CLAVAREZZA CIBO, Bernardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

CLAVAREZZA (Clavarizia) CIBO, Bernardo

Maristella Cavanna Ciappina

Nacque a Genova, probabilmente nel 1560, da Leonardo fu Bernardo e da Pomellina Campanaro.

Il padre morì verso la fine dello stesso 1560, e nel suo testamento, aperto il 26 novembre, nomina crede il C. e distribuisce benefici anche alla moglie e a una figlia già adulta, Franceschetta, allora moglie di Bartolomeo Gentile Costa, e alle figlie di lei Lucietta e Barbaretta, nonché al figlio illegittimo Giacomo Merlasino. I Clavarezza, che erano scesi a Genova verso il 1380 dal paese di Savignone, nell'Appennino ligure, avevano ricoperto cariche pubbliche, specie come Anziani della Repubblica. Perciò, nel 1528, grazie a un certo prestigio e a una discreta ricchezza, furono ascritti alla nobiltà e aggregati all'"albergo" del Cibo.

Il C. ricevette l'educazione tradizionale dei giovani patrizi genovesi, affiancando allo studio delle lettere la disciplina delle armi. Ascritto alla nobiltà, si sposò nel 1584 con Geronima De Franchi, appartenente ad una famiglia ricca ma di recente nobiltà; dal matrimonio non nacquero figli. Poco più che trentenne, il C. venne mandato a Savona come commissario di quella fortezza. Tornato a Genova, venne addetto all'ufficio dei Cambi, e poi a quello dell'Annona e a quello della Fabbrica della cattedrale di S. Lorenzo. Nel 1600 fu eletto al capitanato di Chiavari e pochi giorni dopo nominato nello stesso luogo commissario contro i banditi, affinché con metodi duri e piena autonomia d'azione sterminasse i malviventi che infestavano quelle contrade. A tale compito il C. dovette rispondere con l'efficienza auspicata dal governo genovese, che in seguito spesso gli affidò incarichi di polizia. Nel giugno 1601, il C. lasciò Chiavari e tornò a Genova perché estratto senatore; in tale carica, però, continuò a dirigere le operazioni contro i malviventi.

Anzi, per sicurezza personale contro i possibili attentati, ebbe ampia licenza di portare armi. A proposito di ciò, i Manuali del Senato registrano, nel 1602, una riunione di lui e di Giorgio Centurione, sotto la presidenza del doge Agostino Doria, per studiare i mezzi più efficaci contro la malavita. In quella riunione il doge li nominò entrambi deputati per lo sterminio dei banditi. E per controllare efficacemente l'applicazione di questa legge nella esecuzione della sentenza contro i banditi, il C. fu anche nominato delegato alla Ruota criminale.

Dal 1603, oltre agli uffici già affidatigli, il C. ricoprì quelli di sovrintendente non solo alla fabbrica della cattedrale, ma anche a quella di palazzo ducale. Il 25 nov. 1604 fu nuovamente estratto senatore ed entrò a far parte dei procuratori della Repubblica; nello stesso tempo fu eletto tra i quaranta capitani urbani e, sempre nello stesso anno, addetto all'ufficio dei Cambi. Al principio dell'anno seguente, il C. ricevette anche l'incarico di raccogliere denaro per l'acquisto di un certo quantitativo di armi; affare che egli concluse brillantemente nel 1606, riuscendo a procurare buoni cannoni alla Repubblica. Nello stesso periodo poté procurare per S. Lorenzo un nuovo orologio da campanile e un nuovo organo.

In questa intensa attività svolta su più fronti risulta evidente la ricerca di prestigio e di appoggi da parte del C. che cerca, con successo, di inserirsi nel novero dei patrizi politicamente più influenti della Repubblica. A conferma dell'aumentato prestigio sociale il C. si fece costruire in questi anni una grande villa in Carignano; villa per la quale si rifiutò di pagare l'imposta dimostrando, in apposito processo, il godimento d'immunità e ottenendo l'esonero del pagamento dal Senato.

