Bibbia

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Bibbia

J. Alberto Soggin
Bruno Corsani
Luis Alonso-Schökel

(VI, p. 879; App. II, 1, p. 395; III, 1, p. 231; IV, 1, p. 260; V, 1, p. 352)

Vecchio Testamento

di J. Alberto Soggin

Critica del testo

Nel campo della critica testuale le novità da segnalare fino agli inizi del 1999 sono relativamente poche. È stata più volte ristampata la Biblia Hebraica Stuttgartensia nella sua 4ª ed. in 15 fascicoli, curata da K. Elliger (m. 1977) e W. Rudolph (m. 1987) e terminata nel 1977, sia nel suo formato tradizionale, sia in un formato più ridotto e maneggevole. Il fascicolo 16 (che doveva riprodurre quanto resta del testo ebraico del Siracide, completo per circa il 70%) non è potuto uscire a causa dello smarrimento del manoscritto nelle poste tedesche e la morte nel 1990 del curatore, H.-P. Rüger dell'università di Tubinga.

Il testo ebraico

Lo Hebrew Old Testament project of the United Bible societies, annunciato da molti anni, non è più stato realizzato e nei progetti della casa biblica di Stoccarda è stato sostituito da un'edizione completamente nuova (la 5ª) della Biblia Hebraica, di cui il primo fascicolo è stato pubblicato nel 1998. Caratteristica di questa edizione è che, a differenza delle precedenti, essa intende rinunciare a segnalare le congetture proposte, limitandosi a registrare solo una scelta di vere e proprie varianti, quali appaiono in antichi manoscritti ebraici, nel Pentateuco samaritano (del quale manca finora un'edizione critica) e nelle antiche traduzioni: quella greca detta 'dei Settanta' e i frammenti di altre traduzioni greche (Aquila, Simmaco e Teodozione), conservati soprattutto nei resti degli Esapla di Origene, la Vulgata latina e quella siriaca. In una scelta del genere una valutazione soggettiva dei materiali da parte dei singoli curatori è inevitabile. Anche in questo caso i curatori generali dell'opera (J. de Waard, Y. Goldman, G. Norton, S. Pisano, A. Schenker, A. van der Kooij e R. Weis) intendono offrire agli studiosi un'edizione diplomatica, ma sempre manuale, del textus receptus (masoretico), basata, come nelle precedenti edizioni, sul Codex Petropolitanus (già Leningradensis) B 19 A del 1008, proveniente dalla collezione A. Firkovič. Un altro manoscritto, il Codex Halepensis, proveniente dalla sinagoga caraita di Aleppo, della prima metà del 10° sec., è giunto incompleto in Israele in circostanze avventurose nel 1948, e serve da base per il progetto di cui si dirà più avanti. Altri codici, tutti limitati a determinate sezioni della B., vanno dal 9° all'11° secolo. Il fatto che la redazione di questi testi risalga, con buone probabilità, a un'epoca piuttosto tarda spiega l'importanza di testimonianze anteriori, quali i manoscritti di Qumrān. I tempi per un'edizione veramente critica, come da oltre un secolo avviene per il Nuovo Testamento, non sembrano comunque ancora essere maturi.

Per quanto riguarda lo Hebrew University Bible project, è stato completato e pubblicato il volume di Isaia, mentre è ultimato, ma ancora da pubblicare, quello di Geremia. Difficoltà finanziarie e la morte nel 1991 del curatore e animatore del progetto, M. Goshen-Gottstein, hanno condotto di fatto a una sospensione dei lavori, anche se l'annuario relativo al progetto, intitolato Textus, continua a essere pubblicato. Caratteristica di quest'edizione è proporsi lo scopo di registrare tutte le varianti al testo masoretico (che ne costituisce la base) conosciute al momento della pubblicazione.

Un manuale di critica testuale è in corso di pubblicazione presso l'università di Friburgo in Svizzera, a cura di D. Barthélemy, Critique textuelle de l'Ancien Testament (Universitätsverlag, Friburgo, e Vandenhoeck & Ruprecht, Gottinga). Sono usciti quattro volumi e mancano quelli relativi al Pentateuco e a Salmi, Proverbi e Giobbe. All'opera sono state rivolte critiche per quella che viene considerata da taluni una impostazione piuttosto conservatrice, in quanto essa privilegia il testo masoretico.

La regione del Mar Morto

Sotto la guida competente e alacre di E. Tov dell'Università Ebraica di Gerusalemme e in seguito all'affidamento dei compiti organizzativi e di rappresentanza all'Israel exploration society, la pubblicazione dei testi rinvenuti dal 1947 in avanti procede regolarmente. Ormai non vi sono più ragioni per formulare critiche, come quelle presentate alla fine degli anni Ottanta nei confronti del comitato di edizione di allora, di ritardare la pubblicazione dei materiali. Allo stato attuale dei lavori circa l'80÷85% dei materiali è stato pubblicato in edizione critica nella collana Discoveries in the Judaean desert, della quale sono usciti i voll. 8, 9, 10, 12, 13, 14, 20, 22, 23 e 24, mentre altri sono in fase di completamento. L'attesa per la scoperta dei grandi manoscritti biblici e dei commentari è ormai un ricordo: nei volumi citati appaiono soltanto frammenti di manuali di disciplina e di pietà del gruppo, mentre più rari sono i testi biblici, tutti in uno stato molto frammentario; in essi si registrano tuttavia varianti testuali a volte di notevole interesse.

