibri del conflitto. Non ci fu in questo periodo soluzione di continuità nell'esercizio di incarichi pubblici per il D., perché egli stesso ci riferisce di essere stato dopo la pace di Lodi bargello e commissario e, fatto più importante, console dell'arte di Por Santa Maria o della seta: ciò testimonia la sua presenza ai vertici dell'arte e un non dimenticato interesse per il settore artigianale e mercantile. Comunque l'incarico che gli fu offerto in seguito, o, per meglio dire, a cui fu tratto "a mano", il provveditorato di Borgo San Sepolcro, consentiva di percepire un salario e condurre una vita non disprezzabile, talché il D. brigò presso congiunti e conoscenti per la riconferma dell'ufficio.

Dopo il ritorno a Firenze nel 1456, ed il soggiorno presso il fratello Miliano per più di un anno, prende risalto il noto episodio della reazione al colpo di Stato organizzato nel 1458 da Luca Pitti, della quale il D. si proclamò uno dei protagonisti con Girolamo Machiavelli. Secondo qualche biografo tale episodio determinò la fuga da Firenze ed il futuro del Dei. C'è innanzitutto da riscontrare nella Cronaca due versioni apparentemente discordanti sul colpo di Stato mediceo guidato dal Pitti: da un lato l'adesione alla parte di Cosimo contro quei "... cittadini drento ischandalosi, che cierchavano di volere essere magiori che gli altri, e magiori che a lloro non tochava d'essere..." (Cron., c. 21v); dall'altro la partecipazione con un esiliato alla lotta contro il Pitti, considerato "nemico provato", e la preparazione di una serrata di famiglie, simile a quelle veneziana e genovese. Se certamente non è chiara la posizione del D. in questo scontro di potere, e di conseguenza non sicuro il binomio sconfittafuga, emerge invece da lettere scritte in seguito il senso di malessere di un uomo costretto a vivere a Firenze in una situazione precaria economicamente e socialmente (Orvieto, Un esperto orientalista del '400, pp. 210 s.), dopo aver varcato il limite dei quarant'anni. È inoltre ipotizzabile che, all'origine dei viaggi che dal 1460 porteranno il D. attraverso il Mediterraneo fino alla corte di Maometto II, ci fossero dei precisi piani mercantili e forse pure trame politiche e diplomatiche anche se non c'è una documentazione che comprovi quest'ultimo orientamento, se non indirettamente le lettere del periodo e le note cronistiche, ricche di riferimenti commerciali e politici.

Tra l'altro il vasto raggio d'azione degli itinerari percorsi, i cui punti estremi si possono identificare con Tunisi, Timbuktu, la Turchia settentrionale e la Bosnia, presuppongono una notevole rete organizzativa e molteplici contatti.

Il quadro della situazione orientale in cui si muovevano le attività del viaggiatore fiorentino era quello della continua espansione ottomana e della crescente inimicizia veneziano-fiorentina, sia a livello politico sia in quello economico, in cui insieme con i Genovesi si lottava soprattutto per gli appalti e la gestione delle materie tintorie ed il controllo del commercio.Proprio al servizio di un grosso appaltatore veneziano, Girolamo Micheli, lavorò il D. a Costantinopoli, dal 1462 al 1464, quando i Veneziani, secondo la sua Cronaca, stavano perdendo il favore di Maometto II ed il dominio fiscale del suo Impero, contrastati dai Fiorentini. L'attributo corrente di spia elargito anche in questo caso al D. da F. Babinger, è forse troppo drastico e non tiene conto dei complessi rapporti fra mercanti di città diverse, che intrattenevano relazioni anche se le rispettive nazioni si trovavano su sponde diverse. Infatti, una delle accuse rivolte con odio ai Veneziani dal D. tratta del presunto furto finanziario perpetrato a Costantinopoli, proprio in quegli anni, a danno di molte compagnie fiorentine, da parte di mercanti falliti di Venezia, tra i quali viene elencato anche il vecchio padrone del D., Girolamo Micheli. In ogni caso la figura del D. salì d'importanza nella considerazione di Maometto II, parallelamente a tutta la comunità fiorentina, fino a diventarne talvolta un ambasciatore. Carico di queste esperienze mercantili, diplomatiche e militari, nonché di vaste conoscenze etnologiche, fece ritorno in Italia nel 1467, preceduto da una corrispondenza con Lorenzo di Piero de' Medici, la quale mostra come non ci fosse soluzione di continuità nei rapporti con la casata pallesca. A Pisa lo attendeva l'amico Luigi Pulci, che annunciò a sua volta l'arrivo al futuro Magnifico del suo uomo e di tutte le stranezze portate dall'Oriente.

