BOLLA

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1992)

BOLLA

R.H. Bautier

Termine che designa il sigillo di metallo usato in alcune aree culturali o in alcune cancellerie per sigillare gli atti e in tal modo autenticarli, funzione assolta in altre aree dai sigilli (v.) di cera. In particolare, l'uso della b. per sigillare gli atti pontifici ha avuto come conseguenza che tale denominazione si è estesa anche a questi ultimi. Anche in epoca moderna gli atti ufficiali dei papi hanno continuato infatti a essere designati come b., malgrado non siano più forniti di un sigillo metallico e siano contrassegnati solo da un marchio ottenuto con un timbro passato nell'inchiostro, riproducente comunque l'antica tipologia delle bolle.Il metallo usato per le b. era generalmente il piombo, ma potevano essere usati, per atti particolarmente solenni, anche l'oro e, in casi eccezionali, l'argento; nella cancelleria imperiale bizantina questi due tipi di b. venivano chiamati rispettivamente chrysóbulla e argyróbulla, mentre quello di piombo era detto molybdóbulla. Anche in questi casi l'uso dei termini si estendeva agli atti stessi, sigillati o 'bollati'.La b. ha in genere impresse ambedue le facce. Spesso una presenta la figura con il nome di chi sigilla, mentre sull'altra può essere ripetuto lo stesso nome o una leggenda che accompagna immagini di vario genere. A parte casi del tutto straordinari, la b. è sempre pendente e legata all'atto per mezzo di lacci. La diversità dei materiali usati per i lacci ha fatto sì che la cancelleria pontificia distinguesse molto presto gli atti bollati con lacci di seta (cum filo serico) da quelli con cordicelle di canapa (cum filo canapis), in relazione alla diversa solennità dell'atto e a forme diplomatiche diverse.A seconda del metallo usato, la b. si presenta in forme molto differenziate. Una b. di piombo è infatti formata da un disco metallico, pieno e relativamente spesso, nel quale sono serrati i lacci che la legano all'atto. A differenza dei sigilli di cera, in cui l'impronta è ottenuta mediante una semplice pressione della matrice sul pane di cera, la bollatura mediante b. di piombo necessita dell'uso di uno strumento particolare (il ferro per bollare, detto in gr. bullotérion), costituito da due parti unite a forma di X per mezzo di un perno, a mo' di tenaglia; la più corta è munita di ganasce in cui si trovano, uno di fronte all'altro, il dritto e il rovescio della matrice; la più lunga serve da impugnatura. Sul metallo, forato diametralmente per consentire il passaggio dei lacci e stretto tra queste ganasce, l'immagine viene impressa sulle due facce con un colpo di martello, come nel sistema dei ferri da ostia e da cialda. A partire dal Rinascimento, si trova abitualmente utilizzata a questo scopo una macchina, c.d. pressa per bollare: ne è un' eccellente testimonianza quella costruita da Bramante (Roma, Mus. Vaticani).Le b. d'oro, a causa dell'alto costo del metallo, sono invece costituite, salvo casi particolari, da due sottili lamine destinate a ricevere separatamente l'impronta della matrice e quindi unite in modi diversi, a seconda delle cancellerie e delle epoche. In alcuni esemplari, uno dei dischi appare poco più largo e il bordo è piegato in modo da formare quasi il fondo di una piccola scatola, il cui coperchio è costituito dall'altro disco; a volte una piccola saldatura assicura la tenuta delle due parti della bolla. Generalmente alcuni piccoli perni o tenoni permettono di tenere separate le due facce evitando che si schiaccino; attorno a essi potevano anche essere avvolti i lacci. L'interno era riempito di una sostanza destinata sia a dare peso alla b. e a tenere unite le due facce sia a tenere fermi i lacci: