SAIBANTE, Bianca Laura

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SAIBANTE, Bianca Laura

Gian Paolo Romagnani

SAIBANTE, Bianca Laura. – Nacque a Rovereto il 17 maggio 1723, quarta di quattordici figli, da Girolamo e da Francesca Caterina Sbardellati di Adelburg. La famiglia paterna, originaria di Egna, dove aveva esercitato il commercio del legname, il prestito a interesse e la manifattura serica, si era trasferita nel XV secolo a Rovereto, entrando a far parte, agli inizi del XVI secolo, del Consiglio municipale. Inseritisi nel patriziato cittadino, i Saibante si erano imparentati con altre famiglie di pari rango e dall’inizio del XVII secolo numerosi esponenti della famiglia avevano assunto un ruolo sempre più importante nelle istituzioni cittadine, ricoprendo cariche di prestigio.

Bianca Laura Saibante fu educata nel convento delle Orsoline di Trento, dove apprese a leggere e scrivere in italiano, tedesco e francese, a disegnare e a ricamare, sviluppando anche una spiccata predisposizione per la pittura, prima di essere affidata a Girolamo Tartarotti per approfondire lo studio della letteratura e della filosofia. Morto precocemente il padre, nel 1743, Saibante ottenne dalla madre una quasi completa autonomia, dando vita nel 1748 a una ‘domestica conversazione’ che si riuniva settimanalmente in casa sua con il fratello Francesco Antonio e alcuni amici fra i quali Giuseppe Valeriano Vannetti (1719-1764). Alla fine di dicembre del 1751 fu proprio Vannetti a proporre di trasformare la domestica conversazione in una ‘privata accademia’ battezzata ‘degli Agiati’ «per significare che essi, operando a loro agio, esclusa dai loro studi la soverchia fretta e precipitanza, s’applicavano al bel temperamento fra lentezza e fretta adottando il motto: Festina lente» (G.V. Vannetti, Notizie delle cose stampate dagli Accademici, in «Le cetere...», a cura di M. Gentilini, 2000, p. 34). Per impresa venne proposta da Saibante una piramide su cui s’arrampica un chiocciolino, sormontata dal verso petrarchesco «Giunto il vedrai per vie lunghe e distorte» (Rerum vulgarium fragmenta 37, 24). Come nome accademico anagrammatico Saibante scelse Atalia Sabina Canburi. Di quattro anni più anziano di lei, Vannetti intrecciò presto con Saibante un legame amoroso durato per sette intensi anni e sfociato nel matrimonio, celebrato privatamente il 27 febbraio 1754 e allietato nel novembre dello stesso anno dalla nascita dell’unico figlio, Clementino. Questa relazione costituì un elemento di coesione per il piccolo gruppo accademico. Il fatto che il loro legame fosse inizialmente vissuto senza esplicite finalità matrimoniali fu dovuto alla condizione di cadetto di Vannetti, beneficiario di un fidecommesso, senza la possibilità di disporre di beni propri. Di conseguenza la clausola matrimoniale in base alla quale i coniugi ottennero un alloggio di quattordici stanze al secondo piano di casa Saibante, fu per essi una provvidenziale boccata d’ossigeno.

L’apertura culturale dell’Accademia degli Agiati apparve subito evidente: nel primo anno e mezzo i soci affrontarono autori come Baruch Spinoza, Renato Cartesio, John Locke, Isaac Newton, Christian Wolff, Christian Thomasius, Charles-Louis de Montesquieu e Pierre Louis Maupertuis. Tuttavia – sebbene il numero degli accademici passasse in quindici anni da 5 a 463, facendo dell’Accademia degli Agiati uno dei principali centri di collegamento fra cultura italiana e tedesca –, fino alla fine del secolo, il sodalizio avrebbe mantenuto la sua sede in casa Saibante. Bianca Laura continuò a orientare la vita dell’Accademia anche dopo il matrimonio e la nascita del figlio, svolgendo tutte le attività in casa, in maniera da riassorbire il suo principale ruolo pubblico in una dimensione formalmente privata. Mentre Vannetti fu eletto segretario accademico per nove anni consecutivi, Saibante ricoprì la carica di ‘agiatissima’ in numerose occasioni, presentando mensilmente almeno una composizione in versi o in prosa. La sua attività fu particolarmente intensa fino alla nascita del figlio e proseguì nel decennio successivo fino alla morte del marito, avvenuta precocemente nel luglio del 1764. Dedita nei primi quattro anni alla poesia petrarchesca e alla novella giocosa di matrice toscana, Saibante passò successivamente ai più seri ragionamenti in prosa, alternati ai sonetti e alle traduzioni dalla Bibbia.