Se i doni di animali esotici ed indumenti recati dal D. sono noti, non è altrettanto certo, anche se è possibile, che ben altre novità di carattere geografico e cartografico introducesse il reduce viaggiatore, tantoché si è associato a lui il nome di Paolo Dal Pozzo Toscanelli quale possibile beneficiato, per le relazioni commerciali dello stesso D. cor i Toscanelli (G. Uzielli, La vita e i temp. di Paolo dal Pozzo Toscanelli, p. 517). Tuttavia si ha la sensazione che quale referente di usi e costumi orientali, il D. non apparisse del tutto convincente e veritiero ai contemporanei: dal Pulci a Leonardo da Vinci si tendeva piuttosto a motteggiare che non a riflettere su tale aspetto del cronista fiorentino.

Se i Medici furono i veri ispiratori di codesta lunga missione in Turchia, dovettero rimanere ben contenti del lavoro svoltovi, perché pensarono decisamente, e questa volta chiaramente, di servirsi del D. per un viaggio esplorativo in Francia, nonostante che egli chiedesse umilmente a Giuliano de' Medici un incarico minore, ma più divertente, come erano quelli di rappresentanza presso altri principi. Tornato nel 1471, disprezzando una Parigi paragonata ad un deposito di letame nel confronto con le città italiane, il D. ottenne finalmente la conduzione della galea della guardia di Pisa, un compito che in realtà gli arrecò più noie che onori. L'anno seguente era a Milano, sempre finanziato dai Medici, ed assistette con Accerito Portinari al battesimo di una figlia di Galeazzo Maria Sforza, una cerimonia che descrive con dovizia di particolari (Cron., c. 49v).

Il 1473 fu l'anno in cui il D. attese all'elaborazione di gran parte della sua Cronaca, e probabilmente limitò i suoi spostamenti per compiere tale fatica: mancano infatti tracce epistolari fra il D. ed i familiari in quell'anno ed in parte del successivo. Comunque la sosta non fu troppo lunga, perché nel 1475 egli era ancora una volta a Milano. segretario di un generale dei Fiorentini, mentre trascorse il triennio seguente in giro per l'Europa, su commissione politico-economica dei suoi principali protettori. Il suo ritorno coincise proprio con l'assassinio in Firenze di uno di questi, Giuliano de' Medici; nella guerra che ne seguì e coinvolse un po' tutti gli Stati italiani, il D. fu occupato, come spesso accadeva, nell'amministrazione militare, al servizio di Ugo di San Severino. Alla fine del conflitto, sedato grazie all'abilità diplomatica di Lorenzo de' Medici, il D., sciolto da impegni, fu attratto da Ludovico il Moro nella corte di Milano, dove la sua presenza, del resto, era stata piuttosto frequente nel passato. La partenza da Firenze nel 1480 rappresentò nella vita del D. un'ulteriore cesura, come lo erano state l'entrata al servizio dei Medici in gioventù ed il viaggio in Oriente nella maturità. Infatti da questo periodo si sviluppò grandemente e giunse all'apice il suo ruolo di informatore politico nella veste di raccoglitore e distributore di notizie italiane e straniere, fino a raggiungere la fama di "tromba della verità"; i suoi corrispondenti, già notevoli di numero in precedenza, aumentarono ancora e comprendevano i Gonzaga, gli Este, i Bentivoglio come, d'altra parte, alcuni familiari, cui raccomandava di scrivere alternativamente ogni settimana.

Nonostante l'immensa rete di relazioni intrattenute, la vita quotidiana del cronista fiorentino non era aliena da preoccupazioni finanziarie, ed il suo impegno per mantenere lo stipendio dello Sforza lo portò anche a sfidare la pestilenza pur di ottenere la "mancia" dovuta. Comunque, ormai abituato agli agi della vita cortigiana, così diversa da quella passata in famiglia, il D. non tornò a Firenze quando lasciò Ludovico il Moro: forte delle sue amicizie signorili, dal 1487 al 1489 si aggirò per altre città e corti come Bologna e Ferrara, forse con qualche missione speciale. Tuttavia dovette ritornare in patria, forzatamente, alla fine del decennio, perché il suo fisico cominciava a cedere ad una vita così intensa: trascorse così un paio d'anni a Firenze, dove tra l'altro continuò a tessere le sue fitte trame epistolari. Ben presto però i suoi servizi furono richiesti, e il D. all'età di settantatrè anni si rimise in cammino verso Bologna, dove lo chiamavano i Bentivoglio: lì ricevette una lettera, non arrivata a noi, di Lorenzo il Magnifico, e per la felicità di tanto interessamento verso di lui, la spedì a dimostrazione ad alcuni conoscenti fiorentini. Quella di Ercole d'Este fu l'ultima corte che il D. visitò, nel 1492: poi, in evidenti disagi finanziari tanto da chiedere, rifiutato, del denaro prestato al fratello Miliano, decise di riattraversare l'Appennino, e a Firenze incontrò la morte il 28 ag. 1492.