Frammenti di particolare importanza, non ancora pubblicati (salvo provvisoriamente nell'apparato critico della Biblia Hebraica Stuttgartensia per il fascicolo di Samuele), sono quelli dei due libri di Samuele registrati sotto la sigla 4QSamabc o 4Q 51,52,53; essi riproducono un testo che sta tra quello parallelo delle Cronache e quello del cod. B (Vaticano) del testo greco dei Settanta. L'interesse del testo di I-II Samuele (come anche di altri frammenti di Qumrān) sta proprio nel fatto di riprodurre una tradizione testuale differente da quella masoretica. La mancata pubblicazione del rimanente 15÷20% dei testi è dovuta al loro carattere estremamente frammentario e alla fragilità dei materiali.

Accuse formulate ogni tanto (e amplificate dalla stampa, anche da quella non scandalistica) nei confronti dei comitati editoriali, ossia di ritardare la pubblicazione di certi testi perché metterebbero in pericolo la fede cristiana (si è parlato addirittura di un complotto ordito dal Vaticano in combutta con l'École biblique et archéologique française di Gerusalemme gestita dai domenicani!), si sono rivelate frattanto, com'era del resto prevedibile, completamente infondate. Lo stesso vale per i tentativi più seri di mettere la setta di Qumrān (v. morto, mare, App. III) in relazione con le origini cristiane: il più recente è stato proposto dagli studiosi statunitensi R. Eisenman e M. Wise prima in interviste giornalistiche e poi in un libro all'inizio degli anni Novanta; Wise si è più tardi dissociato dalla tesi del collega.

Un'edizione critica dei testi non biblici (manuali del gruppo, libri di liturgia e di devozione) viene curata da J.H. Charlesworth di Princeton e appare a Tubinga (presso la casa editrice J.C.B. Mohr [P. Siebeck]) e a Louisville, Kentucky, negli Stati Uniti (presso la casa editrice Westminster & John Knox Press): The Dead Sea scrolls. Sono previsti dieci volumi, di cui sono apparsi la concordanza e i voll. 1, 2 e 4.

I testi aramaici sono stati pubblicati a cura di K. Beyer presso la casa editrice Vandenhoeck & Ruprecht di Gottinga: Die aramäischen Texte vom Toten Meer, 1° vol. (1984); 2° vol. (1994).

Tra le dozzine di traduzioni dei testi, apparse in varie lingue, è da segnalare quella curata da F. García Martínez, Textos de Qumran (Madrid, Editorial Trotta, 1992); l'opera è uscita poi in edizione italiana a cura di C. Martone, Testi di Qumran (Brescia, Paideia editrice, 1996), e corredata da utili commentari.

Traduzioni greche

La pubblicazione dell'edizione critica della traduzione dei Settanta curata dall'Accademia delle scienze di Gottinga prosegue regolarmente, per i tipi della casa Vandenhoeck & Ruprecht. Dopo la morte del fondatore del progetto, J. Ziegler, nel 1988, la direzione è stata assunta da R. Hanhart, anch'egli dell'università di Gottinga, che si era affiancato a Ziegler negli ultimi anni della sua vita. Oltre a nuove edizioni, spesso riviste, di alcuni volumi già pubblicati in precedenza nella stessa collezione, a cura di J.W. Wevers sono stati pubblicati i volumi relativi al Levitico (1987) e all'Esodo (1991). I frammenti delle altre traduzioni sono studiati e pubblicati soprattutto in Spagna. È infine in progetto una nuova edizione dei resti degli Esapla che sostituisca quella ottocentesca di F. Field.

Traduzioni latine

Mentre prosegue la pubblicazione dell'edizione critica della Vetus Latina, a cura dei benedettini dell'abbazia di Beuron, che comprende fino al 1998 Genesi, Isaia, Siracide, Sapienza di Salomone, e per quanto riguarda il Nuovo Testamento le lettere cattoliche e quasi tutte quelle paoline, il testo dell'edizione critica della Vulgata, a cura dei benedettini già appartenenti all'abbazia di San Girolamo di Roma e stampato presso la Libreria Editrice Vaticana, è giunto nel 1995 alla conclusione per quel che riguarda il Vecchio Testamento; sembra purtroppo che il progetto di pubblicare anche il Nuovo Testamento sia stato provvisoriamente accantonato.

La traduzione siriaca

La pubblicazione della traduzione siriaca, detta la Pĕsḥittā ("la semplice"), prosegue alacremente presso il Peshitto Institute di Leida e appare presso la casa editrice E.J. Brill. La morte del fondatore del progetto, P.A.H. de Boer, nel 1989, e del suo successore, J.J. Mulder, nel 1993, ha fatto sì che la direzione dell'opera fosse assunta in forma collegiale dal comitato di edizione. Nel 1997 è stata pubblicata la concordanza relativa al Pentateuco.

Traduzioni moderne della Bibbia in italiano

L'ottima traduzione curata dalla Conferenza episcopale italiana e pubblicata nel 1973 (e che sta alla base praticamente di tutte le traduzioni cattoliche contemporanee della B.) è in fase di revisione per quanto riguarda il Vecchio Testamento, mentre nel 1997 è stato pubblicato il testo rivisto del Nuovo Testamento. La Traduzione in lingua corrente è stata completata nel 1995 da parte di un comitato misto cattolico-protestante ed è apparsa presso la casa cattolica Elle Di Ci di Leumann (Torino) e l'Alleanza biblica universale di Roma. Anche la Riveduta protestante è stata rivista, modernizzata nella lingua e parzialmente aggiornata: La Sacra Bibbia. Nuova versione riveduta sui testi originali, a cura della Società biblica di Ginevra e dell'Alleanza biblica universale, Roma 1996.