Del 1753-54 sono i primi due discorsi sulla condizione femminile che seguirono, uno per anno, nei successivi otto anni.

Già nella dissertazione Sulle occupazioni delle donne nell’antichità e nel successivo ragionamento Se meglio convenga alle donne il ricamare o il cucire (6 giugno e 30 agosto 1754) Saibante si richiamava all’ideale biblico della «donna forte», proponendo un modello femminile di efficiente padrona di casa e saggia madre di famiglia, sempre intenta a lavori utili, che implicassero sia competenze specifiche sia qualità artistiche; rivalutando le arti domestiche come nobili e utili, contro il disprezzo del quale erano oggetto, e soffermandosi sul ricamo, paragonato alla pittura, che avrebbe consentito anche alle donne non nobili di raggiungere l’indipendenza economica.

Con il Ragionamento intorno allo spirito delle Donne (29 aprile 1755) Saibante entrava nel vivo del dibattito filosofico contemporaneo, toccando un tema delicato come l’eguaglianza dello spirito nei due sessi. La questione era stata riproposta negli anni precedenti da diversi autori.

Attenta a non violare le convenzioni sociali dell’epoca, decisa ad affermare la perfetta uguaglianza fra i due sessi, Saibante, «spoglia totalmente [...] della conocchia e del fuso», propugnava un egualitarismo spirituale auspicando una donna «leggiadra, saggia e dotta», capace di «far sua luminosa comparsa in faccia del mondo» (Discorsi e lettere..., 1781, pp. 14, 22), di utilizzare al meglio i doni ricevuti e di non abusarne. Ruolo privato e ruolo pubblico della ‘donna di spirito’ non dovevano essere in contrapposizione, ma in rapporto di continuità e complementarità, così come pareva avvenire anche nelle più alte sfere, secondo l’esempio dell’imperatrice Maria Teresa, donna di casa, moglie e madre prima e oltre che donna di Stato.

I successivi ragionamenti Sul significato dei riti attuati dalle antiche donne romane durante alcuni sacrifici e Sull’uso che hanno le donne di portar fiori sul capo (1° luglio 1755 e 1° aprile 1756) rappresentano il risultato di una ricerca erudita sulle fonti classiche e una dotta disquisizione sull’antica usanza di ornarsi il capo con fiori. Il dibattito filosofico torna nel vivo con l’Epistola a Mentore intorno alla ritiratezza delle donne (28 marzo 1758), che richiama un’espressione all’epoca molto usata ad indicare una delle virtù più femminili, insieme con l’onestà e la castità.

Reagendo a chi l’aveva rimproverata per aver trascurato l’Accademia a favore della vita domestica, Saibante affermava il proprio atto di libertà, finalizzato a una vita più ritirata e defilata, esaltando orgogliosamente il proprio ruolo di moglie e di madre saggia, secondo lo schema biblico della ‘donna forte’. La civile conversazione non era affatto riprovevole in sé, ma lo era solamente se a essa si sacrificavano i doveri familiari. Saibante concludeva la sua Lettera con un elogio delle più tradizionali virtù domestiche.