si tratta in genere di cera o, a volte, di un misto di cera, pece e gesso, che si compongono in proporzione variabile.La Grecia classica - come tutto l'Oriente protostorico - aveva conosciuto l'uso della cretula (o búlla) in terra argillosa (e forse anche in cera), di cui rimangono parecchi esemplari, insieme a importanti raccolte di pietre dure intagliate e di cammei, che servirono da matrici. In un'epoca difficilmente precisabile - che comunque sembra essere relativamente tarda - piccoli sigilli di piombo cominciarono a essere apposti su atti o lettere, ma solo a partire dal sec. 6° si hanno le prime testimonianze, meno rare e sporadiche, di tale uso. È infatti solo dall'età di Giustiniano (527-565) che la cancelleria imperiale bizantina cominciò a servirsi in modo relativamente sistematico di sigilli, in precedenza quasi del tutto assenti negli atti ufficiali. Da questo momento la bollatura degli atti - effettuata con il piombo, l'oro ed eventualmente l'argento, a seconda dell'importanza dell'atto - divenne una delle caratteristiche più significative della diplomatica imperiale bizantina.Ben presto anche i magistrati, i vescovi, le istituzioni religiose e, in genere, tutti i rappresentanti delle classi dominanti (dynatói) adottarono l'uso di bollare con il piombo atti e lettere. Malgrado gli atti originali sopravvissuti siano rari, i piccoli piombi che li convalidavano si sono conservati in quantità relativamente notevole, cosicché i corpora relativi sono una fonte essenziale per la conoscenza dei nomi delle circoscrizioni amministrative e religiose, delle strutture pubbliche, abbazie, magistrati, prelati, e così via. Su questi corpora si fondano inoltre in larga parte le conoscenze attuali della geografia storica e della prosopografia del mondo bizantino. La diffusione della bollatura degli atti si estende non solo nei territori dell'impero bizantino in Europa e in Asia Minore, ma anche a tutti i paesi del Mediterraneo sottoposti all'autorità del basiléus o più generalmente gravitanti sotto l'influenza politica di Bisanzio.A Roma, non soltanto i notai bollavano i documenti, ma il papa stesso convalidava tutti i propri atti esclusivamente con una b., fino a quando, nel sec. 13°, non venne introdotto l'uso dell'anello piscatorio impresso sulla cera, peraltro utilizzato solo in modo occasionale. Si conserva il disegno di una b. pontificia del 555-556 oggi perduta, mentre il più antico esemplare pervenuto, staccato dal documento originario, è una b. di Giovanni III (560-575). Si può dunque pensare che la bollatura degli atti pontifici sia nata contemporaneamente a quella degli atti imperiali di età giustinianea, anche se la più antica b. pontificia conservatasi ancora unita al proprio documento risale solo al 746.La bollatura divenne ben presto di regola anche in tutto l'esarcato: per quanto riguarda in particolare Ravenna, si conoscono la b. di un curiale del sec. 7° e alcune b. notarili. In Sardegna, si ha una b. del duca Teodoro del 600 ca.; si sa comunque che la bollatura degli atti persistette a lungo nell'isola. Analoga - anche se forse leggermente più tarda - è la situazione dell'Italia meridionale, da dove provengono parecchie b., pure risalenti al sec. 7°, appartenenti allo stratega del tema di Sicilia e ai duchi di Napoli, di Calabria e di Otranto e al vescovo di Taranto. Ai secc. 8°-9° risalgono b. di giudici, notai e curiali di Bari, degli arcivescovi di Napoli, di Catanzaro, di Taormina, di Calabria e del metropolita di Catania.In tutti questi territori, la b. fu utilizzata per secoli, a differenza dei paesi dell'Europa settentrionale e occidentale, dove si registra invece l'uso del sigillo in cera. Il sistema di bollatura praticato nell'Italia