TOCCAFONDI, Bianca

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2018)

TOCCAFONDI, Bianca

Paolo Puppa

Nacque a Firenze il 27  maggio del 1922. Era la secondogenita di Maria e Gastone Toccafondi, in un elenco che annovera due fratellini Luciano e Athos, destinati a morire durante la seconda guerra mondiale sotto un bombardamento anglo-americano sulla scuola da cui stavano fuggendo, e due sorelle: Leda, la maggiore, e Rina. Il padre lavorava da scenografo nonché costumista alla Pergola di Firenze e questo determinò l’esordio, davvero precoce, dell’attrice, se debuttò in questo stesso teatro all’età di soli tre anni sulle ginocchia di Gino Cervi, tutta vestita di bianco, compresi i piccoli guanti, in Sesso debole di Edouard Bourdet. In seguito, venne utilizzata in quel palcoscenico non appena si presentavano parti di bimba o di maschietto. Da qui, fatale per lei la vocazione per la ribalta, ben più importante del curriculum scolastico. Nel 1942 studiò così recitazione con Athos Ori, che dirigeva un gruppo amatoriale fiorentino, molto in voga in città, dove conobbe Franco Enriquez, Alfredo Bianchini e il giovane Giorgio Albertazzi, presto suo compagno artistico in più riprese e, per una certa fase, pure compagno di vita (anche una gravidanza sfortunata, non portata a termine per una malformazione congenita nella donna), benchè dal 1946 si fosse unita in matrimonio con Massimo Di Volo, noto giornalista e gallerista d’arte fiorentino, oltre che amministratore dell’azienda del colorificio di famiglia. Galeotte furono le recite assieme al fascinoso attore, sedotto dal biondo-castano dei capelli e dalla chiarità azzurrina dei suoi occhi, come Marta ne La casa sull’acqua di Ugo Betti, diretta da Ori nel 1948, e subito dopo al Rondò di Bacco ne Il candeliere di De Musset, colla regia di Enriquez, dov’era Iacqueline, ossia la moglie fatua e ondivaga. In una parola, prese l’avvio tra i due un’ intensa relazione di coppia, in un primo momento clandestina. E non mancarono interferenze significative tra privato e repertori alla ribalta, in quanto spesso, nell’assegnazione del ruolo, lei occupò sul palco il posto della partner sofferta del protagonista, trascurata a favore di altre, quasi un diario obliquo della loro love story. Con lui, che la chiamava Bianchina, condivideva pure il gusto e la curiosità per gli esperimenti medianici, almeno nella ricostruzione del loro rapporto fattane dall’attore, acuita dalla nostalgia per i fratellini scomparsi durante il suddetto bombardamento. La passione durò sino all’arrivo nella vita di Albertazzi di Anna Proclemer.

Dopo aver lavorato alcuni anni per Radio Firenze, nel 1949 Toccafondi si trasferì a Roma, separandosi di fatto dal marito, scritturata nella prima Compagnia Stabile di Prosa Radiofonica. Agevolata dal volto delicato, ravvivato dai citati intensi occhi azzurri, ben amalgamati colla fluente capigliatura, dotata di una dizione perfetta, di una «superba voce altisonante» (Albertazzi, Un perdente di successo, p. 80), flautata e musicale, di un «sorriso squillante» (ibid., p. 166), l’attrice si mostrò sul piccolo schermo nel periodo sperimentale del mezzo. Dal 1952 fece parte in effetti della prima Compagnia di Prosa della televisione. Dai programmi per l’infanzia alle commedie in costume, interpretò sia adattamenti teatrali che originali sceneggiati, fra cui, a partire dal primo spettacolo di prosa nel piccolo schermo, La domenica di un fidanzato di Ugo Buzzolan nel 1954, diretto da Mario Ferrero, quindi nei coevi Snodo stradale di Paolo Levi dove svettava a fianco di Giancarlo Sbragia con la regìa di Daniele D'Anza, in Lorenzaccio di Alfred de Musset, ancora regia di Mario Ferrero, in cui fu Caterina Ginori zia di Lorenzo, sempre con Albertazzi, quindi Dunia la bella e trepida sorella dell’assassino in Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij, riduzione teatrale di Lucio Ridenti, regia di Franco Enriquez. L’anno successivo fu una patetica e dimessa Sonia Alexandrovna in Zio Vania di Cechov, regia di Silverio Blasi, nonché Juli, la servetta sedotta e fatta madre dall’eroe eponimo in Liliom di Ferenc Molnàr, regia di Alessandro Brissoni. Nel 1963 fu Vera ne L’immagine di Antonio Conti e Federico Zorzi per la regia di Claudio FinoE più avanti si segnalò in Oblomov di Gončarov diretto ancora da Claudio Fino nel 1965, dove disegnò con pochi, efficacissimi tratti la massaia Agafia che intriga e seduce alla fine il pigro anti-eroe, reso in questo allestimento da Alberto Lionello. Ulteriormente, si fece notare ne I promessi sposi colla regia di Sandro Bolchi nel 1967, dove interpretava la moglie del sarto, in Jekyll, scritto e diretto da Giorgio Albertazzi nel 1969 dove fu la segretaria devota e apprensiva del protagonista e in Vita di Leonardo diretta da Renato Castellani nel 1971, facendosi ammirare nel ruolo di Isabella d’Este. Lasciò il segno pure, generosa in leggerezza e grazia femminile, nei panni della Signora Leverdet ne L’amica delle donne di Dumas fils, firmata da Davide Montemurri nel 1975.

