Boncompagno da Signa

Enciclopedia Dantesca (1970)

Boncompagno da Signa

Francesco Tateo

Maestro dello Studio bolognese fra la fine del sec. XII e il principio del XIII. Nato a Signa, presso Firenze dove condusse i primi studi, a circa trent'anni, nel 1194, prese a insegnare grammatica a Bologna, passando in seguito a Venezia, a Reggio, a Padova, e poi ancora a Bologna; ma trascorse nella povertà gli ultimi anni a Firenze, dove morì nel 1240.

La sua fama è soprattutto legata a una serie di arte: dictandi, che vanno dalle più brevi raccolte di formule a opere di notevole mole come la Rhetorica antiqua e la Rhetorica novissima. Fra le prime le Quinque salutationum tabulae trattano della salutatio e quindi dei titoli che si convengono ai vari personaggi cui son dirette le epistole, il Tractatus virtutum elenca i pregi e i difetti del discorso, la Palma sviluppa brevemente la dottrina dell'epistola, poi ampiamente ripresa nell'opera maggiore, di cui costituisce quasi l'introduzione, l'Oliva riguarda la composizione dei privilegi ecclesiastici, come il Cedrus quella degli statuti comunali e la Myrra quella dei testamenti; il Breviloquium istruisce circa gli esordi delle lettere e l'Isagoge tratta delle epistole introduttive.

La Rhetorica antiqua, frutto di parecchi anni di lavoro e divulgata col titolo di Boncompagnus, fu recitata a Bologna in S. Giovanni in Monte alla presenza dei professori di diritto civile e canonico nel 1215 e pubblicata a Padova nel 1226 o '27 in una nuova redazione, alla presenza dei dottori, degli studenti e di ecclesiastici. La sua importanza non consiste soltanto nella mole di dottrina retorica che essa contiene, nei numerosi esempi di lettere che offre, in parte autentiche, in parte composte per ragioni scolastiche, ma nelle testimonianze, largamente profuse, della cultura dell'epoca e dell'ambiente bolognese. Vi appare l'autore con la bizzarria del suo singolare temperamento e con quelle doti che fecero di lui uno dei personaggi più acclamati e insieme più osteggiati nel mondo accademico. Egli stesso, si vantava, con quel po' di presunzione che accompagna sempre i suoi scritti, di aver rinnovato l'insegnamento retorico nello Studio di Bologna, dove regnava una schiera di maestri legati a una cultura fatta di citazioni filosofiche, di proverbi e di detti oscuri: contro costoro, che lo accusavano di essere illetterato, rivolse la sua polemica ora mordace, ora piena di spirito (l'opera inizia con la descrizione dell'invidia, la bestia figlia della superbia, che ha fatto pensare a certe figurazioni dantesche). Soprattutto B. rivela, nella Rhetorica antiqua, le sue attitudini di narratore vivace e di scrittore versatile, che lo spinsero spesso fuori della stretta professione di grammatico.

Infatti, oltre la Rhetorica novissima (iniziata a Venezia e pubblicata a Bologna nel 1235), importante per l'inserimento della materia giuridica nella trattazione della retorica, con la relativa discussione sull'origine del diritto (che ha origine nel cielo e nel Paradiso terrestre), con la polemica contro le caduche leggi comunali e i plebisciti, la legge longobarda e la scuola dei glossatori, ormai decaduta, altre opere rivelano fra i limiti medievali e retorici dell'impostazione l'apertura verso certi temi d'interesse storico ed etico; la Rota Veneris raccoglie una serie d'insegnamenti d'amore, il Liber de obsidione Anconae (1198-1201) esalta la difesa della città contro il Barbarossa e contiene un appassionato commento della glossa di Accursio " non est provincia, sed domina provinciarum " riferita all'Italia (cfr. Pg VI 78), il Liber Amicitiae (1205) riprende nella forma medievale della controversia l'esempio ciceroniano del Laelius, e il Libellus de malo senectutis et senio, degli ultimi anni della sua permanenza bolognese, è amaramente e realisticamente rivolto alla meditazione sui mali della vecchiaia.

Sullo sfondo dei rapporti fra D. e l'insegnamento delle artes va inserito l'eventuale influsso sul poeta del maestro bolognese, il quale, oltre a testimoniare l'intensa relazione culturale istituitasi fra Firenze e Bologna fin da un secolo, dovette esser presente a Brunetto Latini. Già, però, in quest'ultimo si era operata una svolta degli studi retorici in senso politico-civile e antiaccademico, nonché una maggiore adesione alla tradizione dei classici. Sicché fra B. e D., il quale è ancor più sganciato dall'impostazione accademica della cultura dettatoria e dalla rigida soggezione ai moduli delle ‛ arti ', il sostanziale divario appare notevole. Eppure, oltre al fatto che alcuni termini e concetti danteschi sembrano incontrarsi con l'uso di B. (che ricorre al biblico magnalia, designa con " velamen " la transumptio, parla del " protoplastus " Adamo a proposito del problema delle origini dell'umanità), bisognerà valutare del maestro bolognese la quasi avversione all'uso sistematico del cursus, una certa indipendenza dalle auctoritates e l'ostilità verso il mondo accademico, l'insofferenza per l'eccessivo uso delle citazioni e dei proverbi, e la disposizione a uno stile non chiuso all'esperienza del volgare. A queste convergenze di gusto va aggiunta l'importanza che per B. e per D. assume, quale procedimento proprio delle sacre scritture e dello stile profetico, la transumptio, che nel poeta trova alcune applicazioni particolarmente vicine al metodo dettatorio. Ma è altrettanto evidente il rapporto istituito da D. fra la transumptio e lo stile tragico, laddove B. insisteva sulle iucundae transumptiones, ossia sull'applicazione del minuzioso procedimento dell'ornatus difficilis ad argomenti ‛ comici '.

Bibl. - P. Rajna, Per il " cursus " medievale e per D., in " Studi Filol. Ital. " III (1932) 44-50; N. Zingarelli, La vita, ecc., Milano 1944, 20, 42, 1269; Davidsohn, Storia I 1212-1215; D. De Robertis, Il libro della " Vita Nuova ", Firenze 1961, 37, 102; F. Forti, La " transumptio " nei dettatori bolognesi e in D., in D. e Bologna nei tempi di D., Bologna 1967, 137-148; G. Nencioni, D. e la retorica, ibid. 97-99.

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