meridionale fu conservato dai principi normanni di Capua, Riccardo I e Giordano (1062-1079), i quali facevano apporre sui propri sigilli leggende in latino, dal principe di Taranto Boemondo (1090), che poco dopo sostituì tuttavia alla b. di tipo greco il sigillo su cera (forse sotto l'influenza dei 'cugini' di Normandia), dal principe di Bari Grimoaldo (1120) e soprattutto da Roberto il Guiscardo, Ruggero II e dai sovrani del regno normanno di Sicilia, con leggende greche, e infine da Guglielmo II, ma con leggende latine. Ancora con una b. venivano sigillati nel corso dei secc. 11° e 12° gli atti degli arcivescovi di Bari (dal 1031), di Trani, di Napoli, di Calabria e di Messina, così come quelli del vescovo di Cefalù e delle chiese di Palermo, di Agrigento e di Mazara, fino alla fine del sec. 12°; anche i sovrani angioini, da Carlo I alla regina Giovanna, ancora nei secc. 13° e 14° bollavano alcuni dei loro atti.Nell'Italia del Nord, le città imitarono la bollatura già adottata dalle gerarchie religiose. Fu così che a Venezia venne introdotto, verosimilmente dal 1130 e comunque a partire dal 1145, il sistema di bollatura alla maniera bizantina, che perdurò fino alla caduta della Serenissima nel 1797; dal 1212 il governo veneziano utilizzò anche b. d'oro, avendo ereditato in parte i poteri e i domini del basiléus bizantino.Anche gli ordini militari o ospitalieri fondati in Oriente al tempo delle crociate e del regno latino di Gerusalemme - Templari, Ospitalieri, Cavalieri del Santo Sepolcro - adottarono, fin dalle origini, la bollatura dei propri atti, tradizione che si conservò fino al sec. 14° e, in alcuni casi - per es. il Gran maestro degli Ospitalieri -, ancor oltre.Carlo Magno, fin dalla sua incoronazione a imperatore del Sacro romano impero, decise di utilizzare una b., come il basiléus, almeno per gli atti più solenni, sebbene Schramm (1965, p. 16) abbia creduto di poter avanzare l'ipotesi che il sovrano avesse avuto una b. già prima dell'incoronazione; nella formula di corroborazione di tali atti la parola bulla sostituì allora la tradizionale menzione dell'anulus reale. Lo stesso avvenne con i successori di Carlo Magno, Ludovico il Pio, Ludovico II, Carlo il Grosso, Arnolfo, che si servirono di b. per gli atti considerati di grande importanza. La pratica tornò in auge dopo la restaurazione dell'impero da parte di Ottone I e la sua incoronazione; dopo il 998, sotto il regno di Ottone III, figlio della greca Teofano, almeno per un breve periodo la cancelleria imperiale utilizzò solamente bolle. La b. di piombo rimase in uso fino al regno di Enrico III. Quanto alle b. d'oro, prima Ludovico il Pio, poi gli Ottoni e i Salii non ne spedirono che in rare occasioni. Divennero in seguito privilegio della cancelleria degli Svevi: Federico Barbarossa - in un contesto politico molto particolare - ne inviò infatti varie, con concessioni di privilegi, alle chiese dell'antico regno di Borgogna e di Arles, alle frontiere del regno di Francia, a Lione, Vienne, Tarentaise, Viviers. Lo stesso dovette avvenire anche per gli atti più solenni dei suoi successori, come, per es., nel caso della celebre B. d'oro di Carlo IV (1356), che sancì una vera e propria costituzione dell'impero.In precedenza, anche i re d'Italia Ugo e Lotario avevano cominciato a spedire b. nelle aree circostanti i loro domini. Nella Francia occidentale, Carlo il Calvo è il solo sovrano carolingio ad avere usato una b. prima dell'ascesa al trono imperiale: senza dubbio ciò avvenne per contrapposizione al fratello Lotario e alle sue prerogative imperiali. I diplomi così bollati appaiono una sorta di riflesso degli atti imperiali bizantini, con la parola legimus scritta nella parte inferiore del