Nuovo Testamento

di Bruno Corsani

Nuove edizioni critiche

Nel 1993 la Deutsche Bibelgesellschaft (Stuttgart) ha pubblicato la 27ª ed. del Novum Testamentum Graece, edito per la prima volta nel 1898 da Eberhard Nestle, ripreso e sviluppato dal figlio Erwin, cui successivamente si è affiancato K. Aland (v. in questa Appendice), e noto da sempre come 'il Nestle'. Il testo critico è immutato rispetto alla 26ª ed. del 1979 (salvo qualche correzione alla punteggiatura e agli accenti), mentre l'apparato di lezioni varianti è stato accresciuto, tanto da esigere l'aumento del formato del volume (che misura ora cm 14,5×19,2).

Anche il Greek New Testament (GNT) delle United Bible societies è stato riveduto per la 4ª ed. del 1993. Destinato soprattutto ai tecnici della traduzione nelle più svariate lingue del mondo, il GNT offre il medesimo testo critico (denominato lemma) del Nestle, ma presenta, rispetto a esso, un minor numero di passi per i quali sono fornite lezioni varianti. In compenso, di queste vengono indicati tutti i testimoni. Vista la finalità pratica dell'edizione, c'è chi considera eccessiva la citazione di tutti i testimoni e auspicherebbe invece un moderato aumento dei passi dei quali si riportano lezioni varianti. Va notata la trasformazione dell'apparato con i segni di interpunzione di diverse edizioni moderne: giudicato troppo formale, è ora sostituito da un Discourse segmentation apparatus, che riprende (da 5 edizioni critiche del greco e 11 traduzioni inglesi, francesi, tedesche e spagnole) la suddivisione del testo in parti, sezioni, paragrafi e sottoparagrafi, segnalando quando divergono dal GNT. Queste informazioni, come pure la suddivisione del testo in paragrafi (titolati in inglese), rispondono allo scopo per cui il GNT è nato nel 1966.

Prosegue, intanto, il lavoro per l'International Greek New Testament project (IGNTP). Dopo i volumi su Marco (1933), Matteo (1940), Luca 1-12 (1984) e Luca 13-24 (1987), è uscito nel 1995 un volume preparatorio a Giovanni, che contiene la trascrizione dei 23 papiri testimoni del quarto Vangelo, un completo apparato critico e una serie di tavole fotografiche che riproducono i papiri stessi con l'eccezione di P⁶⁶ e di P⁷⁵ a motivo della loro lunghezza. Del resto, il testo dei due papiri era già disponibile con una riproduzione fotografica a cura della Bibliothèque Bodmer, Cologny-Genève (P⁶⁶: cc. 1-14, 1956; cc. 14-21, 1958, 1962²; P⁷⁵: cc. 1-15, 1961). Va ricordato che l'IGNTP mira a produrre non un nuovo testo critico, ma soltanto un apparato critico possibilmente completo, usando come lemma il textus receptus del 16° secolo.

Il volume sui testimoni papiracei del quarto Vangelo si affianca a quelli prodotti (nell'ambito di un altro progetto) dall'Institut für neutestamentliche Textforschung presso l'università di Münster (Westfalia). W. Grünewald e K. Junack avevano pubblicato Das Neue Testament auf Papyrus, i. Die katholischen Briefe, Berlin-New York, W. de Gruyter, 1986; seguirono ii, 1. Die paulinischen Briefe (Röm., 1. Kor., 2. Kor.), a cura di K. Junack, E. Güting, U. Nimtz, K. Witte, 1989; infine K. Wachtel e K. Witte hanno curato il vol. ii, 2, Die paulinischen Briefe (Gal., Eph., Phil., Kol., 1. u. 2. Thess., 1. u. 2. Tim., Tit., Phlm., Hebr.), 1994.

L'ultima lista dei manoscritti neotestamentari (K. Aland, Kurzgefasste Liste der griechischen Handschriften des Neuen Testaments, 1963, 1994²) comprende 99 papiri, 306 codici maiuscoli, 2856 codici minuscoli e 2403 lezionari, e cioè un totale di 5664 manoscritti (tuttavia, alcuni codici minuscoli e alcuni lezionari sono parti di un solo manoscritto e altri sono scritti in greco moderno).

Edizioni diglotte

Se in passato le edizioni bilingui greco-latine si limitavano a riprodurre uno dei classici testi critici con, a fronte, il testo della Vulgata, si vanno moltiplicando le edizioni diglotte con il greco e una traduzione moderna del Nuovo Testamento. Diglotte greco-italiane sono apparse nel 1990 (A. Merk, G. Barbaglio, Nuovo Testamento greco e italiano, Bologna, EDB, 1990) e nel 1996 (E. Nestle, K. Aland, Nuovo Testamento greco-italiano, a cura di B. Corsani, C. Buzzetti, Roma, Società biblica britannica e forestiera, 1996); in entrambi i casi l'italiano è la versione curata dalla Conferenza episcopale italiana. Un recente Nuovo Testamento trilingue (a cura di P. Beretta, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1998) pubblica il testo greco di Nestle-Aland (con traduzione italiana interlineare di A. Bigarelli), quello latino della Vulgata clementina e quello italiano della Nuovissima versione della Bibbia pubblicata dalla stessa editrice.

Frammenti di Vangeli a Qumrān? 

Continua il dibattito sull'identificazione di un frammento (7Q5) della grotta vii di Qumrān con un passo del Vangelo di Marco. La tesi era stata avanzata da J. O'Callaghan (Biblica, 53, 1972, pp. 91-100) e ripresa da C.P. Thiede. I proponenti hanno ripresentato le loro ipotesi, O'Callaghan su La civiltà cattolica, 1992, ii, pp. 464-73, e Thiede nel volume Qumrān et les Évangiles. Les manuscrits de la grotte 7 et la naissance du Nouveau Testament, Paris 1994, e in alcuni interventi su riviste (per es., Biblica 1994, 75, pp. 394-98, e Westminster theological journal, 1995, 57, pp. 471-74). La Revue biblique (Jérusalem-Paris) ha raccolto nel nr. 4 del 1995 (cfr. la bibliografia) la valutazione negativa di tre esperti, E. Puech, M.-E. Boismard e P. Grelot, secondo i quali l'identificazione del frammento 5 (11 lettere complete, più alcune frammentarie) con Marco 6,52-53 sarebbe possibile soltanto grazie a letture errate di alcune lettere e con varianti rispetto al testo dello stesso Vangelo così com'è riportato dai più antichi manoscritti. Sembra dunque molto difficile far risalire Marco alla metà del 1° sec. dell'era cristiana. Solo l'ipotesi che si tratti del frammento di uno scritto preparatorio anteriore al Vangelo stesso potrebbe essere compatibile con la data e con le divergenze rispetto a Marco 6,52-53.