Nei tre ultimi discorsi, dedicati Alla natura ed ai difetti delle donne, l’attenzione si concentra su tre aspetti della condizione femminile: superbia, curiosità e abuso della precedenza. Nel Ragionamento intorno alla donna (3 aprile 1759), facendo ampio uso di esempi tratti dalla storia, Saibante prendeva spunto da una convenzionale condanna della superbia femminile, fomentatrice di «maldicenze, discordie, puntigliose dispute, menzogne», per individuare una delle possibili cause di tale comportamento negli uomini adulatori «che fingendosi amici tuttogiorno nelle nostre case frequentano» (Discorsi e lettere..., 1781, p. 45 e 47).

Contraria alla pratica del cicisbeismo, ma consapevole che la donna studiosa poteva intrattenere relazioni sociali ed epistolari, Saibante ammoniva i colleghi accademici a stimolare le donne allo studio: quelle sagge dovevano a suo giudizio accettare di farsi educare dagli uomini dotti, preservandosi dai difetti femminili, ma la loro subordinazione doveva limitarsi a questo.

Il ragionamento veniva ulteriormente sviluppato nel discorso Intorno alla precedenza conceduta alle Donne (31 agosto 1760), in cui Saibante rifletteva sull’origine dell’antichissima consuetudine di cedere la destra e di dare la precedenza alle donne, abitudine a suo dire «in apparenza non biasimevole, ma in sostanza di molta laude non degna», in quanto «come le agevolezze, che s’usano verso gli infermi, così le cortesie verso le donne, non significano riverenza, ma compassione» (Discorsi e lettere..., cit., p. 51), proseguendo con una coraggiosa denuncia della condizione di inferiorità giuridica patita dalle donne. Erano gli uomini ad alimentare i difetti delle stesse, viziandole e presentando il proprio comportamento come dettato da nobili sentimenti, ma in realtà mascherando il proprio disprezzo per l’altro sesso. Citando a modello le donne della Roma repubblicana, educate severamente e separate dagli uomini, ma da questi trattate alla pari, Saibante rivendicava uguale dignità per le donne del suo tempo, ormai capaci di rinunciare a inutili privilegi in cambio di maggiore considerazione.

L’Epistola al valoroso Messer Mentore (5 agosto 1761) conclude la trilogia: se la curiosità eccessiva è da considerare un difetto essa nasce certamente dall’esigenza di raggiungere campi alle donne tradizionalmente preclusi. La curiosità veniva così trasfigurata nella stessa virtuosa sete di sapere che aveva condotto gli uomini «a conversare con Socrate, Platone, Aristotele e con altri moderni». L’Epistola si chiude con un elogio dei Lumi, seppur tenui e moderati: «Se chi è nato e cresciuto nel buio non potrà né sapere, né tanto meno discorrere di Luce. Per la qual cosa, qualor veggiamo le donne andar in traccia di cose al loro sesso ed agli impieghi loro confacenti, non si deve tosto tacciarle di curiose, giacché troppo necessario è prender Lume per non giacere nella perpetua ignoranza, la quale non di rado abbonda in chi non mostra genio, o non ha modo di erudirsi» (Discorsi e lettere..., cit., p. 62).

La Lettera intorno all’educazione dell’unico figliolo, ultima dissertazione accademica presentata nel 1766, propone una posizione abbastanza anomala: quella di una madre colta che si occupa dell’educazione di un figlio maschio adolescente fuori dagli schemi consueti. Clementino Vannetti era stato infatti educato dal padre con una certa severità e con un piano ben preciso che prevedeva l’apprendimento del latino, della matematica e delle lingue straniere. Bianca Laura aveva proseguito su questa via, come dimostrano i richiami al figlio dodicenne, caratterizzati dal più confidenziale uso del tu, ma non meno severi di quelli paterni.

Consapevole di assolvere a una funzione maschile, giustificata dalla recente vedovanza, Bianca Laura richiamava il figlio ai suoi doveri, anteponendo ai precetti classici dell’educazione nobiliare, i nuovi principi ispirati al senso dell’utile e tesi a formare un cittadino consapevole: in particolare l’apprendimento di scienze naturali, scienze agrarie, diritto, lingua tedesca, retorica, logica e filosofia morale. Giudicando tali discipline indispensabili alla vita, affermava che materie quali la poesia italiana, il francese, la musica e le arti cavalleresche, sebbene importanti, potessero essere tranquillamente poste in secondo piano.

