Bergamo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Bergamo

Paolo Bertolini
Eugenio Ragni
Pier Vincenzo Mengaldo

. Di questa città, citata nell'insieme dei suoi abitanti, D. fa un breve cenno in If XX 70-71 nel ricordare Peschiera (v.), bello e forte arnese / da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, ed " è questa una reminiscenza delle lotte sostenute da questa fortezza scaligera coi suoi bellicosi vicini. Altra citazione di B. è in Ep VII 22: D., rivolgendosi a Enrico VII, gli fa presente come sia da prevedere la successiva ribellione delle città lombarde: mox alia... Pergami vel alibi retur-gebit, donec huius scatescentiae causa radicalis tollatur, et radice tanti erroris avulsa, cum trunco rami pungitivi arescant.

Una menzione indiretta di B. è nel commento del Lana a Pd XXIX 104-106: nell'illustrare infatti le favole che in pergamo . si gridan quindi e quindi, il commentatore riporta una storiella che ironizza sulla ingenuità dei Bergamaschi. Il fatto che un accenno agli abitanti di B. si abbia proprio in relazione a pergamo è indicativo per il Fiammazzo di un equivoco in cui sarebbe incorso il Lana interpretando pergamo come nome della città.

Questa infatti fino al secolo XV si chiamò comunemente Pergamus.

Situata al centro della Lombardia, ai piedi delle Alpi, allo sbocco delle valli del Serio e del Brembo, nell'antichità B. fu passaggio obbligato della strada imperiale che collegava Padova con Milano, e appartenne alla Gallia Cisalpina. Era stata fondata in epoca coeva, non anteriore, alla comparsa dei Galli nella pianura padana, e questi, infatti, si ritiene fossero i suoi primi abitatori. Si ignora quando e in seguito a quali avvenimenti B. sia divenuto municipio romano iscritto nella tribù Veturia; cristianizzata, vide il martirio di s. Alessandro (278 d.C., secondo la tradizione), divenuto patrono della città, ed ebbe il suo primo vescovo nel sec. IV. Duramente provata dal sacco di Alarico (408), fu quasi rasa al suolo durante l'incursione di Attila (452), tanto che per circa un secolo essa non viene più ricordata dalle fonti, sino all'apparire dei Longobardi in Italia (569). Da questo momento B. acquistò progressivamente una ben precisa fisionomia, mentre il suo peso politico si faceva sempre più ragguardevole, sino a travalicare i ristretti ambiti regionali. Fu infatti centro di uno dei più potenti ducati della monarchia e quindi, dopo la catastrofe del regno nazionale, fu sede di un conte franco. Passata poi con la ‛ renovatio Imperii ' ai sovrani della casa di Franconia, vide il progressivo esautoramento dell'autorità comitale - sempre più decisamente circoscritta al solo territorio rurale - a favore del potere del vescovo e delle magistrature cittadine. Quasi totalmente distrutta a opera di Arnolfo, re di Germania (894), e quindi dagli Ungari (scorcio del sec. IX - inizi del secolo X), la città venne tuttavia ricostruita entro il perimetro delle vecchie mura secondo lo schema classico dell'antico castrum romano. Tra lo scorcio del sec. XI e i primi anni del sec. XII, sostituito il governo comitale con quello consolare retto da consorterie aristocratiche - le fonti menzionano per la prima volta i consoli per l'anno 1110 -, B. consolidò le proprie posizioni, estendendo al contado il suo dominio diretto e partecipando attivamente alle lotte combattute dai comuni lombardo-veneti contro l'imperatore: nel 1167 fu, con Brescia e Cremona, promotrice della I Lega lombarda, che fu giurata a B., e della ricostruzione di Milano. Coinvolta quindi nelle guerre per il predominio sulla Lombardia contro Milano, la città, per la rivalità esistente tra le maggiori consorterie gentilizie, fu travagliata da violente e sanguinose convulsioni interne, che si protrassero sino al sec. XIV, favorendo la penetrazione dei Visconti che, dal 1329 con Azzone, possono considerarsi i suoi veri padroni, anche se non sempre e continuativamente esercitarono tale signoria, ma per il tramite della famiglia Suardi. La signoria di Milano non valse tuttavia a sedare i disordini interni, ai danni dei quali si aggiunsero nelle campagne gli scempi compiuti dalle compagnie di ventura, assoldate dai signori di Milano nelle loro lotte contro i Veneziani. Solo con la pace di Ferrara (19 apr. 1428), in forza della quale passò a far parte della repubblica di S. Marco che le riconobbe un'ampia autonomia e, per i suoi abitanti, la cittadinanza veneziana, con tutti i privilegi che essa comportava, B. godé la pace delle fazioni e il progresso pacifico di un ordinato viver civile.

