MARINI, Biagio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARINI, Biagio

Franco Piperno

– Nacque a Brescia il 3 febbr. 1594, da Feliciano e da Giulia (forse nata Bondioli), come risulta dall’atto di battesimo conservato nell’Archivio parrocchiale di S. Afra in S. Eufemia (Gibelli, 1970, p. 55; Beretta, 1997).

La data di nascita, documentata in modo inoppugnabile, confligge tuttavia con altri documenti che la collocherebbero fra il 1589 e il 1603 (Iselin, p. 2; Zoni, Introduzione, 2004, p. VI; Fano, 1973, pp. 148-150; Guerrini, pp. 16 s.); tuttavia quest’ultimo anno risulta incompatibile con i primi dati biografici della sua carriera di musicista.

Il M. nacque da una famiglia probabilmente di condizione agiata, come provano alcuni beni immobili posseduti in Brescia. Non si hanno precise notizie sulla sua formazione musicale; puramente congetturale è un presunto discepolato con il violinista bresciano Giovan Battista Fontana. Forse studiò con lo zio Giacinto Bondioli, domenicano e priore del convento di S. Domenico a Venezia, nonché autore di musica sacra concertata pubblicata in diversi volumi; una sua canzone strumentale (La Hiacintina, «del m.r.p.f. Hiacinto Bondioli zio del autore») fu inclusa dal M. nella propria raccolta Affetti musicali… da potersi suonar con violini, cornetti et ogni sorte di strumenti musicali, op. I (Venezia 1617).

Il 25 apr. 1615 il M. fu assunto come violinista fra i «musici salariati» di S. Marco a Venezia con compenso annuo di 15 ducati. L’evento, peraltro coerente con il flusso continuo e costante di musicisti bresciani (in particolare strumentisti) verso Venezia, è conseguente alla nomina (19 ag. 1613) di C. Monteverdi come maestro di cappella della basilica marciana; quest’ultimo, infatti, richiese subito di incrementare gli strumentisti della cappella in servizio stabile. Il posto ottenuto a S. Marco permise al M., allora poco più che ventenne, l’affinamento del suo stile esecutivo e compositivo venendo a contatto con Monteverdi e altri valenti strumentisti e compositori, quali G.B. Bassano, M.A. Negri, F. Barbarino, F. Rovetta, G.B. Grillo.

All’epoca il M. doveva essere già sposato, poiché il 18 febbr. 1617 affidò una procura a un religioso di Bergamo per rappresentarlo in una causa di separazione dalla moglie Pace Bonelli (Miller, pp. 14-16), primo episodio di una vita costellata da ripensamenti, abbandoni e repentini cambiamenti.

Ai primi anni della sua attività a Venezia risale la pubblicazione della prima opera, gli Affetti musicali (la dedica del 25 genn. 1617 lascia aperta la possibilità che si tratti di datazione more veneto, e che dunque il volume debba essere datato al 1618; cfr. Piperno, 1990, p. XIII).

La raccolta, dedicata ai due fratelli stampatori G.M. e T. Giunti, nella cui casa alcuni brani furono eseguiti, comprende 27 brani strumentali a solo, a due e a tre con basso continuo, con varie combinazioni di strumenti (violino, cornetto, fagotto, trombone), anche se prevale nettamente l’impiego del violino; secondo una tradizione tipicamente lombardo-veneta ogni brano ha un titolo ricavato dal cognome di un personaggio o di una famiglia dell’ambiente del M.: si ravvisano facilmente nomi di musicisti (La Monteverde), di stampatori musicali (La Gardana), dei dedicatari (Il Zontino), di famiglie aristocratiche veneziane (Il Vendramino, La Zorzi, La Cornera ecc., soprattutto appartenenti al novero delle cosiddette «case nuove» guidate da giovani votati al rinnovamento della classe dirigente della Serenissima), bresciane (La Martinenga, La Gambara) o di altre città della Terraferma (Bergamo: La Albana; Verona: La Boldiera; Padova: Il Barisone, Il Boncio). Da ciò si ricava l’ampio raggio di relazioni intessute o sollecitate dal Marini. Il volume si fregia coraggiosamente di un titolo, Affetti musicali, di solito associato alla musica vocale, che denota l’intenzione del compositore di conferire alla musica strumentale pari dignità estetica ed efficacia seduttiva di quella vocale. I brani si fondano su sequenze di episodi contrastanti nello stile e nell’agogica allo scopo di sorprendere l’ascoltatore con il continuo rinnovarsi del materiale sonoro. Già in questo lavoro il M. annuncia la propria inclinazione a esplorare e ad ampliare le potenzialità tecniche ed esecutive del violino; nella sonata La Foscarina richiede l’uso del «tremolo con l’arco» ai due violini (nonché allo strumento grave, fagotto o trombone, con la dicitura «tremolo col strumento») mirando a imitare, ricorrendo alla risorsa del vibrato, l’effetto del registro «tremolo» dell’organo.

