ULICIANI, Bettino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

ULICIANI, Bettino

Cristian Bonomi

ULICIANI (Ulciani, Ulizani), Bettino (Bettino da Trezzo). – Nacque negli anni Quaranta del Quattrocento a Trezzo sull’Adda; la madre aveva cognome Santi, come egli stesso dichiara nell’unica sua opera pervenutaci: la Letilogia (I, vv. 45-47), incunabolo stampato a Milano nel 1488 dal parmigiano Antonio Zarotto.

In rapporti con il priorato cluniacense di San Benedetto in Portesana, «Iacobum Ulizanum de Tritio» testimonia a Trezzo il cognome paterno di Bettino già nel 1264 (San Benedetto in Portesana, 1989, pp. 93-95); anche il casato materno Santi ricorre largamente nei documenti trezzesi tra XIII secolo e 1609 (ibid., pp. 145 s.). Figlio di Giovanni, il notaio Giacomo Uliciani da Trezzo è attestato a Brescia nel 1437 (Leno, Archivio storico del Comune, Inventario, 43). La famiglia esercitò tradizionalmente il notariato se ancora a Trezzo Ambrogio Uliciani fu notaio dal 1482, appuntando nella sua rubrica la morte del padre Bartolomeo, qui occorsa il 23 dicembre 1483 nel castel vecchio (Archivio di Stato di Milano, Atti dei Notai in ordine alfabetico, 56). La nascita di Bettino si colloca in seno a questa stirpe, che esprimeva ancora possidenti nel 1558, quando Francesco e Dionisio Uliciani risultavano cittadini milanesi ma tenevano proprietà a Trezzo (Milano, Archivio storico civico, Famiglie, 1517).

Nella Letilogia Uliciani lamenta la recente scomparsa di Gaspare Santi, «caro mio cusino et preceptore / poeta novo a Trezo et oratore» (VIII, vv. 1033-1036). Malgrado il rustico equilibrio delle sue quartine, Uliciani declina una grammatica evoluta (Serianni - Trifone, 1994, p. 203), cui non sembra estranea l’influenza del cugino Santi, autore di due carmi latini nel codice Trivulziano 751 (Motta, 1902, p. 119). In lingua latina Uliciani ha compilato la dedica in testa alla Letilogia con parole e modi in cui risuona l’eco di Catullo e Marziale (Baldini, 1973-74, p. VIII). Nell’opera l’autore allude inoltre a un cugino sacerdote che, vivo al tempo della stesura poetica, fu arcidiacono della cattedrale di Pavia, dottore «in pontificio iure» versato nello studio astronomico (II, vv. 285-320). Il sentimento religioso di Uliciani impronta il canto I del poema a toni quasi da omelia mentre, in calce all’opera, l’autore volgarizzò Pater Noster, Ave Maria e Salve Regina (X, vv. 303-355). Per tramite del medico Teodoro Guaineri, nel 1486 Uliciani dedicò la Letilogia ad Ascanio Maria Sforza, amministratore apostolico della diocesi pavese dal 1479. Benché nell’opera si definisse «citadin a Millan et a Pavia», Bettino risiedeva infatti in quest’ultima città. Il cardinale accolse l’offerta, rispondendo con i versi latini riportati e tradotti da Uliciani in apertura alla Letilogia.

Scandito in dieci canti per un totale di 6585 versi, il poema ha forma dialogica: l’autore pone quesiti cui la Morte ribatte in persona, descrivendo la peste sofferta tra il 1485 e il 1486 a Milano (canto IV), Pavia (canto V), Lodi (canto VI) e Como (canto VII). La Vergine appare al poeta per rivelargli come l’epidemia colga i peccatori al fine di purificarli; per dirne più ampiamente in versi, Uliciani esclama come solo «la magistra / c’ha fatto ’l maleficio» (II, vv. 57-58) potrebbe sostenerlo nel rammentare la pestilenza. La Morte accoglie l’involontario invito e si para alle spalle del poeta perché questi le ceda la parola. Benché l’ottava fosse ormai diffusa, Uliciani preferì adottare l’anacronistica quartina di endecasillabi rimati ABBA (Dionisotti, 1989, p. 238), recuperando inoltre l’iconografia della danza macabra di gusto tardogotico nei canti III e VIII. Qui l’erudito Uliciani compilò interminabili elenchi di uomini illustri, che sottostarono alla morte malgrado il loro genio.