Venne sepolto nella chiesa di S. Spirito, nella cappella Dei, mentre si può osservare la sua effige, ritratta in tarda età, negli affreschi di Domenico Bigordi (Ghirlandaio) dietro l'altare maggiore di S. Maria Novella, insieme ai Tornabuoni ed altri esponenti della cultura fiorentini del tempo.

Molteplici furono i luoghi visitati dal D., specialmente nel periodo del suo soggiorno a Costantinopoli e dell'amicizia col Granturco. Nei capitoli della Cronaca intitolati "Là ov'è stato Benedetto Dei fiorentino" e "El paese ch'à cierchato Benedetto Dei", sono ricordate le tappe di questo girovagare, che toccò la Turchia, il mar Nero, la penisola balcanica, la Grecia, la Bosnia e la Dalmazia. In Africa, visitò Tunisi e Cartagine con compagni fiorentini ed arabi, nonché la mitica Timbuctù.

I frutti di tanta attività politico-amministrativa e dei numerosi viaggi in Europa, Africa e Medio Oriente sono distribuiti, almeno secondo le attuali conoscenze, in una Cronaca, due Memorie storiche, centinaia di lettere missive e responsive, un frammento di storia fiorentina e vari altri scritti minori.

La Cronaca, ilcui autografo si trova presso l'Archivio di Stato di Firenze, Manoscritti 119 e le consimili Memorie, delle quali vi sono solamente copie a Firenze (biblioteche Riccardiana, Ricc. 1853, e Laurenziana, Ashburnh. 644) e a Monaco di Baviera (Bayerische Staatsbibliothek, Ital. 160), rappresentano le principali messe a punto delle vaste esperienze dello scrittore.

In un confronto fra le seconde, scritte probabilmente intorno agli anni 1470, e la prima, elaborata qualche anno più tardi, notiamo come gli argomenti, all'interno di ciascuna abbastanza disorganici, siano spesso complementari e talvolta si intersechino o si ripetano: in ambedue si passa da uno stile ad elenco di estrema essenzialità ad un linguaggio vivo che sfocia nella crudezza, sempre egocentricamente sostenuto. Le Memorie autografe giacenti nella Biblioteca nazionale di Firenze sono invece una raccolta di temi disparati: ciascuno scritto è intitolato e piegato come una lettera e tutti sono uniti insieme.

Accennando alle notizie storiche più originali ed inedite tramandate dal D. nella Cronaca, è doveroso cominciare dalle pagine dedicate all'espansione di Maometto II a danno soprattutto dei Veneziani, dalla conquista di Costantinopoli fino al 1480. Dal Pagnini nel XVIII secolo al Babinger nel '900 si sono utilizzati riferimenti all'argomento, soprattutto riguardanti il presunto dialogo del D. col "gran turco" sulla potenza dell'Italia. La descrizione di Firenze, nel 1472 e specialmente la parte urbanistica, ha attratto l'attenzione di cronisti e storici, tra i quali il primo fu B. Varchi nella cinquecentesca Storia fiorentina. Essa tratta, spesso con enfatico nazionalismo, della struttura politica, amministrativa e finanziaria della città, della magnificenza delle possessioni, delle casate e delle botteghe; con crude cifre e denominazioni precise vengono inoltre letteralmente misurati il quartiere di S. Spirito, il duomo e la chiesa di S. Croce, mentre le feste e le rappresentazioni sono enumerate e datate. Le Memorie della Biblioteca Riccardiana integrano, prevalentemente con spogli elenchi, la descrizione precedente, fornendo informazioni su monasteri, poste del catasto, artigiani e artisti, mercanti fiorentini ed altri ancora.

