POGGETTO, Bertrando del

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

POGGETTO, Bertrando del

Pierre Jugie
Armand Jamme

POGGETTO, Bertrando del (Bertrand du Pouget). – Nato verso il 1280 in una località chiamata Le Pouget (Il Poggetto), borgo del basso Quercy nella diocesi di Cahors, era figlio di Bertrand, cavaliere e signore di quel feudo dipendente dalla baronia di Castelnau-Montratier. Il nome della madre risulta ignoto.

Il blasone dei du Pouget – d’oro con una striscia azzurra, al capo di rosso – è conosciuto grazie a Bertrando. Edmond Albe ha dimostrato che Bertrando del Poggetto non era né il figlio naturale di Giovanni XXII, come talune allusioni del Petrarca e di Villani tendono a far credere, né suo nipote – con il successo de Il nome della rosa, certe false reputazioni sono dure a morire –, ma era forse un parente acquisito del papa per tramite dei Pérarède: Fines, sorella maggiore di Poggetto, era andata in sposa ad Arnaud Bernard I de la Pérarède, un fratello o un cugino del quale avrebbe sposato una sorella di Giovanni XXII. Tra i suoi fratelli, solo il francescano Bernardo, vescovo di Quimper e poi di Nîmes (morto nel 1324), fu al suo seguito con continuità in Italia. Gli si attribuiscono numerosi nipoti, che le fonti del Quercy e quelle vaticane non permettono di identificare nel loro numero completo. Bernard (morto nel 1331) e Pierre de la Pérarède, rispettivamente vescovi di Nîmes e di Mirepoix, Bertrand Tissandier, arcivescovo di Bologna nel 1332, lo furono certamente; i condottieri Etienne du Pouget, Olivier Berald, Pierre e Raymond de la Pérarède, al suo seguito a Bologna, probabilmente lo erano. Ma la rete familiare dei del Poggetto dovrebbe di nuovo essere oggetto di studio.

Non si sa dove Poggetto abbia acquisito il titolo di dottore in diritto canonico a lui attribuito per la prima volta il 7 settembre 1316. Si dovette probabilmente alla confusione con Bertrand de Montfavès, creato cardinale lo stesso giorno, il fatto che Poggetto fosse stato, a torto, ritenuto dottore di diritto civile. Le prime menzioni che lo riguardano, tardive, suggeriscono che la sua carriera sia stata interamente dovuta al favore e alla fiducia di Jacques Duèse, futuro Giovanni XXII. Tra il marzo e il luglio 1309, mentre il suo superiore si trovava presso Carlo II d’Angiò, del quale era il cancelliere, Bertrando fu il suo giudice del tribunale vescovile a Fréjus. Quando Duèse fu trasferito nella sede di Avignone, Bertrando ottenne, in quanto chierico del vescovo, la direzione dell’ospedale Notre-Dame de Pont-Fract (lettera del 16 agosto 1311). Non lo troviamo, come si è creduto nel passato, tra i cappellani di Clemente V, ma – e questo dall’ingresso del papa ad Avignone il 2 ottobre 1316 – tra quelli di Giovanni XXII.

A quei tempi, Bertrando già godeva di numerosi benefici e diversi canonicati a Narbona, Cahors e Le Mans, quest’ultimo con l’arcidiaconato e fece parte del primo gruppo di nomine cardinalizie di Giovanni XXII, che il 18 dicembre 1316 favorì unicamente gli originari del Quercy: con il Poggetto, Jacques de Via, Gaucelme de Jean, ambedue nipoti del papa, e Bertrand de Montfavès, di Castelnau-Montratier.

In Curia, Bertrando aveva iniziato con l’esame delle richieste sottoposte al papa dai «poveri sacerdoti»; divenuto cardinale con il titolo di S. Marcello, ricoprì la funzione di reggente della Cancelleria, portando pure il titolo di vicecancelliere pontificio durante la nunziatura in Inghilterra di Gaucelme de Jean (17 marzo 1317 - 5 novembre 1318). In seguito a questa carica competeva a lui, tra l’altro, l’esame dei candidati alla carica di notaio. La rapidità della sua carriera, la fiducia accordatagli dal papa, le sue competenze in materia giudiziaria, spiegano perché egli sia stato tra le vittime del tentativo di avvelenamento e di stregoneria, ordito tra il novembre 1316 e l’inizio del marzo 1317 da parte del vescovo di Cahors, duramente criticato per la gestione finanziaria della sua diocesi e per la sua condotta scandalosa. Sebbene sostenuto dai guasconi, onnipotenti durante il pontificato precedente, Hugues Géraud fu deposto il 9 aprile 1317, condannato il 31 agosto e poi bruciato. Bertrando assistette dopo alla prima fase dell’interrogatorio condotto nei confronti di Robert Mauvoisin, arcivescovo di Aix, accusato di appropriazione indebita e ricorso alla magia.