Nel 1607, per una coincidenza probabilmente non fortuita, proprio il C., con Federico De Franchi, venne incaricato di studiare un sistema di tassazione per la nobiltà; ma tale incarico non ebbe alcun esito pratico. Nello stesso 1607, proseguendo con l'abituale sistema di cumulo delle cariche, il C. fu anche delegato ai prezzi dell'olio e membro del magistrato di Misericordia; verso la fine dell'anno gli fu pure affidata la reggenza del capitanato di Polcevera e l'incarico di visitare tutte le carceri, per controllare l'efficienza della sorveglianza. Il 20 ott. 1608 ebbe la prima legazione: fu infatti nominato ambasciatore presso il granduca di Toscana per recargli le congratulazioni dellaRepubblica per le nozze del principe ereditario Cosimo con l'arciduchessa Maria Maddalena d'Austria.

Cosimo ebbe modo di complimentarsi col C. per le sue credenziali all'italiana, anziché al modo spagnolo; al che il C., a cui non era sfuggita la sottintesa sottile polemica, aveva quindi ribattuto che Genova seguiva sempre il costume italiano. Pare che il C. fosse stato scelto per questa ambasceria come la persona più opportuna per risolvere il problema dello sconfinamento dei banditi tra Toscana e Liguria, specie in Lunigiana: e un accordo di reciproca consegna venne sottoscritto a Firenze fra le due corti.

Il 9 dicembre il C., tornato a Genova, presentava la relazione ai Collegi. Da questo momento il C. ricopre frequentemente, oltre agli abituali incarichi di polizia, ruoli di mediazione politica: nel 1609, oltre che membro dell'ufficio della Milizia, e nuovamente sovrintendente alle Fabbriche del duomo e di palazzo, fu scelto quale pacificatore in occasione di gravi vertenze sorte tra famiglie nobili. Inoltre, il 14 ottobre, gli furono affidate due missioni da disimpegnare con Giorgio Centurione: la prima, di comporre una lite annosa tra gesuiti e teatini sulla proprietà di alcuni stabili; la seconda, di operare insieme per l'estinzione dei banditi. Nel giugno 1610 il C., estratto senatore per la terza volta, divenne governatore della Repubblica. Durante questa carica, con Ambrogio Doria, attese a combattere il porto d'armi abusivo e alla costruzione di un nuovo fabbricato a mare vicino alla porta di S. Tomaso, per stabilirvi, con relativi magazzini e depositi, il magistrato dell'Abbondanza, recentemente istituito a sostituzione dell'antico Officium victualium. Alla fine dell'anno, assegnato all'ufficio della Moneta, fece coniare nuovi scudi. Nel 1611 attese al magistrato dei Confini, e, con Gerolamo Assereto, alla riforma delle monete e alla determinazione dei prezzi dei cambi; inoltre col doge tenne consulto sugli affari con la Germania, e di nuovo fu inviato al granduca di Toscana, probabilmente non solo per interessarlo all'affare del Finale, ormai acquistato dalla Spagna, ma per studiare insieme le possibili conseguenze del riavvicinamento francospagnolo seguito alla morte di Enrico IV. Nel 1612 il C. fu proclamato sindicatore supremo e contemporaneamente paciere. Nell'aprile dell'anno dopo, nominato commissario militare, prese stanza a Ovada e a Rossiglione per studiare i luoghi, visitare i forti ed esercitare le truppe; nel giugno, il governo avrebbe voluto inviarlo anche a Novi, ma egli, per la prima volta, rinunciò, adducendo ragioni di salute. Quindi, dopo essere stato incaricato con Giovanni Agostino De Marini dei complimenti ufficiali a Filiberto di Savoia, grande ammiraglio del re di Spagna, il 23 apr. 1615 fu eletto doge.

Alla sua elezione, non clamorosa per numero di voti (228 su circa 400) non dovettero essere estranei i timori di una guerra col Piemonte, poi rientrati, ma che proprio il 22 aprile, giorno precedente all'elezione del C., si erano aggravati per la notizia che il duca di Savoia aveva assalito Bistagno, vicino a Ovada. La funzione dell'incoronazione fu celebrata in duomo l'8 giugno 1615 dal vescovo di Ventimiglia, Gerolamo Curlo, chiamato appositamente.

