BOEMONDO I

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BOEMONDO I (Boamundus)

Dieter Girgensohn

Figlio del duca di Puglia, Calabria e Sicilia Roberto il Guiscardo e della sua prima moglie Alberada, nacque con tutta probabilità tra il 1051 e il 1058, dato che il primo matrimonio del padre, concluso a quel che pare dopo il 1050, era già stato annullato per la consanguineità dei coniugi nel 1058. Al battesimo gli fu imposto il nome di Marco, ma il padre gli dette il soprannome di Boemondo da un leggendario "Buamundus gigas".

Di dubbia autenticità la notizia riportata dal Breve chronicon Nortmannicum compilato a quel che pare nel sec. XVIII (pubblicato a cura di G. Guerrieri, in Archivio muratoriano, I [1905], n. 2 p. 78), secondo la quale B. nel 1079 sarebbe stato cacciato da Troia dal cugino Abelgardo, ribelle al duca Roberto.

La prima testimonianza sicura della sua attività risale invece al marzo dell'anno 1081, quando l'avanguardia delle truppe del Guiscardo guidata da B. iniziò la grande impresa contro l'imperatore Alessio e l'impero bizantino con la conquista di Valona sulla costa albanese e con il tentativo sull'isola di Corfù. Il 18 ott. 1081 B. ebbe parte decisiva nella vittoria su Alessio riportata davanti a Durazzo sotto il comando dello stesso duca. Nell'aprile o nel maggio del 1082, quando il Guiscardo si vide costretto a rientrare in tutta fretta in Italia, a B. fu conferito il supremo comando delle truppe rimaste nell'interno della Grecia. Nel corso dei mesi successivi egli si spinse fin sotto Larissa, il cui estenuante assedio doveva essere interrotto però dopo una sconfitta dei Normanni nell'aprile del 1083. Alla fine dello stesso anno o all'inizio del 1084 B. s'imbarcò a Valona per procurarsi in Italia le somme necessarie al soldo arretrato alle truppe. Rientrò in Albania da Otranto insieme col padre e coi tre fratelli nell'ottobre del 1084. Ammalatosi nel quartiere d'inverno a Vonitza, dove fra i Normanni infieriva la peste, all'inizio del 1085 poté ripassare in Italia. La morte di Roberto il Guiscardo, sopraggiunta il 17 luglio 1085, frustrò i grandiosi piani di conquista che contemplavano, a quel che pare, la corona imperiale bizantina per Boemondo.

Subito dopo la morte del Guiscardo, il figlio minore Ruggero Borsa (nato dalla seconda moglie Sichelgaita), che il padre aveva designato come erede al ducato, si fece riconoscere dall'esercito normanno stanziato sulle coste albanesi e nel settembre del 1085 poté farsi acclamare duca con l'aiuto dello zio Ruggero conte di Sicilia. Rientrato quest'ultimo nei suoi domini, B., che pur essendo il fratello maggiore era stato escluso, a quanto pare, completamente dall'eredità paterna, prese le armi contro Ruggero Borsa e con l'aiuto del principe Giordano di Capua conquistò Oria e devastò il territorio intorno a Taranto e a Otranto. Nonostante ciò si conservano alcuni diplomi del duca, emanati nel marzo e maggio 1086 e nel maggio e giugno 1087, che portano anche la firma di Boemondo. La pace conclusa dai due fratelli rivali evidentemente prima del marzo 1086 assicurò a B. il dominio della Puglia sudoccidentale da Conversano e Taranto fino a Otranto e Gallipoli, cosicché anche il potente conte Goffredo di Conversano risultò sottomesso alla sua signoria feudale. Un nuovo conflitto militare con il duca e il conte Ruggero, che deve essere cominciato nell'autunno del 1087 ed ebbe a suo teatro principale la Calabria, si concluse nella prima metà dell'anno 1089 e confermò a B. il possesso di Maida e Cosenza. Ancora nello stesso anno egli poté però scambiare Cosenza con Bari e così arrotondare opportunamente i suoi domini pugliesi; come signore di Bari, cioè, della più importante città del SudEst, si presentò già alla metà di settembre del 1089 al concilio celebrato da papa Urbano II a Melfi. In seguito si trasferì a Bari insieme con Ruggero Borsa accompagnando il pontefice.