Il fallimento della missione di pacificazione da Bernard Gui e Bertrand de la Tour (1317-18) indusse Giovanni XXII ad affidare a Poggetto – uno dei suoi collaboratori più stretti, con una vasta esperienza in procedure giudiziarie – una legazione in Italia. Nominato il 23 luglio 1319 legato per la Lombardia, la Toscana, la Sardegna, la Corsica e lo Stato della Chiesa, egli ricevette però ufficialmente il suo incarico solo a maggio-giugno 1320 e partì alla volta del Piemonte nel mese di luglio, una volta assicuratosi il sostegno militare del re di Francia. La durata del suo incarico di legato, circa quattordici anni, lascia intendere l’esistenza di scambi regolari e segreti – «non sappiamo se Bertrando ispirò o applicò la politica di Giovanni XXII», osservò Bernard Guillemain (1962, p. 236) – al fine di adattare la sua azione, che appare di fatto divisibile in tre fasi.

Dopo essere stato tradito dalle truppe comandate dal futuro Filippo VI di Valois (agosto 1320), Poggetto, su ordine di Giovanni XXII, diede inizio ad Asti (dove si era stabilito, mentre si intensificavano i contrasti destinati ad accrescere in modo significativo il dominio angioino in Piemonte) a nuove iniziative contro Matteo Visconti. Dopo il lancio di una crociata contro il signore di Milano e i suoi alleati, Bertrando si stabilì a Piacenza a fine novembre 1322. Egli poteva così coordinare l’azione di forze disparate, rafforzate dai contingenti misti che avevano conquistato Monza per tentare, nel giugno 1323, di impadronirsi di Milano. Gli intrighi diplomatici di Ludovico il Bavaro, i dissensi, le epidemie, costrinsero il suo esercito a ritirarsi a Monza. Nel febbraio 1324 le truppe del legato papale subirono però una grave sconfitta a Vaprio d’Adda, che portò qualche mese più tardi alla perdita di Monza e rese necessaria la richiesta di nuove truppe e di nuovi finanziamenti da Francia e Spagna.

In un secondo momento, pur continuando la lotta contro i Visconti e i loro alleati in Lombardia e sostenendo militarmente Firenze e gli Angioini sconfitti ad Altopascio, Poggetto intraprese la conquista di castelli e città emiliane di cui si fece concedere la signoria (oltre alla piemontese Alessandria nel mese di aprile 1323, si trattò di Piacenza nel maggio 1323, Parma e Reggio nel settembre e ottobre 1326), con il chiaro disegno di costruire una sorta di raccordo tra i domini piemontesi degli Angioini e la Romagna pontificia. Nel febbraio del 1327, divenne inoltre signore di Bologna, cosa che favorì la sua elevazione al rango di cardinale vescovo di Ostia il 18 dicembre successivo. Tuttavia, egli non fu in grado di impedire il passaggio in Toscana di Ludovico il Bavaro, il quale riuscì ad arrivare a Roma per incoronarsi imperatore.

Con l’intervento del re di Germania, la macchina congegnata da Bertrando si inceppò: a partire dal 1328 la sua missione conobbe gravi battute d’arresto. I suoi metodi autoritari richiesero l’intervento papale, che da Avignone negoziò direttamente con le élites politiche lombarde condizioni di sottomissione che al livello locale assunsero forme specifiche. Giovanni XXII aveva intenzione di trasferire la sua corte a Bologna e Poggetto iniziò nel 1330 la costruzione di un palazzo fortificato, che non rappresentava in alcun modo una tappa verso il ritorno della Sede apostolica a Roma, come credeva Petrarca, ma piuttosto il perno intorno al quale si sarebbe dovuto costituire un nuovo tipo di sovranità nell’Italia settentrionale. Realizzato alla periferia della città, senza dunque sovrapporsi in maniera schiacciante agli edifici simbolo dell’identità comunale bolognese, esso doveva rappresentare il vivido testimone del concetto guelfo di Respublica Christiana sotto protezione pontificia. Sebbene Giovanni XXII avesse fatto appello al re di Francia e avesse infine trovato un accordo con il re di Boemia Giovanni I di Lussemburgo, il quale si era impadronito senza incontrare una forte resistenza, tra il dicembre 1330 e il maggio 1331, di una dozzina di città della pianura Padana, solo il seggio apostolico avrebbe dovuto essere il beneficiario di questa politica, progettata infatti in seno alla Curia nell’ultimo terzo del XIII secolo. L’accordo tra il papa e il re di Boemia aveva sancito un cambio di orientamento della legazione di Poggetto che non aveva rinunciato a difendere le proprie posizioni in Emilia e in Lombardia e pare fosse personalmente favorevole a una sovranità diretta della Chiesa nel Nord Italia. Nel 1331, Bertrando divenne inoltre rettore di Romagna e della Marca di Ancona. Le sue truppe conquistarono Forlì e Forlimpopoli e il 18 marzo 1332 presenziò la riunione del Parlamento di Romagna a Faenza; la Marca fu governata per delega.