documento in caratteri arcaici tracciati con il cinabro.I Capetingi usarono b. solo in casi eccezionali: Luigi VII quando concesse i regalia alla chiesa di Mende per tenere in scacco Federico Barbarossa che agiva allo stesso modo con le chiese dei territori limitrofi. Più tardi, Filippo se ne servì in varie circostanze al fine di esercitare il ruolo di 'augusto', come per es. quando propose ai principi gallesi la sua alleanza contro gli Inglesi.Come i regni vicini all'impero bizantino avevano adottato l'uso della b. d'oro per i propri atti solenni e della b. di piombo per quelli di minore importanza, così anche i regni dell'Europa centrale e orientale utilizzarono la b. come espressione solenne della sovranità; si conoscono, infatti, b. d'oro del re Ottocaro I di Boemia, a partire dal 1217, e del re Bela IV di Ungheria, verso la metà del 13° secolo.L'influenza esercitata dalla cancelleria pontificia spiega, d'altra parte, la ragione per cui anche alcune cancellerie ecclesiastiche ricorrevano alla bollatura; una delle più antiche testimonianze è, nel sec. 9°, la sigillatura degli atti episcopali di Hildesheim. Nel sec. 11°, al tempo in cui il papato era direttamente sottomesso all'autorità imperiale e la cancelleria pontificia era presumibilmente diretta dall'arcivescovo di Colonia, questi bollò i propri atti come era uso a Roma; il suo esempio fu seguito, tra gli altri, dall'arcivescovo di Brema e di Amburgo e, più tardi, nel 1206, dal vescovo di Halberstadt.Nella penisola iberica, sotto la diretta influenza della cancelleria pontificia i regni ispanici adottarono il sistema della b. per alcuni atti reali, mentre le loro cancellerie si ispirarono al privilegio pontificio per redigere privilegi solenni dotati della rota e recanti, insieme alla firma del re, le sottoscrizioni elencate in colonne dei prelati, dei nobili e degli alti ufficiali: era questa la tipologia del c.d. privilegio rodado, in uso fino al Rinascimento. Fu forse verso la fine dell'età di Alfonso IX, intorno al 1225, che quest'uso ebbe inizio nel regno di León; un documento testimonia infatti che il re fece risigillare con una b. di piombo atti che aveva precedentemente spedito con un sigillo in cera, adducendo a motivo il fatto che il piombo era meno fragile e meno soggetto a danni rispetto alla cera. A sua volta la cancelleria castigliana adottò molto presto questo tipo di sigillatura degli atti solenni e il suo esempio fu seguito nel corso del sec. 13° dalle cancellerie dei re di Portogallo, di Aragona e di Maiorca, con una felice combinazione tra il privilegio ispanico più antico e il modello pontificio.Diversi furono gli influssi esercitati dalle b. della repubblica di Venezia. Il sistema di bollatura, in uso nell'esarcato, era passato, fin dal 1108 almeno, al patriarcato di Grado; ben presto Venezia lo imitò, senza dubbio a partire dal 1130 circa. Naturalmente fu subito adottato anche dalle città della terraferma, prima fra tutte Verona, nel 1192, poi Iesi, Fermo, Treviso, Padova. Anche le grandi città marinare, eterne rivali di Venezia, non potevano essere da meno: così Genova ebbe la propria b. nello stesso periodo, dal 1130 ca. (esemplare oggi a Londra, British Mus.), Pisa fece lo stesso nel 1160 (e così certamente anche Lucca). Tuttavia nel corso del sec. 13° queste città vi rinunciarono, a seguito della diffusione del sigillo in cera proveniente dal Nord. Il loro esempio aveva tuttavia influenzato a sua volta in modo molto netto le città delle coste provenzali e della Linguadoca, influenza attestata anche in campo politico, prima di tutto dal tentativo di Genova di impossessarsi di Marsiglia e, nell'insieme della regione, dall'istituzione dei consolati, seguita poi da quella dei