La lingua è un volgare dotto, pieno di latinismi, termini della tradizione poetica toscana, dialettismi lombardi e persino veneti (Baldini, 1973-74, pp. XVI-XVII). L’oscillazione tra latino e volgare valse all’opera la condanna della critica settecentesca (Argelati, Crescimbeni) finché Uliciani non venne riabilitato in ragione della testimonianza che offriva alla storia linguistica, urbanistica e locale. Nel 1856 Francesco Cherubini trasse dalla Letilogia 45 voci squisitamente meneghine, elencate in supplemento al suo Dizionario milanese-italiano, mentre nel 1902 Emilio Motta annunciò come il canto VII dell’opera costituisse la più antica descrizione a stampa del lago di Como. Il poema di Uliciani ebbe un’unica edizione, nel cui corso il tipografo Zarotto intervenne per ridurre le parti bianche e distribuire meglio l’inchiostro rosso. Si distinguono così esemplari di due tipi: riferiscono al primo quelli conservati presso la British Library di Londra, la Bibliothèque nationale di Parigi, le biblioteche Braidense, Trivulziana e Ambrosiana di Milano, la quale ultima custodisce anche un esempio del secondo tipo. Questo si conserva inoltre presso la Biblioteca nazionale di Napoli, quella Palatina di Parma, la Casanatense di Roma (mutilo) e la Biblioteca capitolare Colombina di Siviglia (Barbieri, 1993, p. 4).

Nella Letilogia Uliani percorre poeticamente le quattro città spopolate dalla pestilenza, raccontando le strade senza bambini, i mercati deserti, i ladri a banchetto nelle case dei morti; ma con devota precisione nomina soprattutto chiese, ospedali e monasteri osservanti. Il poeta indulge nella religiosità popolare: vivace di episodi miracolosi e richiami alla povertà evangelica, la predicazione di figure carismatiche quali fra Michele Carcano (forse citato «Carcanino» nel poema, IV, v. 45) ispirò l’autore (Baldini, 1973-74, pp. XIV-XV). Uliciani chiama per nome i monatti di Lodi (VI, vv. 145-148) e riporta le parole proferite in tedesco dai mercanti di quella nazionalità, che il contagio trattenne a Como (VII, vv. 329-331). Prima di comporre questa minuta geografia della pestilenza, tuttavia, Uliciani elaborò i lutti che egli stesso aveva sofferto; ne narra nel canto II con un passo autobiografico e quasi diaristico, riferito per bocca della Morte (vv. 145-400).