Al periodo marciano del M. appartengono anche i suoi Madrigali e symfonie a 1, 2, 3, 4, 5, op. II (Venezia 1618) dedicati a Giuseppe Tedoldo Catani maestro delle poste del re di Boemia. Al titolo di «musico della Serenissima», già comparso nell’op. I, il M. aggiunse qui l’indicazione «fra gli Agitati l’accademico Risonante», con cui metteva in risalto l’appartenenza alla comunità intellettuale e dunque agli strati sociali medio-alti della società.

Il volume presenta, accanto a 12 pezzi per strumenti analoghi a quelli dell’op. I, 13 brani vocali e vocali-strumentali nel moderno stile del madrigale concertato, anche anticipando – almeno relativamente alla data di pubblicazione – scelte stilistiche che C. Monteverdi rese pubbliche solo l’anno successivo nel suo Settimo libro di madrigali. Nell’op. II il M. incluse, fra l’altro, un brano a voce sola, «in stile recitativo» (Le carte in ch’io primier scrissi e mostrai), di fatto appartenente al genere della «lettera amorosa» e che pertanto precedette quella pubblicata da Monteverdi nel 1619. Tuttavia nei madrigali concertati del M. permane l’alternanza fra sezioni vocali e strumentali, mentre Monteverdi nel 1619 pubblicò brani in cui sperimentava l’integrazione effettiva tra i due elementi.

È possibile che alcuni dissapori fra Monteverdi e il M. possano aver contribuito all’allontanamento di quest’ultimo dalla Cappella di S. Marco, nel 1620. Da allora il M. entrò in un periodo alquanto movimentato, durante il quale non rimase in nessun posto per più di pochi mesi. Il 25 ag. 1620 firmò da Brescia la dedica a Ludovico Baitello delle Arie, madrigali e corenti a 1, 2 e 3, op. III (Venezia, 1620) qualificandosi maestro di cappella di S. Eufemia e «capo della musica de gli signori Accademici Erranti in Brescia».

La raccolta, stampata in partitura e non più in parti staccate, comprende 17 pezzi vocali e 6 strumentali, fra cui la nota Romanesca per violin solo e basso se piace, uno dei primissimi brani solistici della letteratura violinistica.

Il 1° febbr. 1621 il M. entrò al servizio del duca di Parma Ranuccio I Farnese, con salario mensile di 4 scudi, come «musico e sonator di violino».

Con tale qualifica figura infatti nei frontespizi degli Scherzi e canzonette a 1 e 2 voci, op. V (Parma 1622, dedicata al duca di Mantova Ferdinando Gonzaga) e de Le lagrime d’Erminia in stile recitativo a 1 voce e basso continuo, op. VI (Parma 1623, dedicata al cardinale Alessandro d’Este). L’op. IV, una raccolta di musiche vocali da camera, è perduta, ma è verosimile che risalga a quell’anno come suggerisce G.O. Pitoni, che parla del M. «musico e sonatore di violino del serenissimo duca di Parma; [che] stampò l’ordine 4° delle musiche a 1, 2, 3, 4, 5 e 6, in Venezia per il Gardano l’anno 1622» (Notizia de’ contrappuntisti e compositori di musica, ed. moderna, a cura di C. Ruini, Firenze 1988, p. 232). Le lagrime d’Erminia comprendono anche «alcune ode da cantarsi con termine affettuoso nel chitarrone, clavicordo, o altro strumento simile»; il ciclo utilizza alcune parafrasi tassesche di Guido Casone, mentre il soggetto rinvia a un favola boscareccia posta in scena a Brescia nel 1617 di cui certamente il M. non era ignaro. Lo «stile recitativo» e il soggetto tassesco, inoltre, tornano a evocare Monteverdi, che proprio in quel tempo lavorava al Combattimento di Tancredi e Clorinda eseguito per la prima volta a Venezia nel carnevale 1624.