Tra i fratelli si inaugurava ora un periodo di accordo. Nel luglio del 1090 essi emanarono un privilegio a favore dell'abbazia di Banzi (cfr. H. W. Klewitz, Studien..., in Quellen und Forsch. aus italien. Arch. und Bibliotheken, XXV [1933-34], p. 126 n. 3), un anno più tardi assediarono insieme con lo zio Ruggero di Sicilia la ribelle città di Cosenza e la presero. Per contro B. dovette subire nello stesso anno una sconfitta presso la città di Oria ribellatasi anch'essa. Il 20 nov. 1092 è attestata la sua presenza ad Anglona in compagnia di Urbano II. In seguito a dicerie sulla presunta morte del duca Ruggero, egli occupò alla fine del 1093 i suoi castelli calabresi. Alla notizia poi della guarigione del fratello, si affrettò a raggiungerlo a Melfi per restituirgli i castelli, e più tardi lo aiutava - di nuovo insieme con Ruggero di Sicilia - a prendere Rossano, tenuta da Guglielmo di Grantmesnil. La sua assenza dalla Puglia all'inizio dell'anno seguente si può forse dedurre dalla circostanza che sono conservati tre documenti del gennaio e febbraio 1094 di un catapano incaricato da B. di amministrare i suoi possedimenti in Bari (Cod. dipl. barese, V, pp. 35-40 nn. 1820). Ancora insieme coi due Ruggeri intraprese l'assedio di Amalfi, che secondo la testimonianza degli Annales Cavenses non cominciò prima dell'inizio del giugno del 1096. Nel corso di tale assedio B., evidentemente impressionato dal passaggio di alcuni crociati, annunziò drammaticamente la sua decisione di partecipare alla crociata.

I motivi della decisione vanno individuati anzitutto nella circostanza che l'Italia meridionale non offriva spazio sufficiente alla sua energia e al suo talento. Accanto al momento religioso fu essenzialmente la spinta alle conquiste e alla creazione di una più alta potenza che lo condusse in Terra Santa. In connessione probabilmente con i preparativi della partenza sta la nomina nell'agosto del 1096 di "Guidelmus Flammengus" a catapano di Bari.

Pare che B. si imbarcasse alla fine di ottobre; il 1º novembre risulta già presente a Valona. Nel corso della marcia verso Costantinopoli il 2 apr. 1097 si staccò dalle sue truppe per iniziare le trattative con l'imperatore al più presto possibile. Arrivato nella capitale bizantina, verso il 10 apr. fu ricevuto da Alessio I. Come gli altri capi dell'esercito crociato B. prestò all'imperatore un giuramento di fedeltà; invano gli chiese il conferimento del titolo di gran domestico dell'Oriente, cioè di supremo comandante di tutte le truppe imperiali in Asia, per potersi preporre in tal modo all'armata dei crociati. Ma anche senza una tale legittimazione egli, durante il soggiorno a Costantinopoli, fu considerato uno dei più eminenti fra i condottieri occidentali. Quando le sue truppe sotto la guida di suo nipote Tancredi (figlio di Odone il Buono Marchese) arrivarono il 26 aprile nella capitale e attraversarono il Bosforo, B. restò ancora a Costantinopoli per trattare con l'imperatore, col quale mantenne i migliori rapporti, dell'approvvigionamento dell'esercito crociato.

Alla metà di maggio del 1097 B. si riunì con le sue truppe, le quali, come parte dell'armata crociata che si andava raccogliendo, il 14 maggio iniziarono l'assedio di Nicea. Dopo la conquista di questa città avvenuta il 19 giugno, B. marciò alla testa dell'esercito crociato attraverso l'Asia Minore. Raccoltisi di nuovo i singoli distaccamenti, il 29 giugno fu decisa la divisione dell'esercito in due parti; a B. toccò il comando della prima, che doveva precedere la seconda di un giorno di marcia. Già la sera successiva le avanguardie entrarono in contatto presso Dorylaeum (nei dintorni dell'odierna Eskişehir) con i Turchi; la mattina del 1º luglio si venne alla battaglia che poté essere decisa solo verso mezzogiorno con l'intervento della seconda metà dell'esercito crociato accorsa in tutta fretta.

