NUCCI, Benedetto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NUCCI, Benedetto

Stefano De Mieri

– Nacque a Gubbio intorno al 1516 da Baldantonio di Nuccio dei Nucci. La data si ricava da un documento del 1550 in cui si legge che il fratello del pittore, Nicola, nel 1536, aveva messo a bottega Benedetto, di venti anni, presso Giuliano Presutti a Fano (Boiani Tombari, 1984), per 18 mesi. Prima di questo incontro è probabile che Nucci fosse stato allievo di Pietro Paolo Baldinacci, del quale nel 1535 aveva sposato la figlia Orsolina (Cece - Sannipoli, 1998, n. 5, p. 14). Infondata è invece la notizia riportata da Ranghiasci (1791) di un discepolato presso Raffaellino del Colle.

Definito da Giovanna Sapori, sin dal titolo di un suo scritto (1981), «artigiano devoto», Nucci ebbe una lunga carriera con risultati spesso modesti, pur rimanendo esponente di spicco della pittura a Gubbio del secondo Cinquecento, grazie alla sua complessa cultura, legata a componenti marchigiane e tosco-romane.

Uno dei suoi primi lavori potrebbe essere lo stendardo della Madonna della Misericordia custodito nella omonima chiesa di Cagli, dove affiorano palesi tangenze con lo stile di Giuliano Presutti (Storelli, 1992, p. 19). Del 1540 è invece la tavola con l’Adorazionedella Croce, firmata e datata, nell’ex refettorio di S. Francesco a Gubbio; in essa Sapori (1981, pp. 103 s.) ha evidenziato sia alcuni elementi rinvianti a Timoteo Viti, sia affinità con i Morganti, Presutti, Durante Nobili. Aspetti questi ultimi che dichiarano l’appartenenza di Nucci all’area culturale marchigiana.

Nel 1539 ebbe inizio un intenso rapporto con la confraternita dei Bianchi di Gubbio, che gli commissionò palii, tabernacoli e altri perduti arredi (Cece - Sannipoli, 1998, n. 5, pp. 14 s.; n. 6, pp. 13 s.). Un altro contesto col quale Nucci intrattenne un rapporto destinato ad accompagnare la sua intera carriera fu il duomo eugubino. In particolare, nel biennio 1549-50, in occasione dei lavori promossi dal vescovo Marcello Cervini, futuro papa Marcello II nel 1555, insieme a Baldinacci, eseguì la decorazione pittorica della cantoria e dell’organo acornu epistulae. Sugli specchi lignei della cantoria sono dipinti Scene dell’infanzia di Cristo, Santi, Profeti e Allegorie, mentre sull’organo compaiono Allegorie, forse di Baldinacci, e grottesche senz’altro di Nucci (Mariucci, 2001, pp. 96-99). Alcuni studiosi ascrivono a Benedetto anche le simili figurazioni sulla cantoria dell’organo a sinistra (Storelli, 1992, pp. 28-35). Sempre per il duomo, nel 1557, Nucci firmò la decorazione a finta tarsia con candelabre e grottesche sulle spalliere degli stalli lignei del seggio dei Magistrati.

In questi stessi anni pure le altre chiese di Gubbio accolsero numerose pale d’altare dell’artista, generalmente su tela. Si passa dal Battesimo di s. Agostino in S. Ambrogio (1550) alla Madonna col Bambino e santi (1553) nel coro di S. Marziale, dalle tavolette con Storie di s. Secondo nella Raccolta d’arte della canonica di S. Secondo alla Madonna col Bambino e santi (1556) della Pinacoteca comunale, verosimilmente proveniente dal monastero di S. Cecilia. Queste ultime opere rivelano suggestioni raffaellesche, mediate senz’altro da Raffaellino del Colle, allievo di Sanzio, attivo anche a Gubbio.

Nelle Storie di s. Benedetto affrescate da Raffaellino in S. Pietro «le memorie dell’atelier di Giulio Romano», immesse in «una narrazione ampia e colorita, rinnovatasi soprattutto nel rapporto con Vasari, poterono agire da stimolo nel lento processo di formazione della pittura del Nucci» (Sapori, 1981, p. 105).

Ai primi anni Sessanta data una delle sue opere più rilevanti, l’Invenzione della Croce un tempo nella chiesa dell’ospedale degli Esposti, oggi nella Pinacoteca comunale, contraddistinta da «un’eccezionale trama cromatica» (Storelli, 1992, p. 14), una «descrizione meticolosa» e una grafia incisiva. Al medesimo tempo viene ricondotta pure la Crocifissione nella sacrestia di S. Francesco, in cui è ancora più marcata la resa delle forme in «cifre astratte e ripetibili». E in questo processo di «esasperato formalismo» Nucci è in «sintonia con gli orientamenti di certa pittura umbra attorno alla metà del secolo», in particolare con l’assisiate Dono Doni. Sempre più incalzante in questa fase è la ricerca di «un’arte sacra in cui forma e espressione fanno tutt’uno con la evidenza del soggetto» (tutte le citazioni in Sapori, 1981, p. 106). Lo dimostrano la Pentecoste nella Pinacoteca, proveniente dalla chiesa di S. Spirito (1563), e la impressionante Deposizione del 1562 conservata nel coro del monastero della Trinità, dove il «tono di estenuata contrizione» lascia pensare alla ripresa di un modello più antico, presumibilmente fiammingo (ibid., pp. 107, 113).