Il servizio del M. alla corte dei Farnese ebbe termine nell’aprile 1623, forse in conseguenza della morte di Ranuccio I (1622) e del fatto che la vedova, Margherita Aldobrandini, reggente per il figlio Odoardo di 10 anni, decise di rinunciare ad alcune spese voluttuarie.

Poco più tardi il M. entrò al servizio di Wolfgang Wilhelm von Pfalz-Neuburg, elettore palatino e duca dal 1614 con residenza a Neuburg sul Danubio. Alcuni documenti indicano che il M. aveva stabilito contatti con la corte palatina dal 1621 e che, forse, si era già recato a Neuburg: il maestro di cappella della corte palatina, Giacomo Negri, nel 1620 era giunto in Italia per reclutare musicisti e in quella circostanza potrebbero essere stati avviati i primi contatti fra il M. e la corte di Neuburg. Documenti del 1621 – non è chiaro se in previsione di un prossimo arrivo del M. o in seguito a una sua prima presenza a Neuburg – precisano il ruolo che sarebbe spettato al M., come solista e virtuoso di violino, rispetto a quello del maestro di cappella in occasione di «qualche concerto grande», cioè di composizioni strumentali e concertanti che necessitavano una ripartizione di compiti «nel dar la mesura et sonare et metter ben in effetto il concerto» (Clark, 1957, pp. 28-30). Tali documenti attribuiscono al M. il titolo inconsueto di «musico riservato» e il ruolo di «maestro di concerti», ponendolo in posizione di parziale subalternità rispetto a Negri, con il quale dovettero intercorrere rivalità e competizione; al M. fu concesso di provare le proprie musiche con gli esecutori, mentre a Negri spettava «dar la misura» soprattutto in occasione dei predetti «concerti grandi» (ibid.).

A Neuburg, nel novembre 1623, il M. contrasse il suo secondo matrimonio, con Helena Henin, di famiglia aristocratica, dalla quale ebbe almeno due figli, Maddalena (nata intorno al 1627) e Giovanni Nicola (nato intorno al 1630). Al seguito della corte palatina il M. si spostò a Düsseldorf, Stoccarda e Bruxelles. Il 12 giugno 1624 dovette succedere (forse temporaneamente) a Negri nell’incarico di maestro di cappella, dato che con questo titolo compare nel frontespizio dei Concerti a 4, 5 e 6 voci e strumenti, op. VII (Venezia 1634; ma con dedica datata 1° sett. 1624); mentre nelle Sonate, sinfonie, canzoni, passemezzi, balletti, corenti, gagliarde e ritornelliper ogni sorte di stromenti a 1-6 voci, op. VIII (ibid. 1626 o 1629, con dedica del 1° luglio 1626) e nei Madrigaletti a una, due, tre e quattro voci con alcune villanelle nella chitariglia spagnola, chitarrone o altro simile strumento, op. IX (ibid. 1635, con dedica del 1° luglio 1625), tornò a definirsi «maestro della musica da camera». In questi tre volumi il M. si fregia anche del titolo di accademico Occulto, che denota i contatti mantenuti con la madrepatria (gli Occulti erano infatti un’antica accademia bresciana) e l’ambizione a riconoscimenti di natura sociale e intellettuale; l’op. VII è inoltre corredata di 4 sonetti di altrettanti accademici Occulti in lode del M. «celebre maestro di musica». Tali ambizioni furono gratificate dal titolo di cavaliere conferitogli dal duca Wolfgang Wilhelm nel gennaio 1626, che il M. continuò a esibire nei frontespizi delle musiche pubblicate negli anni successivi a partire dall’op. VIII (ma non nell’op. IX, di fatto dedicata nel 1625).

Le tre opere di questo periodo presentano discrepanze fra datazioni delle dediche e dei frontespizi; su alcuni fascicoli di questi volumi alle cifre romane, coerenti con gli anni delle dediche, sembra siano state aggiunte linee al fine di determinare il posticipo di datazione: per l’op. VIII da 1626 a 1629, per l’op. VII da 1624 a 1634 (Zoni, Introduzione, 2004, pp. XIV s.). Non chiare le ragioni di ciò: o si tratta di processi di stampa avviati ma sospesi per interruzione del finanziamento e ripresi solo a distanza di anni, o gli esemplari oggi superstiti sono ristampe di originali perduti, rimessi sul mercato con semplice modifica della data di impressione. Resta il dato oggettivo di una produzione che le dediche dichiarano appartenere al periodo di Neuburg e gli esemplari esistenti testimoniano essere apparsa (o riapparsa) a stampa quando il M. aveva già lasciato la corte palatina.