Dopo mesi di marcia i primi distaccamenti sotto il comando di B. arrivarono il 20 ottobre ad Antiochia. Nel corso del lungo assedio B. sembra avere avuto di fatto la posizione di supremo comandante, sebbene a questa funzione fosse stato eletto Stefano di Blois. Fu B. che alla metà di novembre prese la piazzaforte, strategicamente assai importante, di Harenc nei dintorni di Antiochia. Sotto il suo comando i Normanni riuscirono a sbaragliare un esercito turco, accorso in aiuto degli assediati, nel quale essi s'imbatterono per caso mentre si occupavano del vettovagliamento. E, secondo un piano da lui predisposto, il 9 febbr. 1098 i Franchi poterono battere altre truppe accorse in aiuto sotto il comando dell'emiro Ridwân di Aleppo.

Quando alla fine di maggio l'avvicinarsi di un potente esercito turco guidato dall'emiro Karbuqâ di Mossul sembrò rendere disperata la situazione dei crociati, B. trovò la soluzione con uno stratagemma: il tradimento del Fîrûz (a quel che pare un armeno passato all'Islam) permise ai crociati di entrare il 3 giugno prima dell'alba nella città che saccheggiarono crudelmente lo stesso giorno. La circostanza che l'aiuto dell'imperatore Alessio non arrivava durante l'assedio indusse la maggior parte dei capitani occidentali già prima dell'attacco decisivo ad accogliere la proposta di B., secondo la quale la città di Antiochia doveva toccare a colui che per primo vi fosse entrato. Ciò riuscì a B., ma la sua signoria fu in un primo tempo tutt'altro che sicura, dato che all'interno della città la cittadella restava ancora in mano turca, mentre già dal 5 giugno all'esterno Karbuqâ iniziava un duro assedio. B. appare ora come il capo della difesa: sotto la sua guida il 28 giugno avvenne la sortita decisiva, nel corso della quale l'esercito degli assedianti venne sbaragliato; la cittadella lo stesso giorno si arrese.

Conforme agli accordi presi in precedenza, i crociati invitarono l'imperatore Alessio a prendere possesso di persona di Antiochia e a prendere parte alla marcia su Gerusalemme. Nonostante ciò B., già alla metà di luglio, si comportava di fatto come signore della città, concedendo ai Genovesi una chiesa e una strada e ottenendone in contropartita - a quel che pare nello stesso tempo - la promessa di assisterlo contro tutti gli eventuali aggressori di Antiochia; solo contro il conte Raimondo di Saint-Gilles, il più accanito concorrente di B., erano dispensati dal prendere partito.

B. e Raimondo allora erano riconosciuti per i sommi capi della crociata. I loro nomi figurano prima di quelli di Goffredo di Buglione duca di Lorena e di altri tre conti nella lettera dell'11 sett. 1098 con cui comunicarono a Urbano II la gloriosa presa di Antiochia, il rinvenimento miracoloso avvenutovi della lancia di s. Longino e la vittoria riportata sull'esercito ausiliare turco, chiedendo al papa - dopo la morte del legato pontificio Ademaro del Puy - di mettersi personalmente alla testa della santa impresa.

All'inizio del novembre 1098, nel corso di una riunione dei capi crociati, si venne dopo lunghe trattative a un compromesso provvisorio relativamente al possesso di Antiochia. B. giurò di non ostacolare con le sue ambizioni personali il proseguimento della crociata, mentre le truppe di Raimondo continuarono a occupare una parte della città. Si arrivò tuttavia a una aperta lite, quando B. e Raimondo conquistarono insieme, l'11 dicembre, Ma'arrat al-Nu'mân. Un mese più tardi, dopo una altra riunione dei capitani a Rugia, dove si trattò ancora una volta la questione del possesso di Antiochia, B. restò indietro nella Siria settentrionale, mentre Raimondo, alla testa di gran parte dell'esercito crociato e in qualità di suo capo incontrastato, si mise in marcia alla volta di Gerusalemme. Dopo avere accompagnato un secondo distaccamento di crociati a Laodicea (Lâdhikîy), B. ora poté cacciare da Antiochia le truppe provenzali rimastevi e conseguire così l'incontestata signoria della città.

