BIANCA di Navarra

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 (1968)

BIANCA di Navarra

Salvatore Tramontana

Sulla nascita e l'infanzia di B., figlia di Carlo III, re di Navarra, della casa di Evreux, e di Eleonora di Castiglia, non conosciamo nulla. La sua vita rimane nell'ombra almeno fino al 1401, anno in cui moriva Maria, regina di Sicilia: fra le richieste avanzate da più parti per offrire una nuova moglie al giovane Martino, monarca dell'isola troviamo anche quella del re di Navarra. E Martino il Vecchio alle infanti dell'imperatore Roberto, del re di Francia Carlo VI e del re d'Inghilterra Enrico IV preferiva appunto per il figlio la principessa di Navarra "molt bella et molt savia e endreçata et dotata de totes virtuts" (Moscati, p. 132, doc. VII).

I matrimoni fra la casa d'Aragona, sempre sensibile all'annessione della Navarra, e le eredi al trono degli Evreux, erano stati piuttosto frequenti in quegli ultimi tempi, e lo stesso Pietro IV aveva sposato in prime nozze, nel 1336, l'infanta donna Maria secondogenita di re Filippo. Tuttavia più che dai motivi tradizionali dei predecessori, Martino I era spinto a questo matrimonio dalla situazione interna della Sicilia e soprattutto dalla costante preoccupazione dei rapporti con la Francia e la Provenza. Era stata infatti avanzata da alcuni ambienti siciliani, e caldeggiata sembra dallo stesso interessato, la proposta di un matrimonio del re di Sicilia con Giovanna Durazzo, la quale era sorella di Ladislao di Napoli e probabile erede del Regno date le precarie condizioni di salute e la creduta impotenza del fratello. Con queste nozze ci sarebbero state, per la Corona d'Aragona, alcune probabilità di controllare Napoli - sebbene le leggi del Regno facessero credere più certa la successione di una zia, sorella della madre di Ladislao - ma anche l'eventualità del rientro nell'isola, con la nuova regina, dei fuorusciti ostili ai Catalani e soprattutto la certezza di una rottura diplomatica con Luigi II d'Angiò e quindi con la Francia e la Provenza, e con il duca d'Austria, che aveva già concluso, "per verba de praesenti", il matrimonio con Giovanna Durazzo.

Si rendeva più consigliabile quindi, e senz'altro più prudente, accettare, e senza il preventivo consenso del figlio, le proposte di Carlo III di Navarra. Il 7 nov. 1401 un inviato di Martino I, Giovanni Dez Vall, era già in Navarra per la stesura dei capitoli matrimoniali, firmati dallo stesso re d'Aragona, recatosi appositamente a Mallen. La dote di B. veniva fissata in 100.000 fiorini d'oro, 40.000 al momento delle nozze e 60.000 in quattro anni successivi. Il 17 febbr. 1402 B., accompagnata da Eleonora de Centelles, lasciava il suo paese e, dopo un breve soggiorno nel castello di Burriana, raggiungeva Barcellona. Solo allora il re d'Aragona informava la corte siciliana delle sue intenzioni. Ottenuta da Benedetto XIII la dispensa per i matrimoni fra parenti, il 21 maggio 1402 venivano ratificate in Catania, alla presenza di Guglielmo, vescovo Forselense, e dei prelati, baroni e ufficiali del Regno, le nozze di B. e del giovane Martino; firmavano per la principessa di Navarra, in quel momento a Valenza, Lionello de Navarra, Raimondo de Bages, Diego Vaquedano. Solo nell'ottobre B. partiva per la Sicilia; il 26 novembre, nella cattedrale di Palermo, venivano celebrate le nozze, e B., incoronata regina di Sicilia, andava a risiedere a Catania.