Non appena però l’accordo tra il papa e il re di Boemia fu noto in Italia, guelfi e ghibellini si riunirono in una lega antipapale. Alla ricerca di una vittoria che gli avrebbe permesso di riaffermare il proprio controllo politico e conquistare l’ultima delle grandi città del Nord dello Stato della Chiesa, Bertrando vide il suo esercito, comandato dal conte d’Armagnac, sbaragliato dagli Estensi nei pressi di Ferrara (aprile 1333). Le città della Romagna si ribellarono una dopo l’altra contro i suoi delegati. Il 17 marzo 1334 fu la volta di Bologna, che fu costretto ad abbandonare undici giorni dopo in condizioni umilianti.

Questi ultimi anni di governo apparentemente tirannici entrano in contraddizione con le numerose deditiones cittadine di cui Bertrando era stato in precedenza destinatario. Per conquistare le città emiliane, il ‘metodo del Poggetto’ pare si basasse su un accordo preventivo con i maiores (a Parma il caso è evidente) e poi, per consolidare l’autorità, su una lotta contro le fazioni accompagnata da riforme fiscali a favore del popolo e da un forte investimento personale nel governo quotidiano delle città. «Sapientissimus et magnanimus homo fuit», precisa uno dei compilatori degli Annales Caesenates (2003, p. 107). Ciononostante, con i fallimenti militari, e di conseguenza con l’aumento della pressione fiscale, gli effetti della sua politica furono annullati e tanto i maiores quanto il popolo si rivoltarono contro il legato papale. Tutto sommato, i metodi politici che Poggetto adottò furono quelli signorili e la sua legazione contribuì di conseguenza a rafforzare a livello locale il processo di trasformazione dei regimi comunali in signorie, avviato ben prima del suo arrivo nella penisola italica.

Bologna rimane comunque nella storiografia il simbolo emblematico di un fallimento del progetto di Giovanni XXII e del suo legato. Fin dal suo insediamento, Bertrando aveva posto in atto una significativa riforma politica e fiscale assieme a grandi lavori di ristrutturazione e di fortificazione che culminarono, dopo l’annuncio del trasferimento della Curia, nella costruzione del palazzo-fortezza di porta Galliera (1330 - giugno 1332). Qui egli trascorse l’ultimo anno e mezzo (ottobre 1332 - marzo 1334) dopo la rinuncia del papa a trasferirsi a Bologna, in una situazione difficile per il risentimento suscitato dal suo governo. Nel palazzo, la decorazione della cappella principale (affidata a Giotto, che ne realizzò gli affreschi – e forse un polittico – nel 1333-34, e a Giovanni di Balduccio, a cui fu commissionata la scultura dell’altare, di un polittico decorato con statuette oggi disperse e delle statue dell’arcangelo Gabriele e di una Madonna dell’Annunciazione poste all’ingresso su alcune mensole) rivela un uomo in grado di attirare al suo servizio gli artisti più in vista. La costruzione del palazzo di porta Galliera favorì lo sviluppo in città di un quartiere curiale dove prelati e cortigiani vennero a investire prima del trasferimento della Curia a Bologna. Specificamente, Poggetto acquistò la proprietà di Alberto Conoscenti e una casa vicina appartenente ai Castelli – area che egli immaginò di collegare direttamente al centro del Comune tramite l’apertura di una nuova strada che attraversasse la città.

