VILLAMARINO, Bernardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VILLAMARINO , Bernardo

Antonio Musarra

VILLAMARINO (Villamarina), Bernardo (Bernat de Vilamarí). – Figlio di Berenguer de Vilamarí e di Costanza, di cui s’ignora il casato, nipote dell’omonimo ammiraglio della Corona d’Aragona (1403/1411-1463), nacque verosimilmente a Barcellona nel 1462.

La data di nascita si ricava in maniera indiretta dall’epigrafe apposta al monumento funebre collocato nel monastero di Montserrat, andata perduta, la quale, secondo alcune testimonianze, ne datava la morte a 54 anni nel 1516. La raccolta di epigrafi di Gregorio de Argaiz, redatta nel 1677, basata in buona parte sull’opera di Mathieu Olivier, risalente al 1617, riporta la data del 1512. Si tratta, però, d’un errore palese, giacché le notizie riguardanti l’ammiraglio proseguono oltre quest’anno.

Non possediamo informazioni circa la sua formazione, che, tuttavia, dovette contemplare l’apprendimento dei rudimenti della navigazione. Secondo Marin Sanudo, in gioventù, Villamarino praticò la guerra di corsa, esercitandola ai danni dei genovesi. La prima attestazione certa che lo riguarda risale al 1478. Il 19 ottobre prese parte alla spedizione, forte di sette galee e due galeotte, incaricata di scortare a Maiorca Joan Dusai i Durall, futuro viceré di Sardegna (1491-1507). Nell’anno successivo entrò in servizio del re di Napoli. Il 4 settembre fu nominato, inoltre, «capitá general del nostre maritim Exèrcit» da Ferdinando II d’Aragona in sostituzione del cugino defunto, Giovanni de Vilamarí, di cui ereditò, altresì, il feudo di Bosa, in Sardegna, ch’egli avrebbe amministrato – nonostante qualche contrasto con gli ufficiali regi, tesi a limitarne le franchigie – sino alla morte, quando sarebbe passato alla figlia Isabella (v. la voce in questo Dizionario). Il 19 settembre del 1480 il sovrano gli ordinò di portare aiuto a Rodi contro gli attacchi turchi. Nel corso dell’inverno, unitosi alla flotta di Galceran de Requesens, conte di Trivento, prese parte alla crociata di Otranto con una flotta di ventisette galee, quattro fuste, due galeazze e una trentina di legni minori. Entrato in Adriatico, fece scalo a Gallipoli e a Santa Maria di Leuca, risalendo la costa sino a Brindisi con lo scopo di contrastare il traffico ottomano proveniente da Valona.

A quanto pare, fu Villamarino, il 14 agosto del 1480, a informare il governo genovese della caduta della città salentina, come mostra un estratto di una lettera trascritto in catalano nei registri Diversorum dell’Archivio di Stato di Genova, che contiene la richiesta della cessazione delle ostilità tra la Corona aragonese e Genova e l’invito a intervenire congiuntamente.

Spirato il pericolo, Villamarino tornò a dedicarsi alla tradizionale azione di contrasto delle attività marittime genovesi, stringendo, il 10 novembre del 1481, assieme a Requesens, un apposito accordo con la Repubblica fiorentina. Nel giugno del 1482, per volere di Ferdinando II, rientrò in servizio del re di Napoli, prendendo parte, l’anno successivo, a una serie di azioni di corsa ai danni di legni veneziani.