La vita coniugale fin dall'inizio si rivelava difficile e spesso esasperata, anche se non priva di affetto e di reciproca stima. Da una lettera di Martino il Vecchio (Girona Llagostera, p. 108) all'arcivescovo di Saragozza si deduce la gioia del figlio, grato per aver ricevuto dal padre una "bella, bona e sàvia muller", ma lettere del re di Navarra (Tasis, pp. 210-11) rivelano la tristezza di B. per un matrimonio indubbiamente infelice e le preoccupazioni del padre che si lamentava col re d'Aragona per la "muy arta e estreta vida" cui era costretta la figlia e insinuano soprattutto il sospetto che nella vita di Martino II l'amore per B. fosse troppo piccola cosa. Stati d'animo, dunque, e situazioni psicologiche e affettive che sfuggono all'analisi storica, e che il re d'Aragona attribuiva a calunnie di servi licenziati. E che tuttavia trovano spiegazioni nlla vita dissoluta di Martino II, se alcune fonti, soffuse naturalmente da vaghe leggende, ma confermate dall'asciutto e severo Surita, ne legano la morte agli abusi amorosi con la "bella di Sanluri" (Boscolo,Medioevo aragonese, pp. 37-46). È certo, per altro, che nel settembre 1403, a meno di un anno dal matrimonio con B., ambasciatori confidenziali informavano il monarca catalano che al figlio erano nati due bambini illegittimi - Federico e Violante - dalle concubine catanesi Tarsia Rizzari e Agatuccia Pesci.

Più che a queste infedeltà, tuttavia, la delusione e la tristezza di B., e quindi le preoccupazioni del re di Navarra e del re d'Aragona, vanno collegate al fatto che la regina di Sicilia, dopo la prima esperienza di un aborto, tardava a dare un figlio al giovane Martino. Solo nel 1406il re di Sicilia poteva comunicare al padre la notizia di una nuova gravidanza, e formulava voti perché Dio facesse dalla regina sua moglie "tal fruyt produhir que sia a servir seu, honor e gloria nostra e vostra, e beneffici de tots nostres regnes e terres" (Girona Llagostera, p. 187). Purtroppo il bimbo, nato il 19 dicembre, moriva nell'agosto 1407, e Martino il Vecchio, cosciente della fragilità su cui poggiava la continuità della monarchia, cominciò a preoccuparsi delle frequenti assenze del figlio dall'isola: quando Martino II era andato in Sardegna per domare "la dannata ribellione" del 1408, il re d'Aragona, sicuramente per facilitare concrete possibilità di altri figli, suggeriva che B. raggiungesse il marito, dopo aver disposto "ogni cosa per una breve assenza in modo da non turbare i Siciliani (Boscolo, Medioevo aragonese, p. 44).

Partendo per la Sardegna, Martino II aveva lasciato alla moglie la reggenza, ma non era la prima volta che B. rimaneva vicaria dell'isola. Già nel 1404, quando il marito si era recato per qualche tempo in Catalogna - dal 22 ott. 1404all'agosto 1405 -, la regina di Sicilia aveva retto il vicariato dimostrandosi all'altezza della situazione per energia e abilità politica, capace di isolare e neutralizzare, senza far ricorso a violente repressioni, un tentativo di ribellione in Messina. Tuttavia è il secondo vicariato - di cui lo stesso Martino il Giovane, prima della partenza per Cagliari, aveva fissato i poteri e precisato i rapporti col Consiglio di stato costituito dai giudici della Gran Corte, dai maestri razionali, dal maestro portulano e da sei deputati inviati dalle più importanti città del Regno - che rivela le notevoli doti politiche di Bianca. Con in mano "le più illimitate facoltà e le giurisdizioni supreme e la suprema amministrazione delle entrate tutte della corona, e la sopraintendenza sopra tutti" gli ufficiali e i magistrati col diritto di poterli a suo arbitrio rinnovare" ella si preoccupava soprattutto di conciliare i suoi poteri con quelli del Consiglio di stato (Gregorio, Considerazioni, p. 424). Nell'ambito di quest'organo infatti riusciva a ricondurre ogni controversia ed efficacemente adoperarsi per alimentare con uomini ed armi, e specie con vettovaglie, la campagna del marito in Sardegna, senza per altro, naturalmente, lasciarsi sfuggire dalle mani il controllo dei castelli di pertinenza regia "parki - diceva - essi sù capu et principiu di conservari li terri" (Beccaria, p. 14).