Per la conoscenza della cultura letteraria del D. sono utili i riferimenti nella Cronaca a sonetti e ternali (Pisani, Un avventuriero del'400, pp. 69 ss.; Orvieto, Pulci medievale, pp. 13 ss.), mentre le tracce dei viaggi si ritrovano sia in capitoli organizzati, sia nelle pagine dedicate a città come Milano, Venezia, Genova (Cronaca) e Roma (Memorie). Peraltro la Cronaca è costituita da notizie e considerazioni di carattere prettamente storico: dalle guerre intraprese da Firenze (1400-1472), organicamente sistemate, alle vicende fiorentine, italiane ed europee degli anni 1470-77, schematicamente concise, per finire con una sintetica storia di Firenze fin dalla nascita di Cristo ("Fioretti e ricordi d'anni 1473"). A tal proposito esiste nella Biblioteca comunale di Siena, in un codice miscellaneo, una elaborazione più tarda di storia fiorentina, che centra l'attenzione specialmente sugli anni 1482-83.

L'altro polo della produzione del D. sono le lettere (cfr. Orvieto, 1969, che pubblica anche trentaquattro lettere del D.) da considerare non tanto per il loro valore letterario, ma in quanto rivelatrici del carattere, degli spostamenti e delle attività del personaggio, nonché dello sviluppo, all'interno della totalità di esse, da epistolario familiare e privato a sistema di informazione pubblica, ormai senza un preciso destinatario. Nell'arco di circa quarant'anni (al momento non si conoscono lettere del D. precedenti al 1456, mentre l'ultima sembra essere del luglio 1492) sono pervenute a noi più o meno duecento lettere autografe, mentre più del doppio sarebbero quelle a lui indirizzate: la loro geografia spazia dall'Archivio di Stato di Firenze, preponderante in questa distribuzione, e da altre biblioteche fiorentine come la Laurenziana e la Nazionale, all'Archivio statale di Mantova, dalla Biblioteca Vaticana alla Biblioteca nazionale di Parigi. Mittenti e destinatari compongono una rosa delle più note casate fiorentine come Medici, Pitti, Corsini, Portinari, Capponi, Martelli, Sassetti, Guicciardini, e delle più importanti Cancellerie principesche dell'Italia settentrionale quali Milano, Ferrara, Mantova.

Riguardo alle edizioni degli scritti del D., si deve rimandare a F. Pezzarossa, La tradizione fiorentina della memorialistica, in La memoria dei mercatores, Bologna 1980, per un inventario dei frammenti e passi tratti dalle sue opere, pubblicati entro il 1980. Brani riportati dalla Cronaca sono contenuti in G. F. Pagnini, Della decima e di varie altre gravezze imposte dal Comune di Firenze..., Lisbona-Lucca 1765-1766, I, 3: Una lettera mandata a' Viniziani, pp. 235-45; e Merchanti fiorentini che sono nelle forze e terre della maestà del re di Francia, pp. 304-307. Indi in M. Pisani, Un avventuriero del Quattrocento... (1923), in appendice, e in G. C. Romby, Descrizioni e rappresentazioni della città di Firenze nel XV secolo, Firenze 1976, pp. 43-53. Infine, a Firenze nel 1984, è stata pubblicata la Cronica integrale, a cura di R. Barducci.

Numerosi commenti, copie ed estratti, soprattutto della Cronaca, fiorirono nel '500, per affievolirsi lentamente nei secoli posteriori; soltanto alla fine del sec. XIX, ad opera di Ludovico Frati, si riconcentrò interesse sullo scrittore e viaggiatore fiorentino, un interesse che da allora non ha più soluzione di continuità.

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D. nella Medicea Laurenziana, in Riv. delle biblioteche e degli archivi, XXV [1914], pp. 137-56; XXVI [1915], pp. 148-56; XXVII [1916], pp. 133-44; XXVIII [1917], pp. 110-20; XXIX [1918], pp. 128-50); Ibid., Bibl. nazionale, Poligrafo Gargani, 709; Ibid., Magl., XXV, 60; Magl., IV, 36; Ibid., Fondo nazionale, II, II, 147; 11, 11, 333; 11, 1, 394; Ibid., Biblioteca Riccardiana, Ricc. 1853; Arch. di Stato di Mantova, XXXVIII, 3, b. 1102; Bibl. Ap. Vaticana, Vat. lat., 9063; Siena, Bibl. comunale degli Intronati, ms. I.VI.35; Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Ital. 160; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, Firenze 1838-41, pp. 102-07; G. Vasari, Le vite, a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1879, p. 266 n. 1; R. [Maffei] Volterrano, De geografia, Basilea 1544, p. 50; P. G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 92; G. M. Crescimbeni, Comm. alla storia della volgar poesia, Venezia 1730, II, 2, p. 280; G. F. 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