Il 2 giugno 1483, Ferdinando II d’Aragona autorizzò il matrimonio tra Villamarino e Maria de Castre-Pinós i de Salt, che avrebbe servito come aiutante di camera di Giovanna d’Aragona, regina di Napoli; le nozze furono celebrate nel palazzo reale napoletano. Il 31 marzo 1490, Ferdinando domandò a Giovanna di pagare la dote di Maria a Villamarino; il 6 aprile, ordinò al maestro razionale di Sicilia di saldare il debito relativo, dal quale, però, avrebbero dovuto essere scalati 2000 ducati che Villamarino doveva a Gaspar d’Espes, conte di Sclafani. La figlia avuta dal matrimonio, Giovanna de Vilamarí, avrebbe poi sposato, nel 1509, Giovanni de Cardona, marchese di Padula e conte di Avellino, fratello della seconda moglie di Villamarino, Isabel de Cardona, figlia del barone di Bellpuig. Incerta, invece, è la data di questo secondo matrimonio collocabile nell’ultimo decennio del secolo, giacché la donna, avendo tra i 20 e i 25 anni, necessitò del fratello Ramon come procuratore. Dall’unione nacquero due figlie: Anna, morta a 13 anni, sepolta con il padre nell’abbazia di Montserrat, e Isabella, principessa di Salerno, sospettata di eresia, la quale, alla morte del padre, avrebbe ereditato il feudo di Capaccio e Altavilla.

Il 16 luglio 1485 Ferrante ordinò al viceré di Sicilia di affidare a Villamarino alcune navi per la difesa del Regno contro i turchi. Il 20 settembre, lo informò, inoltre, d’aver scritto al console dei catalani a Venezia per ottenere il risarcimento dei danni causati a certe galee che l’ammiraglio aveva condotto nello stretto di Messina. Il 25 settembre Ferdinando II esautorò Galceran de Requesens dal comando dell’armata napoletana, affidando a Villamarino la giurisdizione su tutti i regni della Corona d’Aragona. Il 23 dicembre 1486, il sovrano aragonese ringraziò il capitano per il servizio prestato a Napoli. La sua fedeltà fu ricompensata, due anni dopo, mediante la cessione di alcune terre in Sardegna, che la figlia Isabella avrebbe venduto nel 1547 per 9500 scudi d’oro.

L’attività di Villamarino conobbe, a ogni modo, una certa libertà d’azione, talvolta sanzionata dalla Corona. Nel 1490, i genovesi, tramite il duca di Milano, Ludovico Sforza, tentarono di riappacificarsi con il sovrano aragonese. Villamarino si oppose, perseverando nelle depredazioni, in particolare lungo le coste provenzali. Il 26 aprile 1492, Ferdinando II gli ordinò di restituire il bottino catturato dalle galee d’un certo Francí Pastor, che trasportava merce del duca di Calabria per il valore di 3000 ducati. Il 16 giugno gl’ingiunse di non attaccare i vascelli che recavano insegne reali. Il 28 dicembre 1492 arrivò a sospenderlo dall’incarico, reintegrandolo, però, sei mesi dopo e confermandolo nuovamente come capitano generale dell’armata di mare il 20 luglio 1493. Il 30 novembre, tuttavia, lo invitò a restituire il maltolto a un gruppo di pellegrini greci che aveva assalito mentre si recavano a Santiago de Compostela. D’altra parte, proprio allora, il pericolo ottomano tornava a farsi pressante. Il 7 agosto 1492 Ferdinando II invitò l’ammiraglio a mantenersi lungo le coste siciliane, pronto a intervenire qualora l’isola di Malta fosse stata assalita. In tale contesto s’inserisce la collaborazione con la Curia pontificia. Il 21 settembre 1493 il cardinale Raffaele Riario lo menzionò, infatti, come capitano generale della flotta approntata dal papa contro gli infedeli. Il 3 novembre 1493 il sovrano aragonese ringraziò nuovamente Villamarino per i suoi servigi, e, in particolare, per aver permesso a papa Alessandro VI di portarsi a Roma in sicurezza. Sarebbe tornato a ringraziarlo il 14 aprile 1495, per aver recato via con sé la sorella Giovanna prima dell’ingresso a Napoli dei francesi; ciò che si sarebbe ripetuto nel 1501, quando l’intera famiglia reale napoletana fu recata in salvo a Ischia, prima di raggiungere Messina.