L'improvvisa morte di Martino II (25 luglio 1409) turbava all'interno del Regno il precario equilibrio che B. era riuscita a ricomporre, e la mancanza di figli aggravava il problema della successione. Il re d'Aragona si affrettava a confermare, il 6 ag. 1409, il vicariato alla nuora già designata dal testamento del marito come reggente e a conferirle, in suo nome, i poteri "de regir e administrar, governar e senyorejar en lo dit regne de Sicilia" (Bofarull Mascaró, p. 119). Si voleva naturalmente mantenere lo status quo e prevenire, come osserva il Beccaria (p. 15), "i pretesti di coloro che, col negare al re Martino il diritto di imporre una vicaria, volessero la regina B. dichiarar decaduta".

Questa prontezza del re d'Aragona nell'affrontare l'imprevista situazione serviva a molto poco, se lasciava insoluto il problema della successione - anche dall'ultimo matrimonio con la ventunenne Margherita de Prades Martino non aveva avuto figli - e se non riusciva ad eliminare all'interno della Sicilia le discordie delle fazioni, rese ora insanabili dalle pretese di Bernardo Cabrera di assumere il vicariato. Infatti con la morte di Martino il Vecchio - 31 maggio 1410 -, se in Aragona le fazioni che si contendevano il diritto alla Corona comiciavano a causare disordini e sollevazioni, in Sicilia cessava del tutto ogni quiete. Il Cabrera, che poneva la questione anche in termini giuridici, considerava decaduta da ogni potere la regina B. e rivendicava il diritto di reggenza in quanto, precisava in una lettera del 24 giugno 1411 (Bibliotheca, II, p.435), le consuetudini dell'isola riconoscevano solo al gran giustiziere, per i periodi di interregno, il diritto di rappresentare l'autorità regia.

Di questo preteso diritto del gran giustiziere, che in effetti non trova riscontro nelle consuetudini né in esempi precedenti, e della tradizione che vuole il Cabrera innamorato di B., la storiografia più recente, e specie il Giunta, hanno ormai dimostrato la poca attendibilità. Tuttavia il racconto del Valla (p. 766), appunto per alcune indulgenze romanzesche, deve aver suscitato viva curiosità nei tempi e interesse anche in certa storiografia, se qualche testo recente mostra ancora di pigliarlo sul serio. Che in esso si riflettano tradizioni dettate da spirito di parte e da una certa consuetudine letteraria, par sicuro; ma non tanto perché il Valla finisce in definitiva col risolvere la grande passione del Cabrera nel tentativo di un matrimonio che rappresentava indubbiamente un potente catalizzatore politico per l'indipendenza della Sicilia, quanto per il fatto che né il conte di Modica né gli altri baroni contrari al vicariato di B. avevano intenzione di spostare la lotta dall'ambito legittimistico aragonese. Il Surita (Anales, XI, f. 6v), che meglio di ogni altro rispecchia i sentimenti prevalenti in Catalogna dopo la morte di Martino il Vecchio, ci fornisce del resto la prova più concreta della fragilità di questa interpretazione quando riconduce il conflitto di B. e del Cabrera al comune tentativo di realizzare, sempre nell'ambito della Corona d'Aragona, quel predominio capace di garantire, in Sicilia, gli interessi particolari della propria fazione. "La regina volia rignari como vicaria - dice appunto l'anonima Cronica Siciliae (p. 211), e misseri Bernardu comu mastru justizieri".

Forte dell'appoggio di quasi tutto il baronaggio catalano e di qualche città come Siracusa che sperava nell'abolizione della "camera reginale", il Cabrera tagliava corto a ogni controversia giuridica e tentava di impossessarsi di B., in modo da poter poi ottenere la sanzione delle "Cortes" per il suo vicariato. La regina però, che era riuscita a sfuggire a un agguato rinchiudendosi, con pochi fedeli, nel castello "Marchetto", veniva liberata da una iniziativa di alcuni palermitani tesa, allo scopo di salvare l'indipendenza dell'isola e garantire alla propria città il ruolo di capitale del Regno, a far sposare B. con Niccolò Peralta, discendente, per parte femminile, da Federico II d'Aragona. Il progetto tuttavia incontrava l'opposizione della stessa regina, forse all'oscuro, in un primo tempo, del vero motivo dell'iniziativa, di parecchi feudatari e delle città gelose dei benefici che ne avrebbe ricavato Palermo, degli ambienti più qualificati di Aragona e di Navarra e in fin dei conti degli stessi baroni dell'entourage di B. che, pur favorevoli all'autonomia, temevano soluzioni affrettate ed estranee all'ambito legittimista aragonese.