Con ciò erano poste le premesse per la costituzione del principato di Antiochia. I confini di questo territorio non erano ben determinati; esso si componeva di alcune parti della Siria settentrionale e della Cilicia. La popolazione del prospero paese era costituita prevalentemente da Greci, Siriani e Armeni di fede cristiana.

Facendo riferimento al giuramento di fedeltà prestato a Costantinopoli a suo tempo l'imperatore Alessio cercò presto di acquistare mediante trattative l'alta sovranità su Antiochia. Appena questi tentativi si rivelarono inutili, truppe bizantine attaccarono il dominio di B., ma senza successo visto che la popolazione armena si mantenne fedele ai Normanni. B. invece, nel suo sforzo di impadronirsi del porto di Laodicea caduto in potere dei Bizantini, trovò l'appoggio di una flotta pisana sopraggiunta nella tarda estate del 1099 sotto il comando del legato pontificio arcivescovo Daiberto di Pisa. Tuttavia nel settembre il conte Raimondo di Saint-Gilles, accorso da Gerusalemme, ottenne il ritiro della flotta, e in conseguenza B. fu costretto a sospendere l'assedio.

Nel suo dominio istituì arcivescovi e vescovi latini che furono consacrati a Gerusalemme alla fine del 1099. Nella stessa Antiochia, invece, dopo la conquista vennero confermati i diritti del patriarca greco, ma già nel 1100 B. lo cacciò sostituendolo con un latino.

Per sciogliere il suo voto di crociato, egli all'inizio di novembre del 1099, insieme con l'arcivescovo Daiberto e il conte Baldovino di Edessa, uscì da Antiochia e si mise in viaggio per Gerusalemme, dove i pellegrini arrivarono il 21 dicembre. Festeggiarono la vigilia a Betlemme e il Natale a Gerusalemme. Dopo la fine delle cerimonie religiose, a quel che pare già lo stesso 25 dicembre, Daiberto fu eletto patriarca di Gerusalemme cosicché poté investire B. e Goffredo di Buglione rispettivamente dei territori di Antiochia e Gerusalemme. Quando B. abbia assunto il titolo di principe di Antiochia non è possibile accertare; con tutta probabilità dovette avvenire in occasione della sua investitura, al più presto all'inizio del 1099.

Il primo dell'anno 1100 i pellegrini si trasferirono a Gerico, il 5 gennaio B. e Baldovino si separarono da Daiberto e Goffredo per tornare al Nord. Dopo il rientro in Antiochia B. si preoccupò nella prima metà dell'anno 1100 con successo di estendere il suo dominio verso Est a spese del debole emiro di Aleppo. All'inizio di agosto egli marciò con un piccolo contingente verso il Nord, per soccorrere, su preghiera del principe armeno Gabriele di Melitene (Malatya), la città minacciata dall'emiro dei Dânishmendîya, Melik Ghâzî Gümüshtegîn di Sebaste (Sîwâs). Insieme con Riccardo, figlio del conte Guglielmo del Principato, cadde però in una imboscata e fu preso prigioniero dai Turchi.

Quando Baldovino di Edessa, chiamato in tutta fretta, arrivò con le sue truppe, l'emiro sospese l'assedio di Melitene e si ritirò lontano verso il Nord. B. fu tenuto prigioniero a Neocesarea (Nîksâr). Il suo principato accettò la reggenza del nipote di B., Tancredi principe di Galilea, il quale dovette giurare lealtà allo zio, prima di poter entrare in Antiochia. I possedimenti pugliesi di B. sembra fossero usurpati in quel periodo dal fratello Ruggero Borsa; è conservato un documento del 1101-02, nel quale un catapano afferma di essere stato incaricato dell'amministrazione delle città di Bari e Giovinazzo dal duca Ruggero Borsa (Cod. dipl. barese, V, p. 60 n. 35).