Uliciani ebbe sedici figli, per metà maschi e per metà femmine, tutti affidati a balia «cum grave spesa, ussita de la penna» (v. 346): il 24 aprile 1466 nacque il primogenito, l’ultimogenita l’8 giugno 1484. Undici di costoro morirono prima dell’epidemia; tra i cinque sopravvissuti l’ultima nata ancora in fasce e il primogenito devoto alla Vergine. Il 27 agosto 1485 il poeta partì in pellegrinaggio «cum la Madona a Preda» (v. 161), probabilmente verso la Pietra di Bismantova sull’Appennino reggiano. In Pavia lasciò la famiglia alle cure del suocero. Con il propagarsi del contagio, questi dispose di riparare figlia e nipoti fuori città alla «cassina» presso una vigna oltre il convento eremitano di S. Paolo in Vernavola (v. 178), avvisandone Uliciani che era ancora in viaggio. Il poeta progettava di trasferire tutti a Vistarino, presso Pavia, «dov’era la casetta preparata» (v. 182), ma il 7 ottobre 1485 la pestilenza rapì il primogenito maschio e più tardi l’ultima nata, suscitando le disposizioni di quarantena. La famiglia venne diffidata dall’abbandonare la «cassina»; eppure, «cum astutia e spesa» (v. 190) rientrò a Pavia città il 2 novembre successivo. Il ritorno fu tanto inviso che gli Uliciani soffrirono un tentato avvelenamento e persino minacce d’incendio doloso. Contagiata, la moglie di Bettino giacque a letto un mese ma sopravvisse senza infettare i tre figli superstiti, accuditi dal suocero. Il poeta li visitava segretamente, forte dei contatti che poteva vantare con personalità eminenti di Pavia. Suo amico e «compatre» (v. 234), Giovanni Attendolo conte di Sant’Angelo Lodigiano, detto Bolognino, rifornì la città di generose vettovaglie, soccorrendo nella pestilenza anche una pavese sposata Uliciani. L’arcidiacono, cugino di Bettino, officiava allora l’altare della cattedrale, esponendosi indenne al contagio.

Taluni ipotizzano la scomparsa di Uliciani nel 1490 (Lodi, 1877, p. 149) senza basi documentali, rimanendo l’edizione milanese della Letilogia l’unico atto pubblico noto di Uliciani.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Atti dei Notai in ordine alfabetico, 56; Milano, Archivio storico civico, Famiglie, 1517; Leno, Archivio storico del Comune, Inventario, 43; Milano, Biblioteca Trivulziana, Mss., 751: G. Santi, Carmi latini per l’elezione del nuovo vescovo di Como e in lode di Simone Barberio, c. 76r; G.M. Crescimbeni, De’ comentarii intorno all’istoria della volgar poesia, I, Roma 1711, pp. 296, 310, 312, 322, 324; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, I, p. 290, II, p. 1512; F. Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, V, Milano 1856, pp. 249 s.; L. Ferrario, Trezzo e il suo castello, Milano 1867, p. 126; Lodi. Monografia storico-artistica, Milano 1877, p. 149; E. Motta, La più antica descrizione poetica a stampa del Lago di Como, in Società storica per la provincia e antica Diocesi di Como, LIV (1902), pp. 117-121; A. Caretta, Bettino da Trezzo e la peste del 1485-86, in Archivio storico lodigiano, II (1958), pp. 37-67; G. Baldini, Appunti sulla Letilogia di Bettino da Trezzo, tesi di laurea, Università degli studi di Pisa, a.a. 1973-74; P.L. Cadioli, Valverde, a cura di C.G. Boisio, Trezzo sull’Adda 1980, p. 86; C. Dionisotti, Appunti su cantari e romanzi, in Italia medioevale e umanistica, XXXII (1989), pp. 227-261 (in partic. p. 238); San Benedetto in Portesana, I, Milano 1989, pp. 93-95, 145 s.; E. Barbieri, Una particolarità dell’unica edizione della «Letilogia» di Bettino da Trezzo, in Libri e documenti, XVIII (1993), 1, pp. 1-6; L. Serianni - P. Trifone, Storia della lingua italiana. Le altre lingue, III, Torino 1994, pp. 202-204; C.M. Tartari, Le vie di Trezzo, Trezzo sull’Adda 1994, p. 41; Storia di Milano, VII, L’età sforzesca, Milano 1995, pp. 873, 875; C. Bonomi, B. U. da Trezzo, in Quaderni trezzesi, II (2000), pp. 1-8; S. Brusamolino Isella, «Pavia regal stantia, antiquamente / richa et superba assai...»: l’immagine di Pavia nella quattrocentesca Letilogia di Bettino da Trezzo, in Bollettino della Società pavese di storia patria, CXIII (2013), pp. 69-90.

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