La lotta riprendeva così con tutto il carico di rappresaglie che una guerra civile comporta e contro la regina si schieravano ormai apertamente baroni come Artale de Luna, conte di Caltabellotta, e città come Catania, Enna, Trapani e Agrigento. Un atteggiamento più conciliante di B., che sperava di fronteggiare la difficile situazione con la vaga promessa di condividere la responsabilità del vicariato col Cabrera, veniva subito scoraggiato dalla fazione avversa, ormai cosciente della propria superiorità e decisa a respingere ogni compromesso. Il rifiuto, però, del Cabrera di partecipare a un parlamento generale, promosso dai Messinesi e caldeggiato da più parti dell'isola e dalle "Cortes" di Barcellona, consentiva a B. di trarre ogni possibile vantaggio da quella insperata occasione che le permetteva di accusare il conte di Modica di ostilità verso la casa d'Aragona presso gli ambienti politici catalani e di sfiducia nella massima assise del Regno presso l'opinione pubblica siciliana. La sessione parlamentare si apriva a Taormina verso la metà di agosto 1411, ma le decisioni prese non trovavano pratica realizzazione perché B., che si era impegnata a rinunziare al vicariato, di fronte al peggioramento della situazione determinata ora anche dai risentimenti verso Messina, credeva opportuno ripigliare le ostilità. Gli avvenimenti precipitavano e anche dopo una fortunata vittoria di B., che impediva alle truppe del Cabrera di occupare Palermo, la situazione rimaneva fluida tanto da giustificare ulteriori pressioni di Carlo III di Navarra sulle "Cortes" a favore della figlia. Nel gennaio 1412 arrivava così in Sicilia una ambasceria catalana il cui compito di pacificazione veniva facilitato dai timori che il protrarsi delle lotte intestine avrebbe potuto favorire il progetto di Giovanni XXIII di ridurre l'isola alla Chiesa. Tuttavia anche questa volta l'accordo raggiunto a Solanto il 6 maggio 1412 veniva rotto dalla regina che non intendeva rinunziare al vicariato.

Intanto l'elezione, nel parlamento di Caspe - 28 giugno 1412 - di Ferdinando di Trastàmera, figlio del re di Castiglia e di una sorella di Martino il Vecchio, se risolveva la crisi apertasi dopo la morte senza eredi del re d'Aragona, poneva praticamente nuovi rapporti con la Sicilia e quindi con Bianca. Dopo il riconoscimento ufficiale dell'antipapa Benedetto XIII, il nuovo re, che temeva ulteriori complicazioni nell'isola dove, nonostante il Cabrera fosse prigioniero, la tensione era ancora viva e più allarmante la piega che andavano prendendo certi rapporti con Giovanni XXIII e col re di Portogallo, inviava in Sicilia, il 24 dicembre di quello stesso anno, una commissione di quattro ambasciatori: Romeo de Corbera, Ferdinando de Vega, Ferdinando Velasquez e Martino de Torres. In applicazione delle direttive della nuova politica essi dovevano inviare a Barcellona un quadro chiaro della situazione dell'isola che permettesse al re non tanto di vedere fino a qual punto fosse solida, dopo la prigionia del Cabrera, la posizione della vicaria, ma di rendersi conto della effettiva consistenza delle forze autonomistiche, e adottare in conseguenza i provvedimenti atti a imporre la autorità della Corona d'Aragona.

Giunti nell'isola nel gennaio 1413 e resisi subito conto che la vicaria non godeva dei consensi generali, gli ambasciatori catalani si affrettavano a porre le premesse di una politica che stabilisse relazioni dirette fra re Ferdinando e l'opinione pubblica siciliana. A B. non sfuggiva che questa operazione diplomatica mirava ad esautorarla. E quando, dopo reiterati inviti agli ambasciatori perché si recassero nella sua residenza di Catania per concordare una linea comune d'azione o almeno perché fosse informata delle vere intenzioni del re, il silenzio le confermò i sospetti, si rassegnò a cedere il vicariato. Era il 13 apr. 1413, e la Sicilia, anche giuridicamente, si avviava alla soluzione viceregia.