L’op. VII, dedicata a Wolfgang Wilhelm, comprende madrigali di genere concertato e include testi di lamento e di partenza di sapore monteverdiano; il prestigio della cappella palatina di cui il M. fece parte è testimoniato dalla complessità e dalla ricercatezza di brani come i «concerti» per 6 voci e 6 strumenti, fra i quali La bella Erminia, sconsolata amante («concerto con parte di Romanesca»). L’op. IX, dedicata al duca Federico di Württemberg, contiene brani cameristici di più leggero impegno compositivo (madrigaletti e villanelle «per cantare nella chitariglia spagnola, chitarone o altro simile instromento»). L’op. VIII, dedicata alla principessa Isabella Chiara Eugenia, moglie di Alberto arciduca d’Austria e reggente dei Paesi Bassi, che il M. conobbe a Bruxelles, include 62 brani strumentali, ampliati per varietà di organici e progetti formali rispetto all’op. I e assai avanzati nella sperimentazione di tecniche esecutive e nella ricerca di «curiose e moderne invenzioni»: ne danno esempio la Sonata II, la prima di autore italiano a far uso della scordatura; il Capriccio che due violini sonano quattro parti che esibisce passaggi in doppie corde; il Capriccio per sonare il violino con tre corde a modo di lira in cui si azzarda l’impiego delle triple corde; la Sonata con tre violini in eco dove «il primo violino deve esser visto, e gli altri due no». In tali brani il M. mostra di aver familiarizzato con le avanzate tecniche esecutive di tradizione tedesca e di aver a sua volta contribuito a estenderle e affinarle, ponendo le basi per il tecnicismo ardito di un J.J. Walther o un H.I.F. Biber.

Non è chiaro quando il M. abbia terminato il servizio alla corte di Neuburg, presso cui si trovava ancora nel dicembre 1628, quando scrisse al principe Alberto di Baviera, sperando in un incarico a Monaco. Scarni i dati biografici successivi al 1628, anche a causa della perdita delle opere X-XII che avrebbero potuto fornire informazioni in tal senso; in ogni caso fino ai primi anni Quaranta dovette essere attivo in Italia e prevalentemente a Milano, dove il M. risulta al servizio presso la Cappella di palazzo per 14 mesi fra il settembre 1631 e il novembre 1632 con stipendio di 8 scudi mensili.

A Milano, intorno al 1632, sposò in terze nozze la «nobile milanese» Margherita Taegia dalla quale ebbe tre figli: Carlo Giacinto, Feliciano ed Elena. Nell’aprile 1632 fu pagato per un servizio straordinario presso il duomo di Bergamo, e successivamente potrebbe essere stato attivo in altre istituzioni milanesi. Il M. doveva risiedere stabilmente a Milano, poiché in un atto notarile del 1654, redatto a Venezia, dichiarava di avervi domicilio «da molti anni» e di abitarvi «per ordinario» (Miller, p. 13). Nella dedica all’arciduca d’Austria Leopoldo Guglielmo del Concerto terzo delle musiche da camera (3-6 voci), op. XVI (Milano 1649) il M. ascriveva al proprio cursus honorum «l’essere stato attuale servitore della sacra maestà di Ferdinando II», fatto che poteva eventualmente essersi verificato solo entro il 1637, anno di morte dell’imperatore e padre del dedicatario; in mancanza di conferme documentarie, tale dichiarata servitù sarebbe potuta consistere anche soltanto nella dedica di una delle opere perdute.

Da Venezia il 23 genn. 1641 firmò la dedica delle Composizioni varie per musica di camera op. XIII al bresciano Valeriano Scaglia, abate generale dell’Ordine olivetano, ma già sacerdote a Brescia, opera che costituisce il secondo volume, dopo l’op. VII, di madrigali concertati probabilmente risalenti al periodo di Neuburg; due giorni dopo firmò a Brescia una polizza d’estimo e un’altra ancora il 23 luglio.