Al settimo decennio appartengono inoltre lo stendardo con la Madonna delle Grazie e S. Pellegrino, in origine nella parrocchiale di S. Pellegrino nel territorio di Gualdo Tadino, ora in una raccolta privata (1560-62 circa; Sannipoli, 2003); le tavolette con le scene del Peccato originale e della Redenzione, scomparti della predella di una perduta pala con l’Immacolata in S. Maria Nuova a Fano (1568 circa); la monumentale Incoronazione della Vergine con i ss. Ubaldo e Pietro nell’ex sala capitolare di S. Pietro (1569) e la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista e Ubaldo affrescata sul portale del palazzo dei Consoli (1569 circa).

Nel 1571, con la Vergine e santi nel duomo, commissionatagli l’anno prima da Ottaviano Baldinucci (la cui acuta effigie compare in basso a destra; Bonfatti, 1842, p. 146), il pittore «prova ancora a rinnovarsi […] costruendo un impianto scenico più ampio e articolato». In quest’opera gli «imprestiti da Raffaellino del Colle e da Doni […] si associano a innovazioni che sembrano ispirarsi ai modelli offerti molti anni prima da Daniele da Volterra, Girolamo Siciolante, Battista Franco» (Sapori, 1981, p. 108). Tra i principali impegni della fase più avanzata è possibile ricordare l’Alberodi Jesse della Pinacoteca (1570); il Rosario nella chiesa dell’Assunta a Frontone (1582); la Sacra Famiglia (1583) nel monastero delle Cappuccine di Gubbio replicata da un dipinto di Lorenzo Lotto (Bergamo, Accademia Carrara); il Rosario nel Museo civico di Montebellino (una tela permeata dal fascino lottesco del Rosario di Cingoli); l’Incredulitàdi s. Tommaso del 1589 nel duomo di Gubbio, richiestagli dalla famiglia Gabrielli sin dal 1577 (Bonfatti, 1843, pp. 56-58) e il S. Ubaldo nello stesso luogo (1590 circa).

In questi ultimi lavori Benedetto approda ad una formula espressiva semplificata, talvolta arcaizzante, di schietta impronta controriformistica. Un aspetto quest’ultimo forse alimentato dalla conoscenza di importanti prototipi che allora si potevano osservare nella cattedrale di Orvieto (Cece - Sannipoli, 1999, pp. 30, 32), uno dei massimi cantieri della Controriforma, dove furono all’opera maestri autorevoli quali Girolamo Muziano, Federico Zuccari e Cesare Nebbia.

Nel 1583 l’eugubino fece un primo testamento in cui destinava «tutti li disegni per il suo mestiere della pittura» al discepolo Cesare Andreoli (Bonfatti, 1842, p. 145). Altri esponenti del suo atelier furono Felice Damiani, entrato a bottega nel 1562 (Cece - Sannipoli, 1998, n. 5, p. 18), e il figlio Virgilio Nucci. Nel testamento del 1596 Benedetto è detto privo della vista da tre anni; comunque, di lì a poco sarebbe morto, considerato che in un documento del febbraio 1598 risulta non più in vita (ibid., p. 17).

Fonti e Bibl.: R. Reposati, Della zecca di Gubbio, II, Bologna 1772-73, pp. 463 s.; S. Ranghiasci, Elenco de’ professori eugubini nelle arti del disegno, in G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori…, per opera del p.m. Guglielmo Della Valle, IV, Siena 1791, pp. 348 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, II, Bassano 1809, pp. 131 s.; A. Ricci, Sulle antiche pitture di Gubbio, in Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, XXVI (1827), pp. 353-355; L. Bonfatti, in Memorie originali italiane risguardanti le belle arti, s. 3 (1842), pp. 140-146; s. 4 (1843), pp. 49 s., 56-58; s. 5 (1844), p. 90; U. Gnoli, Pittura e miniatori nell’Umbria, Spoleto 1923, pp. 220-222; G. Sapori, B. N., artigiano devoto, in Arte e musica in Umbria tra Cinquecento e Seicento, Atti del Convegno… Gubbio-Gualdo Tadino 1979, Spoleto 1981, pp. 103-113; G. Manuali, B. N. e il manierismo (riformato) in provincia, in Due interventi di conservazione, 1981-82, n. 1, pp. 26-28; G. Boiani Tombari, in Pittura a Fano 1480-1550 (catal.), Fano 1984, pp. 81 s.; G. Manuali, Un dipinto inedito di B. N, in Esercizi, 1985, n. 8, pp. 30-32; E.A. Sannipoli, Una derivazione michelangiolesca di B. N., in A Gubbio Informatutto, VI (1992), 1, pp. 19-21; E. Storelli, B. e Virgilio Nucci, Todi 1992; F. Cece - E.A. Sannipoli, Documenti su B. N. (1516 circa-1598), in Gubbio Arte, XVI (1998), 5, pp. 13-18; 6, pp. 13-17 (con bibl.); Id - Id., Derivazioni iconografiche in B. e Virgilio Nucci, ibid., XVII (1999), 1, pp. 28-32; 2, pp. 25-29; F. Mariucci, Contributo alla storia dell’arte lignaria eugubina del XVI secolo: l’ornamentazione degli organi monumentali del duomo e di S. Pietro in Gubbio, in L’arte del legno tra Umbria e Marche…, Atti del Convegno… Foligno 2000, a cura di C. Galassi, Perugia 2001, pp. 95-101; E.A. Sannipoli, Sul ritrovato stendardo di B. N. per S. Pellegrino, in L’Eugubino, LIV (2003), 5, pp. 41-44; S. Bracci, in La chiesa di S. Maria Nuova a Fano dalle origini agli ultimi restauri, a cura di G. Volpe - S. Bracci, Fano 2009, pp. 184-188.