Giungevano intanto nell'isola, dove in certi ambienti si continuava ad insistere sulla necessità di una soluzione monarchica autonoma, Alvaro Gonzales Camelo e Alfonso Hurtado de Mendoza con la proposta di un matrimonio fra B. e Pedro, secondogenito di Giovanni I d'Aviz, re del Portogallo. Nonostante il netto rifiuto di B., in Catalogna non era più possibile chiudere gli occhi sulle intenzioni del Portogallo da tempo alla ricerca di un pretesto giuridico per inserirsi nel Mediterraneo. Re Ferdinando si affrettava quindi a inviare in Sicilia, come viceré, il figlio secondogenito Giovanni di Peñafiel, nella speranza di rassicurare gli ambienti ancora legati all'istanza autonomistica e particolarmente sensibili alla residenza nell'isola di un membro della famiglia reale. Precedevano l'arrivo del viceré, che sbarcava a Palermo il 6 apr. 1415, Domingo Ram, arcivescovo di Huesca, Olfa de Procida e Francesco Amettla, incaricati dipreparare il ritorno di B. in Navarra.

Prima di rientrare in patria B. scriveva, il 21apr. 1415, a Peregrino Tarigo, mercante genovese, perché le fornisse stoffe di seta, "camucci" celesti, velluti cremisini. Ma soprattutto si preoccupava di riorganizzare i territori della "camera reginale", appannaggio dotale di re Martino, affidandone l'amministrazione, e con pieni poteri, allo zio Alfonso Enriques. Si imbarcava quindi a Trapani con il seguito personale e con Pietro Martinez de Peralata, inviato espressamente da Carlo III di Navarra.

A B. intanto si rivolgevano ancora le attenzioni della corte di Barcellona. Rimasta, dopo la morte della sorella, unica erede del regno di Navarra, Alfonso V il Magnanimo, che nel frattempo era successo a re Ferdinando, stimava sommo interesse per la monarchia d'Aragona introdurre uno dei membri della propria famiglia nella corte degli Evreux. Ma soprattutto riteneva necessario richiamare in patria il fratello la cui presenza in Sicilia rinfocolava fermenti e speranze autonomistiche. Non era certo facile convincere Giovanni di Peñafiel ad abbandonare il viceregno e sposare una donna più anziana di quasi venti anni. Ma la ancora florida bellezza della quarantenne regina di Navarra, le amorevoli pressioni della madre, Eleonora d'Alburquerque, e dell'arcivescovo di Toledo, Sancho de Rojas, e soprattutto la eventualità di ereditare una corona, rendevano meno difficile la soluzione sperata. I negoziati si trascinavano a lungo, ma dopo la dispensa inviata da papa Martino V venivano firmati ad Olit, il 6 nov. 1419, i capitoli matrimoniali. Il padre di B. si impegnava a proteggere il genero e questi a promuovere una alleanza fra Aragona, Castiglia e Navarra. La dote di B. veniva sensibilmente ridotta in compenso di norme relative alla eredità del regno, che prevedevano la successione al trono dei discendenti legittimi, il diritto del re di Navarra di designare il successore se il matrimonio fosse rimasto senza prole, l'obbligo di Giovanni di Peñafiel di abbandonare il regno "como estrangero", se la moglie fosse morta prima e senza figli. Le nozze venivano celebrate a Pamplona il 10 giugno 1420, ma il matrimonio veniva subito turbato dalle prime avvisaglie della guerra civile che era scoppiata intanto in Castiglia.

Anche nell'esperienza sentimentale di questo matrimonio, come sembrerebbe ricavarsi da certi rilievi, se non sono arbitrari e forse legati a tradizionali oleografie psicologiche, B. si rivela donna tormentata e piena di angoscia per la tristezza di una unione infelice. E in parte perché, come già Martino II, Giovanni di Peñafiel, ancora ventiduenne - era nato a Medina del Campo il 29 giugno 1398 -, era particolarmente sensibile alle grazie femminili. Ma a differenza del precedente matrimonio questa unione veniva coronata dalla nascita di tre figli: Carlo, tenuto a battesimo ad Olmedo dallo stesso re di Castiglia; Bianca, andata sposa, nel 1440, ad Enrico IV di Castiglia; Eleonora, che nel 1434 diveniva moglie di Gastone de Foix.