Il più antico manoscritto contenente i quattro Vangeli?

Frammenti di questo documento sarebbero stati identificati da T.C. Skeat. Si tratta di P⁴, P⁶⁴ e P⁶⁷. Gli ultimi due erano già noti come facenti parte di un medesimo manoscritto (cfr. la lista dei papiri in appendice alla 27ª ed. del Nestle-Aland): il primo contiene frammenti di Matteo 26, il secondo contiene frammenti di Matteo 3 e 5. Skeat è portato dal suo studio ad affermare che anche P⁴, che contiene frammenti dei primi sei capitoli di Luca, sia stato scritto dalla stessa mano e possa appartenere allo stesso codice, costituito da un unico fascicolo. Calcolando il numero delle righe e delle lettere, e la larghezza delle colonne (che soleva diminuire andando verso le pagine centrali del codice, per poi ricrescere), Skeat deduce che il codice doveva avere un numero di pagine atto a contenere, oltre a Matteo e Luca, anche Marco e Giovanni (probabilmente nell'ordine detto 'occidentale': Matteo, Giovanni, Luca, Marco). Skeat data il papiro verso il 200, dunque più indietro del P⁴⁵ (Chester Beatty) che era finora il più antico manoscritto contenente con sicurezza i quattro Vangeli (e gli Atti degli Apostoli).

Sussidi

È uscito in 2ª ed. B.M. Metzger, A textual commentary on the Greek New Testament. A companion volume to the United Bible Societies Greek New Testament, Stuttgart-New York, Deutsche Bibelgesellschaft-United Bible societies, 1994. Il volume commenta, come nella precedente edizione, le scelte fatte dal comitato editoriale per tutte le lezioni varianti offerte dal Greek New Testament nel suo apparato critico, con particolare attenzione agli Atti degli Apostoli. Naturalmente la 2ª ed. è basata sull'apparato della 4ª ed. del Greek New Testament. In lingua italiana è ora completa la traduzione delle Note di lessicografia neotestamentaria di C. Spicq (pubblicata in ed. originale a Friburgo, Svizzera, nel 1978 e nel 1982). Il vol. 1° (Brescia, Paideia editrice, 1988) comprendeva voci dalla A alla K. Il vol. 2° (Brescia 1994) esamina voci della seconda metà dell'alfabeto greco. Tra gli strumenti va infine segnalato C. Rusconi, Vocabolario del greco del Nuovo Testamento, Bologna, EDB, 1996.

bibliografia

Sulle nuove ed. critiche: F. Neyrinck, The Greek New Testament. Fourth revised edition, in Ephemerides theologicae Lovanienses, 1993, 69, pp. 419-21; J.K. Elliott, The New Testament in Greek: two new editions, in Theologische Literaturzeitung, 1994, 119, coll. 493-96; E. Lohse, Neue Auflagen des Greek New Testament und des Novum Testamentum Graece, in Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft, 1994, 85, pp. 290-91; F. Neyrinck, Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece ... ed. 27, in Ephemerides theologicae Lovanienses, 1994, 70, pp. 154-57.

Sull'IGNTP: E.J. Epp, The international Greek New Testament project: motivation and history, in Novum Testamentum, 1997, 39, 1, pp. 1-20; The New Testament in Greek, IV: The Gospel according to St. John, 1, The papyri (N.T. Tools and Studies 20), ed. W.J. Elliott, D.C. Parker, Leiden 1995.

Su Qumrān e i Vangeli (oltre ai testi già citati in extenso): M.-E. Boismard, À propos de 7Q5 et Mc 6,52-53, in Revue Biblique, 1994, 102, pp. 585-88; P. Grelot, Note sur les propositions du Pr Carsten Peter Thiede, in Revue Biblique, 1994, 102, pp. 589-91; E. Puech, Des fragments grecs de la grotte 7 et le Nouveau Testament? 7Q4 et 7Q5, et le papyrus Magdalen Grec 17=P⁶⁴, in Revue Biblique, 1994, 102, pp. 570-84.

Su P⁴, P⁶⁴ e P⁶⁷: T.J. Skeat, The oldest manuscript of the Four Gospels?, in New Testament studies, 1997, 43, pp. 1-34.

Per una datazione del P⁶⁴ nel 1° sec.: C.P. Thiede, Papyrus Magdalen Greek 17 (Gregory-Aland P⁶⁴): a reappraisal, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 1995, 105, pp. 13-20.