Alla ribalta, Toccafondi si affiancò spesso ad Albertazzi con cui mantenne sempre rapporti amicali, così come ad altri acclamati compagni di lavoro quali Anna Proclemer, Renzo Ricci, Nino Besozzi, Turi Ferro e Tino Buazzelli. E qui ricoprì ovviamente ruoli importanti, dai classici come Re Lear – in cui Enriquez la diresse come candida Cordelia nel 1956 – ai testi moderni quali Il seduttore di Diego Fabbri nel 1955 in tournée nell’America del Sud, dove sosteneva la parte di Alina, segretaria rassegnata nel suo vano amore per il protagonista, e Corruzione al palazzo di giustizia di Ugo Betti, sempre nel 1955, in cui colpì la sua sofferta Elena, spettacoli tutti allestiti da Enriquez. Con I coccodrilli di Guido Rocca diretto da Franco Rossi, protagonista femminile accanto ad Albertazzi, vinse nel 1956 il prestigioso Premio San Genesio quale miglior attrice dell'anno.

Entrò altresì nella compagnia Proclemer-Albertazzi, prendendosi nel gergo tecnico dei ruoli dell’epoca le parti di amorosa o di primattrice giovane, e trovando particolari consensi ne La figlia di Iorio come struggente e palpitante Ornella e ne L’uovo di Félicien Marceau (dove era Ortensia Berthoullet, la maggiore delle tre sorelle che sposa il protagonista Emilio-ovvero Albertazzi), entrambe produzioni del 1957. Nel 1958-1959 passò col proprio nome in ditta accanto a Renzo Ricci, Eva Magni e Lina Volonghi recitando ne L'estro del poeta di O’Neill, diretto da Virginio Puecher, con scene di Damiani, dove fu la bella Sarah Melody, la figlia del protagonista Cornelius Melody, affidato a Ricci, e fu pure Cinthia in Dio salvi la Scozia di Nicola Manzari. Ma nel frattempo proseguì nella sua attività televisiva, divenendo di fatto una tra le interpreti più apprezzate e conosciute dal pubblico nel piccolo schermo.

Il temperamento trepido e appassionato di Toccafondi risultò allo stesso tempo ben controllato da un’indubbia disciplina, almeno nella prima parte della carriera, oltre che dalla capacità di contenersi ai bordi, in figure anche subalterne rispetto alla trama principale, e nondimeno incidendo ogni volta nella ricezione dello spettatore. L’intimo pathos che la caratterizzava si manifestò pienamente nel 1962 nella sua Contessa Anna, fervente patriota, in Romanticismo di Gerolamo Rovetta, accanto a Gianni Santuccio ed Emma Grammatica nella Compagnia Stabile del Teatro Sant’Erasmo di Milano sotto l’egida di Manuer Landi, troupe formata in quell’anno. Per Incontro a Babele di Salvato Cappelli si aggiudicò nel medesimo anno il Premio IDI per il ruolo di Martha Tenner. Pur portata a copioni che le consentivano appunto registri sommessi e sfumati, esibì sorprendenti doti brillanti, passando (come in televisione) con disinvoltura da titoli brillanti a drammatici, specie nel genere boulevardier, ma anche con personaggi classici come Frosina, la scatenata mezzana faccendiera, ne L’avaro di Molière con Peppino De Filippo nel 1967.

Nel 1969, affascinata dallo yoga, Toccafondi viaggiò sino ad Auroville, nel Sud dell’India, tornandovi poi nel 1970. Si trattò di un’esperienza spirituale, influenzata dal pensiero di Sri Aurobindo, filosofo mistico indiano del primo Novecento, con ricadute nella vita privata e nel lavoro (da qui il film documentario girato per la televisione nel 1973 da Davide Montemurri, L’avventura della coscienza, che la vide assieme ad Albertazzi leggere le pagine della Madre e di Aurobindo stesso). Al rientro sulla ribalta, nella stagione 1971-1972 fu la signora Crow in Adriano VII di Peter Luke con Alberto Lionello protagonista e regia di Giorgio Albertazzi, che nella stagione seguente la volle nel suo Pilato sempre, nel personaggio di Mallonia, impetuosa nelle sue perorazioni. Ma non esitò pure a cimentarsi nel canto e nella danza con la compagnia di Tony Cucchiara, nei musical Storie di periferia nel 1974 e Tragicomica con musiche nel 1977.