Il 15 sett. 1425 moriva il re di Navarra, e la corona passava alla figlia che, ricca dell'esperienza siciliana, riusciva, e senza l'aiuto del marito, a governare con saggezza e a controllare con relativa facilità il fermento delle fazioni. Tuttavia gli ultimi anni della sua vita venivano a coincidere con le tristi vicende del matrimonio della figlia Bianca. E forse per implorare grazie per la figlia, forse per incominciare a distaccarsi dalle cose terrene, si era recata al santuario domenicano della Nievas, in Castiglia, dove all'ombra dell'altare la coglieva la morte, il 1º apr. 1441. Trasportata in Navarra, veniva seppellita nella chiesa maggiore di Uxna.

Due anni prima, il 17 febbr. 1439, aveva fatto rubricare in Pamplona un testamento con cui, se confermava i capitoli matrimoniali relativi alla successione, attestava - come dice Vicens Vives (p. 143) - il suo amore e la squisita devozione al marito. Con una clausola la regina B. raccomandava infatti al figlio, al quale riconosceva il diritto di intitolarsi re di Navarra e duca di Nemours, "de no querer tomar esos titulos sin el consentimiento y la benedición del dicho señor su padre".

Fonti e Bibl.: G. Surita, Anales de la Corona de Aragon, Saragosa1585, X, ff. 436-436v e 443-443v; XI, ff. 6v, 14, 59, 76; L. Valla, De rebus a Ferdinando Aragoniae rege gestis, in Hispania illustrata, Francoforte 1603, l. II, pp. 759, 766; Bibliotheca Scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, a cura di R. Gregorio, Palermo 1791-92, II, p. 435; R. Gregorio, Consider. sopra la storia di Sicilia, in Opere, Palermo 1847, pp. 414-15 e 426-31; Colecciòn de docum. inéd. de l'Archivo general de la Corona de Aragón, a cura di P. Bofarull Mascaró, Barcelona 1847-66: i docc. relativi a B. sono indicati nei libri di Giunta e di Boscolo; Cronica Siciliae, in V. Di Giovanni, Cronache sicil. dei secc. XIII, XIV, XV, Palermo 1865, p. 211; Lett. e doc. relativi ad un periodo del vicar. della regina Bianca, a cura di R. Starrabba, in Doc. per serv. alla stor. di Sicil., s. 1, X, Palermo 1866; G. Beccaria, La regina Bianca in Sicilia, Palermo 1887; F. P. Perez, La regina Bianca e Cabrera, episodio della storia sicil. dal 1408 al 1416, in Opere, Palermo 1898; D. Girona Llagostera, Itinerari del rey en Martì de Aragò (1396-1410), Barcelona 1916, pp. 108 e 187: altre indic. nei volumi di Giunta e Boscolo; V. Orlando, Ricerche sulla storia di Sicilia sotto Ferdinando di Castiglia, Palermo 1922, p. 73; C. Naselli-G. Palma, Un poemetto in onore della regina Bianca, in Arch. stor. d. Sicilia or., s. 2, XI (1935), pp. 137 ss. (ora in G. Cusimano, Poesie sicil. dei secc. XIV e XV, Palermo 1951, pp. 45 ss.); E. Esparzo, Blanca de Navarra, Madrid 1947; G. Fasoli, L'unione della Sicilia all'Aragona, in Riv. stor. Ital., LXV (1953), pp. 315-21-; F. Giunta, Aragonesi e catalani nel Mediterraneo, I, Dal regno al viceregno, Palermo 1953, pp. 220-21, 226-75, 298-312 e 314-18; J. Vicens Vives, Juan II de Aragón (1398-1479), Barcelona 1953, pp. 15-17, 21, 24-26 e 143; R. Moscati, Per una storia della Sicilia nell'età dei Martini, Messina 1954, pp. 132, doc. VII e 142, doc. XI; R. Tasis, La vida del rei en Pere III, Barcelona 1954, pp. 210-11; A. Boscolo, Medioevo aragonese, Padova 1958, pp. 29-46, 49-50 e 69-97; Id., La polit. italiana di Martino il Vecchio re d'Aragona, Padova 1962, pp. 67-73, 107-121, 149-160; V. D'Alessandro, Polit. e società nella Sicilia aragonese, Palermo 1963, pp. 291-313.

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