Dopo due anni e mezzo di prigionia B. nella primavera del 1103 fu liberato a Melitene contro il pagamento di un alto riscatto. L'anno successivo gli riuscirono fortunate imprese verso l'Oriente contro Ridwân di Aleppo e contro i Greci in Cilicia, ma poi la fortuna gli fu avversa. Nel maggio del 1104 si rivolse contro l'esercito dei principi Sukmân di Mârdîn e Jekermis di Mossul, che si dirigeva minacciosamente contro il conte Baldovino II di Edessa. I Franchi furono sconfitti presso Harrân, Baldovino cadde prigioniero, mentre le truppe di B. poterono evacuare il campo di battaglia quasi illese. Nel giugno riuscì però a Ridwân di Aleppo di penetrare nel principato di Antiochia, e nell'estate un'armata dell'imperatore Alessio riconquistò le città della Cilicia orientale, mentre quasi contemporaneamente una flotta greca occupava gran parte della città portuale di Laodicea, conquistata verso il 1102 dopo un lungo assedio da Tancredi. La situazione del principato cominciò a diventare critica, cosicché B., in un consiglio militare tenuto ad Antiochia nel settembre, decise di veleggiare personalmente verso l'Europa per andare a prendere rinforzi. Nel tardo autunno salpò dalle foci dell'Oronte, mentre Tancredi restò come luogotenente di Antiochia e di Edessa. B. non doveva rivedere più il suo principato.

Nel gennaio del 1105 sbarcò a Bari, dove nello stesso anno si ha notizia di un catapano insediato da lui (Cod. dipl. barese, V, pp. 75-79 n. 43), e fino al settembre soggiornò nei suoi possedimenti dell'Italia meridionale, per costruire una flotta per il trasporto delle truppe che doveva raccogliere. Sulla via del Nord s'incontrò a Roma con Pasquale II e ottenne da lui l'appoggio per un'altra crociata. Non sappiamo se fin d'allora l'obiettivo di questa era l'impero bizantino e se il consenso del papa si riferiva anche a tale meta. Il viaggio successivo in Francia, dove B. arrivò alla fine di febbraio o all'inizio di marzo del 1106, in compagnia del legato pontificio Brunone di Segni, servì a parecchi scopi: in primo luogo B. sciolse un voto fatto durante la sua prigionia, facendo un pellegrinaggio a St-Léonard-de-Noblat presso Limoges. Quindi condusse trattative con il re Filippo I di Francia per il suo matrimonio. Mentre il seguito restava a Chartres, B. raggiunse le Fiandre e la Normandia, avendo l'intenzione, a quel che pare, di incontrarsi con il re Enrico I d'Inghilterra - che, però, non arrivò in tempo -, e nella seconda metà di aprile si consigliò a Rouen con gli arcivescovi Anselmo di Canterbury e Guglielmo di Rouen. Dopo Pasqua (25 marzo), in aprile o in maggio, sposò a Chartres Costanza, figlia del re Filippo, il cui matrimonio con il conte Ugo di Troyes era stato annullato per consanguineità. Dopo la cerimonia B. tenne un discorso, nel corso del quale riferì delle sue imprese ed esperienze in Grecia e in Asia, e invitò tutti gli uomini in grado di portare le armi a seguirlo nella progettata crociata contro l'imperatore Alessio, che definì pagano e nemico della cristianità. Durante il viaggio successivo attraverso la Francia - la sua presenza è attestata ad Angers, a Bourges e, il 26 maggio, al sinodo di Poitiers - proseguì l'attività propagandistica antibizantina. Insieme con la sposa rientrò, passando per Tolosa e Genova, in Puglia, dove arrivò nell'agosto.