Gli anni 1327-34 coincisero a Bologna con un notevole sviluppo delle arti figurative. La città, contrassegnata dall’attività pittorica di Vitale da Bologna, dello Pseudo Dalmasio, e dalla realizzazione del trittico della chiesa di S. Vitale, divenne un primario polo di attrazione (Medica, 2012, p. 41). Di ciò sono ulteriori testimoni i codici miniati, soprattutto giuridici e liturgici: ad esempio, al momento dell’insediamento in città furono commissionati una serie di libri liturgici per la cattedrale (Bibliothèque nationale de France, NAL 2508) affidati al Maestro del Graziano e alla sua bottega, a cui fu ugualmente commissionata la decorazione di una analoga serie di libri della cattedrale di Imola e di un manoscritto per Ugolino Rossi, divenuto vescovo di Parma per volontà del cardinale.

Bertrando riuscì a farsi apprezzare dai competenti docenti universitari. Nel 1328, richiamò dall’esilio lo studioso di diritto civile Rustigano di Ardizone dei Rustigani e nominò il suo collega Iacopo di Belviso in seno alla commissione di redazione del nuovo statuto di Bologna; in particolare ebbe legami con il canonista Giovanni d’Andrea, che si era opposto alla politica di pace con Passerino Bonaccolsi voluta dai bolognesi (gennaio 1326), aveva difeso le posizioni assunte da Giovanni XXII e compiuto per lui varie missioni diplomatiche. Poggetto gli concesse esenzioni fiscali (gennaio 1332), e Giovanni d’Andrea gli dedicò la sua Novella in Decretalium Gregorii IX librum, illustrata da due miniature che lo raffigurano (Biblioteca capitolare di Tortosa, 181, c. 1; Museo civico medievale di Bologna, ms. 4134). Uno dei suoi studenti, il dalmata Nicolas Matafari, divenuto arcivescovo di Zara (1333-67), fece lo stesso con la sua opera principale, un Thesaurus pontificum. Bertrando fece venire dalla Curia otto studenti per seguire gli insegnamenti dei maestri bolognesi, prima di ottenere dal papa nell’ottobre del 1331 l’autorizzazione a istituire un collegio per trenta borsisti – furono in realtà cinquanta – finanziato dalla vendita dei beni confiscati ai ribelli. Nel 1333, convinse il papa della necessità di rafforzare l’insegnamento della teologia presso il convento generale degli eremiti di S. Agostino e conferì a uno di loro, Dionigi da Modena, la licenza in teologia.

A lui fu infine affidato il compito di far condannare e bruciare la Monarchia di Dante, che appoggiava le teorie sostenute dai partigiani di Ludovico il Bavaro e dell’antipapa Niccolò V. Menzionata da Bartolo da Sassoferrato (il quale si trovava a Bologna negli anni 1333-34), presente più estesamente nelle riflessioni di Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante scritto quasi quarant’anni dopo il fatto, il quale aggiunse che il legato aveva cercato di fare bruciare i resti del poeta, questa condanna post mortem non è documentata da alcun atto processuale. Tuttavia, le prove di un attacco alla Monarchia da parte della cerchia intorno a Bertrando e da parte dell’Inquisizione – che sosteneva in particolare il domenicano Guido Vernani, autore del De reprobatione Monarchiae – appaiono inconfutabili.

Lasciata Bologna il 28 marzo 1334, grazie alla mediazione dei fiorentini, Poggetto rientrò ad Avignone via Pisa. Qui fu testimone degli ultimi momenti di Giovanni XXII, il quale gli liquidò tutte le somme ricevute dalla Camera apostolica prima ancora che fossero state ultimate le verifiche sui conti. La scomparsa del pontefice portò comunque a un notevole cambiamento della sua posizione in Curia, indebolita irreversibilmente dalle circostanze del suo ritorno.

La città emiliana restò anche negli anni successivi al centro della vicenda politica di Poggetto. Il 2 gennaio 1338, Benedetto XII pretese la restituzione della signoria alla Chiesa e il risarcimento per gli abusi commessi contro il cardinale. La nomina di Taddeo Pepoli a vicario del papa e della Chiesa nell’agosto del 1340 non fu che un compromesso e ai suoi due figli Clemente VI chiese nuovamente il risarcimento, il 1° maggio 1348, allegando alla sua richiesta l’inventario dei beni sottratti ai servitori del cardinale.

Durante la sua legazione, Poggetto era entrato in contatto con uno dei più ardenti sostenitori della crociata, il veneziano Marin Sanudo, autore del Liber secretorum fidelium crucis. Nel 1323 a Piacenza, nel 1327 e nel 1330 a Bologna, questi aveva invano tentato di fargli condividere le proprie convinzioni ireniche nei riguardi di Ludovico il Bavaro con l’obiettivo di promuovere quella pace generale indispensabile per il successo di tale impresa.