Critica biblica ed esegesi

di Luis Alonso-Schökel

Critica testuale

Si assiste in questo scorcio di secolo alla nascita di una nuova mentalità nell'affrontare i problemi di critica testuale, caratterizzata da maggiore prudenza rispetto ai decenni precedenti. Per il Vecchio Testamento non solo si è divenuti più consapevoli dei limiti dei propri mezzi, ma in molti casi si arriva anche a dubitare dell'esistenza di un testo originale, canonicamente definito e integralmente recuperabile. Forse è per questo che lo sforzo degli studiosi si concentra non tanto nel restituire un presunto testo originale, quanto nel ricostruire la trasmissione del testo masoretico. Oggi, mentre per alcuni le varianti testuali vanno riportate al processo di trasmissione del testo, per altri, almeno nel caso dei libri di Samuele e Geremia, esse risalgono a tradizioni divergenti già in origine. La cautela nel giudizio è evidente nell'edizione interconfessionale del Nuovo Testamento, curata da K. Aland e da altri studiosi (1969, 1993⁴). Si tratta di un'edizione di uso corrente per studiosi e studenti, che si divide il mercato con la 27ª ed. del Nestle-Aland (Eb. Nestle, Er. Nestle, K. Aland 1993²⁷). La prima offre molta informazione su alcuni passi, la seconda alcune informazioni su molti passi. Entrambe sono state concepite per un largo pubblico: pesantemente condizionate da esigenze di mercato, condizionano a loro volta l'esercizio dell'esegesi (il fattore commerciale incide quindi molto, per via indiretta, sullo studio della Bibbia).

Archeologia

Nell'ultimo quarto del secolo 20°, l'archeologia ha registrato un ritrovamento di importanza pari a quello di Ugarit (1929) e di Qumrān (1947). Si tratta della scoperta di oltre diecimila tavolette dell'antica città di Ebla (v. tell mardīkh, App. V), scritte in parte in una lingua semitica occidentale. È in corso il lavoro di decifrazione, promosso e attuato da un gruppo di esperti. Vanno prendendo forma, sia pure in maniera ancora approssimativa e provvisoria, morfologia e lessico. Il lavoro è reso difficile dal fatto che gran parte dei testi è scritta in ideogrammi, per cui è possibile sia una lettura in sumerico, sia una lettura in semitico-occidentale. Le speranze che i documenti di Ebla, datati ai secoli 25° e 24° a.C., possano un giorno gettare nuova luce sulla B. ebraica si sono tuttavia rivelate di scarsa consistenza.

Si deve sottolineare al contempo un regresso nell'utilizzazione delle letterature dell'Oriente antico come aiuto per l'interpretazione del Vecchio Testamento, a causa dell'affermarsi di tendenze autonomiste nell'ambito delle facoltà per lo studio dell'Oriente antico, concepite e organizzate in modo del tutto indipendente, prescindendo cioè dallo studio della Bibbia. L'esegeta biblico di solito non accede in modo diretto a studi altamente specializzati sulle culture limitrofe, e per parte sua lo specialista di tali culture non sente l'esigenza di collaborare con il collega biblista. Si tratta di una tendenza che ha impoverito l'esegesi del Vecchio Testamento, e le eccezioni a questo processo, pur notevoli, non bastano a contrastarne il corso, né è possibile prevedere un'inversione di tendenza nell'immediato futuro. Per quanto riguarda poi il Nuovo Testamento, l'archeologia non ha portato negli ultimi decenni nuovo materiale.

Il metodo storico-critico

Lo studio storico-critico del Vecchio Testamento può essere diviso in quattro tappe: studio delle fonti; studio delle forme o generi letterari; studio della tradizione, che risale alle origini; studio della redazione, che ridiscende al testo finale. Nello studio del Pentateuco si può cogliere molto bene questo duplice percorso critico, che muovendo nell'uno e nell'altro caso dall'analisi di fonti diverse e databili, prende direzioni opposte: nel primo caso si risale all'origine del testo, cioè a tradizioni orali radicate nella vita delle comunità; nel secondo si discende invece, passando attraverso le elaborazioni successive, al testo finale. Questi due procedimenti d'analisi dominano tuttora una larghissima area della ricerca: 'storia della tradizione' e 'storia della redazione' sono espressioni che ricorrono spesso ancor oggi nei titoli di tesi di dottorato o di monografie. In questo campo di studi poi ci sono naturalmente punti di convergenza e punti di scontro.

Ha conquistato molto favore l'orientamento che considera l'esilio di Babilonia come il momento cruciale della letteratura ebraica, quasi la matrice di gran parte dei testi biblici. Il resto è considerato preistoria. Responsabili di questi testi sarebbero, piuttosto che singoli autori, delle scuole che avrebbero dato carattere unitario e omogeneo a opere che la critica moderna reputava più antiche. Ma se si sottopone quest'analisi della letteratura ebraica a vaglio critico, ci si accorge che la convergenza degli studiosi moderni riguarda più il modello e il metodo che non punti concreti. E se poi si soppesano gli argomenti addotti a favore di una simile interpretazione si nota che l'accordo è precedente all'analisi, in certo qual modo assunto a priori.

Il lato debole del metodo storico-critico, nella sua formulazione ultima o più recente, sta nel fatto che quelle che per alcuni sono ipotesi di ricerca, si riducono per altri a semplici congetture. Poiché il corpus dei testi biblici è molto ristretto, scarsissimi sono i dati esterni e tenui gli indizi interni; la ricostruzione storico-critica secondo i suoi oppositori non farebbe altro che accumulare congetture, riducendo le probabilità di fondatezza delle singole proposte e della visione d'insieme. Inoltre, obiettano i critici, questo genere di analisi, scomponendo il testo della B. in una serie di strati successivi, provoca una frammentazione che fa perdere di vista il testo biblico stesso, e questo viene così a essere trascurato e privato della sua forza espressiva. Questa obiezione non è decisiva, si risponde, in quanto la frammentazione viene effettuata o accettata al fine di ricostituire o recuperare altre tradizioni spirituali, vale a dire le scuole, che sarebbero le responsabili dei vari stadi intermedi e del testo finale.