I non interrotti legami con la corte palatina lo ricondussero a Düsseldorf dal maggio 1644 come maestro di cappella del conte Wolfgang Wilhelm, nella qual veste, il 5 settembre, firmò la dedica ad Anna Caterina Costanza Vasa della Corona melodica ex diversis sacrae musicae floribus concinnata, op. XV (Anversa 1644) unico volume del M. stampato fuori d’Italia e prima sua raccolta di musiche religiose (mottetti a 2-6 voci e basso continuo alcuni concertati con 2 violini più 4 sonate a 2 violini e basso continuo). Il ritorno in Germania fu di breve durata, stanti le difficoltà economiche della corte, causate dalla guerra dei Trent’anni, e le esose richieste economiche del M. che determinarono il suo licenziamento nel giugno 1645.

Dopo aver concorso, ma senza successo, al posto di maestro di cappella della basilica di S. Maria Maggiore a Bergamo nel 1648, nell’anno successivo riallacciò i contatti con Milano, dove il 1° aprile firmò la dedica all’arciduca d’Austria Leopoldo Guglielmo del Concerto terzo op. XVI e dove ricoprì il posto di maestro di cappella e organista presso la chiesa di S. Maria della Scala, come si legge nella raccolta collettiva, curata dal milanese Giorgio Rolla, Teatro musicale de concerti ecclesiastici… di diversi celebri e nomati autori (Milano 1649; dedica del 12 luglio) dove con due mottetti il M., unico musicista attivo in Milano fra quelli presenti, è in compagnia di illustri polifonisti sacri come G. Carissimi, O. Benevoli, G. Rovetta e altri.

Il Concerto terzo riflette il repertorio prodotto nel precedente breve periodo trascorso a Düsseldorf e si riallaccia alle scelte stilistiche, care all’ambiente della corte di Neuburg, già formulate nelle opere VII e XIII; accanto a canzonette strofiche e madrigaletti permeati dello spirito della danza, si rintracciano echi del monteverdiano «stile concitato» in Gite sospiri miei, gite alla guerra (a 4 voci, 2 violini e 4 tromboni) e suggestioni del dramma per musica – genere che il M. sembra non aver mai affrontato – nel dialogo Ninfa e nel lamento con eco Grotte ombrose, antri foschi che fa rispondere al soprano e al violino restati in scena due soprani e due violini da posizione non visibile.

La consueta brevità degli incarichi del M. contrassegna anche quello presso S. Maria della Scala, protrattosi non oltre l’aprile del 1651, dato che in quel mese era a Venezia. Il 17 genn. 1652 fu riassunto, a distanza di 35 anni, nella cappella di S. Marco «con obligo di dover cantar et sonar in tutte l’occorenze ordinarie et estraordinarie» e con il ragguardevole stipendio di 80 scudi annuali (Miller, p. 8), ma nei primi mesi del 1653 aveva già lasciato il posto: in agosto lo si dice «partito da questa città già alcuni mesi senza licenza» per cui i procuratori di S. Marco decisero di non assumerlo più in futuro. Da Venezia si era trasferito a Ferrara dove nell’ottobre 1652 era stato nominato maestro di cappella dell’Accademia della Morte, mantenendo tale incarico fino al successivo aprile; ma nel luglio 1653 risulta essere di nuovo abitante in Venezia. In quell’anno escono i suoi Salmi per tutte le solennità dell’anno concertati nel moderno stile a 1, 2 e 3 voci con violini e senza. Libro primo, op. XVIII e l’anno dopo i Vespri per tutte le festività dell’anno a quattro voci da cantarsi a cappella e nell’organo. Libro secondo, op. XX (Venezia 1654), due volumi che sembrano mirare alla stampa di un repertorio stilisticamente aggiornato di musica d’uso per il ciclo completo delle «festività dell’anno».

Entrambe le raccolte propongono brani concertati con voci e strumenti integrati nelle trame polifoniche e ricorso a sinfonie introduttive o interlocutorie. I Salmi, sul cui frontespizio il M. esplicita l’incarico a Ferrara, sono dedicati ad Anna de’ Medici, arciduchessa d’Austria moglie dell’arciduca Ferdinando Carlo; i Vespri, al contrario, non menzionano alcuna carica professionale del M., ma recano lettera dedicatoria, non datata, al re di Portogallo Giovanni IV di Braganza.

Dal 31 ag. 1655 al 4 nov. 1656 il M. fu maestro di cappella del duomo di Vicenza, qualifica con cui appare come autore di due mottetti nella Sacra corona… di diversi eccellentissimi autori moderni (ibid. 1656; rist., Anversa 1659), raccolta curata da B. Marcesso.