Furono, a ogni modo, le complicazioni derivanti dal conflitto tra la Corona aragonese e il Regno di Francia per il possesso del Rossiglione a occuparlo negli anni a venire. La temporanea risoluzione della contesa spinse Ferdinando II, il 25 novembre 1493, a scrivere al capitano, ingiungendogli il rispetto della pace. Il 3 settembre 1496, Ferdinando gli chiese, però, di portarsi a Collioure per sorvegliare la costa di fronte a una possibile rottura dei patti. Il 20 giugno 1497, Ferdinando II comunicò al re di Napoli, Federico I, la volontà di ricompensare il capitano con alcune terre. Il 25 luglio 1502 lo nominò, inoltre, capitano generale della Marina del Levante, concedendogli 1000 ducati come stipendio e altri 1000 per la fornitura di galee. Villamarino, ormai all’apice della propria carriera, fu incaricato di assicurare le linee marittime di rifornimenti per le truppe di Gonzalo Fernández de Córdoba, distinguendosi, nel corso della guerra per il Regno di Napoli, nell’assedio di Gaeta. Nel 1503, combatté contro alcuni gruppi angioini in Calabria; nello stesso anno, dopo aver preso parte vittoriosamente alla battaglia di Cerignola, si apprestò alla difesa dell’isola d’Ischia, assediando, poi, Gaeta.

Come riconoscimento, il 20 giugno 1504, il re Cattolico gli concesse il titolo di conte di Capaccio, trasferitogli dal titolare, Giulio de Scorciatis, assieme a quello di guardiano delle isole e del golfo di Napoli, confermato il 12 settembre 1516 da Carlo V. Nel 1505 prese parte, inoltre, allo scontro di Mazalquivir. Nel 1508 ottenne la tutela di Ferrante, figlio di Roberto Sanseverino, principe di Salerno, e di Marina d’Aragona y de Sotomayor, sorellastra del viceré di Napoli, Joan d’Aragona, e nipote del re.

Il 4 febbraio 1506 partì da Barcellona alla volta di Napoli, assieme con tutta la corte che accompagnava in Italia Ferdinando il Cattolico. Qui si trasferì definitivamente, abitando una casa situata nella piazza di S. Bartolomeo, prospiciente l’omonima strada, ch’era stata di proprietà di Joan Roís de Corella, conte di Cocentaina.

Il 18 giugno 1508 soffocò una protesta causata dalla mancanza di pane. Il 15 novembre propose al Parlamento l’applicazione di una tassa volta a raccogliere 50.000 ducati per la guerra contro i turchi. Tra il giugno e il luglio del 1509 diresse, inoltre, assieme a Dimes de Requesens, un assalto per mare contro alcuni porti veneziani adriatici. Dopo la creazione della Lega di Cambrai ricevette l’ordine di porre le proprie galee al servizio del re di Francia per difendere Genova. Nel luglio del 1510 prese parte alla conquista di Tripoli. L’anno successivo si pose al servizio della Lega santa. Nel 1512 ottenne la conferma dell’ammiragliato di Napoli e la capitania generale delle forze marittime della Corona aragonese; titoli confermati da Carlo V rispettivamente il 25 luglio e il 26 agosto del 1516.

Tra il 24 febbraio 1513 e il 12 novembre 1515 svolse, infine, la funzione di viceré in assenza del cognato, Ramón Folch de Cardona. In questa veste, dovette fronteggiare alcune rivolte, determinate dalla politica finanziaria della Corona e dalla precaria condizione economica del Regno, aggravata dalle spese previste per la Lega. Come tale, rinforzò le difese costiere, così da fronteggiare l’ondata di ribellioni dispiegatasi nelle regioni adriatiche. Nel marzo del 1516 pagò alla chiesa di S. Agostino di Napoli il funerale per il re Cattolico.

Morì verosimilmente il 1° dicembre 1516. Il giorno dopo fu sepolto nella chiesa di S. Maria di Piedigrotta, a Napoli.

Nell’abbazia di Montserrat è possibile ammirare il mausoleo in marmo a lui dedicato. Il suo testamento, redatto a bordo di una galea il 16 settembre 1512, fu aperto e letto il 16 dicembre 1516.

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