Con l’ingresso di Clementino Vannetti in Accademia, nel 1772, Bianca Laura si fece da parte per consentire al figlio di assumere la guida del sodalizio fondato dai genitori; il giovane, tuttavia, avrebbe seguito solo in parte i consigli materni, rifiutandosi di coltivare le lingue straniere e la cultura scientifica. Bianca Laura rimase fino all’ultimo una presenza significativa e una figura di riferimento per la cultura roveretana, come dimostra la pubblicazione di una selezione dei suoi scritti nel 1781, a cura del figlio. Morto improvvisamente Clementino nel 1796, a soli quarantadue anni, la madre lo seguì a distanza di alcuni mesi, il 6 marzo 1797.

Opere. Una selezione dei Discorsi e lettere di Bianca Laura Saibante Vannetti, fra gli Agiati di Rovereto Atalia, lette nell’Accademia de’medesimi con una lettera alla stessa della Signora contessa Francesca Roberti Franco, è pubblicata a Venezia, presso Sebastiano Coleti, nel 1781 a cura del figlio Clementino Vannetti.

Fonti e Bibl.: La quasi totalità delle fonti relative a Saibante, oltre ai manoscritti di tutte le sue opere, si trova presso l’Archivio storico dell’Accademia roveretana degli Agiati, depositato presso la Biblioteca civica G. Tartarotti di Rovereto. La principale fonte sulla sua vita sono le Note biografiche di Bianca Laura Vannetti Saibante, manoscritto anonimo conservato in BCRov. Ms. 72.8 (36).

Sulla cultura roveretana del Settecento e su Bianca Laura Saibante si veda: M. Bonazza, L’Accademia Roveretana degli Agiati, Rovereto 1988; L’affermazione di una società civile e colta nella Rovereto del Settecento. Atti del Seminario di studio... 1998, a cura di M. Allegri, Rovereto 2000; «Le cetere de’dolcissimi Agiati». Le pubblicazioni degli Accademici di Rovereto (1750-1764) raccolte da Giuseppe Valeriano Vannetti, a cura di M. Gentilini, Rovereto 2000; S. Ferrari, Un ceto intellettuale ai confini d’Italia. L’Accademia Roveretana degli Agiati dal 1750 al 1795, in Storia del Trentino, IV, L’età moderna, a cura di M. Bellabarba - G. Olmi, Bologna 2002, pp. 653-684. Sulla famiglia Saibante si veda: Q. Perini, Famiglie nobili trentine, VIII, La famiglia Saibante di Verona e Rovereto, in Atti della Accademia roveretana degli Agiati, s. 3, 1906, vol. 12, pp. 49-86 e G.M. Varanini, Richter tirolese, mercante di legname, patrizio veronese. L’affermazione di Nicola Saibante da Egna, in Geschichte und Region/Storia e regione, 1995, n. 4, monografico: Adel und Territorium / Nobiltà e territorio, pp. 192-219. Su Bianca Laura Saibante si veda: A. Bettanini, S.V.B.L., in Atti della Accademia roveretana degli Agiati, s. 3, 1900, n. 2, pp. 107-144; G.P. Romagnani, Dal salotto di casa Saibante all’Accademia degli Agiati: l’avventura intellettuale di una donna nella Rovereto settecentesca, in Salotti e ruolo femminile in Italia. Tra fine Seicento e primo Novecento, a cura di M.L. Betri - E. Brambilla, Venezia 2004, pp. 213-235. Su Giuseppe Valeriano Vannetti si veda: G.B. Chiaramonti, La vita del cavaliere Giuseppe Valeriano Vannetti Roveretano signore di Villanova, fondatore della Imperiale Accademia degli Agiati di Rovereto, Brescia 1766. Su Clementino Vannetti si veda: Clementino Vannetti (1754-1795). La cultura roveretana verso le “patrie lettere”, Rovereto... 1996, in Atti della Accademia roveretana degli Agiati, s. 7, CCXLVIII (1998), 8, A, n. 1.

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