Durante il magistero vicentino il M. pubblicò le sue due ultime opere, le Lacrime di Davide sparse nel Miserere concertato in diversi modi a 2, 3 e 4 voci, op. XXI (Venezia 1655, dedicate al conte Marquard II Schenk von Castell principe vescovo di Eichstätt) e il terzo libro di Diversi generi di sonate, da chiesa e da camera a 2, 3 e 4 [voci], op. XXII (ibid. 1655), dedicato a Ferdinando Maria duca di Baviera; nella dedica il M. rammenta la benevolenza nei propri confronti del padre del dedicatario, il duca Massimiliano I, degli zii, del duca Alberto VI e del principe vescovo Massimiliano Enrico elettore di Colonia, mostrando così il vasto raggio delle relazioni intrattenute con l’aristocrazia germanica. Con le Lacrime di Davide si chiude la serie delle pubblicazioni di musica sacra, frutto degli anni di attività nelle chiese di Milano, Ferrara e Vicenza: si tratta dell’unico volume di polifonia sacra del M. giunto integro, e contiene – fatto non comune in quel torno d’anni – quattro diverse intonazioni, con poche o molte voci e con strumenti o senza, del Miserere. I Diversi generi di sonate, da chiesa e da camera (op. XXII), la terza raccolta di sole musiche strumentali, presenta 25 brani (balletti, sarabande, correnti, sinfonie, sonate) «per ogni sorte d’istromento musicale». Diversamente dai due precedenti volumi dell’op. I (1617) e dell’op. VIII (1626), l’op. XXII non prescrive gli organici per ogni singolo pezzo, ma solo qualche brano richiede esplicitamente i violini o la viola; inoltre, cessa l’intercambiabilità fra cornetto (qui mai richiesto) e violino e, in generale, tra fiati e archi; nonostante il richiamo – forse solo commerciale – alla molteplicità degli strumenti impiegabili, tale raccolta si direbbe concepita per i soli archi. Il titolo evocante i «diversi generi» da chiesa e da camera, ha indotto diversi studiosi a indicare in questa opera la prima applicazione di un’intenzionale distinzione stilistico-funzionale alla sonata; la ricerca di questa distinzione nelle sei composizioni denominate sonata non mette in luce elementi probanti, sul piano formale e stilistico, oltre al fatto che una si basa su un’aria profana (Fuggi dolente core). In realtà l’espressione rettamente intesa implica l’attribuzione al lemma «sonata», citato nel frontespizio, del significato generico di pezzo strumentale e fornisce l’indicazione che il volume contiene brani per danza (dunque «da camera») e altri più posati, astratti, non funzionali; sei di questi sono «sinfonie» la cui destinazione da chiesa è già implicita nel rifarsi ciascuna a un diverso tono ecclesiastico; altri 6 brani sono «sonate», compatibili col genere «da chiesa» per via della loro astrattezza e del frequente ricorso al severo stile imitativo e fugato. Dunque la distinzione tra chiesa e camera non riguarda lo stile di una specifica sonata bensì quello dell’intera raccolta divisa fra brani coreutici e brani astratti.

Non si conoscono musiche composte dal M. negli ultimi otto anni di vita, pur avendo egli continuato a esercitare la sua professione. Nel 1661 una delle più volte menzionate polizze d’estimo bresciane lo dice «abitante nella città di Padova, maestro di camera di mons. vescovo Cornaro»: è l’ultimo incarico conosciuto del Marini.

Il M. morì a Venezia il 17 nov. 1663, come attestato nel Libro dei morti della parrocchia di S. Samuele (Fano, 1973, pp. 147 s.).

Edizioni moderne delle opere citate: Affetti musicali, op. I, Firenze 1985 (rist. anast.); a cura di F. Piperno, Milano 1990; a cura di A. Bornstein, Bologna 1998; Arie, madrigali e corenti, op. III, ed. parziale a cura di V. Gibelli, Milano 1978; Scherzi e canzonette, op. V, a cura di V. Gibelli, Milano 1963; Sonate, sinfonie, canzoni, op. VIII, a cura di M. Zoni, Milano 2004; Diversi generi di sonate, da chiesa e da camera, a cura di O. Beretta, Milano 1997.

Sono inoltre attribuiti al M. il duetto Fui già presso d’amor per due tenori e basso continuo (Londra, Royal Academy of Music, Mss., 107) e le Ultime sette parole di Cristo in croce a 4 voci, 2 violini e basso (Venezia, Biblioteca della Fondazione Levi, CF.B.2: ms. sec. XIX).

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