Aspetti degli studi biblici

Le obiezioni indicate possono generare insoddisfazione o stanchezza. Se mosse dall'interno del sistema storico-critico, possono provocare una revisione del metodo e una verifica dei suoi argomenti e risultati. Ma la critica non si ferma qui, poiché si aggiungono altre sollecitazioni di vario genere: dall'alto, criteri dogmatici o di fede; dal basso, le necessità della vita; da uno stesso livello, le altre discipline universitarie, in particolare la linguistica strutturale, anche nei suoi sviluppi, e l'ermeneutica.

La linguistica generale nella sua versione più ristretta è segnata dallo strutturalismo e dai suoi effetti. Nella sua versione più ampia, più filosofica, è uno dei grandi temi del sec. 20°. La linguistica, in questo caso, rientra di diritto nell'ermeneutica, che studia i presupposti del comprendere e descrive i processi per capire e spiegare i testi. Attualmente si pubblicano tre riviste bibliche di chiaro orientamento linguistico: Linguistica biblica a Bonn, Semeia a Chico (Calif.), Sémiotique et Bible a Lione.

Vi è poi uno strutturalismo in senso stretto, di carattere astorico, secondo il quale le strutture soggiacenti alle lingue, alle istituzioni e alle culture, trascendono le condizioni spazio-temporali. Lo studio di tali strutture è più radicale di quello proprio della visione umanistica e storica. Lo strutturalismo, applicato a singoli testi, si interessa dell'organizzazione e del meccanismo del segno (semiotica) prescindendo dal significato. Se l'analisi strutturale e semiotica finisse per dominare lo studio della B., il metodo storico-critico tenderebbe ad abbandonare il terreno.

L'impatto dello strutturalismo sugli studi biblici è stato burrascoso e la sua ritirata parziale e pacifica. Si è compreso molto presto che non ha senso prescindere dal significato (semantica) e che trascurare le conoscenze storiche nella spiegazione di un testo significa impoverirlo. Lo strutturalismo ha comunque lasciato qualcosa che potrà avere sviluppi positivi nei prossimi decenni: una maggiore attenzione all'organizzazione del segno, un maggiore rispetto per il testo dato, una maggiore consapevolezza del linguaggio come mediatore di senso. Un campo d'indagine fecondo per il metodo strutturale, riportato nei suoi giusti limiti, potrà essere lo studio del vocabolario per aree semantiche e lessicali. La limitatezza del corpus letterario ebraico e l'ignoranza della sua esatta diacronia scoraggiano chi si avvicini a questa indagine. Per tale motivo è auspicabile che la ricerca prosegua in questa direzione, ma è azzardato predirne una crescita significativa nei prossimi decenni.

L'analisi strutturale si è maggiormente affermata nello studio del Nuovo Testamento, soprattutto in Francia. I testi narrativi, come i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, sono stati terreno prediletto per tali indagini. Bisogna tuttavia rilevare che alcune analisi che si presentano come 'strutturali' non rientrano nello strutturalismo vero e proprio, ma descrivono la struttura di superficie di un testo in quanto composizione retorica.

Per quanto riguarda lo studio letterario della B., in diverse occasioni i metodi di studio di altre letterature hanno influito sulle scienze bibliche e le hanno arricchite (R. Lowth, E. König, H. Gunkel). Non serve trincerarsi dietro l'argomentazione, in sé falsa, che la B. è diversa da qualunque altro testo letterario. Al massimo, l'hanno resa diversa certi metodi di ricerca, per i loro stessi presupposti. Lo studio comparato della letteratura biblica, che applica alla B. modelli e metodi accreditati nello studio di altre letterature, ha fatto recentemente molti progressi per quanto riguarda la prosa narrativa. Questo studio si articola in tre direzioni principali: quella dello strutturalismo e della semiotica, sulla scia di V.J. Propp e A.J. Greimas; quella delle tecniche narrative, sulla scia di H. James, R.E. Scholes e R. Kellogg; oppure quella del tradizionale close reading o explication de textes, con qualche influenza indiretta della nueva estilística o del new criticism. In tutti e tre gli ambiti, il lavoro è più arduo, per quanto meno laborioso, che non in altri studi storico-critici. I risultati raggiunti finora, pur con i limiti e gli eccessi prevedibili, sono suggestivi e di grande valore, e questo fa prevedere ulteriori progressi nello stesso senso. Per il Nuovo Testamento, come si è già detto, ha prevalso la prima tendenza.

A queste sollecitazioni se ne deve aggiungere una recente che proviene dalle facoltà di Teologia. Si tratta del rinnovato interesse per una teologia narrativa, cioè una forma di teologia che utilizza la narrazione biblica, o indirettamente biblica. Lo si potrebbe considerare un nuovo locus theologicus, analogo a quelli che M. Cano elencò nel suo catalogo (De locis theologicis, 1563) e non lontano da quella cristologia tradizionalmente detta de mysteriis vitae Christi. Si potrà così avere un'unione feconda fra teologia narrativa e studio letterario del racconto biblico.

La stessa diagnosi non si può confermare per la poesia, ammesso che gran parte del Vecchio Testamento debba considerarsi poesia nell'accezione corrente. Non mancano, certo, stimoli provenienti dalle ricerche di carattere letterario. Si studia il linguaggio poetico, si analizzano immagini e simboli dal punto di vista di varie discipline: religioni comparate, folklore, psicoanalisi, sociologia, e altre ancora. Tanto più che la teologia stessa sembra recuperare l'interesse per il simbolo, inteso, quest'ultimo, non come simbolo di fede ma come simbolo poetico (la poesia rientra in un locus theologicus di Cano). È strano che le scienze bibliche si siano tenute lontane e si siano quasi corazzate nei confronti di questi possibili influssi. Il poco che è stato fatto in questo ambito non ha avuto impatto né diffusione.