Ad Avignone, Bertrando prese parte ai negoziati e in particolare a un incontro di alcuni re e cardinali presieduto da Benedetto XII all’inizio del marzo 1336 nella grande sala di una residenza cardinalizia avignonese: è stato trovato lo stemma di Poggetto dipinto sul fregio che circonda la porzione superiore del salone. Sembra però che Froissart abbia fatto confusione affermando che Bertrando avesse «preso la croce» in quell’occasione (Zacour, 1960, pp. 18-19).

Dopo il suo ritorno in Curia, furono soprattutto la sua competenza in materia giudiziaria e la conoscenza della politica italiana a essere messe a frutto. Fu chiamato a giudicare numerosi casi di eresia: nel 1336 contro il fraticello Guglielmo da Castiglione della Pescaia, nel 1338 contro l’apostata fiorentino Iacopo Donati, nel 1339 contro il servita Pietro da Todi. Alla fine del 1337, Benedetto XII affidò a lui, a Pierre des Prés e ad Annibaldo da Ceccano il compito (concretizzatosi solo nel 1341) di rivedere l’inchiesta relativa all’accusa di eresia contro Matteo e Galeazzo Visconti.

Nel 1343-44 Poggetto ebbe la supervisione, su richiesta del re di Boemia (il futuro imperatore Carlo IV) che aveva conosciuto in Italia, dell’istituzione di una nuova provincia ecclesiastica con Praga come città principale. Sempre nel 1344, gli fu affidata la missione, assieme a Gui de Boulogne, di negoziare la pace tra il doge di Genova, Simone Boccanegra, e i Grimaldi, irrequieti signori di Monaco. Nel 1348, fu incaricato da Clemente VI insieme con i cardinali Guillaume d’Aure e Gaillard de la Mothe di indagare sull’omicidio di Andrea d’Ungheria e sulle accuse rivolte alla regina Giovanna e a Luigi di Taranto. All’inizio del mese di agosto 1350, il papa gli chiese di scrivere al doge di Genova per ottenere la liberazione degli ostaggi consegnati dalla regina di Napoli come garanzia della cessione di Ventimiglia. In seguito gli fu conferita l’autorità di raccogliere assieme al cardinale Étienne Aubert (il futuro Innocenzo VI) le somme necessarie a finanziare la guerra guidata dal rettore di Romagna Astorge de Durfort per la riconquista di Bologna (16 settembre 1350).

Bertrando risulta in questi anni sempre presente ai Concistori, senza peraltro che si abbiano notizie dei suoi scritti e della sua oratoria, a eccezione del sermone pronunciato domenica 27 febbraio 1345 nella cappella edificata da Benedetto XII sul tema Erat Jhesus demonium eiiciens, nel quale fa dei cardinali i successori degli apostoli, ma soprattutto sottolinea la necessità di una riforma della Curia e la promozione della crociata. Sembra che egli abbia spesso cambiato residenza ad Avignone prima di stabilirsi presso la cosiddetta livrée d’Auch, probabilmente perché visse per lo più a Villeneuve vicino al castello St-André, in un palazzo nel cui ingresso è ancora visibile il suo blasone, oppure a Roquemaure, dove aveva fondato una collegiata nel 1329.

Bertrando morì il 3 febbraio 1352, dopo un’agonia durata due giorni di cui Petrarca diede notizia in una lettera a Filippo Cabassole. Abbandonando i toni taglienti delle prime invettive contro questo «novello Annibale in marcia alla testa delle sue legioni per conquistare le terre italiane», il poeta rese allora omaggio ai suoi meriti, sostenendo che la sua vita era stata «troppo breve per il bene pubblico» (Fam., XII, 6, 8).

Dopo il funerale, tenutosi probabilmente nella chiesa del convento dei francescani di Avignone, Poggetto fu sepolto presso Le Pouget nel coro del convento delle clarisse di St-Marcel da lui fondato nel 1321 e riccamente finanziato a favore di una delle sue sorelle. Solo il gisant acefalo della sua tomba, decorato con il suo blasone, resta ancora oggi presso il comune di Castelnau-Montratier. La sua biblioteca, ora dispersa, passò in parte nelle mani dei suoi pronipoti, Bertrand Meissonier, vescovo di Apt e successivamente di Napoli, e Arnaud-Bernard de la Pérarède, patriarca di Alessandria, prima di essere restituita al convento delle clarisse di St-Marcel.

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