Bibl. - A. Fiammazzo, Favola bergamasca nel cod. dantesco Grumelli, in " Bull. " VII (1900) 314; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, voll. 5, Bergamo 1959, passim.

Sul finire del secolo XIV B. divenne attivo centro di diffusione dell'opera dantesca, e basterà citarne a prova il nome di Alberico da Rosciate.

Sono attualmente custoditi nella Biblioteca Civica " Angelo Mai " un frammento di codice dantesco (segnatura 9 16/1), contenente i vv. 76-123 del XXIX e 64-111 del XXX dell'Inferno; e un bellissimo manoscritto membranaceo e palinsesto contenente l'intera Commedia corredata dal commento laneo nella traduzione latina di Alberico da Rosciate. Il codice è opera di un non meglio identificato " Petrus de Nibiallo ", che iniziò a esemplarlo per sé " in mense martio die 21... de anno 1402 " e lo terminò " de mense septembris die 7 " dello stesso anno, con ogni probabilità a Bergamo. Alla fine del codice una nota fornisce dati biografici di D. che si scostano notevolmente dai tradizionali: si afferma infatti che D. visse " diebus viginti duobus millibus quingentis sex ", che " decessit in civitate Ravennae Dominicae Incarnationis... die Sanctae Crucis de mense Septembris ", e che avrebbe dunque vissuto " anni sexaginta unus, menses septem, dies tredecim, computato die mortis ". Quasi polemicamente, sembra, la nota precisa infine: " Item potest notari quod eius nativitas fuit anno millesimo ducentesimo sexagesimo kalendis februarii ".

Un altro codice esemplato a B. e restato nel territorio bergamasco fino al XIX secolo, è oggi alla Biblioteca Mediceo Laurenziana (segnatura: Acquisti e doni 218). Cartaceo, in 8°, di carte 136, fu trascritto da un notaio, " Amacristus de Crappis " (c. 126 v; il Batines legge invece " de Trappis "), che afferma di aver terminato la sua fatica il 29 aprile 1390 (c. 130 v: " Scripsi et complevi ego magister de Crappis notarius MCCCLXXXX "). Il manoscritto contiene l'intero testo della Commedia preceduto dalla parte iniziale del commento del Bambaglioli; seguono (c. 127 r) alcune note relative alla vita di D. (tra cui quella che lo dice nato nel 1260, già segnalata nel codice bergamasco della Biblioteca Civica), i capitoli di Bosone da Gubbio e di Iacopo (cc. 128 r - 130 v), la visione di un certo " Strenuus Lodovicus natione francus " (cc. 131 r - 135 v); infine una carta reca varie note di possesso.

A B. fu stampata nel 1752 una bella e rara edizione della Commedia, curata dal Serassi sul testo della Crusca, " con gli argomenti, allegorie e dichiarazioni di Lodovico Dolce ". Il Mazzoleni stampò nel 1821 I sette salmi penitenziali, con testo latino a fronte e note del Quadrio. Nel 1921 infine, per commemorare il VI centenario della morte di D., l'Istituto Italiano d'Arti Grafiche pubblicò un'edizione speciale illustrata (1321 esemplari) della Vita Nuova secondo il testo stabilito dal Barbi.

Bibl. - Batines, Bibliografia 239 e 240; Mostra di codici ed edizioni dantesche, Firenze 1965, 82; Petrocchi, Introduzione 514.

Lingua. - In VE I XI 4 il dialetto bergamasco, inserito nel novero dei turpissimi, da setacciar via preliminarmente (per la nozione dell'innata rozzezza linguistica dei bergamaschi, più tardi divenuta - soprattutto per tramite veneziano - proverbiale, v. anche Fazio degli Uberti Dittamondo III III 98-99 " il Bergamasco... che grosso parla ed è sottil del senno "), è accostato da D. al milanese, e staccato invece dall'affinissimo bresciano e dal cremonese, che vanno in altro gruppo: dunque con imperfetta messa a fuoco dell'opposizione tra dialetti lombardi occidentali e orientali. Dello specimen che caratterizza le parlate milanese e bergamasca, Enter l'ora del vesper, / ciò fu del mes d'ochiover (il Marigo accetta dal manoscritto Berlinese la lezione occhiover, ma è senz'altro preferibile la variante con una sola c data dal Grenoblese e dal Trivulziano), sembra condurre verso B. la scrizione dell'ultimo vocabolo, se -ch- sta intenzionalmente (ma non è affatto sicuro) per c palatale, esito lombardo di -ct-: grafia documentata nelle antiche scritture della Lombardia orientale, non in quelle di Milano, che rappresentano di norma tale esito con -g-. V. MILANO.

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