Per quanto riguarda l'ermeneutica, si possono individuare nel sec. 20° due tappe di cambiamento o, se si vuole, di progresso, legate ai nomi di K. Barth e R. Bultmann. Il pensiero di Bultmann ha troppo a lungo condizionato la ricerca. Il suo scarso interesse per la continuità storica (attualismo della parola), la mancanza di senso comunitario (individualismo), l'ambiguità dei concetti di mito e simbolo (demitizzazione) hanno probabilmente messo in crisi la sua teoria. Hanno retto invece il concetto di precomprensione, il richiamo alla forza di appello della parola stessa e l'esigenza di una critica del linguaggio.

Successivamente l'evoluzione dell'ermeneutica è legata in particolare ai nomi di H.G. Gadamer e P. Ricœur. L'influsso di Gadamer ha cominciato a farsi sentire sull'esegesi biblica negli anni Sessanta. Il suo concetto di orizzonte (preso da E. Husserl) si può applicare in maniera diversa a seconda che si pensi all'autore o al lettore. Il contributo dell'orizzonte dell'autore, in quanto coproduttore di senso, giustifica il metodo storico-critico nella sua ricerca dell'autore di ogni testo, di ogni aggiunta o di ogni ritocco, e del corrispondente mondo intellettuale dei diversi autori che si succedono nel tempo. Se si pensa invece al lettore, lo spettro del relativo orizzonte di comprensione apre il campo a diverse interpretazioni, tutte legittime (per questo lo si è accusato di soggettivismo e relativismo).

Dopo Gadamer, Ricœur: una figura più complessa e duttile, dalla vasta curiosità, cui si unisce un grande rigore nelle formulazioni. Incorpora la semiotica, insistendo sull'ineludibile mediazione del segno linguistico che è il testo. Ma si richiama anche alla semantica, ricercando il significato del segno. Sostiene un'ermeneutica del testo piuttosto che dell'autore. Recupera e difende energicamente l'importanza primaria del linguaggio simbolico. Il contributo ermeneutico di Ricœur, più ricco per quanto forse meno radicale di quello di Gadamer, viene accolto da un numero sempre maggiore di esegeti.

L'impatto delle altre discipline sull'esegesi biblica risulta variabile. Quello dello studio delle religioni comparate è oggi assai inferiore rispetto all'inizio del secolo 20°, così come l'influsso delle ricerche sul folklore è notevolmente scemato dopo H. Gunkel e J.G. Frazer. Quanto alla psicologia, di scuola freudiana e junghiana, si possono solo segnalare alcuni saggi isolati, poveri di risultati e di promesse. Per quel che concerne la sociologia, invece, l'impatto è recente e abbastanza forte, malgrado sia limitato a cerchie ristrette. L'analisi sociologica dei testi biblici procede per analogia, applicando strutture moderne agli scarsi dati antichi. Di qui l'origine delle violente critiche a questa tendenza. Anche per il Nuovo Testamento lo studio sociologico delle primitive comunità cristiane va risvegliando l'interesse degli specialisti.

Un fenomeno recente, promosso o quanto meno favorito dallo spirito ecumenico, è costituito dal recupero dell'esegesi ebraica da parte della ricerca biblica vetero e neotestamentaria. Ci si riferisce alla grande tradizione ebraica che, attraverso gli ebrei medievali, si riallaccia agli antichi targumim, midrashim e ad altri commentari. Lo studio di questa tradizione interessa in misura diversa Vecchio e Nuovo Testamento. Per il Vecchio Testamento, gran parte di quei commenti sono semplicemente un capitolo della storia dell'interpretazione; tale storia chiarisce spinosi problemi lessicografici e richiama l'attenzione su inattesi e significativi collegamenti. Per lo studio del Nuovo Testamento il peso della tradizione ebraica si va affermando in maniera sempre più determinante. E all'interno di quella tradizione i targumim hanno un posto privilegiato. Gli studi che sono andati accumulandosi negli ultimi decenni hanno fatto capire come molto spesso gli autori del Nuovo Testamento si avvicinassero al Vecchio Testamento attraverso le parafrasi targumiche.

Lo studio dei targumim è ormai un ramo importante delle attuali scienze bibliche; e un ulteriore impulso gli ha dato il ritrovamento e la pubblicazione da parte di A. Díez Macho del Targum Neophyti (1968-78). Le indagini sui testi del corpus paolino si sono aperte ampiamente all'analisi secondo metodologie interpretative tipiche dell'antica esegesi ebraica. E si tratta di una novità in forte espansione. Fra i risultati di rilievo vale la pena segnalare da un lato l'arricchimento di un ramo fondamentale della storia dell'interpretazione biblica, e dall'altro la riaffermazione, ora più argomentata e articolata, del legame tra i due Testamenti.

Al contrario, paradossalmente, la storia dell'esegesi cristiana viene tenuta in scarsa considerazione. Se ne coltiva lo studio, ma, salvo rare eccezioni, essa rimane al margine delle scienze bibliche. Un dato essenziale: la tradizione patristica dimostra di cogliere e utilizzare molto meglio i simboli di quanto non facciano oggi coloro che praticano il metodo storico-critico. La condanna globale e perentoria dell'esegesi antica per 'allegorismo' è un giudizio del tutto sommario e poco scientifico. A completamento del quadro, vanno segnalati alcuni recenti studi sull'influsso della retorica classica, greca, negli scritti di Paolo.