podestariati, in un'epoca in cui gli Angiò, signori della Provenza, tentavano di imporre il proprio dominio sul Piemonte e sulla Toscana guelfa. Si può così constatare che, quasi simultaneamente, tra il 1151 e il 1184 - date attestate dai documenti conservati - l'arcivescovo di Narbona e il vescovo di Nîmes, i Guilhem, signori di Montpellier, il conte di Forcalquier e le baronie del Delfinato adottarono la b. di piombo. Furono imitati nel 1195 dal conte Raimondo VI di Tolosa, nel suo marchesato di Provenza, futuro contado venassino e, più o meno nello stesso periodo, nel 1196, Alfonso II conte di Provenza introdusse la bollatura nella contea e nei suoi possedimenti nel marchesato di Provenza. Le città della regione ne seguirono l'esempio: ad Arles sono documentate numerose b. a partire dal 1202, mentre i contratti privati rogati dai notai furono convalidati dalla b. del consolato, con l'approvazione dei consoli. Lo stesso avvenne ad Avignone, per lo meno a partire dal 1216. In quegli anni, e comunque anteriormente alla metà del sec. 13°, si ebbero b. anche a Marsiglia, Tarascona, Vaison, Brignoles; sigillavano i propri atti anche i principi d'Orange, i signori di Baux, di Castellane, di Sabran e tutti i baroni della Provenza e del Basso Delfinato. Così la b. divenne il modo usuale di sigillatura per le giurisdizioni meridionali, da quella del vescovo di Avignone alla corte comune di Carlo d'Angiò, Alfonso di Poitiers e quindi Filippo l'Ardito re di Francia, per i loro possedimenti indivisi. Muovendo dalle coste mediterranee, il sistema della bollatura si estese lentamente verso la Linguadoca, ove venne usato nel 1261 dalla municipalità di Montpellier, come pure, per gli atti giudiziari, dalla corte e dalla cancelleria dei vescovi di Maguelonne e dai signori di Anduze.D'altra parte, la diffusione della b. si espanse anche verso il Nord, lungo il Rodano, giungendo in contatto con le aree in cui predominava invece l'uso del sigillo di cera, che a sua volta andava diffondendosi verso il Sud. La b. si impose a Die e Montélimar; l'arcivescovo di Lione l'adottò almeno fin dal 1192, usandola congiuntamente a sigilli di cera fino al 1255. Penetrò anche nel Forez e nel Beaujolais: all'inizio del sec. 13° raggiunse il baliato di Marvejols, centro del pariage reale di Gévaudan, dove già nel 1247 il consolato di Châteauneufde-Randon bollava i suoi atti.In seguito, l'uso della b. diminuì, rimanendo solo nella regione sudorientale: per es. a Vaison si bollavano ancora gli atti nel 1314. Rimase in uso inoltre anche in una zona del Basso Delfinato, a Grignan, Montélimar e Orange, fino alla fine del sec. 16°, epoca in cui altrove il sigillo di cera aveva avuto ormai il sopravvento sulla b. di piombo.Alla metà del sec. 13° si ha dunque, dal punto di vista geografico, una tripartizione dei sistemi di sigillatura. Le rive arabe del Mediterraneo usano un'impronta di inchiostro ottenuta mediante timbratura. L'impero bizantino e l'impero latino di Costantinopoli, il regno latino di Gerusalemme e i regni di Cipro e di Armenia, le città marittime di Venezia, Genova e Pisa e i loro emuli dell'interno, l'Italia meridionale, la Sicilia e la Sardegna, le coste provenzali e di Linguadoca e, risalendo il Rodano, Lione, nonché i regni ispanici e, ovviamente, il papato - una vasta area quindi comprendente tutte le coste del Mediterraneo occidentale - autenticano gli atti, o quanto meno quelli più solenni, con una b. di piombo. Nei paesi del Nord dominava quasi incontrastato il sigillo di cera, tranne che per gli atti eccezionali dell'imperatore e dei sovrani dei regni vicini.In Spagna e in Italia il predominio della b. appare comunque affiancato dal contemporaneo uso del sigillo di cera per documenti