Nell'anno successivo B. rimase nei suoi possedimenti dell'Italia meridionale, anzitutto a Brindisi, dove si armava la flotta per la spedizione. Restò in Puglia ancora fino all'ottobre del 1107, tuttavia già nel mese di luglio - come anche un'altra volta nel maggio e giugno del 1108 - si ha notizia di un catapano di Bari e Giovinazzo insediato da lui (Cod. dipl. barese, V, pp. 87-88, 93-95 n. 47, 51-52; Il chartularium del monastero di S. Benedetto di Conversano, a cura di D. Morea, Montecassino 1892, pp. 140-142 n. 63). Dopo aver ascoltato la messa in S. Nicola di Bari ed essersi imbarcato a Brindisi, veleggiò tra il 9 e il 10 ottobre verso la costa albanese. Con le truppe raccolte sbarcò a Valona e il 13 ottobre l'esercito si presentò davanti a Durazzo. L'assedio di questa importante città portuale, sita all'imbocco della via Egnazia che portava a Salonicco e Costantinopoli, non fece alcun progresso neanche quando B., nella primavera del 1108, seguendo l'esempio di suo padre (1081), fece bruciare le navi per togliere alle sue truppe ogni possibilità di ritorno. L'esercito greco, sotto il comando personale dell'imperatore, tenne sotto controllo i passi montani e riuscì a difenderli validamente contro gli attacchi dei Normanni, mentre la flotta imperiale sostenuta dai Veneziani tagliò i collegamenti con l'Italia. B. fu costretto dalla minaccia della fame e dagli insuccessi militari a intavolare trattative di pace, che nel settembre del 1108 portarono ad un accordo con Alessio. In virtù di esso B. diveniva vassallo dell'imperatore, dal quale dovette ricevere l'investitura del principato di Antiochia diminuito di una gran parte del suo territorio, sebbene arrotondato da altri possedimenti. Nell'ottobre (non già nel settembre) riprese il mare diretto in Puglia.

La sfortunata campagna contro l'imperatore aveva fatto fallire i piani grandiosi di B.: pare che egli sognasse di un potente dominio euro-asiatico, che si doveva estendere dalla Puglia, nell'Occidente, fin oltre la Siria nell'Oriente e doveva includere l'impero bizantino. Per un tale progetto evidentemente voleva sfruttare la cosiddetta crociata degli anni 1107-1108.

Dei suoi ultimi anni di vita non si ha quasi alcuna notizia; tuttavia da Guglielmo di Tiro sappiamo che B. stava armando una flotta per una nuova spedizione, quando il 7 marzo 1111 lo coglieva la morte. Fu seppellito nella cattedrale di S. Sabino a Canosa. La straordinaria cappella tombale costruita nel lato sud della chiesa è caratterizzata da influenze stilistiche arabe e greche.

"Buiamundus pene totum orbem fama suae replevit industriae": così Ugo da Fleury esprimeva l'opinione dei contemporanei, che trova riscontro in varie altre cronache e annali, e ancora due generazioni dopo Riccardo di Cluny lo celebrava: "magnum ob suae probitatis meritum dedit posteris documentum". B. riuniva in sé le doti di un capace diplomatico e di un condottiero abile, anche se talvolta procedeva con eccessiva spavalderia. La sua eccessiva ambizione, tuttavia, dopo i successi ottenuti nel corso della prima crociata, che gli valsero una posizione eminente come pochi altri riuscirono a conquistare, e dopo l'acquisto e il consolidamento dei suoi domini nell'Italia meridionale e in Siria, portò la sua ultima impresa al pieno fallimento, cosicché dovette concludere la sua vita quasi inosservato. Oltre alle rivendicazioni sul principato di Antiochia, ove Tancredi governava come reggente, egli lasciò alla vedova Costanza e al figlio Boemondo II - il figlio maggiore Giovanni morì ancor bambino - i possedimenti dell'Italia meridionale, comprendenti i territori di quelle che furono più tardi le province di Terra d'Otranto e di Basilicata, e in più Bari e Brindisi. Il titolo di principe di Taranto compare solo sotto Ruggiero II, all'incirca a partire dal 1132; con tutta probabilità fu creato nel ricordo della dignità dell'uomo che aveva riunito per primo nelle sue mani i singoli territori di quello che poi divenne il principato di Taranto. In un documento del 1153 B. è ricordato come "Antiocenus et Tarentinus princeps" (Cod. dipl. barese, II, p. 222), i cronisti lo qualificano erroneamente "dux Apuliae" oppure "princeps Tarentinus". B. stesso, indicato più volte dal figlio come "magnus Boamundus", si intitolava fino al 1098 solo "Roberti ducis filius", più tardi abitualmente "Antiocenus princeps".

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Per la tomba di B. vedi A. Venturi, Storia dell'arte italiana, II, Milano 1902, pp. 552, 556-562; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, I, Paris 1904, pp. 312-316; A. Petrucci, Cattedrali di Puglia, Roma 1960, pp. 76-77, tavv. 75-78.

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