Partecipò altresì a due spettacoli sotto la direzione di Gabriele Lavia (Anfitrione di Kleist nel 1979, in cui apparve smagliante e trascinante nella serva Caris, moglie di Sosia, e Il divorzio di Vittorio Alfieri, nel 1980, in cui recitò la parte di Annetta Cherdalosi). Ma esibì in particolare una grande tensione nel ruolo di Linda Loman in Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, messo in scena nel 1981 da Orazio Costa, che l’aveva già guidata nell'aspra Natalia nelle Tre sorelle di Cechov nel 1974, da lei reso con una verve prorompente.

Con Allegre comari di Windsor (spettacolo prima della Compagnia Hintermann-Toccafondi nel 1982 e poi della Compagnia dell’Atto, 1998), regia di Nucci La Dogana, l’attrice confermò le sopracitate doti comiche e una qualche dismisura che tendeva a concedersi negli ultimi tempi, contrariamente alle proprie abitudini di sobrietà allusiva, come ruffiana e linguacciuta signora Quickly, sbozzando un personaggio straripante. Analoghi eccessi si concesse, pur venati di un’ astuta e raffinata ironia, allorché si esibì  come Paulina nello shakespeariano Il racconto d’inverno nel 1987, in cui si accampava in primo piano, dirigendo di fatto in alcune sequenze l’azione complessiva.

Nell’opera Peer Gynt di Edvard Grieg, l’attrice fu voce recitante nel ruolo della madre all’Accademia di Santa Cecilia di Roma insieme a Giorgio Albertazzi, Anna Proclemer ed Elisabetta Pozzi e fu Aurelia,  scombinata e coraggiosa nella sua lotta contro la mafia, ne La pazza di Chaillot di Giraudoux al Teatro Biondo di Palermo, regia di Pietro Carriglio, produzioni entrambe del 1987. Fu presente pure in Rigenerazione di Italo Svevo al Piccolo Teatro di Milano accanto a Tino Carraro nel 1989, diretta da Enrico D'Amato, mentre nel montaggio Shakespeariana con Giorgio Albertazzi, al Festival di Taormina del 1995, duettava alla pari coll’attore, tra velenosità e moine muliebri  in Antonio e Cleopatra. Nel 2000 fu Cecilia, la moglie del cinico barone ne Il figlio di Pulcinella di De Filippo, diretta da Geppy Gleijeses. Nel 2001 recitò a Palermo come Maria ne I Vangeli guidata da Alberto Di Stasio, autore anche del copione, e in alcuni recital come Mosaico d’amore con Giuliano Esperati, attore e doppiatore, di parecchi anni più giovane di lei, conosciuto al tempo dell’allestimento di Un giorno d’aprile di Aldo De Benedetti nel 1964 al Sant’Erasmo milanese, sposato il 12 dicembre del 2003 dopo lunga convivenza, e le musiche di Silvano Spadaccino. Particolare risalto ebbe ne il dramma sacro Incontro di Maria, presentato alla sala Nervi in Vaticano alla presenza del Papa Giovanni Paolo II, indizio di un’urgenza religiosa che ormai la incalzava.

Dagli anni Ottanta, la Toccafondi si impegnò anche come insegnante di recitazione, sfruttando la già accennata dizione perfetta e la musicalità del timbro, presso le scuole Quinta Praticabile di Genova e Clesis Arte di Roma. Nel 1982 ricevette altri significativi riconoscimenti, quali il Premio Maschera e nel 2004 il Premio Flaiano alla carriera.

Fu invece poco sfruttata dal grande schermo, sorte abitualmente riservata alle nostre attrici di teatro, con rare eccezioni, se non in qualche occasione di doppiaggio. Fu negli anni ’70, per parti di contorno, in Gradiva, regia di Giorgio Albertazzi del 1970, L'infermiera di mio padre di Mario Bianchi nel 1975, Il gatto dagli occhi di giada di Antonio Bido nel 1976, infine ne Il guerriero Camillo di Claudio Bigagli nel 1998.

Dopo un intervento ospedaliero mal riuscito allo stomaco il 1 gennaio del 2004, morì a 81 anni il 23 gennaio all’ospedale di Monterotondo, vicino a Capena, nei pressi di Roma, dove dimorava, assistita dal marito. Al funerale, celebrato nella Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo, non mancò il suo antico compagno di scena Giorgio Albertazzi, che tenne una commossa, elegiaca rievocazione dell’attrice. Venne sepolta al cimitero fiorentino di Trespiano, assieme ai mai dimenticati fratellini.

Fonti e bibliografia

Al di là della consueta recensionistica ricavabile dalle principali riviste teatrali dell’epoca, e dei materiali registrati e conservati nell’Archivio della Rai, almeno R. Tomasino, Il piacere di narrare in Giornale di Sicilia, 21 febbraio 1987; G. Albertazzi, Un perdente di successo, Milano 1988; M. Zaccaria, Voce Bianca Toccafondi, in Archivio Multimediale degli Attori Italiani (A.M.At.I.),

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Morte di un commesso viaggiatore

Accademia di santa cecilia

Allegre comari di windsor

Seconda guerra mondiale

Papa giovanni paolo ii