di minore solennità; mentre nell'Italia del Nord - e quindi in Provenza e in Linguadoca - esso venne contrastato anche dal lento progredire dell'uso di autenticare gli atti con il sigillo in cera, diffuso prima dall'Est germanico verso l'Ovest, e successivamente dal Nord lotaringio verso il Mezzogiorno mediterraneo, in una progressione favorita dalla continua spinta dell'influenza francese e angioina sull'area mediterranea.Per spiegare il secolare uso della b. di piombo e la difficile acclimatazione del sigillo di cera nelle zone meridionali, bisogna tenere presenti non solo le circostanze storiche esposte sopra - tradizione ellenica e bizantina, mito imperiale, prestigio del papato romano, influenza economica di Venezia e delle repubbliche marinare italiane - ma anche due condizioni materiali. Prima di tutto, i giacimenti di piombo sfruttati nel Medioevo si trovavano in particolare nei territori legati a Bisanzio, nei Balcani, in Sardegna e nella Spagna meridionale, mentre l'Europa del Nord ne era praticamente sprovvista, se si eccettuano le miniere della Cornovaglia, le cui relazioni commerciali con il continente peraltro furono per lungo tempo quasi inesistenti. Inoltre, la cera naturale mal si adattava ai paesi caldi: con il calore essa tende infatti a deformarsi, se non addirittura a sciogliersi, ad ammuffire per il caldo umido e in ogni caso ad attaccarsi alle materie con cui viene in contatto.Le effigi adottate per le b. sono in complesso molto meno varie di quelle che si trovano sui sigilli in cera; inoltre in tutte le cancellerie l'effigie, una volta stabilita, si mantenne in genere a lungo invariata. In proposito il caso più evidente è quello della b. pontificia: è vero che la b. del papa Adeodato I (615-648) presenta un'immagine del Buon Pastore relativamente anomala, analoga a un modello che si ritrova in alcune b. ecclesiastiche bizantine, ma è un caso eccezionale. Un primo archetipo venne infatti fissato già con Bonifacio V (619-625), la cui b. reca su una faccia, in un cerchio perlinato, il nome del papa su due righe in maiuscolo, preceduto e seguito da una croce, e sull'altra faccia, con un'incorniciatura analoga, la parola papae; questa tipologia sussistette fino a Leone IV nell'855. In seguito, a partire da Benedetto III (855-858) e fino alla metà del sec. 11°, il recto presenta una croce centrale entro clipeo contornata da una scritta con il nome del papa, mentre il verso è identico a quello precedente. Nella seconda metà del sec. 11° cominciano ad apparire immagini relativamente diversificate: per il papato di Vittore II (1055-1057) si ha una b. che rappresenta sul recto il profilo del busto di s. Pietro che riceve le chiavi da Cristo, con la leggenda "Tu pro me navem liquisti clavem suscipe", e sul verso un edificio a tre torri che ha nel campo, disposta su due righe, la leggenda "Aurea Roma / Victorii papae", a imitazione della b. imperiale. Con Pasquale II (1099-1118), infine, l'effigie si fissa in forme quasi definitive: sul recto appaiono, accompagnati da una leggenda orizzontale e separati tra loro da una croce, i busti di s. Pietro a destra e di s. Paolo a sinistra, visti di faccia o di tre quarti, con capigliature e barbe rese a puntinatura; sul verso è riportato, su più righe, il nome del pontefice, seguito dall'appellativo papa. Nel sec. 14°, alcuni pontefici aggiunsero sul verso le proprie armi; nel sec. 15°, le sigle S(anctus) Pa(ulus) S(anctus) Pe(trus) furono incise verticalmente e non più orizzontalmente. Tra l'elezione del papa e la sua incoronazione, la cancelleria pontificia usava la 'mezza b.' (dimidia bulla), con il verso privo di immagini.Nella diplomatica bizantina, l'effigie della b. imperiale - quella propria di