In una scienza umanistica come quella biblica, la stessa importanza che hanno i modelli e i metodi hanno i temi e i problemi, come appare evidente a chi consulti l'Elenchus bibliographicus biblicus (uscito come appendice della rivista Biblica sino al 1963, poi in volumi annuali nella collana Elenchus of Biblica) pubblicato dal Pontificio istituto biblico di Roma, a cura prima di P. Nober, poi di R. North. All'interno del rinato interesse per la questione del 'Gesù storico' si situano questioni quali il rapporto di Gesù con la politica, con i vari partiti giudaici, la sua posizione di fronte alla violenza, il motivo della sua condanna. E passando da Gesù alla vita della Chiesa del Nuovo Testamento, gli esegeti indagano sull'organizzazione delle comunità, sugli uffici e i ministeri, sulla posizione della donna, sulle relazioni con l'autorità civile, sulla schiavitù. Vecchi e nuovi problemi sono ripresi anche dagli esegeti del Vecchio Testamento: lavoro, violenza, possesso della terra, guerra e pace, sofferenza, donne, deboli ed emarginati. Quantitativamente, occupano più tempo e spazio gli studi di tipo formale (per es., di lessico, stile, genesi ed elaborazione), ed è ovvio che il lavoro analitico richieda più spazio, ma il profilo di un'epoca si delinea meglio attraverso i suoi grandi temi e problemi.

Anche i computer e l'informatica hanno fatto il loro ingresso nelle scienze bibliche, consentendo ai ricercatori di risparmiare tempo con rapidissime elaborazioni di dati. Per il futuro si può pensare che un maggiore sfruttamento di questi strumenti, preceduto da un'adeguata immissione di dati, favorisca ancor più la ricerca e porti a nuove scoperte.

L'esegesi cattolica dopo il Concilio vaticano secondo

Per comprendere l'evoluzione degli studi biblici negli ultimi decenni all'interno della Chiesa cattolica, occorre fermare l'attenzione sul Concilio e sulla sua influenza immediata. Naturalmente, questo riguarda in prima istanza gli studi biblici cattolici, giacché in ambito protestante è prevalsa la tendenza alla continuità; l'immane scossone storico del Concilio giunge in area protestante per via indiretta e attutita. Il Concilio ha ripreso un forte movimento, già presente nel seno della Chiesa (si pensi alle encicliche Providentissimus di Leone xiii, del 1893, e Divino afflante spiritu di Pio xii, del 1943), lo ha consacrato, o gli ha dato una formulazione, e lo ha reso più intenso e più esteso.

Sul piano dello studio e della ricerca, la costituzione Dei verbum (Constitutio dogmatica de divina revelatione) ha liberato il terreno da problemi ingombranti e non sempre necessari. L'ispirazione non è più concepita secondo il modello della dictatio e il nuovo concetto di ispirazione lascia ampio spazio alla personalità degli autori biblici; e non solo alla loro elaborazione concettuale, ma soprattutto alle forme espressive del linguaggio. Dall'ossessione per l'inerranza si è passati all'enunciato positivo della verità biblica, "la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre lettere" (Dei verbum 11). La verità va cercata attraverso un cammino positivo, nelle sue mediazioni letterarie; l'esegesi non viene subordinata all'apologetica e non si lascia condizionare da essa (ibid. 12).

Il Concilio afferma, senza ulteriori spiegazioni, il vincolo fra Tradizione e Scrittura (ibid. 9-10). La Scrittura incorpora la Tradizione e le tradizioni; la Tradizione è portatrice della Scrittura come parola viva ed è modellata costantemente da essa. Il Concilio riconosce la mediazione autentica e autoritativa di un magistero, che "non è al di sopra della parola di Dio, ma la serve" (ibid. 10). Riafferma la necessità di leggere la Scrittura "con l'aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta" (ibid. 12). Il che significa preconizzare una lettura carismatica, che oltrepassa la semplice lettura umana, senza annullarla.

Quanto all'interpretazione, il Concilio dà la preferenza a un'ermeneutica dell'autore: "che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare"; ma aggiunge una proposizione importantissima, che, senza essere un'indicazione positiva, apre la porta a un'ermeneutica del testo: "e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole" (ibid.). Infine nella stessa Dei verbum l'intero vi cap. è dedicato alla Scrittura nella vita della Chiesa, affermando il posto privilegiato della B. nella liturgia, nella teologia, nella predicazione e nella spiritualità (ibid. 21-25).

L'impatto del Concilio sulla vita della Chiesa cattolica, sullo studio della B. e sulla teologia, nonché sulle relazioni tra le due, è stato enorme. Il fenomeno può essere probabilmente meglio apprezzato in aree dove la B. era in precedenza meno presente: in Italia, in Spagna, in America Latina, negli Stati Uniti. Il cosiddetto movimento biblico in ambiente cattolico è uno straordinario risultato del Concilio. L'accoglienza delle decisioni conciliari è stata immediata ed entusiastica. Questo forte e vasto movimento ha sostenuto dal basso lo studio degli specialisti. Quanto a metodi, prospettive e modelli il Concilio non intendeva sostituirsi agli studi biblici e non ha nemmeno prodotto innovazioni sensazionali. La scienza biblica cattolica si era già aggregata alla corrente guidata dai protestanti, e già metteva in opera un lavoro di segno ecumenico. Dopo il Concilio, sono mutati soprattutto lo spessore e l'entità del contributo cattolico.

Il documento della Pontificia commissione biblica L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993) riserva ampio spazio a nuovi metodi d'analisi, comprendendo, tra l'altro, le analisi retorica, narrativa e semiotica (dimenticando però l'analisi poetica); gli approcci basati sulla tradizione, e cioè quello canonico, quello che ricorre alle tradizioni interpretative giudaiche e quello che intende ricostruire la storia dell'effetto (Wirkungsgeschichte) del testo biblico; poi gli approcci attraverso le scienze umane, e cioè quello sociologico, quello attraverso l'antropologia culturale, quello psicologico e quello psicanalitico. Il testo tratta inoltre il problema dei diversi livelli di significato della B. e quello dell'inculturazione, considera il metodo storico-critico come il metodo più valido e il fondamentalismo come il pericolo più serio.

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