Anche durante il dogato il C. ebbe modo di dimostrare doti di prontezza e decisione, in questioni talora di importanza solo formale, talaltra più difficili e delicate, come quella delle pretese del nuovo vescovo, Domenico De Marini.

Questi pretendeva, per il decoro della sua dignità, di disporre di una corte armata di staffieri con alabarde e spade. La richiesta, respinta come provocatoria e lesiva della sovranità dello Stato da tutti i membri della nobiltà genovese, aveva portato a una situazione molto tesa; ma tutto si risolse felicemente presso la S. Sede grazie alla preziosa consulenza giuridica di Stefano Lasagna e alla prudenza del C., che seppe dominare la situazione.

Più duro e intransigente, anche nei metodi, l'atteggiamento del C. di fronte alle possibili critiche alla classe dirigente: con decreto del Senato, in data 2 sett. 1616, stroncò il nascente giornalismo genovese, nella preoccupazione che tale attività favorisse lo spionaggio.

Tale riferimento al pericolo di spionaggio fu forse suggerito al C. dall'episodio di cui fu protagonista Claudio De Marini. L'informazione che costui (cittadino genovese già esiliato e poi divenuto ambasciatore del re di Francia presso la corte sabauda), tramando contro Genova e la Spagna, aveva tentato di impadronirsi della cifra del re di Spagna, era stata fornita al C., durante la processione dell'ottava di Pasqua, dall'ambasciatore spagnolo dietro impegno del silenzio. Ma il C., redatta una nota dettagliata sull'episodio, il giorno dopo informò i Collegi che, deliberata immediatamente ma non pubblicata la cattura del De Marini, se lo videro sfuggire.

Il 23 apr. 1617 il C. terminò il suo dogato. Entrato subito tra i Procuratori perpetui, il C. fu eletto preside del magistrato di Corsica, carica che mantenne fino al 1620. Quindi divenne preside dell'ufficio delle Milizie. negli anni in cui la rivalità franco-spagnola tornava a insidiare la pace degli Stati italiani. Nel maggio 1623 il C. insieme a Camillo Moneglia era stato inviato a Savona per provvedere alla fortificazione del porto; nel 1625, nella fase di avanzata franco-sabauda, preparandosi Genova alla difesa, nel timore che il nemico passasse dalla Riviera di Ponente, vi furono inviati i contingenti militari più forti e la difesa della zona da Ventimiglia ad Albenga fu affidata al C. e a Giorgio Centurione. Essi non riuscirono ad impedire una pericolosa incursione dei nemici; tuttavia Genova riportò, grazie all'aiuto di Milano, la vittoria definitiva. Tornata la pace e deliberata dal Minor Consiglio la istituzione di un magistrato di Guerra, costituito stabilmente da cinque membri, a sostituzione dell'ufficio delle Milizie, il C. ne fu eletto preside. Nel frattempo disimpegnò altre incombenze, fra cui la trattazione degli affari con la Germania e, con Giorgio Centurione, l'addestramento dei nuovi sindicatori. Col 10 genn. 1627 veniva riconfermato preside del magistrato di Guerra.

Morì a Genova il 27 apr. 1627.

Poiché non aveva avuto figli e gli era premorta la moglie, tutti gli averi del C., eccettuati alcuni legati per beneficenza, andarono all'unica sorella Franceschetta, che aveva sposato in seconde nozze il celebre avvocato Nicolò Baliano, e alle figlie, del suo precedente matrimonio con Gentile Costa.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, mss. 474, c. 251; 477, cc. 235, 311; 478, c. 71; 485, c. 478; Istruzioni e relaz. degli ambasc. genovesi, a c. di R. Ciasca, in Fonti per la storia d'Italia, XIV, Roma 1951, pp. 405 s.; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova, Genova 1836, VI, p. 216; A. Roccatagliata, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1873, pp. 249, 254, sub voce; L. Levati, Dogi biennali della Repubblica di Genova, Genova 1912, pp. 362-375; V. Vitale, Diplom. e consoli della Rep. di Genova, in Atti d. Soc. lig. distoria patria, LXIII (1934), p. 84; Id., Breviario della storia di Genova, Genova 1955, II, p. 129.

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