ogni basiléus - mostrava generalmente, su una faccia, l'imperatore, a volte accompagnato dal principe coregnante, in piedi con la corona e le insegne del potere, tra cui, in particolare, il globo crucifero, e, sull'altra faccia, il Cristo in trono o a mezzo busto.Le b. imperiali carolinge mostrano solitamente sul recto la testa laureata oppure il busto del sovrano - talvolta delineati in forme assai approssimative - con una leggenda identificatoria; il verso presenta, talora, una rappresentazione simbolica di Roma, con la leggenda "Renovatio Romani imperii", divenuta in seguito, con Carlo il Calvo "Renovatio regni Francorum" oppure "Renovatio imperii Romani et Francorum"; talora è presente invece il monogramma imperiale con la leggenda adottata dal sovrano "Gloria sit Christo victoria Carlo".Più diversificate dal punto di vita iconografico sono le b. imperiali più tarde. Quelle di Federico Barbarossa e dei suoi successori mostrano generalmente sul verso una veduta della città di Roma con la leggenda "Roma caput mundi regit orbis frena rotundi", mentre il lato opposto - oltre a raffigurare, al tempo di Federico I, il busto dell'imperatore, con le insegne della sovranità, inquadrato entro una porta aperta in una cerchia di mura merlate - presenta l'imperatore seduto in trono, nell'atteggiamento più classico del sovrano in maestà. I re di Gerusalemme ne ripetono l'immagine: infatti, sul recto il re è raffigurato in maestà, mentre il verso presenta una figurazione simbolica di Gerusalemme con la leggenda "Civitas regis regum omnium".È sempre l'effigie del re in maestà, seduto sul trono e con i simboli del suo potere, ad apparire sulla maggior parte delle b. reali dei diversi stati (Sicilia, Spagna, Ungheria, Boemia, Armenia, Cipro). Sul verso di esse b. sono generalmente raffigurate le armi del sovrano o un elemento araldico (per es., per il re d'Armenia, il leone passante, incoronato e reggente nella zampa anteriore l'asta di una croce). Altrove, l'immagine è quella del santo protettore della nazione: in Boemia, per es., si tratta di s. Venceslao seduto in trono, con uno stendardo in una mano e un grande scudo nell'altra.Alcuni sovrani, che alla dignità reale univano il possesso di un principato o di una contea, utilizzarono sul verso un'effigie equestre: è il caso di Baldovino di Costantinopoli, conte di Fiandra e di Hainaut, e del suo successore Enrico I, come anche del re di Maiorca, conte di Roussillon e signore di Montpellier. È ancora un'immagine equestre quella che appare su una delle facce delle b. dei principi o dei signori dell'Oriente latino (Antiochia, Cesarea, Ibelin, Petra, Haifa), mentre l'altra offre una rappresentazione più varia, agiografica o monumentale. Quanto alle b. usate da signori del Sud della Francia (marchesi di Provenza, conti di Forcalquier, signori d'Anduze, ecc.), in esse appare sempre l'effigie equestre dei baroni, spesso ripetuta su ambedue le facce.Sulle b. di città, vescovi, chiese, magistrature o giurisdizioni, i simboli presenti più frequentemente, come nel caso dei sigilli di cera, sono sia di natura religiosa (l'effigie della Vergine o di un santo o, ancora, una scena agiografica) sia di carattere monumentale. Basti pensare alla famosa b. dei dogi di Venezia con S. Marco (in origine a mezzo busto, in seguito stante o seduto sul trono) che, sulla destra, consegna lo stendardo di S. Marco al doge, sulla sinistra (da prima abbigliato con un costume orientale, successivamente in vesti solenni); sul recto, secondo l'uso bizantino, figura, su più righe, il nome e il titolo del doge. A Firenze la b. reca sul recto l'effigie di S. Giovanni benedicente, con l'asta crucifera e circondato dalla leggenda circolare "Senatus populusque florentinus".Una minore stabilità iconografica e una più vasta ricerca di temi, per quanto riguarda sia l'immagine sia la leggenda, sembrano caratterizzare le b. delle città del Sud della Francia. Ad Arles, in appena un quarto di secolo, si registrano non meno di quattro b. successive, conservatesi ancora appese ad atti datati tra il 1203 e il 1220; tutte e quattro presentano su una faccia un leopardo e sull'altra la raffigurazione simbolica della città e hanno come leggenda (in versi leonini) rispettivamente: "Nobilis in primis / dici solet ira leonis" e "Urbs Arelatensis / est hostibus hostis et ensis".Avignone disponeva simultaneamente di una b. di piombo e di un sigillo di cera: la b. è nota grazie a tre esemplari successivi tra il 1216 e il 1251. Uno reca l'immagine a mezzo busto dei quattro consoli, con la toga agganciata sulla spalla; gli altri due quella del famoso ponte di Saint-Bénezet, davanti alla cinta merlata della città, al centro della quale sorge una torre con una cupola. In entrambe sul verso figura un'aquila ad ali spiegate con la leggenda Aquila o Girfalcus.Quanto a Marsiglia, la sua splendida b. in piombo ha un'effigie insieme agiografica e topografica: sul recto appare S. Vittore a cavallo con uno scudo crociato in una mano e nell'altra una spada, mentre il cavallo calpesta la chimera. La leggenda è l'invocazione: "Massiliam vere / Victor civesque tuere". Sul verso è raffigurata, in riva al mare, una cinta merlata in cui si aprono tre porte e, sullo sfondo, tre alte torri a bifore, con la leggenda in versi leonini: "Actibus immensis / urbs fulget Massiliensis".Da questi esempi si può ricavare che, al pari dei sigilli di cera, sono le b. di città e di chiese che presentano le raffigurazioni e le leggende più interessanti da un punto di vista storico.

Bibl.: G. Schlumberger, Sigillographie de l'Empire Byzantin, Paris 1884 (rist. anast. Torino 1963); B. Cecchetti, Le bolle dei dogi, Venezia 1888; J. von Pflugk-Harttung, Die Bullen der Päpste bis zum Ende des zwölften Jahrhunderts, Gotha 1901; C. Serafini, Le monete e le bolle plumbee del medagliere vaticano, 4 voll., Milano 1910-1928; W. Eitel, Über Blei- und Goldbullen im Mittelalter. Ihre Herleitung und ihre erste Verbreitung, Freiburg im Brsg. 1912; Le bolle d'oro dell'Archivio Vaticano, a cura di P. Sella (Inventari dell'Archivio Segreto Vaticano, 2), Città del Vaticano 1934; G. Schlumberger, F. Chalandon, A. Blanchet, Sigillographie de l'Orient latin, Paris 1943; V. Laurent, Le corpus des sceaux de l'empire byzantin, 4 voll., Paris 1963-1972; P. E. Schramm, Karl der Grosse im Lichte seiner Siegel und Bullen sowie der Bild- und Wortzeugnisse über sein Aussehen, in Karl der Grosse, Lebenswerk und Nachleben, I, Persönlichkeit und Geschichte, a cura di H. Beumann, Düsseldorf 1965, pp. 15-23; R. Kahsnitz, Siegel und Goldbullen, in Die Zeit der Staufer. Geschichte, Kunst, Kultur, cat., I, Stuttgart 1977, pp. 17-107; R. Laurent, Les Bulles non pontificales conservées en Belgique, Miscellanea archivistica 15, 1977, pp. 15-86; I sigilli d'oro dell'Archivio Segreto Vaticano, a cura di A. Martini, cat., Milano 1984; R.H. Bautier, Le cheminement du sceau et de la bulle, des origines mésopotamiennes au XIIIe s. occidental, Revue française d'héraldique et de sigillographie 54-59, 1984-1989, pp. 41-84; R. Laurent, Bulles, in id., Sigillographie, Bruxelles 1985, pp. 9-25; M. Rosada, ''Sigillum Sancti Marci''. Bolle e sigilli di Venezia, in Il sigillo nella storia e nella cultura, a cura di S. Ricci, cat. (Venezia 1985), Roma 1985, pp. 109-148.R.H. Bautier

TAG

Imperatore del sacro romano impero

Impero latino di costantinopoli

Regno latino di gerusalemme

Arcivescovo di colonia

Raimondo vi di tolosa